[oblinder] ix. the hermit

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    Magari la lettera, quella che ti è arrivata anonima la sera prima, non l'hai neanche aperta. Forse neanche vista, se non intenzionalmente ignorata. Oppure l'hai vista, ed hai pensato fosse lo scherzo di un amico, di uno sconosciuto annoiato, del vicino di casa a cui hai accidentalmente dato fuoco alle rose del giardino - insomma.
    Potresti non averci dato peso. O l'hai fatto, ed hai passato gran parte della notte a chiedere aiuti e suggerimenti alle persone di cui ti fidi, a cercare su internet, a rigirarti nel letto provando a dormire (o peggio, o meglio: a non, dormire).
    Insomma. Non importa la considerazione che tu abbia avuto della pesante busta lilla, e non importa quante precauzioni o meno tu abbia preso in merito.
    Vai a dormire nel letto della tua camera, sotto le tue coperte, circondato da un mondo che conosci ed odi ed ami a seconda dei giorni.
    Il dove apri gli occhi il giorno seguente, però, è un mistero.

    Dev'essere stato l'odore, a svegliarti. Un olezzo tutt'altro che piacevole, un misto di bruciato e polvere che ti fa arricciare il naso. Ti massaggi le palpebre abbassate, rannicchiandoti su te stesso quando senti l'aria farsi pungente...qualcuno ha aperto una finestra?
    Socchiudi le palpebre: no, decisamente nessuno ha aperto una finestra. Non sei nella tua stanza.
    E nulla di quello che vedi, è come lo ricordi.
    Le strade piene di macerie. I palazzi crollati per intero od a metà. Una luce bianca, innaturale, a illuminare il tutto come si trovasse in un limbo fra alba e tramonto perenne.
    E le persone. Le persone...non ci sono.
    Così come i rumori.
    Non riesci a sentire niente.
    Ha tutto l'aria di vecchio ed usurato, di consumato e spaccato - di morto.
    Non c'è nulla di vivo, da quelle parti, e l'idea che offre è che non vi sia nulla di vivente da molto tempo. Ti rendi conto di non essere solo, però: c'è qualcuno, con te. Forse sta dormendo; forse è morto. Probabilmente non è morto.
    Abbassi lo sguardo. Un chiodo tiene impigliato al suolo un pezzo di carta, e quella che sembra essere una carta dei tarocchi: the hermit. Sul foglio, ci sono solo sei parole - e mai avresti pensato che sei parole potessero pesare così tanto.
    Eppure lo fanno.
    Non è possibile leggere nei sogni.


    Ci sono altri tre foglietti, uno indirizzato ad entrambi, ed uno per ciascuno di voi.
    (insieme) costruisci una zona sicura.

    (GOMBLODDO )chiedi alla tua anima gemella qual è la sua canzone preferita, perchè, cosa *l* fa provare (e qualsiasi altro dettaglio; insomma, conoscil* attraverso questa o queste canzoni)

    (powpow) racconta cosa vorresti fare da grande, e perché

    Frugandovi nelle tasche, potete trovare una accendino (GOMBLODDO ) e un torcia elettrica (powpow).
    Ah, quasi dimenticavo: la magia non funziona.


    tarocchi
     
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    Onestamente? Arturo aveva problemi ben più pressanti di una stupida lettera trovata ad attenderlo sul proprio letto, al rientro in dormitorio quella sera. Sentiva già la puzza di inganno !! scherz(1)one !! complotto !! da parte dei suoi compagni di scuola e, per questo, aveva riposto la missiva dentro il primo libro trovato sul suo comodino (oh no, doveva davvero finire quel tema sui villaggi magici del tredicesimo secolo, ay ay ay) senza degnarla di un secondo sguardo, concentrandosi poi sulle cose Davvero Importanti TM.

    Usciamo?
    Ieri, 11:39 PM
    Intendi...in cortile?
    O..... O proprio fuori dal castello??
    Ieri, 11:56 PM

    Inutile dire che le cose erano precipitate notevolmente, negli ultimi giorni, dopo quel messaggio che... Beh, non voleva nemmeno pensarci - perché ci aveva rimuginato su veramente troppo; era da mercoledì che non pensava ad altro, era da mercoledì che evitava il concasato e compagno di squadra, era da mercoledì che rendeva le cose imbarazzanti nonostante fosse stato lui stesso a chiedere che tutto rimanesse uguale, che non ci fosse imbarazzo tra loro per il bene della squadra. «oh boi, I fucked up» decisamente. Big time. E ora che le leggeva, nero su bianco - o qualsiasi fosse l'equivalente digitale -, quelle parole erano impossibili da ignorare.
    Lo sguardo azzurro andò immediatamente a posarsi sul letto a pochi metri dal suo, e non si stupì di trovarlo vuoto; in quei giorni cercava sempre di entrare in stanza quando Costas non c'era, o a notte inoltrata nella speranza di trovarlo già addormentato o, ancora, fingeva lui stesso di dormire per evitare qualsiasi confronto diretto col battitore. Glielo aveva detto chiaramente che no, non voleva la stessa cosa ma forse non era bravo a mentire neppure in chat perché l'altro non se l'era bevuta e aveva continuato, aveva insistito. O, semplicemente, era solo Costas che non sapeva accettare quel rifiuto e voleva a tutti i costi averla vinta, e per questo aveva proseguito, aveva inviato ancora uno, due, tre messaggi ai quali Arturo aveva sempre risposto, pur non sapendo bene cOmE. Eppure qualcosa aveva spinto lo spagnolo a rifiutarlo, a mentire con quel “no” che lo aveva fatto stare male per giorni; non era la possibilità di essere solo l'ennesima conquistata di un Motherfucka recitivo, oh no, Merlino solo sapeva quanto in quel periodo Turo non avesse pensato ad altro... Il problema era un altro. Qualcosa di fin troppo grande e che aveva ammesso ad alta voce solo la sera prima. O, per meglio dire, lo aveva messo per iscritto, confidandosi con uno sconosciuto che sperava con tutto se stesso sarebbe rimasto tale il più a lungo possibile: la sola idea di incontrare Ethan Lynx di persona lo faceva stare male perché... Come poteva affrontarlo dopo essersi aperto così tanto con lui? Gli aveva detto cose che nessun altro sapeva, si era reso vulnerabile ed era stato fin troppo sincero e... Lanciò un urlo soffocato nel cuscino che teneva tra le braccia, e poi rimase in quella posizione per qualche minuto, in attesa di soffocare o di svenire per la stanchezza o di sparire dalla faccia della terra, qualsiasi opzione fosse venuta per prima.
    Non si pentiva di aver raccontato quelle cose al maggiore - solo il cielo sapeva quanto ne avesse avuto bisogno, lui stesso se ne era reso conto solo dopo aver inondato la chat di messaggi incomprensibili e pieni della sua immancabile confusione - ma si pentiva decisamente di aver lasciato, ancora una volta, che i danni fatti dai suoi genitori lo facessero vacillare, che condizionassero le sue azioni, le sue scelte. Aveva detto di no perché quel "sii mio" così diretto gli aveva fatto girare la testa per qualche secondo di troppo, gli aveva fatto martellare il cuore nel petto come nemmeno la sua prima partita ufficiale era riuscita a fare. Era stato a tanto così dal cedere, ma poi aveva fatto ciò che sapeva fare meglio: sabotare se stesso. E ora... E ora si mangiava le mani. Avrebbe avuto altre occasioni, con uno come Costas non sarebbero di certo mancate, e stavolta non avrebbe detto di no. Eppure... Nel leggere quella richiesta di invito ad uscire non aveva potuto non rispondere a suo modo, ancora una volta. Certo che aveva capito che intendesse fuori dal castello, ma stupidamente (e forse anche un po' romanticamente) aveva voluto sentirselo dire. E poi Costas aveva pensato bene di aggiungere quel "non devi rispondere ora" e menomale, perché lui stava ancora respirando velocemente contro l'involucro di piume e stoffa che era il suo guanciale, in preda all'ennesima crisi esistenziale.
    I'm damaged, aveva confessato ad Ethan, e cazzo se era danneggiato! Forse doveva davvero (ma davvero davvero) iniziare a parlare con qualcuno, prima di esplodere del tutto, insomma. Tutta quella situazione, la paura di prendere una decisione e accettare le conseguenze lo stava uccidendo, come un Chidi Anagonye qualsiasi.
    Un'ora dopo stava digitando, finalmente, una risposta: okay.
    Poi una pausa, e mordendosi il labbro inferiore fino a sentire il sapore metallico del sangue sulla lingua, aggiunse: allora ne parliamo domani....okay?
    Ancora una volta non era riuscito a dire davvero , nonostante ogni fibra del suo corpo gridasse - quasi letteralmente - affinché lo facesse. Si portò una mano sugli occhi e li strofinò fino a vedere luci e puntini colorati disegnare motivi contro le sue palpebre. Era proprio il caso di andare a dormire, avrebbe avuto tutto l'indomani mattina per continuare con le crisi mistiche - e per rendersi conto che era San Valentino, e che di tante domeniche dell'anno, 52 per la precisione, il Motherfucka aveva scelto proprio quella festività per invitarlo ad uscire. That............ mothefucker. Uh.

    La prima cosa che notò, prima ancora di aprire gli occhi, fu la puzza di bruciato, di stantio, che gli pizzicò il naso e lo costrinse a portare due dita a chiudere le narici ben strette. Chi è che stava dando fuoco al dormitorio? Poi si costrinse ad aprire almeno un occhio per accertarsi che la situazione non fosse andata troppo oltre e... «¿Qué... narices...?» Quella non era la sua stanza.
    Quella era... «oh no, non di nuovo...?» Non ce la poteva fare a gestire anche gli incubi, non in quel periodo. Ma poi, non erano passati? DANG. Si mise seduto velocemente, ormai ahimé un vero esperto con quel genere di incubi, perciò sapeva benissimo cosa fare per svegliarsi: darsi un pizzicotto. Peccato che non funzionava, non quella volta. Continuò per qualche minuto giusto perché «magari sto sbagliando qualcosa» why not, poi, finalmente, si arrese e si lasciò cadere contro l'asfalto: il piano era rimanere lì... a tempo indeterminato. Solo ruotando la testa si accorse della figura a terra insieme a lui. Arricciò le labbra e sussurrò un «bel piano, ci ho pensato anche io» prima di notare anche quelli ,a occhio e croce, sembravano una carta (da gioco? di tarocchi? boh) e un pezzetto di carta. Dibatté a lungo con se stesso sul da farsi, poi alla fine optò per il gattonare verso questi ultimi e, sulla via, gettare uno sguardo curioso anche all'altra persona lì con lui. pls don't be sadpenny un puto clicker. Fece per colpire la gamba della persona sconosciuta, un paio di volte e solo con la punta della scarpa, non voleva avvicinarsi troppo, poi si allungò per strappare i fogli dal chiodo che li teneva affissi al suolo e lesse: «costruisci una zona sicura»
    Beh.......perché no. Si lasciò scappare una risatina nervosa mentre rileggeva anche quel ominous /non è possibile leggere nei sogni/ e....honestly? In quel momento (ma come sempre d'altronde) Arturo Maria Hendrickson voleva solo un po' morire e niente più. Dove diavolo era finito?


    E la cosa buffa, in tutto quello, era che quella dannata Burrobirra la voleva davvero, ma chissà se avrebbe vissuto abbastanza a lungo da poter finalmente dire di sì.
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    Edited by (cry me a) mojito - 15/2/2021, 15:22
     
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    Roteò pigramente il capo seguendo gli spostamenti di Arturo, ma senza scomporsi più del dovuto. Perfino i respiri parevano un affronto, e li centellinava cono precisione chirurgica. Temeva che ogni movimento potesse attivare il meccanismo implicito di ogni sogno, quello che lo divideva dall’essere incubo, e non voleva essere il primo a spezzare quell’equilibrio. Se fosse rimasto , in quell’esatta posizione, usando solo pochi muscoli alla volta, forse avrebbe potuto rimanere nella zona grigia del nulla, ed evitare di assistere allo smembramento del proprio compagno di scuola.
    Di nuovo.
    Si ritrovò a sorridere, più stanco e asciutto che divertito, e tornò a chiudere gli occhi mentre il chiacchiericcio del capitano della squadra dei Serpeverde riempiva il silenzio attorno a loro. Non che a Mac dispiacesse la quiete, anzi, ma non lo disturbava quand’erano altri a riempirla – bastava non chiedessero a lui di farlo. Non hai paura, Hale? Sempre, ma non quanta ci si sarebbe aspettati ne avesse: d’altronde, raramente erano le situazioni ad angustiare l’animo del Corvonero; erano, e sempre sarebbero rimaste, le persone, a far vacillare battito e respiro. Con la tattica opossum in corso, poteva ancora fingere di essere da solo, e che Turo fosse solo rumore bianco di sfondo. Strange forte, tra l’altro, la presenza del compagno. Non aveva mai passeggiato né nei suoi incubi né nei suoi ben più rari, ma altrettanti terrificanti, sogni, il che rendeva il suo mero esistere in quell’istante un’assurdità ben più grande dello scenario apocalittico dispiegato attorno a loro.
    Perché quella, poteva essere la Tottington che l’aveva seguito ed inseguito per mesi. Quella, poteva essere la Bodie che si era lasciato alle spalle anni prima, ma che mai l’aveva abbandonato.
    Arturo, invece, era un’incognita.
    Mckenzie Leighton Hale ignorava i messaggi dei suoi amici, secondo voi aveva aperto la lettera ricevuta il giorno prima da un mittente anonimo? Ecco.
    Aprì gli occhi solo quando si sentì colpire, un sopracciglio sollevato verso il moro. Normalmente, avrebbe chiesto scusa, anche senza sapere per cosa – magari la sua sola presenza lo infastidiva…? O era in mezzo alla strada…? - ma quello non era reale, e l’irrealtà gli permetteva di esistere più di quanto non facesse la realtà quotidiana. Un po’ l’effetto che gli faceva Twitter quando dall’altra parte non sapevano si trovasse lui: quando non era, poteva concedersi d’essere. «non ho ancora parlato, e già mi prendi a calci?» Non si alzò, cocciuto nel rimanere disteso a terra. Spostò gli occhi grigi sul cielo bianco sopra di loro, deglutendo aria stantia e bile, e gli sorrise, sincero e maledettamente esausto, colpevole e dispiaciuto nel suo mero (soprav)vivere. «non oso immaginare fra mezz’ora.» e non scherzava neanche troppo.
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    «non ho ancora parlato, e già mi prendi a calci?» wait wat «wait wat» e di nuovo «wAiT WaT» ma in spagnolo e di qualche ottava più alto. C'era panico negli occhi azzurri e sgranati dello spirish... Beh, più panico del solito, per esser proprio onesti. Ma, insomma, alle parole del rivale sul campo (ma anima affine nella vita, a quanto pare, /no one: wow unexpected./), Arturo aveva sentito sia un brivido percorrergli la schiena, che una voce familiare e spaventosissima ammonirlo con testuali parole: . ARTURO MARIA FAI IL TUO DOVERE, se per colpa della tua stupidità muore anche mac vengo ad ucciderti.
    Again.

    Si, così, con tanto di inquietantissimo punto iniziale.
    Non c'era bisogno di specificare a chi appartenesse tal voce, e lo stesso *gUlP* impanicato di Turo la diceva lunga, ma se anche non ci fosse stata la presenza invisibile di Willow Beckham ad aleggiare tra loro, Arturo sarebbe comunque rimasto shockbasito dalle parole di Mac. Perché, dai? Ma sul serio? Ma lui???? Cioè «non... ti stavo prendendo a calci...» non volontariamente, comunque, «volevo solo accertarmi...fossi...vivo?» si insomma, Willow se stai leggendo, non stavamo prendendo a calci Mac giurin giurello. «...sei vivo?» visto e considerata la persona che aveva di fronte, la risposta a quel quesito era probabilmente solo una: debatable.
    Il moro aveva semplicemente voluto constatare in che stato si trovasse il suo compagno di (dis)avventure, e farlo nella maniera più sicura possibile; ergo, la punta della scarpa – visto che cercare un bastoncino di legno in quel posto significava dover ispezionare il luogo e AH AH AH the joke's on you se pensate che Turo avrebbe mai fatto una cosa del genere. Sarebbe rimasto stoicamente su quel metro quadro di terreno tutto il tempo, di mettere il naso dove non gli spettava non ne aveva proprio voglia, grazie tante. D'altra parte, anche l'Hale sembrava della stessa opinione (insomma non erano anime affini per niente, voglio dì.), ancora beatamente disteso sul pavimento impolverato e circondato da detriti. Distolse appena lo sguardo dal compagno, Arturo, per farlo vagare pigramente e registrare ciò che li circondava: sembrava essere un bosco, forse Aetas, ma per dirlo con certezza avrebbe dovuto indagare e, ancora una volta: nope. Batté la carta sul palmo aperto un paio di volte, poi scoccando la lingua contro il palato si rivolse all'Hale. «Non ho idea di cosa stia succedendo ma non credo sia un sogno -» no shit, Arturo, davvero? «Anche perché di solito sogno altri corvonero.» Se c'era una cosa (vabbè, una delle tante cose) che Arturo doveva imparare, era contare fino a dieci prima di aprire bocca, specialmente in situazioni come quelle, dove il panico e l'ansia prendevano il sopravvento e lui si ritrovava a blaterare cose senza senso e decisamente fraintendibili. Confuso lui stesso da ciò che aveva appena detto, sgranò gli occhi e cercò di correggere il tiro. «Cioè, di solito sogno Gideon o Willow, a volte entrambi, tu sei una novità.» No, non ci siamo decisamente. Magari la terza è la volta buona.
    Testa all'indietro, voglia di vivere già scarsa in partenza e ormai praticamente inesistente, sussurrò «...non in quel senso.» Non valeva nemmeno la pena stare a correggersi, a quel punto.
    We can only go up from here.
    Per distogliere le attenzioni da quel monologo imbarazzante, tornò a studiare la carta dei tarocchi che aveva trovato a terra. «Kermit?» Erano grilli quelli che sentiva in sottofondo? Beh si, dai, erano in un bosco, ci sta. La confusione era, comunque, palpabile. «Ma tipo..... come la rana dei Muppets?» Non era colpa sua, infondo, se le fronde degli alberi facevano trapelare poca luce e se le scritte di quei tarocchi erano così sbiadite da risultare illeggibili, ohi. «Ah no. The Hermit. Uh, capisco.» Spoiler: non aveva capito. Una smorfia di rassegnazione gli deturpò il volto, mentre tornava a rannicchiarsi a terra, lì dove aveva trovato un Mckenzie Hale euforico e pieno di vitalità. «Questo credo sia per te,» così, sulla fiducia, gli allungò uno dei due foglietti e rilesse il suo. «porqué» Non aveva nemmeno le sembianze di una domanda, appena un sussurro rivolto più a se stesso che non al Corvonero. Non aveva voglia di ripetere tutta la trafila, non di nuovo, non dopo averlo già ammesso in chat nemmeno settantadue ore prima.
    racconta cosa vorresti fare da grande, e perché
    Arturo non sapeva se sarebbe arrivato vivo al giorno seguente, figurarsi se aveva la minima idea di cosa avrebbe voluto fare da grande! Ci pensò su un attimo - non sulla risposta a quella domanda, duh - poi strinse le labbra e allungò il fogliettino a Mac. «Toma Per quanto gli riguardava, poteva avere pure il suo; magari Mac aveva dei grandi piani per il futuro e sentiva il bisogno di condividerli, perché no; Turo avrebbe ascoltato volentieri.
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    Umettò le labbra cercando di sopprimere il sorriso, ciglia a battere rapide su occhi incapaci di mettere a fuoco alcunché. Aprì la bocca e la richiuse, ripetendo il movimento un paio di volte, e con la stessa inefficacia. Non che non avesse niente da dire, Mac. Era troppo educato per non rispondere, e troppo Mckenzie per non aver parole; il problema, era che fosse anche troppo Hale, e di conseguenza, non sapesse come farlo. C’era una specie di… filtro nella gola del Corvonero. Poco funzionale, c’era da dirlo: soffocava la voce nella trachea finchè poteva contenerne, e quando non aveva più spazio disponibile, le rigurgitava tutte insieme e senza un nesso apparentemente logico. Non era ancora alla fase di limite, caso mai ve lo steste domandando; era ancora alla sacra tripartizione dell’ansia: c’era quel che pensava di dire (Chi può dirlo? Non sono certo di essere vivo da anni; ogni tanto penso di esserci morto, nello scantinato degli Hale. Ogni tanto penso che questo secolo, questo mondo, queste persone!, siano solo l’allucinazione incastrata in un corpo morto. Siamo vivi se qualcuno decide che lo siamo: sono vivo, Turo?), quel che voleva dire () e quel che infine diceva: «penso di sì?» sicuro e affidabile come piaceva a lui. Arricciò il naso, la lingua a saettare sull’arcata superiore dei denti. «penso.» che era già qualcosa. «...di sì?» Era un concetto troppo complesso, quello della certezza: non riusciva neanche a fingere del contegno. Aprì ancora la bocca per dirgli che stava scherzando, quando aveva detto lo stesse prendendo a calci, ma la richiuse rendendosi conto di quanto superfluo fosse farlo notare: avrebbe demoralizzato Arturo facendolo notare, e se stesso nel sottolineare quanto il suo californian english humor lo stesse fallendo.
    Eh.
    Eh. Raramente apriva bocca, se non era strettamente necessario. E per un ottimo motivo: l’ultima volta che aveva chiacchierato senza il dovere di farlo, aveva speso la notte di Capodanno a lodare i trenta centimetri di Julian senza mai specificare di star parlando dei suoi piedi. Quello ch’era ovvio per Mckenzie, lo era solo per lui.
    «Non ho idea di cosa stia succedendo ma non credo sia un sogno -» Flesse gli addominali per posarsi sui gomiti, gambe ancora allungate di fronte a sé, e socchiuse gli occhi grigi per squadrare Arturo Maria Hendrickson. C’era un monito, nello sguardo chiaro dell’Hale; una supplica, ed al contempo un sollievo che poco c’azzeccava con il resto, ed eppure vi trovava il perfetto incastro. C’erano cose troppo complesse che avrebbe preferito non mostrare al compagno, e che ripiegò concentrandole sulla punta dei propri piedi. «Anche perché di solito sogno altri corvonero.» L’ombra di un sorriso scivolò sulle labbra del blu bronzo, capo ancora volto alle caviglie. «anche tu non sei il mio tipo» ironizzò, piegando il capo sulla spalla.
    Poi si ricordò che il mondo non sapesse che sotto strati di attacchi di panico e carta da parati ci fosse un sottile e fraintendibile senso dell’umorismo, e che anche lui fosse in grado di fare battute; sorriso e colore abbandonarono il volto dell’Hale intasando il Filtro TM.
    Ed ecco cosa accadde. «Cioè,» «cioè» «di solito sogno Gideon o Willow, » «sei gentile e uh indubbiamente affascinante?» «a volte entrambi» «ma eh sai com’è, quando non clicker non clicker «tu sei una novità» «sono certo che – aspetta.» elaborò quanto appena accaduto.
    «...non in quel senso.»
    «non pensavo in quel senso» tentò disperato, voce roca e sottile atta a mettere a tacere se stesso, e Turo. Per togliere l’espressione mortificata al ragazzo, e sperare che cancellasse dalla memoria a breve termine quel che aveva appena abbandonato la propria bocca, si sentì in dovere (dovere!!!) di aggiungere: «anche tu sei una novità nei miei» Una pausa, ma non abbastanza lunga da impedirgli di aggiungere: «sei vivo? di solito sogno gente morta» ingoiò la saliva ed alzò l’indice. «dentro» ciao joni! «fuori» ciao Tottington, ciao Bodie, ciao 2017! «dentro e fuori» ciao Hans! «ma magari sei tu quello morto? ed allora rientriamo nello status quo» corvonero mica per niente.
    Espirò.
    Si piegò in avanti fino a sfiorare la fronte con le ginocchia, le dita intrecciate dietro la nuca.
    «non sono neanche fatto» singhiozzò, in una risata ruvida e poco convinta - ma avrebbe di gran lunga preferito esserlo.
    Azzardò un’occhiata alla carta dei tarocchi tenuta in mano dal moro, ed un caldo fiotto di nostalgia gli riempì i polmoni come acqua e cloro. A guizzare nello sguardo grigio dell’Hale, furono curiosità e riconoscimento, ma anche un acre divertimento che bruciava sulla lingua quanto acido. Quella carta, gliel’aveva sventolata sotto il naso Vin - più volte di quante gli piacesse ammettere.
    Ma non si fidava abbastanza di se stesso per dirgli che la conosceva, che sapeva cosa significasse, e che Kermit – perlomeno come lo conoscevano loro – non sarebbe poi stata una metafora così lontana dal descriverlo. Si irrigidì d’istinto, quando Turo gli porse dei biglietti.
    Ed altrettanto d’istinto, strisciò all’indietro. «non lo voglio» gracchiò, incapace di contenere il terrore negli occhi chiari. «l’hai letto? non leggerlo» batticuore. Sudore freddo. Bocca socchiusa e nulla ad entrare.
    Un attacco di panico - ma perché. Perché?
    Nascose il viso contro le gambe frenandolo prima che potesse prendere forma, le dita a scivolare attorno a qualcosa nella tasca – una storia che vi racconteremo in un altro post, mi sono dilungata troppo. - «perchè -» tanti, troppi, un fottio, ma l’unico che valesse la pena di domandare: «- pensi che non sia un sogno?» tipregoparlamidiqualcosaqualsiasicosa
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    “Conceal, don't feel” era ormai ben più di un motto per Arturo, molto più del consiglio spassionato di una regina di ghiaccio con evidenti problemi di autocontrollo che un bambino di dieci anni aveva assimilato involontariamente, senza sapere che, sette anni più tardi, sarebbe tornato prepotente a far capolino nella sua vita.
    Quelle tre parole erano Arturo.
    Non perché lo volesse davvero, quanto più perché ne aveva bisogno. Lo vedete come andava a finire quando decideva, seppur inconsciamente, di aprirsi con qualcuno?
    «...non in quel senso.»
    «non pensavo in quel senso»
    E poi quella pausa imbarazzata, perché come avrebbe potuto essere diversamente, con loro? E una risata nervosa da parte di Arturo. E un sospiro pesante da parte di Mckenzie. E quelle parole ancora a riempire lo spazio tra loro, parole che, Arturo ci scommetteva la sua valigetta di matite Giotto disposte in ordine cromatico, anche Hale avrebbe desiderato rimangiarsi. Rimasero così a lungo, o per pochissimo, difficile dirlo, sguardo azzurro incastrato in quello grigio e viceversa, ciascuno a pensare a come migliorare una situazione che beh, dalle premesse sembrava già un fallimento. Ma chi, nell'universo, aveva reputato saggio accoppiare Mac e Turo per.. beh, qualsiasi cosa fosse quell'esperimento sociale? Quale destino era così beffardo – e infame – da volerli vedere in quello stato? Che poi, a dire la verità, ad Arturo Mac piaceva, ma solo se visto da lontano. In qualche modo sapeva che, se mai le loro strade si fossero incrociate, non ne sarebbe uscito nulla di buono. Troppo disagio tutto insieme.
    E infatti.
    Tuttavia, fu proprio il corvonero a tentare di reindirizzare quella conversazione verso porti più... beh, meno imbarazzanti. Un sorriso grato piegò impercettibilmente le labbra dello spagnolo, mentre tornava a studiare le pieghe sui pantaloni di quella divisa che, troppo stanco – di tutto, per sicurezza – aveva dimenticato di togliere la sera prima. Non c'era nulla di interessante, il nero quasi si confondeva con quello del mantello, ma era certamente più sicuro convogliare lì la propria concentrazione piuttosto che arrischiarsi a incrociare lo sguardo chiaro di Mac e dare nuovamente fiato alla bocca. Deglutì a fatica, cercando le parole adatte e fallendo miseramente. Magari era lui quello morto, chissà. In quei giorni non lo avrebbe dato per impossibile: stanco com'era, sarebbe bastato veramente nulla per volare giù dalla scopa durante gli allenamenti, o per confondere gli ingredienti della pozione e far saltare in aria l'aula. Non escludeva alcuna possibilità, Arturo, ma dentro di sé sentiva che non era morto.
    Come faceva a saperlo? Non aveva un termine di paragone per sapere come ci si sentisse a... morire. Escluso per imbarazzo, ovviamente.
    Eppure.
    Con una scrollata di spalle, infine, ammise che «beh -» no, non sapeva come continuare. Perciò serrò le labbra e le tirò il più possibile, sperando che quella smorfia potesse essere scambiata per un sorriso.
    Erano entrambi troppo intelligenti per crederci.
    E così, in qualche momento tra il rammarico di Mac per non esser fatto e il suo (sbagliare a) leggere la carta dei tarocchi, Arturo si era ritrovato in una posizione a specchio rispetto all'altro ragazzo, con le ginocchia strette al petto, mentre cercava di dare un senso a quanto letto. Aveva sperato che almeno Mac, onorando i colori della divisa che indossava, avrebbe illuminato entrambi con la propria sagacia – o accendendosi e spegnendosi in loop, andavano bene entrambe, Arturo sapeva accontentarsi – e per questo motivo aveva allungato quei fogli verso di lui, con leggerezza e senza immaginare che quel gesto, apparentemente banale, avrebbe potuto far crollare Mac in quel modo.
    «non lo voglio.» «eh?» «l’hai letto?» «sì?» «non leggerlo»» «oh.»
    I biglietti ancora a mezz'aria, la bocca dischiusa in quell'espressione congelata dallo sconcerto di rendersi conto, troppo tardi – sempre troppo tardi – di ciò che stava accadendo. Qualcosa di quanto fatto aveva triggerato... qualcosa in Mckenzie, forse un attacco di panico, oddio, cosa doveva fare, come poteva aiutarlo ay Dios mio perché doveva sempre rovinare tutto ma «perché» una domanda rivolta verso l'universo, tanto per star sicuri, ma proferita anche dall'altro studente, che poi aggiunse «pensi che non sia un sogno?» e... beh.
    Serrò di nuovo le labbra per evitare che il primo pensiero balenatogli nella mente prendesse forma tra loro - "non vedo Costas nei paragi" -, non voleva mettersi in ulteriore imbarazzo, ma doveva dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma che cosa? «Io, uhm... -» tipico di Arturo, rimanere senza parole in momenti del genere. Le dita corsero immediatamente a stringere le ciocche corvine, e stringere, stringere, fino quasi a tirare. Non era un telepate, ma non aveva bisogno di leggere nella mente, né di osservarlo in volto, per capire che quella era una richiesta disperata di chi aveva bisogno di sentirsi dire qualcosa, letteralmente qualsiasi cosa, per non pensare a ciò che stava succedendo. Merlino solo sapeva quante volte, lo stesso Arturo, aveva posto quella domanda: e tu che mi dici? Diversa la formula, identico lo scopo: parlare di qualcosa che non lo riguardasse, che portasse l'attenzione lontana dalla propria persona.
    «Nei sogni non riusciamo a leggere?» Ci stava provando, okay? Ci stava davvero provando. «E io riesco a legg-» oh no, Mac gli aveva detto di non leggere, no? Oh no. «Come non detto, olvídalo. Uhm...» Si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa con cui distrarlo, ma le macerie di quel posto fornivano ben pochi spunti. Come un Winnie the Pooh qualsiasi, Turo si intimò di pensare. Andiamo, andiamo...! Ma in quel momento di panico (letteralmente) l'unica cosa che gli veniva in mente era quella stramaledetta serie sui lupi mannari e i loro modi discutibili di porre fine ad un attacco di panico (ciao socc).
    E no, Arturo non lo avrebbe fatto.
    Poi, quando stava ormai per arrendersi e scoppiare a piangere – perché no, era sempre un'opzione valida – si ricordò anche qualcos'altro. «Nei sogni non riusciamo a visualizzare correttamente le mani. Appaiono sempre... muy raras. Strane. Tipo con dita in meno o in più... o... strane.» Wow, una spiegazione da diesci. Le carte abbandonate in grembo, alzò una mano verso Mac e a bassa voce lo invitò ad alzare lo sguardo su di lui. «Vedi? Cinque dita. Niente di strano... eccetto qualche macchia di colore ma... beh, come dicevo, niente di strano, no?» Considerando che passava le sue giornate a disegnare, direi proprio di no. Si sforzò di tirare le labbra il più possibile, di sorridere genuinamente, per infondere coraggio al compagno.
    Non sapeva dire se fosse riuscito nell'intento.
    E non sapeva neanche se quella sarebbe trovata stata sufficiente - probabilmente no - ma Arturo non era tipo da darsela a gambe quando gli altri erano in difficoltà; poteva anche fuggire dai propri problemi e vivere la vita un quarto di salto all'ostacolo alla volta, ma non abbandonava mai gli amici. Per loro, se avesse fallito, ci avrebbe riprovato.
    E lui e Mac erano amici, no?
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    Il sentirsi un costante peso nelle esistenze degli altri, era uno dei tanti problemi che rendeva all’Hale difficile esistere in un contesto sociale. Fu quello il motivo di fondo che lo spinse ad osservare la mano di Turo di sottecchi, concentrandosi sulle parole come se ne andasse della sua vita. Non voleva essere impermeabile. Irraggiungibile. Erano anni che dall’alto della sua torre cercava al contempo di allontanare chiunque lanciasse un arpione, ed arrampicarsi senza corde fino alla base. Non voleva perdessero tempo per lui; non voleva si sentissero in dovere di camminare con passo leggero e delicato, di misurare quanto dicessero in sua presenza – di fare uno sforzo. Perchè Mckenzie sapeva, di non valere quello sforzo. Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, conscio che il solo dirlo l’avrebbe reso agli occhi degli altri un vittimista, un egocentrico, uno a cui volgere sospiri ed occhi alzati al cielo. Non voleva condiscendenza.
    Non voleva il loro aiuto: voleva farcela da solo. Ma non voleva rimanere, da solo.
    «posso?» gracchiò debole, supplichevole ed innocuo, mordendosi l’interno della guancia nell’alzare una mano verso quella di Turo. Chiedeva sempre il permesso prima di toccare qualcuno: avrebbe voluto che altri lo facessero con lui, ed accettava sempre un no come risposta, sognando il giorno in cui avrebbe potuto sentirsi libero di dirne uno anche lui. Cercando di respirare il più lentamente possibile, se l’altro gli avesse concesso il proprio benestare, avrebbe fatto scivolare indice e medio sul polso del Serpeverde, occhi chiusi e tempo scandito dal battito – per quanto poco equilibrato; Turo non era una Joni su cui scandire la propria esistenza a lungo termine – del suo cuore. Era stupido, un effetto placebo, ma sentire sotto i polpastrelli che anche gli altri fossero fatti di carne, sangue, e muscoli, rendeva meno soffocante l’ossigeno nei polmoni.
    Più tollerabile.
    Più reale.
    Deglutì espirando profondamente, aprendo infine gli occhi per cercare quelli del capitano dei verde argento. «mi piacciono i tuoi disegni» azzardò un sorriso impacciato, la mano ora poggiata al suolo. Avrebbe voluto dire che gli piacessero i disegni in generale, che ammirasse chiunque fosse in grado di creare qualcosa da zero, che trovasse assurdo e magnifico come potessero dar vita a pagine bianche con solo poche righe distratte di matita, ma – ma. Avrebbe richiesto un po’ troppe parole, e lasciò cadere il discorso insieme al sorriso. Lo sguardo grigio guizzò sulle proprie dita, che sfarfallò piano nell’aria. «io suono?» il pianoforte principalmente, con i suoi alti e bassi emotivi, ma Mac aveva un dono per quanto riguardava gli strumenti musicali: apprendeva in fretta, ed altrettanto rapidamente entrava in sintonia con loro riuscendo, quali più e quali meno, a comprenderne le basi ed essere in grado di strimpellare qualcosa. «io suono.» affermò, chiudendo le mani a pugno a riportandole in grembo.
    Sorrise, un po’ più convinto e leggero. «grazie» per tutto, in generale. Seguito da un sempre verde, «scusa.» imbarazzato e ruvido. Continuava a non voler leggere i foglietti, continuava ad essere paranoico e sul limite, ma si sforzò ad alzare il capo e studiare davvero la situazione. «se non è un sogno...» corrugò le sopracciglia, lingua a guizzare fra le labbra. «hai mai sentito parlare di universi alternativi?» Mckenzie era un ragazzo silenzioso ma attento, ed era piuttosto sicuro che la risposta a quella domanda, perlomeno come conoscenza spirituale, fosse positiva: era un appassionato di fumetti, no? Anche Mac, ma quella era un’altra storia. «sono reali. esistono» studiò la reazione dell’altro giocherellando con l’accendino ancora in tasca. «non mi stupirebbe se questo lo fosse» The Hale Curse is kicking in. Gli venne da ridere, e soffocò la risata nei denti. Avrebbe potuto non essere un AU, certo, ma perché escluderlo a priori? D’altronde non avevano molte altre piste. «secondo te cos’è successo?» Riportò l’interrogativo sguardo cenere sull’Hendrickson, umettando ancora le labbra secche.
    Inspirò. Espirò. Rimbalzò l’attenzione dai fogli al viso di Turo in un atto di fede che gli costò tutta la propria forza di volontà. «cosa dicono quelli?»
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    Non si accorse di aver trattenuto il respiro fino a che non sentì la gola chiudersi e i polmoni implorarlo di tirare, finalmente, un singolo respiro d'aria putrida e ammuffita, certo, ma pur sempre aria. Dischiuse appena le labbra, dunque, e inspirò profondamente, lasciando cadere solo un attimo lo sguardo sulle dita di Mac che premevano, senza eccessiva forza, sul suo polso. Aveva annuito lentamente e in maniera incerta a quel «posso?» appena percettibile, tanto che per un attimo aveva temuto di esserselo immaginato; forse non era riuscito a convincere il compagno di scuola che quello non fosse un sogno, forse aveva finalmente alzato lo sguardo solo per informarlo di quanto si stesse sbagliando: infondo non facevano tutti così, con lui? Gli dicevano sempre che avesse torto e beh, per certi versi avevano ragione. Non si sarebbe stupito dunque di scoprire di aver fallito anche quella volta.
    Ma no.
    Mac aveva davvero cercato il suo battito cardiaco, forse per avvalorare quella tesi che, diciamocelo, aveva delle basi ben poco stabili: Arturo non lo biasimava affatto. E così mentre il suo tumtumtum irregolare andava a fornire le ultime prove di cui la mente analitica di Mckenzie aveva bisogno, Turo ne approfittò per studiarne l'espressione crucciata, la fronte segnata da una profonda concentrazione, le labbra strette fino a perder colore. Chissà se anche lui, come molti altri, era stato vittima di quegli incubi atroci subito prima di Halloween – e nei mesi a seguire. Arturo in un primo momento aveva creduto di star perdendo la testa, ma solo dopo aver assistito alla scena di una Nice Hillcox in preda allo stesso orribile destino, aveva iniziato a sospettare ci fosse di più. Ma non ne aveva parlato con nessuno eccetto i due cugini, ma solo ed esclusivamente perché messo alle strette; per il resto, aveva lasciato che quell'incubo si trasformasse in disegni incomprensibili, macchie di colore scuro – spesso nero e rosso - e sagome dalle fattezze inumane che a parole non sapeva descrivere, ma con matita e colori acrilici riuscivano a prendere forma perfettamente.
    Disegni chiusi a chiave in fondo al proprio baule, così come sperava di aver finalmente messo a tacere per sempre gli incubi che li avevano ispirati, spariti già da un po', nello stesso improvviso modo in cui erano arrivati.
    Forse per Mac valeva lo stesso, o forse erano altri traumi a giocare brutti scherzi sulla psiche del blu-bronzo, Turo non voleva azzardarsi a formulare ipotesi affrettate che, molto probabilmente, sarebbero state errate.
    Ma non smise di studiarlo, pur dopo aver deciso che Mckenzie Hale non era il genere di persona con cui poter condividere certe cose; non voleva dargli altri pensieri, non voleva accidentalmente innescare un altro attacco di panico, non voleva causare altra sofferenza.
    E poi, in verità, Arturo Maria Hendrickson non era il genere di persona che si confidava, punto e basta. Quando succedeva era per puro caso e nove volte su dieci, comportava un successivo pentimento. Così serrò le labbra, obbligandosi a respirare regolarmente col naso – non servì a molto, il suo elettrocardiogramma in quel momento sarebbe risultato un susseguirsi di brevi flat lines e picchi fin troppo alti. ¡Ay!
    L'inaspettato complimento da parte del battitore lo costrinse, infine, ad abbassare lo sguardo verso i fili d'erba schiacciati dalle loro figure. Non sapeva mai come rispondere, un grazie sarebbe sembrato riduttivo, qualsiasi altra cosa gli sarebbe parsa eccessiva. Era un artista timido, Arturo Hendrickson, mostrava la sua arte solo a coloro cui sapeva come rispondere – il suo gatto Dude, che lo supportava sempre con miagolii soddisfatti, o sua sorella Rosie, che squadrava ogni tela con sufficienza prima di sottolineare le cose avrebbe potuto fare meglio. Quelle rare – rarissime – volte in cui donava una sua creazione a qualcuno perché spinto da chissà quale moto interiore (rovina e imbarazzo, andavano in coppia tipo Pena e Panico) aveva bisogno di prepararsi psicologicamente ad un possibile sorriso di circostanza e un grazie di rito; quando succedeva che la persona in questione si emozionasse genuinamente... beh, per lui significava molto, ma non era abbastanza coraggioso per farlo spesso. Nell'ultimo anno lo aveva fatto solo poche volte, ad esempio al compleanno di Sujin... chissà che fine aveva fatto, la grifondoro, forse era tornata in corea dopo il loro imbarazzante incontro al Fiendfyre, il giorno del suo compleanno.
    Stava forse divagando per non dover esser costretto a rispondere? No. (Sì.) Certo che no. (Certo che sì.)
    Ma sua mamma non aveva cresciuto un maleducato – un ragazzo cristiano pieno di insicurezze e incapace di trovare il coraggio per ammettere ad alta voce di esser attratto dai ragazzi, certamente, ma non un maleducato. Quindi, con un sorriso genuinamente felice – perché poteva pure non trovare le parole, ma i complimenti di getto come quello erano comunque sempre apprezzati! - tornò finalmente a guardare Mac e sussurrò piano «ti ringrazio, io -»
    E forse ci aveva pensato su troppo, come sempre, perché le sue parole andarono a sovrapporsi al «io suono?» dell'altro. ¡Menos mal! Non era però certo se fosse una domanda o un dato di fatto, quello di Mac: lo stava forse chiedendo a lui? Si indicò con l'indice sinistro, confuso, ma si rilassò subito dopo nel sentire la stessa frase, stavolta certa. Non aggiunse quel /anche io!!/ nonostante fosse un chitarrista in erba – e Merlino solo sapeva se Indie avrebbe avuto da ridire contro quell'affermazione; Arturo era un pessimo studente anche in quell'ambito. Osservò, invece, incuriosito, il gesto a mezz'aria, dita che sembravano toccare tasti invisibili. «Suoni la tastiera?» Poi, in ritardo di un fottuto battito ma sempre e comunque in ritardo, gli arrivò l'illuminazione. «Il pianoforte?!» Eh, già.
    Turo non sapeva molto dei suoi compagni di scuola, almeno quanto loro non sapevano nulla di lui. Di Mac sapeva le cose basilari: era il battitore della squadra, aveva una sorella, Harper, lavorava al Fiendfyre, era... non inglese? Americano, forse? E poi... suonava il pianoforte! Valeva comunque, no, anche se l'aveva appena scoperto? Fosse stato chiunque altro avrebbe fatto domande, chiesto dove avesse imparato, da quanto tempo suonasse, se sapesse suonare altri strumenti; ma era Arturo, e non aveva la protezione di uno schermo o dell'anonimità di Twitter a schermarlo, perciò si limito ad inspirare forte forte e a stringersi nelle spalle. Scusa Mac, sono una terribile compagnia.
    Che fosse poi l'altro, a scusarsi, lo colpì fin troppo vicino casa.
    Lo guardò con sempre maggior attenzione, studiando quell'espressione imbarazzata che sentiva dipinta sul suo stesso viso. Forse, dopotutto, Mac non era altri se non una versione più bionda, più corva, più americana di Turo stesso.
    Era impressionante e al contempo allarmante.
    Scosse appena il capo, quel non devi scusarti rimasto taciuto, perché non era quello ciò che veniva costantemente ripetuto ad Arturo? Che non doveva sempre scusarsi. Eppure, era un'abitudine – no, un vizio! - duro a morire. Finiva tutte le volte allo stesso modo: gli intimavano di non scusarsi continuamente e lui, per un riflesso automatico, si scusava per essersi scusato. Non voleva portare Mac a fare tanto, perciò fece come Persessinclairdellacasatadiserpeverde e andò avanti.

    Non aveva forse confidato pochi giorni prima di credere fermamente nel concetto di vite passate? Ebbene, Arturo credeva anche in quello di universi alternativi; e sì, aveva letto un numero eccessivo di fumetti per non lasciarsi influenzare almeno un po', ma quella convinzione andava ben oltre la sua passione. Annuì con convinzione alle parole di Mac, improvvisamente molto interessato alla conversazione: qualsiasi cosa non lo andasse a toccare troppo sul personale, era sempre ben accetto dallo spagnolo. «Credi lo sia?» Beh, aveva appena affermato che non l'avrebbe stupito scoprire che lo fosse, ma meglio essere doppiamente certi, dai. «Do-dove siamo?» Si guardò nuovamente attorno, tirando il collo il più possibile per vedere oltre le macerie di quello che, ancora una volta, gli sembrava una sorta di boschetto. «Credi che sia... cioè, che ci abbiano catapultato una delle realtà del multiverso? Tipo Earth-1 vs Earth-32? O più tipo un... what if, magari è un mondo dove qualcosa è andato... male. O diversamente, rispetto, sai, tipo rispetto al nostro. E questa desolazione ne è la conseguenza.» Bastava poco per galvanizzare Turo, e parlare di AU era una di quelle; avrebbe riversato su Mac tutta la sua conoscenza fumettistica se (pandi non si fosse già dilungata a dismisura) fosse stato un altro contesto. Si costrinse dunque a darsi un contegno, rendendosi conto di aver involontariamente rigirato la domanda al compagno. Portò un dito a picchiettare sul mento, impegnandosi a trovare un'ipotesi che fosse quanto meno verosimile. «Forse qualcosa è andato davvero storto nel mondo, e ora stanno cercando qualcuno in grado di risolvere -» le parole gli morirono in gola. Se l'universo doveva contare su loro due, era fottuto. Meglio non pensare a quella come una possibilità concreta.
    Ricominciò a tenere il conto. Indice alzato, «forse è una simulazione.» Druga intensifies. «Forse è una lezione alternativa – ah ah» #no «Forse siamo finiti in una versione strampalata degli Hunger Games,» sperava di no anche perché «non ricordo nessuna mietitura.»
    Picchiettò più volte sul mignolo, quarto dito alzato per tenere conto delle sue ipotesi, rendendosi conto che nessun di quelle aveva senso. «Forse aveva a che fare con quella lettera che non ho letto; magari le indicazioni per affrontare... tutto questo, erano lì dentro.» Aveva parlato più a se stesso, che non con Mac, ma lo conteggiò comunque come ipotesi. «Oppure, numero cinque, è un gioco – di dubbio gusto – e dobbiamo fare affidamento l'uno su l'altro per arrivare fino alla fine e ricongiungerci con i nostri amici e parenti. Magari ci hanno abbinati a seconda di alcuni criteri – hai risposto a qualche questionario, negli ultimi giorni? O fatto i test di PolgyGirl -» dai, quel cacciavite era davvero infame e subdolo, aveva i suoi personalissimi metodi per raccimolare informazioni su ignari lettori, «e ora dobbiamo dimostrare di sapercela cavare da soli ma insieme. Una specie di Escape...non-Room, dalla quale possiamo uscire compiendo delle missioni.» Ci pensò su un attimo, poi lasciò cadere la mano aperta sul terreno ed esclamò: «no, dai, sarebbe assurdo» loooool
    «cosa dicono quelli?» «mh?» uh, parlava dei foglietti che Turo aveva in grembo? Non che se ne fosse già dimenticato, figurarsi *side_eyes_monkey.png* Li rilesse al volo, lanciando uno sguardo di sottecchi all'altro, giusto per controllare che non iperventilasse nuovamente, «questo dice di costruire una zona sicura» alzò il primo biglietto, poi lo abbassò, in favore del secondo. «Questo – è per te – ti invita a chiedere alla tua anima gemella qual è la sua canzone preferita.» Una piccola pausa, forse aveva letto male? «Beh, missione difficile da portare a termine, qui ci siamo solo noi due. Poi questo, invece -» alzò il terzo, «è indirizzato a me: “racconta cosa vorresti fare da grande, e perché”» Ecco, no, quella era la missione davvero difficile. Guardò Mac, sentendosi non più illuminato di quanto fosse in precedenza, e poi alzò nuovamente la carta dei tarocchi. «E il buon Kermit. Devo ammettere di essermi distratto durante quella precisa lezione di Divinazione.» Quella, come tutte. «Quindi non ho idea di come potrebbe aiutarci. Magari la teniamo per ultima? Proviamo... a creare la zona sicura? Ma secondo te, intendono tipo un bunker?» Era molto confuso.
    E voleva rimandare la sua missione il più possibile.
    «Sarebbe più facile se sapessimo dove siamo -» sempre che Mac non abbia già risposto in precedenza a questa domanda; in quel caso, Arturo avrebbe infine proposto di alzarsi – ay, quanto gli costa dover formulare una frase del genere – per iniziare a perlustrare la zona. «Io ho una torcia.» Trovata a caso nelle tasche della divisa.
    Almeno non dovevano avventurarsi nel buio, visto che già ci brancolavano.
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    Aveva annuito brevemente quando Turo gli aveva domandato se suonasse il pianoforte, ma non poteva che essere sollevato dal fatto che il Serpeverde avesse colto il suo tentativo di cambiare argomento, e non avesse insistito. Non che… Non che ci fosse qualcosa di sbagliato nell’ammettere di suonare, non che se ne vergognasse, ma era un territorio ancora intimo ed inesplorato che portava con sé più storia di quanta Mac fosse disposto a condividere. Più memorie di quante fosse disposto a ricordarne.
    «Credi lo sia?» Azzardato crederci, ma «è una possibilità» replicò, togliendo granelli di polvere dai pantaloni della tuta. Si ritrovò a sorridere quando l’altro iniziò a parlare, rincorrendolo nelle montagne russe delle emozioni a dipingersi nelle sue parole: terrore, angoscia esistenziale, ansia – ma anche logica, e curiosità, ed un’appassionata serietà che gli permise di drizzare la schiena, e respirare più naturalmente. Non aveva mai scambiato più che convenevoli con il Capitano delle Serpi, e raramente anche quelli, e sentirlo parlare con senso di multiverso ed altre dimensioni, fu piacevole e...sorprendente? Non credeva che l’avrebbe preso così sul serio, non dove altri avrebbero liquidato la questione con un’alzata di spalle ed occhi al cielo, e qualcosa come gratitudine e compiacimento tirarono gli angoli della bocca di Mac verso l’alto. «penso che tutte le opzioni siano verosimili e non confutabili» gli offrì una smorfia intristita e solidale, la sua versione di un brofist ammirato. «potrebbe essere un mondo in cui è accaduto qualcosa di diverso dal nostro che l’ha reso così, sia da un punto di vista magico che prettamente umano: una nuova campagna di sensibilizzazione per il riscaldamento globale?» ipotizzò, scherzando neanche troppo, disegnando linee con l’unghia sul suolo asciutto del ...parco? «il che non escluderebbe la simulazione. A questo punto, qualunque sia la natura di...questo» indicò con un cenno attorno a loro. «non ha alcuna base solida per essere...reale per tutti» enfatizzò l’ultima parte corrugando le sopracciglia, un’occhiata distratta oltre le proprie spalle. Il fatto che per loro fosse reale, non significava dovesse esserlo per tutto il resto della popolazione mondiale, magica e non. Aveva bisogno di credere non lo fosse: valutare l’opzione che durante la notte ci fosse davvero stata un apocalisse, e loro avessero perso ogni ricordo dell’accaduto insieme a tutti i loro cari e tutte le persone sul pianeta era un po’ estremo per gli standard di comfort di Mckenzie Leighton Hale. Un mezzo sorriso sardonico curvò le labbra sottili di Mac, gli occhi cenere sollevati brevemente sul moro. «potrebbe trattarsi di una lezione di strategia» una pausa un po’ più lunga delle precedenti. «o di un’altra...gita» lasciò sospeso, e vago, ripensando alle voci che sussurravano il suo nome, ed al ricordo di una donna ed un uomo che parlavano di...qualcosa. Non sapeva di cosa, non sapeva perchè, ma era certo che c’entrasse con la città fantasma che non erano riusciti a visitare lo scorso autunno. C’era stato qualcosa di… troppo concreto, in quella fallace sensazione - in quei lividi trasparenti che per mesi aveva sentito pulsare sulla pelle. «o altri effetti collaterali.» sussurrò, così piano che se gli unici suoni al mondo non fossero stati i loro respiri e battiti, Turo non avrebbe potuto sentirlo. «hunger games? Quelli – bisognava perdonare l’ignoranza, ricordando sempre che veniva dal fuckin 1917 - di twitter?» Non negherò né confermerò che le guance dell’Hale potessero essere arrossite alla menzione del gioco che era andato di moda l’anno prima, ed in cui – first reaction: shock – era stato protagonista diverse volte, con diverse...persone. Reali. Aveva provato emozioni contrastanti, ma l’imbarazzo aveva sempre vinto. «una escape room...» finalmente divertito, e leggero e diciottenne, sollevò un sorriso di puro cameratismo al ragazzo. «non fare affidamento su di me, sono corvonero solo fatto» di fatto? Nono, intendeva proprio fatto. Ogni tanto quando scendeva dal suo high scopriva di aver scritto dei temi da E durante la fattanza. Scosse il capo, il labbro inferiore stretto tra i denti. «non ho fatto alcun test, ma in realtà… gli anni precedenti non ho mai avuto bisogno di farli» perché, un vago sentore di consapevolezza, iniziava ad arrampicarsi alla gola del Corvonero. «...è san valentino, vero?»
    DADADAN! DADADAN!
    Poggiò la bocca sul ginocchio piegato contro il petto, soffocando un sorriso che brillava però inequivocabile negli occhi. «ho un’altra opzione sul cosa sia tutto questo» suggerì, divertito ed un po’ isterico, quando sentì cosa vi fosse scritto sui bigliettini. «ti va se camminiamo?» Si alzò rigidamente in piedi necessitando di scaricare l’energia cinetica che vibrava nelle ossa, porgendo galante una mano al ragazzo per aiutarlo ad alzarsi. Vorrei sempre ricordare che Mckenzie arrivasse da un altro secolo - e si vedeva.
    Non era un discorso che sapeva come iniziare. D’altronde, era una una vita che non sapeva come iniziare, quindi non c’era sorpresa nel nervosismo dell’Hale mentre ripetutamente si schiariva la voce. Si sentiva… in colpa? Razionalmente sapeva che non avesse senso, che fosse vittima tanto quanto Turo, ma non razionalmente - il posto dove l’ansia ed il terrore avevano radici – sentiva fosse colpa sua se entrambi si trovassero in quella situazione.
    Di nuovo.
    Sospirò e si massaggiò le palpebre abbassate, incapace di soffocare il sorriso un po’ folle ed un po’ arrabbiato. «è già il terzo quattordici febbraio che mi capita. Una specie di ...missione? Davvero non...richiesta? In cui, uh, persone…? Decidono, tramiti canali poco chiari, » e da lì in poi, la voce s’era abbassata di diverse ottave. «la tua anima gemella.» Sorvolando sul termine, aggiunse veloce. «ti osservano...credo? E decidono che sei troppo triste, o troppo solo, o troppo qualcosa che non è abbastanza e decidono di darti la possibilità di essere un po’ meno triste e solo e qualcosa che sia abbastanza» parlava veloce, ma non masticandosi le parole. C’era una vena, seppur difficile e rara da trovare in Mac, di rabbia. Fastidio. Noia. Non aveva un reale motivo per esserlo, visto che gli aveva permesso di conoscere persone fantastiche. Ma… «il che ti fa sentire ancora più triste e solo e non abbastanza» concluse, tornando a deglutire rapido, fermandosi nei pressi di quella che pareva essere una...strada principale? «un paradosso» rivolse l’ombra d’un sorriso asciutto all’Hendrickson sentendosi improvvisamente patetico ed amareggiato. Aprì la bocca con l’intenzione di dirgli quanto sbagliato fosse, che né lui né Turo – né chiunque altro fosse stato incastrato in quel gioco – avessero bisogno di quel genere di manipolazione, ma che al contempo si sentisse in dovere di difenderne l’idea perché, a suo modo, funzionava. Bucky, Ty - Arturo. Inaspettatamente, tutti e tre funzionavano con, e per, Mac, e non era concesso a molti.
    Anzi. Avrebbe voluto dirgli che fosse stupido, ma a suo modo divertente. Che aiutava a conoscere persone simili, e che magari da quel giorno non sarebbero stati migliori ma sarebbero stati amici, eppure tutto quel che ne uscì fu un sincero, e ferito, «mi dispiace.»
    Nulla di nuovo sul fronte occidentale.
    arturohendrickson / joined the chat /
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    Are you happy? (No.)
    Do you like that? (No.)
    Do you know what you like? (No.)
    But when they ask what exactly it is
    you want, it’s a lot
    There’s so many different things
    but nothing feels right
    There’s so many different things
    but I drop it all
    I end up dropping it all anyway
    Quegli ultimi mesi, quell'ultimo anno, Arturo aveva fatto enormi progressi sul piano delle relazioni: rimaneva il ragazzo riservato di sempre, certo, ma aveva imparato che ogni tanto lasciare entrare gli altri nella propria sfera, nella propria bolla, poteva rivelarsi terapeutico, quasi una necessità in alcuni casi. Era ancora ben lontano dal divulgare segreti reconditi o intime verità, persino a coloro che reputava amici stretti - pochi, ma iniziavano ad esserci -, eppure aveva compiuto abbastanza progressi da non doversi necessariamente sentire a disagio in presenza di un'altra persona che, in tutta onestà, considerava a malapena un conoscente.
    Se avesse dovuto raffigurare Mac in uno dei suoi fumetti, Arturo lo avrebbe fatto affidandogli il ruolo di compagno taciturno ma attento, quello che raramente partecipa alle conversazioni se non con semplici gesti o occhiate espressive; colui che poi, quando meno te lo aspetti, interviene con sagacia. Mai troppe parole, solo quelle giuste per far arrivare il proprio punto. Un personaggio in cui il lettore avrebbe difficilmente avuto modo di rivedersi, salvo poi rendersi conto all'improvviso che, in un modo o nell'altro, siamo tutti un po' Mckenzie Hale. Perché nella sua calma apparente, nelle sue parole a volte fuori luogo, nei suoi gesti calcolati ma anche un po' di getto – era impossibile non ritrovarcisi, anche solo in parte.
    Sorrise tra sé e sé a quella consapevolezza, rivolgendo un'occhiata affettuosa al compagno di scuola: per quanto lo riguardava, iniziava a sentirsi davvero davvero in sintonia col corvonero. Voleva credere che fosse un bene, Arturo Maria, nonostante il loro impaccio nei confronti della vita potesse suggerire il contrario. Avevano campato comunque (cento)diciotto anni, no? Se erano giunti fino a lì, qualche pregio dovevano pur avercelo. Quasi si sentiva dispiaciuto, il serpeverde, per aver condiviso dei momenti con l'Hale solo sul campo, fino a quel momento, e niente più; e per aver deviato dal suo cammino quando l'altro era in compagnia di Willow della sua squadra. Forse era uno dei pochi, al castello ma anche fuori, che avrebbe potuto capirlo davvero.
    Non era quello il giorno in cui Arturo avrebbe testato questa teoria, però.

    Il discorso sulle possibilità lo interessò al punto da fargli drizzare la schiena e aprire le orecchie: era tutto concentrato e attento, come se una di quelle potesse seriamente essere la risposta a tutte le loro domande. Non sarebbe stato così strano, no? In un mondo fatto di magia e abitato, tra le tante creature, anche da draghi, l'idea dell'esistenza di universi alternativi non poteva certamente rompere gli equilibri naturali, no? Nel suo cuore, Arturo lo sentiva che era una possibilità concreta. Magari non strettamente legata a quell'evento, ma da qualche parte esistevano altri universi, altri Arturo e altri Mac... e il moro sperava ardentemente se la passassero meglio di quelli originali.
    Era corretto, inoltre, definirsi quelli originali? Era egoista, da parte sua, un pensiero del genere? Magari non erano altro che, loro stessi, versioni AU di altri Arturo e Mac... «qué locura» un commento personale riservato ai suoi pensieri, che avrebbe accompagnato con una scrollata di spalle per indicare all'altro che no, non parlava con lui e che poteva tranquillamente ignorarlo.
    «non ha alcuna base solida per essere...reale per tutti» Ci pensò un attimo, Arturo, ma alla fine scosse comunque la testa, confuso. «Non risponde comunque al ¿porqué?» Perché tutto quello, perché la simulazione, perché loro. Come al solito, le risposte non sarebbero giunte da Arturo Maria Hendrickson che, come diceva chaosbringer quel cantante italiano: “di risposte non ne ho, mai avute e mai ne avrò, di domande ne ho quante ne vuoi”.
    L'ipotesi che quello fosse reale solo per loro, inoltre, lo innervosì a dismisura, tanto da portarlo ad allentare ancora una volta il nodo della cravatta verde-argento, oramai praticamente sfatta. Erano loro ad esser chiusi in una simulazione – senza sapere come uscirne – o era il mondo circostante ad esser cambiato, durante la notte, lasciandoli indietro? Entrambe le prospettive, onestamente, lo spaventavano – e sai che novità.
    «potrebbe trattarsi di una lezione di strategia» beh, si avrebbe potuto benissimo esserlo, non sarebbe stata di certo la prima lezione strampalata organizzata dai loro docenti, dopotutto, e Arturo dimostrò di essere d'accordo con una smorfia del viso che la diceva lunga: spero di no, Barrow mi ha già bocciato una volta e potrebbe benissimo farlo una seconda. Smorfia che si trasformò, per un breve istante, in terrore nell'udire quel «o di un’altra...gita» prima che Arturo potesse tornare padrone delle proprie emozioni e nasconderla dietro una falsa risata, una di quelle di Barbarella, per intenderci. Certo, quella a Daremyland non era andata proprio come Arturo si era aspettato – ma aveva la sensazione che le memorie di Mac non erano corse a quella particolare esperienza. Dal canto suo, Arturo, aveva davvero catalogato gli incubi riguardanti il villaggio di Tottington come gli effetti collaterali di una cena troppo pesate – tipo i sogni di Sara, per dire – e niente più; era disposto a credere a tante cose, lo spagnolo, ma non a città fantasma in cui aveva visto morire metà dei suoi compagni per mano di creature mostruose e dove sentiva di aver perso lui stesso qualcosa (la dignità dopo quel tuffo contro la porta? Beh sì, ma non solo). Lasciò cadere il discorso che lo stesso Mac non sembrava voler argomentare ulteriormente, e rivolse un'occhiata appena confusa al proseguo della conversazione. «Quelli di Twitter?» Arturo era a) giunto sul social da poco, b)teoricamente anonimo - sebbene qualcuno lo avesse riconosciuto in qualche mistico modo , incredibile. Ad ogni modo, non aveva vissuto il periodo “Hunger Games” perciò il riferimento gli sfuggì – non una novità, dopotutto, quindi non fu difficile per lui lasciar correre anche su quello.
    «non fare affidamento su di me, sono corvonero solo fatto» aprì la bocca per correggerlo, ma poi la chiuse subito dopo: non gli sembrava così strano, infondo, dopo aver conosciuto Barry Skylinski. Annuì grave, commentando semplicemente con un «que lastima» perché, sul serio, lui al massimo poteva contribuire con qualche botta di culo random e non necessariamente garantita, ecco. E, come aveva affermato svariati minuti prima Mckenzie, «non sei neanche fatto» Hai scelto il giorno sbagliato per la sobrietà, Mac.
    «È..... san valentino?» Ecco un'altra domanda a cui non sapeva rispondere. Non era sicuro che fosse davvero la festa degli innamorati, in realtà, per Arturo, semplicemente, «è domenica.... oh. OH.»
    Si ritrovò a ringraziare la poca luce che poteva coprire, almeno in parte, il rossore sulle gote nel realizzare che sì, it was in fact san fucking valentino e lui aveva accettato di uscire con Costas prima di venire rapito per quella mistica esperienza. Che l'altro l'avesse invitato a prendere una Burrobirra di proposito? (Sì.) Non voleva che Mac leggesse il mix di espressioni che, ne era certo, si andava rincorrendo sul suo volto, così fece cadere la testa tra le ginocchia e la nascose con le braccia: ottimo modo per non farti beccare in piena crisi mistica, non c'è che dire. «Él me engañó perfectamente....»
    Qualche altro istante per crogiolarsi in quella consapevolezza, poi sarebbe tornato l'Arturo di sempre: mai perfettamente in grado di comportarsi da essere umano, ma con abbastanza pratica alle spalle da saper fingere.
    Quando alzò – finalmente! - gli occhi su Mac, lo trovò in piedi e con una mano allungata in sua direzione, pronto ad aiutarlo a mettersi in piedi a sua volta. Osservò prima l'uno, poi l'altra, e dopo svariati secondi di incertezza accettò l'aiuto, spazzolandosi via i fili d'erba rimasti attaccati alla divisa.
    La spiegazione di Mac... «non ha senso» Perché, invece universi paralleli e viaggi nel tempo , Arturo? «Cioè...» Eh.
    Il concetto di anima gemella per lui era molto complicato, nel senso che non ci aveva mai pensato su; era abbastanza romantico da credere nell'amore fedele e duraturo, quello sì, ma anime affini destinate a trovarsi a prescindere dal tempo e lo spazio... era un po' troppo anche per lui.
    Stirò le labbra in un'espressione poco convinta, rivolgendo a Mac uno sguardo pieno di scuse perché a quella cosa faticava un po' a crederci. «Forse era meglio l'escape room.» Solo dopo si rese conto di quanto aspro quel commento dovette esser sembrato alle orecchie dell'altro ragazzo. Si bloccò sui suoi passi, Arturo, alzando entrambe le mani. «Non intendevo... cioè... non voleva essere un'offesa... nei tuoi confronti...?» il mi dispiace di Mac gli fece male. «No. Nonono.» Di corsa, per recuperare quei pochi passi che ora li dividevano, e tirò una manica del corvonero per richiamare la sua attenzione. «Non è colpa tua.» Non che avesse davvero qualcuno da incolpare, l'Hendrickson, a quanto pareva neppure Mac dopo tre san valentini aveva idea di chi ci fosse dietro quelle... missioni, le aveva chiamate? Forse era PolgyGirl davvero; forse erano gli psycho shippers. Forse era l'universo. Chiunque fosse, era davvero un infame, questo era certo. «Mi sono espresso male.» Come sempre. «Parlo due lingue e sono bravissimo a mettermi in imbarazzo da solo con entrambe.» Forse quella poteva essere considerata una delle sue (inutili) skills. «È che... tutta la questione delle anime gemelle...?» piccola pausa, che avrebbe potuto riempire solo con un: «la e h» #mans triggered
    Il concetto di soulmate, lo sapeva bene, non si riferiva solo a due persone innamorate, anzi nella maggior parte dei casi l'amore come lo intendeva Arturo non centrava nulla; era una questione, appunto, di affinità di anime, di mindset, di essenza. Era incontrare la persona che ti faceva partire in testa il /son come te, sei come me/ but make it a livello spirituale. E Arturo era convinto che al mondo non potesse esistere qualcuno in grado di comprendere, o peggio ancora condividere, il suo disagio interiore.
    Voleva sperare, per le altre 7,844 anime che popolavano quella terra, che nessuno potesse farlo.
    «...lo siento E solo in quel momento, pronunciando quelle scuse, capì cosa avesse voluto dire il corvonero quando, a sua volta, si era mostrato dispiaciuto. Si lasciò dunque sfuggire una risata sincera, il serpeverde, mollando la presa dalla manica di Mac. «Che razza di duo che formiamo, eh.» Forse, dopotutto, qualcuno che condividesse il suo ImbarazzoTM esisteva, e ce lo aveva di fronte in quel momento. Con ancora l'ombra di un sorriso sulle labbra, Turo rivolse una domanda al compagno – hey, infondo era lui quello esperto in materia! «Dunque... come è andata a finire le altre due volte? E... com'erano loro Un “spero meglio di me” taciuto, quello di Arturo, che tuttavia non ebbe il coraggio necessario per esprimerlo apertamente. E, ancora più importante: «come è andata a finire? Avete vissuto esperienze simili a questa? Siete stati catapultati in qualche simulazione anche gli altri anni? Come ne siete usciti?» Sì, insomma, tutto molto bello e doveva ammettere che, ora che lo sapeva, un pizzico di curiosità per la faccenda iniziava ad averla – ma voleva ancora capire come andarsene di lì e tornare al castello!
    Con Mac avrebbe potuto approfondire la conversazione in qualsiasi altro posto, no?!
    MCKENZIEHALE / joined the chat /
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