i walk this lonely road, in my bag i have a giant toad

@ infermeria, stiles & ty

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    andrew stilinski
    ok.
    «ok»
    ok.
    «ok.»
    Non era ok.
    Stiles sedeva alla scrivania con la testa fra le mani, la pelle del viso tirata e gli occhi ridotti ad una fessura. Era sempre stato, ed immaginava che sempre sarebbe rimasto, il genere di persona che non lavorava bene sotto pressione: aveva bisogno di certezze, di tempi, di una non indifferente preparazione psicologica, e mio Dio ma che significa che ho vinto un concorso letterario ed ho due settimane per inviarlo l’aveva mandato in una profonda crisi esistenziale che quel mattino l’aveva spinto a svegliarsi presto e, per qualche motivo non meglio precisato, ad indossare una cravatta. Conoscendolo un minimo, avreste Capito TM quanto la situazione fosse grave.
    Aveva già condiviso il proprio fardello con tutti, Stiles.
    Svegliando Connor: «oh, sembra...bello? Siamo ...felici? idk»
    Skypando un Isaac impegnato a costruire rifugi per alpaca: «FOOOOOOOOOORTE»
    Bussando alla porta di Jayson: «non farlo» (ominous ma sempre opportuno anche senza contesto, non poteva giudicare).
    Scrivendo a Jeremy: «lol»
    Chiamando Murphy: «stiles ti voglio un mondo di bene, lo sai, ma stavo dormendo E LO SAI COM’è DIFFICILE DORMIRE CON DUE GEM-» yeeet era caduta la linea? Non mi dire…….
    E facendo il suo trionfale (trafelato) ingresso (rotolamento) a scuola, l’aveva annunciato anche a Dakota: «ma dai, che bella opportunità! Ti serve una mano?» La mano non sapeva, ma di un cervello nuovo non si sarebbe lamentato.
    Quindi.
    Tamburellò le dita sulla scrivania lanciando un’occhiata alla porta. A quanto pareva dalla lettera del Concorso, quel libro l’aveva scritto insieme a Mortacci (troppo bello; mio dio aiuto è terribile.) e lo Stilinski, che talvolta fingeva di essere un adulto vero, l’aveva Convocato TM presso il suo ufficio quella mattina stessa, non avevano tempo da perdere, e, ovviamente!, nell’invito non aveva affatto specificato per cosa fosse, perché se faceva bene una (1) cosa rischiava di dare degli standard, quindi preferiva fare tutto alla cazzo di cane e rimanere nella propria comfort zone. Dato che la sua spilla Badger era solo una finzione (eccetto quando di mezzo c’erano i frugoli dei suoi nipotini; amava essere lo zio kool e responsabile che regalava cose fike ma allo stesso tempo «no cash, non possiamo mettere tupp nel microonde se ha freddo: non ha il certificando di garanzia microwave degli altri contenitori») un po’ gioiva dell’idea di spargere un po’ di terrorismo psicologico sul moro malaticcio: ok, non era un atteggiamento maturo, e quel lonzetto sembrava già avere un piede nella tomba e l’altro all’inferno, ma SI STAVA PARLANDO DELLA CRUSH DI BEHAN TRYHARD.
    Gravissimo. Doveva indagare, capito? Era il suo lavoro: non era né il padre che li aveva cresciuti né quello che li aveva messi al mondo, ma era uN PADRE SPIRITUALE OK? Erano i suoi! Discepoli! E Stiles li aveva visti crescere, e cambiare, e diventare adulti, oh mio Dio sono così vecchio? Insomma. Dopo Maple, Roan, ed ogni fanciulla SENZA clap CUORE clap incontrata sul suo cammino, Behan meritava qualcosa di bello.
    ...Che a giudicare dalla faccia, a suo dire, non poteva essere un Ty, MA NON ERA SUO DIRE QUINDI OK! OK. A Beh piaceva tanto, doveva avere qualcosa di...qualcosa di.
    E Stiles l’avrebbe scoperto.
    Insieme ai suoi + oskuri segreti
    (tipo che starter scegliesse)
    (tipo se avesse mai visto shrek)
    (tipo quanto nutrita fosse la sua collezione di meme)
    Ma priorità: «viecce viecce» quando la testolina di Ty fece capolino dal suo ufficio, Stiles picchiettò sulla sedia dirimpetto la propria per invitarlo ad accomodarsi. Prima che potesse sedersi, alzò una mano «prima controlla ci siano tutte le viti, just in case» Dom non aveva preso bene il furto del set da barba, ed anche se non aveva certezze fosse stato Stiles, magari se lo shentiva: meglio prevenire che curare. Tacque una manciata di secondi, l’indice a picchiettare nervosamente il ginocchio.
    «ce l’hai anche tu?»
    cosa.
    «la sfiga»
    uh?
    «deformazione professionale. La lettera*»
    ah ekko.
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    taichi límore

    uno che va al patibolo lo avete mai visto?
    ty solo in certi film americani, dove il condannato in questione solitamente affrontava gli ultimi passi della sua vita con la testa alta e il cuore gonfio di orgoglio; non recriminava niente di ciò che aveva fatto, nessuna punizione poteva cancellare le sue gesta. si trattava soprattutto di rivoluzionari, banditi famosi nel vecchio Far West, gente comune ribellatasi alla tirannia, poveri innocenti. taichi limore apparteneva invece a tutt'altra categoria, quelli che vanno incontro al cappio sapendo di meritarselo; regretti spaghetti al posto dell'orgoglio, senso di colpa diffuso, confusione e stomaco in subbuglio. non sapeva nemmeno bene perche si sentisse così, quella mattina del due (dicembre) gennaio duemilaventuno ─ dopotutto, di motivi ce n'erano un sacco: stava ancora in botta dalla notte di Capodanno, per una volta che ricordava qualcosa della suddetta notte era proprio adalbert behemoth che dal nulla lo paccava, e in più era stato chiamato uFFIciAlmEnTE nell'ufficio (o era uno studio?) di Stiles Stilinski.
    cioè, con tutta la prudenza del caso, veniva quasi da pensare che quella potesse essere una delle giornate più stressanti della sua vita.. se solo non fosse stata la seconda di un anno appena iniziato e già troppo lungo. aveva persino creduto, da bravo (gay) ingenuo qual era, che la festa di Capodanno sarebbe potuta essere una buona occasione per prendere behan da parte e.. parlargli??? anche a gesti, se fosse stato necessario. c'era quel peso che doveva togliersi, il sassolino divenuto macigno troppo rapidamente a premergli sul petto rendendo difficile anche il più flebile dei respiri, e lui proprio quella notte aveva deciso di vuotare il sacco? grande ty, bella pensata. manco aveva iniziato la serata che era partito per la tangente, nemmeno ricordava di aver bevuto qualcosa a parte l'acqua nella bottiglietta che si era portato dietro da different lodge perché «cOSí rimAnGO LUcidO!?1!»sure, jan.
    ma poi tu guarda oh, se con tutti i momenti più consoni a disposizione Nicole non doveva mettersi in ferie priorio quella settiman. DAMN GIRL!
    «eeeeh mi scusi» aveva appena tirato una frenata davanti all'ingresso dell'infermeria, la coda dello skate nuovo di zecca al sicuro tra le dita della mancina «devo vedere- ehm.. parlare? con il-» corrugó la fronte sotto una cascata di riccioli scuri, trovandosi (strano) in difficoltà: conosceva Stiles solo di vista, e anche se Nicole e altri studenti gli avevano parlato bene dello Stilinski (cioè pareva fosse la madre adottiva di Barry o qualcosa del genere), per taichi rimaneva principalmente un Adulto™; nemmeno avere lo stesso aspetto di Jay lo rendeva più accessibile agli occhi dell'ormai diciassettenne, che negli anni aveva imparato a rispettare rigorosamente la scala gerarchica chiamando il padre signore, invece di papà.
    È un mondo difficile, e vita intensa.
    «dottor stilinski?» non stava affatto sudando. all'agonia post Capodanno, e alla tragedia dell'essere stato convocato, si aggiungeva la terribile incertezza del non sapere per quale motivo Stiles volesse parlargli ─ una cosa gravissima. Taichi Límore era il tipo di persona (del Nord Italia) alla quale gli amici non potevano fare un'improvvisata senza avvisarlo almeno con sette o otto - giorni- ore di anticipo, che doveva programmare con cura anche la più basic delle attività e moriva di dolore quando un piano ben pensato andava a farsi benedire per un qualunque motivo. non sapere a cosa stesse andando incontro era, per il ragazzino, una forma di tortura peggiore di.... essere ricoperto di funghi? ma che cazzo c'entravano i funghi adesso «[high pitched voice] ho un appostamento*»
    al che l'infermiere (Dakota sei tu?!?), che in un mondo triste e ordinario avrebbe inarcato un sopracciglio e provveduto nell'immediato a correggere il pischello analfabeta, gli sorrise annuendo piano, la mano sollevata ad indicargli la porta giusta; perché nel loro, di mondo, che Stiles Stilinski organizzasse appostamenti con qualche studente come mascotte/supporto emotivo era del tutto normale ─ Morgan bless the oblivionverse.
    «viecce viecce» troppo tardi per ritirare le truppe, a quel punto. aveva bussato alla porta e infilato dentro solo la testa, ty, e già nel vedere le due sedie poste una di fronte all'altra gli era salito un groppo alla gola; l'espressione sul viso di stiles era quantomeno familiare (le sopracciglia di jayson tendevano maggiormente a sfiorarsi al centro sotto le rughe della fronte, manco sguardo caramello era identico), ma non lo stava affatto aiutando. troppa pressure. «salve?» rigorosamente col punto di domanda, così da non dare niente per scontato. fece qualche passo avanti, contandoli mentalmente così da sapere sempre con certezza quanto spazio ci fosse per raggiungere (magari di corsa) la porta, lo skateboard stretto contro il petto «e buon anno?!» ci era voluto un po', ma alla fine ty aveva imparato che augurare buon ano poteva essere controproducente ─ portava la gente a pensar male di lui, capite? «prima controlla ci siano tutte le viti, just in case»
    ah, ma certo, il vecchio trucco della cadrega.
    il ragazzino annuí, avvicinandosi alla sedia in questione con sospetto, una mano a tastare la seduta per controllare non cedesse al primo tocco «buona stagionatura questa catrecc' sembra a posto» e ci si sedette mantenendo per istinto tutti i muscoli del corpo in tensione, quasi si aspettasse da un momento all'altro di cadere culo a terra sul pavimento; sempre meglio essere pronti di fronte alla possibilità di una figura di merda. non poté impedire al piede destro di muoversi ritmicamente seguendo il battito convulso (e colpevole? si sentiva sempre colpevole per qualcosa, come una rob qualunque con la macchina dei carabinieri nello specchietto retrovisore) del cuore, ma si sforzò quantomeno di tenere la testa alta e gli occhi scuri sul viso dello psicomago ─ per ben cinque secondi prima di tornare a guardarsi le scarpe.
    «ce l’hai anche tu?»
    e sempre come rob con i carabinieri alle calcagna, il primo pensiero surreale di taichi fu la droga, anche se non ne aveva con sé ed era altamente improbabile che stiles stilinski stesse interrogando gli studenti a tal proposito; ok, forse aveva bevuto qualcosa la notte di Capodanno, altrimenti i buchi sparsi nella memoria di quelle 8 intensissime ore non si spiegavano, ma anche piuttisto certo di non aver comprato roba da nessuno. «non è mia» (ma cosa) «la sfiga» ah. un sospiro sfuggì dalle labbra ormai pallide dell'altair, un continuo movimento carico di disagio sua sedia scricchiolante «si signore, cioè, abbastanza» non erano ancora così in intimità da ammettere che la quantità di sfiga abituale superava di gran lunga quel tiepido abbastanza, ma non ci voleva un telepate per leggergli in faccia la verità. si trattava di una convivenza forzata che durava da anni, un rapporto tossico al quale ty non riusciva a mettere fine. «deformazione professionale. La lettera*»
    ty era: confuso.
    chissà se era così che si sentivano le persone (esclusi i lost kids ormai avvezzi ai problemi di comunicazione del diciassettenne) quando tentava di esprimere un pensiero a parole ─ senza per altro riuscirci.
    «la lettera.. di mia madre?» shockbasito «ne ha impilata* una anche a lei?» si perché quella mattina, unexpected, taichi di lettere ne aveva ricevute BEN DUE!!: una da mammina, la quale si sprecava con un elaborato e sentito "auguri di buon anno nuovo" dimenticando as usual di aver partorito l'unico figlio esattamente diciassette anni prima la notte di Capodanno, e l'altra.. beh, l'altra non l'aveva ancora aperta. dalla confusione di stiles, che in quel momento rifletteva con cipiglio più adult™ la sua, ty intuì (astuzia +6) che la lettera in questione doveva essere la seconda; giustamente, perché cazzo sua madre avrebbe dovuto scrivere buon anno anche al dottor stilinski?
    «ah! questa?» le teneva entrambe nella tasca posteriore dei jeans, e approfittò dell'ennesima figura da scemo per afferrare quella di cui parlava stiles puntandovi sopra gli occhi scuri; la aprì lì, davanti allo psicomago, leggendo rapidamente le poche righe che la componevano: poche, ma devastanti. tragiche. surreali. «un concorso temerario*???» o meo deo. ma in che sensoh scusa «ma io non so scrivere!!!» no, aspetta, riformula: «non so scrivere bene (punto) in inglese» ma che vordí oh! a mala pena riusciva ad esprimersi a voce e in chat ancora si affidava (male) al correttore del telefono, come pretendevano che scrivesse addirittura un.. racconto? poema? lascito testamentario?
    strinse un po più forte lo skateboard (nuovo. già detto che gli hanno regalato uno skateboard fighissimo nuovo ma non sa chi????? che ansia) contro il torace magro, spostando lo sguardo impanicato dalla lettera a stiles e viceversa, rapido come il battito d'ali di un colibrì. «signor stilinski? » metti il vivavoce, stiles «che devo fare? » dormire per le prossime due settimane, ovvio.

    taichi @stonangers
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    Edited by anxie/ty - 31/1/2022, 08:48
     
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    andrew stilinski
    Liquidò gli auguri del Limore con un cenno della mano, l’altra a poggiarsi sull’orecchio per fingere di non aver sentito. Come chi lavorava in ambulanza non voleva sentire buon lavoro perché significava qualcuno si sarebbe fatto male, Stiles non voleva i buon anno perché sapeva, se lo shentiva, che non esisteva qualcosa come un buon anno. Vorrei dire che non fosse superstizioso, ma...perchè mentire. Se poteva fare qualcosa per farsi amico il Fato <s>bellissimo ci avrebbe provato sempre, visto che la sfortuna sembrava invece essere parecchio affezionata al suo culo.
    Assolutamente non un inside jokes a rompere la quarta parete rivolto ad (un)lucky……….unless? Ihih
    «la lettera.. di mia madre? ne ha impilata* una anche a lei?» Inarcò un sopracciglio, un’occhiata di sottecchi al moro. Doveva rispondere? Sperava che lo sguardo fosse sufficiente a dire che non ne ho idea, mica guardo la posta, La Lettera TM era pesante e sembrava quelle delle ammissioni ai college, quindi anche se non ho mai richiesto l’ammissione a nessun college ed ero curioso e l’ho guardata, il resto è sempre spam. A quanto pareva si, era bastata, perché il Limore prese finalmente visione della Busta Incriminata, e l’orrore che si dipinse sul volto dello special fu finalmente eguale e complementare a quello dello Stilinski, il quale però, con suo immenso orrore, dovette fingere di essere l’adulto responsabile. Terribile, non l’avrebbe consigliato a nessuno. Dover sembrare quello con le risposte, pur non capendo una ceppa di quello che stesse accadendo, era più stressante dello scegliere lo starter dei Pokèmon – ed era tutto dire. Drizzò la schiena sulla poltrona, labbra strette fra loro mentre, in maniera professionale, sistemava i fogli (vuoti. Ma chi usava fogli quando esisteva l’app di Writer...duh) sulla scrivania con metodica precisione, schiarendosi la gola per evitare che la voce uscisse acuta e confusa quanto si sentiva. «possiamo farcela.» Non poteva farcela, ma il primo passo per riuscire a fare qualcosa era sempre dimostrare di avere sicurezza laddove di certo ci fosse solo la morte. «dobbiamo solo...pensare ad una storia» PENSARE AD UNA STORIA?? «e creare dei personaggi originali» CREARE DEI PERSONAGGI ORIGINALI? «un po’ di sexual tension che faccia da baiting» ruotò la mano nell’aria come se sapesse di cosa stesse parlando (non lo sapeva) cercando di richiamare alla memoria le fanfic che Murphy continuava a mandargli, con annessi commenti e reazioni, e Stiles a non leggere. «possiamo ispirarci a fatti e persone reali, nessuno lo saprà mai» confessò, abbassando il tono di voce. Dovevano solo trovare… l’ispirazione. Magari potevano fare un giro per il castello, spiare gente a caso, e decidere l’aesthetic. «dark academia? idk» fece spallucce, come se tutti i giorni avesse frequenti discussioni su romanzi da scrivere CON UNA DEADLINE E NESSUNA IDEA DI COSA STESSE ACCADENDO ALLA SUA VITA.
    Respira, Stiles. Respira.
    «prima però dovremmo conoscerci un po’ meglio, per prendere confidenza» ok, quello non serviva, ma se era la cotta di Behan Tryhard, Andrew Stilinski voleva di base sapere di più – quale occasione migliore? Fulmineo come un ninja, prese la torcia che teneva nascosta nel cassetto della scrivania per le emergenze («VISTO DAKOTA LO SAPEVO CHE SAREBBE SERVITA») e la puntò negli occhi del ragazzino. «QUAL è IL TUO Più GRANDE SEGRETO» così, per iniziare soft.
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    taichi límore

    ty aveva chiaramente bisogno di uno psicologo, per tutta una serie di motivi.
    ne aveva sempre avuto uno, da che ricordasse, perché i genitori non volevano un figlio svitato che li facesse sfigurare alle feste altolocate con i suoi attacchi di panico immaginari, i sudori freddi e la balbuzie ad intermittenza (causata dalle vibrazioni stile diapason). trovarsi nello studio di uno di loro, seduto ad un capo della scrivania con le dita a tormentare il filo sporgente dalla manica del maglione, per ty rappresentava la normalità — sarebbe stato persino a suo agio, molto più che alla mercé dei suoi coetanei, se solo non ci fosse stata di mezzo quella maledetta lettera «dobbiamo solo...pensare ad una storia» quante parole terribili racchiuse in una sola frase.
    innanzitutto, pensare: cosa che ty faceva anche troppo, costantemente, senza mai prendersi una pausa, ma quasi mai capace di scegliersi un argomento; nel senso, la mente vagava dove cazzo voleva lei. l'ansia corroborava quella continua conversazione univoca con se stesso togliendogli ogni controllo, e questo rendeva ancora più complicato arrivare al passaggio successivo — una storia? «una-» come gli aveva insegnato fake «balla perché su quelle almeno era un esperto: aveva fatto molto esercizio da quando era arrivato ad Hogwarts, mantenendo in piedi una relazione inventata di sana pianta alla quale aveva creduto mezza scuola e - cosa fondamentale - la sua famiglia.
    anche le cazzate che raccontava a se stesso, a voler ben guardare, non erano affatto malaccio.
    «un po’ di sexual tension che faccia da baiting» mh «non ho capito» non aveva capito. portò entrambe le mani a premere contro la bocca, il busto leggermente sporto in avanti e sempre piu inclinato man mano che Stiles aggiungeva informazioni impossibili per ty da tradurre (dark academia? ma scrivere davvero????) — per raggomitolarsi in posizione finale o tentare di scomparire sotto la sedia, difficile dirlo con certezza «prima però dovremmo conoscerci un po’ meglio, per prendere confidenza» la testa riccia di Taichi scattò rapidamente verso l'alto, occhi scuri - troppo grandi - ad incrociare le iridi caramello dello skylinski, quasi avesse ricevuto un'iniezione di adrenalina dritta in vena.
    da principio, il terrore.
    quello che ti apre dentro un varco, e in quel varco vorresti solo gettarti dentro e scomparire; a ty succedeva spesso, più o meno con la stessa frequenza con cui Morata finiva in fuorigioco (scusa freme, è tornato il weekend di campionato e sono sensibile), perché le occasioni per raccontare qualcosa di sé erano anche troppe. il che significava aprirsi, esporsi, concedere un pezzettino della propria vita alla volta a qualcuno che non sapevi come l'avrebbe usato — o se sarebbe rimasto.
    poi, il sollievo.
    perché in fondo non era quello il motivo che spingeva il ragazzino a torturare Nicole con tre sedute a settimana? agognava quei momenti, Taichi, nei quali poteva parlare a ruota libera senza preoccuparsi delle parole sbagliate, di sentirsi nudo e vulnerabile: vomitava tutto fuori, un fiume in piena, sassolini nelle scarpe che a furia di tenerseli dentro diventavano macigni. usciva da quel l'ufficio sempre un po più leggero, anche quando non parlavano affatto, e come terapia andava più che bene. ora, non era forse uno psicomago anche Stiles Stilinski? si. e non gli trasmetteva la stessa voglia impellente di raccontargli vita morte e miracoli, lamentarsi di ogni cosa e blaterare in tedeschinglecinese fino a svuotarsi completamente di qualunque groppo si tenesse saldamente stretto in gola?
    purtroppo per andrew, si.

    ** almost 10 months later


    minchiazza, ma sono passati davvero 10 mesi???? e fra due è di nuovo Capodanno [insert 'adesivo di betta.png' here], la festa preferita di ty (no).
    nel mentre era successo davvero di tutto, in particolare cose che rob non ricorda e quindi non può fare nemmeno un veloce recap, ma un paio di certezze ve le può dare comunque: ty aveva alla fine raccontato il suo più grande segreto allo Stilinski (banalmente: 'am i gAy??????', con molti punti di domanda nella speranza che Stiles gli desse una conferma) e questo aveva sancito per lo psicomago una condanna. infatti erano dieci mesi che lo sopportava, le solite tre sedute a settimana, sempre puntuale come una zecca in cerca di sangue fresco — tutta colpa di Nicole che si faceva i fatti suoi alle Seychelles.
    «sí, ok, ma se lo facesse solo perché è molto gentile» ah shit, here we go again: il secondo avvenimento catartico di quegli ultimi dieci mesi era l'argomento principale delle elucubrazioni caotiche di ty da quando Hogwarts aveva riaperto i battenti e l' Altair si era precipitato nell'ufficio di Andrew quasi sfondando la porta a spallate («era aperto.»). otto settimane - sessantuno giorni - di pomiciate con behan e ancora gli partivano quei pipponi mentali con cui ammorbava l'esistenza dell'ex Tassorosso «magari gli faccio pene* e non se la sente di dirmi che mi schifa» era migliorato con l'inglese, ma non così tanto.
    affondato nella poltroncina con le gambe incrociate, ty spostò lo sguardo dal soffitto alla testa china di Stiles, intento a mugugnare e prendere appunti contemporaneamente; di tanto in tanto annuiva (più a se stesso che rivolto al ragazzino), poi gli faceva cenno di proseguire con la mano a roteare a mezz'aria «forse dovrei chiederglielo... ma se poi mi dice che è cosi ed è meglio se rimaniamo solo amici?!?» non era pronto per quel genere di verità, il Límore. apparentemente nemmeno Stiles, perché per un istante smise di scrivere e sollevò entrambe le sopracciglia rivolgendo a ty la sua occhiata da guru™ — niente a che vedere con quella di Barbie, ma comunque pregna di significato. qualunque cosa stesse per dirgli doveva essere molto importante («tai, ho lasciato il forno acceso?»), se aveva addirittura posato la piuma e intrecciato le dita tra loro davanti al volto; di rado, infatti, Stiles Stilinski interrompeva quel lavoro di vitale importanza: no, gli appunti non erano su Ty nello specifico e no, non sarebbero andati ad aggiornare la cartella clinica dello special.
    si trattava di qualcosa di vitale importanza, che il mondo aveva dato loro compito di creare — il seguito della storia. quella che alla fine avevano scritto di getto, in modo random e assolutamente caotico quanto un post di Alessia ubriaca, ma che aveva fatto comunque breccia nel kuowe dei lettori, come quei caposaldi di Twilight e After anni addietro; così, senza un reale motivo, si erano ritrovati con orde di ragazzine infoiate che chiedevano a gran voce un secondo capitolo della saga (era una saga????) — 30k words, friends-to-lovers, awkward first kiss, two idiots in love, teen angst: per cominciare.

    taichi @stonangers
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    Edited by anxie/ty - 31/1/2022, 08:47
     
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    andrew stilinski
    Nei lunghi mesi dal primo, estremo, incontro con Taichi Lìmore, era successa una cosa del tutto (prevedibile) inaspettata: Andrew Stilinski si era affezionato al lungo noodle cinese. Incontro dopo incontro, gli incomprensibili fiumi di parole del ragazzino avevano delineato una figura ben meno minacciosa di quella che Stiles aveva temuto fosse; una creatura fragile, impaurita, difficile da maneggiare. Essere lo psicomago di Ty era come tenere fra le mani qualcosa di bollente; bisognava solo trovare l’equilibrio giusto tra un palmo e l’altro per evitare di ustionarsi.
    O forse era solo un problema dell’ex Tassorosso, troppo simile al palo della luce di Shangai per non sentirsi chiamato in causa un giorno sì e l’altro pure. Il che, chiaramente, non era professionale per niente, ma ci stava provando, ok? Manteneva il giusto distacco dai racconti del Lìmore anche quando gli argomenti toccavano un po’ troppo vicino a casa, dando consigli che lui in primis non seguiva, ma che sperava costruissero un percorso evoluto migliore per il Paolo Fox dei fulmini. Senza contare che parlassero di Beh, per l’amor di Dio. Behan Tryhard. Mantenersi neutrale era, per forza di cose, quasi proibitivo, uno sforzo che richiedeva mezzore consecutive di meditazione con video di Youtube. Non solo sapere che fosse oggetto di attrazione sessuale da parte di qualcuno era terribile, ma doveva anche trattenersi dal difenderlo e prendere le sue parti quando la mente di Ty entrava in spirali di paranoia ossessiva. Era un processo che il ragazzo doveva fare da solo, senza spinte esterne se non delicati re-indirizzamenti, e lo Stilinski si sentiva sempre meno adatto a svolgere quel ruolo. Aveva provato, gentilmente, ad accennargli che potesse cambiare terapeuta; che ormai conoscesse le pratiche, e potesse essere abbastanza paziente da aiutare Amalie ad un mestiere che ancora le era nuovo, ma lo sguardo terrorizzato del cinese aveva suggerito avesse frainteso qualche passaggio. Non voleva pensasse si volesse liberare di lui come l’immondizia il Giovedì.
    E quindi, eccoli lì.
    «sí, ok, ma se lo facesse solo perché è molto gentile»
    Quanta pazienza, con gli adolescenti. Sospirò piano, senza attirare troppo l’attenzione, aspettando diligentemente che continuasse l’usuale sproloquio di insicurezze infondate, e domande alle quali avrebbe saputo rispondere solo il diretto interessato. Era stato anche lui così? (Sì, e lo era ancora.) Si limitò a prendere vaghi, e del tutto anonimi appunti sul margine dei fogli del nuovo capitolo; il fatto che, effettivamente, fossero riusciti a scrivere qualcosa, era entusiasmante e terrificante insieme. Stavano addirittura lavorando ad un seguito! E non doveva neanche bere per sopperire il dolore del dover descrivere un (chiaramente… andiamo…) Behan Tryhard visto come SENSUALE ED ECCITANTE E ok forse un goccio lo tentava sempre, ma era un buon padre maturo, quindi si stra faceva di Red Bull e chiudeva un (e due) occhio. «magari gli faccio pene* e non se la sente di dirmi che mi schifa» Era così professionale, che non fece neanche alcuna battuta sul pene che presumibilmente faceva a Beh; si era proprio meritato quel lavoro, bravo Stilinski. «forse dovrei chiederglielo... ma se poi mi dice che è cosi ed è meglio se rimaniamo solo amici?!?» Taichi Lìmore era davvero su un altro piano esistenziale, ed Andrew non era certo di poterlo aiutare.
    O che esistesse qualcuno in grado di farlo.
    «io sono gentile» roteò la matita fra le dita, osservando il ragazzo di sottecchi. «nicole -» si schiarì la voce, mantenendo però il contatto visivo. Dopo mesi, la partenza della sorella e di Sin erano ancora un tasto dolente per l’ex Tassorosso, malgrado sapesse fossero felici ed in salute. Era il… principio di non averli avuti accanto abbastanza, di non essersi goduto la sua famiglia quanto avrebbe potuto.
    Che tutti stessero andando avanti, mentre lui (e Connor.) ancora scaldavano i Noodles nel microonde.
    «è gentile» suggerì gentile, reclinando la schiena per poggiarla sulla sedia. «nah è gentile. Ma non mi sembra che nessuno di noi ti abbia mai baciato» credeva; con Capodanni ed eventi vari, tutto poteva essere. Arcuò le sopracciglia, lasciando che l’ennesimo filo (non) logico si srotolasse nella piccola testolina del ragazzo. «guardi la situazione solo dal tuo punto di vista; non tutto avviene per te, ty.» concluse, un tono morbido ma non condiscendente, cercando gli occhi scuri del ragazzino. «siete amici, è vero, ma quella è la base, no? Il primo strato di lego» prese un paio di mattoncini dal cassetto (perché aveva dei lego nel cassetto? PERCHè NO, COSA SIETE, LA POLIZIA DEI LEGO?) e li incastrò sul tavolo, uno di fianco all’altro. «mano a mano che conosci una persona, aggiungi tasselli. Cambi posizione e colore» e allora c’erano gli amici, gli amici-amici, gli amici-per-la-vita. «tu e beh avete questo, ma anche altri pezzi che con altri non ci sono» Strinse le labbra fra loro. «provi spesso l’impulso di baciare quotidianamente i tuoi amici?»

    (Ty: sì
    Stiles: pokèmon face.
    *titoli di coda*)
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    «io sono gentile» un incipit che sapeva tanto di trabocchetto, così ty decise per una volta di tenere la bocca chiusa; qualunque cosa avesse risposto, sarebbe stata probabilmente quella sbagliata.
    tiró un inevitabile sospiro di sollievo, il ragazzino, quando stiles dopo una breve pausa riprese il suo discorso, segno che non si aspettava fosse proprio taichi a completarlo — intuire dove volessero andare a parare le persone quando gli buttavano lì delle inforandom non era esattamente il suo forte. faticava persino a tenere il passo quando gli veniva spiegato tutto per filo e per segno (chissà come è venuto in mente a rob di mettergli +6 per l'astuzia), figurarsi quando doveva raccimolare le briciole disseminate in giro per ritrovare la giusta strada. un vero peccato fosse esattamente quello che Stiles si aspettava da lui; che qualunque terapeuta con i controcazzi si sarebbe aspettato da lui.
    «nah è gentile. Ma non mi sembra che nessuno di noi ti abbia mai baciato» il ragazzino fu percorso da un brivido: niente contro le persone sopracitate, a parte il fatto che vedesse tutti loro come i genitori surrogati dei suoi sogni e quindi la sola idea di baciarli lo buggava peggio del Capodanno imminente «no» si affrettò a rispondere, affondando per inerzia nella poltroncina. nonostante le gambe lunghe un chilometro, all'occorrenza riusciva perfettamente a ripiegarsi su se stesso, un meccanismo di difesa che non gli sarebbe dispiaciuto poter replicare in qualunque altra occasione — peccato non ci si possa sempre appallottolare è rotolare via da una conversazione in real life, per quanto l'idea abbia il suo indiscusso fascino.
    poi oh, uno ci prova sempre.
    ma torniamo al no.
    quel no che ty aveva espresso con tanta (inquietudine) sicurezza, e che riflettendoci un attimo sopra dava effettivamente da pensare: se non tutti quelli che erano gentili con lui lo baciavano, allora cosa aveva spinto behan? se non era altruismo o, peggio, compassione, che altro rimaneva? esisteva ovviamente una risposta semplice, a quella domanda, ma per superare le barriere mentali che tai si era costruito da solo come protezione da ogni colpo basso ci voleva qualcosa di più drastico. una mazzata sui denti, di quelle che ti spaccano gli incisivi e possibilmente te li fanno pure ingoiare. chissà, forse conoscendo i precedenti avrebbe dovuto chiedere a Mac «peró-» tentò, spinto dal solito vecchio istinto a ripararsi dietro ad un muro di cemento, tentativo fortunatamente bloccato sul nascere «guardi la situazione solo dal tuo punto di vista; non tutto avviene per te, ty.»
    first reaction: shock.
    «davvero?» no, aspetta, riformulo: «cioé, si, ovvio, lo so» ma non è che lo sapesse davvero — a certe cose, quando nessuno te le insegna al momento giusto, bisogna arrivarci per gradi. aveva passato anni, quelli più delicati e importanti, a pensare a se stesso perché era l'unico cui fregasse davvero qualcosa, una fase egocentrica che attraverso l'infanzia si era trasformata in pura necessità; escludendo gli altri, come i genitori facevano con lui, ty aveva trovato il modo per andare avanti, sopravvivere. ed era andata bene, finché non qualcuno non aveva iniziato a preoccuparsi per lui e la bolla magica ma sottile nella quale viveva era semplicemente scoppiata. ora gli toccava imparare tutto da capo, riconoscere i propri sentimenti (livello difficile) e quelli degli altri (livello master), codificarli e agire di conseguenza — un fottuto stress «lo so. è che ho.. come si dice» portò le mani al petto, schiacciando la cassa toracica nella speranza di spremere fuori le parole «paura» l'unica risposta possibile alla domanda: che cosa provi?
    non lo avrebbe ammesso facilmente ad alta voce, lo special, se stiles non avesse ricoperto quella carica particolare che lo elevava un gradino sopra gli altri; tutto quello che non era pronto a rivelare, a trasformare da pensieri a parole, usciva (per sfortuna dello stilinski) come un fiume in piena solo in quel piccolo ufficio accanto all'infermeria «non mi è mai piaciuto nessuno» che era vero, ma a mettere in dubbio le poche certezze che il diciassettenne si portava dietro era altro. qualcosa che sicuramente stiles aveva già capito - non ci voleva un genio - e che sarebbe potuto rimanere come un non detto tra loro, solo che a quel punto sentiva di dover sottolineare l'ovvio «non sono mai piaciuto a nessuno» e non facciamo fatica a crederlo.
    ci si era persino abituato, all'idea.
    poi era arrivata livy.
    poi beh lo aveva baciato.
    due cose così assurde che era inevitabile per uno come ty mandare tutto in vacca.
    abbandonò almeno momentaneamente la posizione rincagnata nella quale si era chiuso, più concentrato ora sulla scrivania e sui mattoncini di Lego incastrati uno accanto all'altro; avrebbe voluto allungare le mani per sistemarli come voleva lui, raggruppati per colore, ma gli pareva brutto mostrare anche quel lato ossessivo compulsivo così a brucio — avevano ancora un sacco di tempo per conoscersi. piu o meno.
    poi stiles tornò a girare il dito nella piaga, difficile dire se per trarlo in inganno e scoprire se era fedele a behan (rob lo farebbe.) o se faceva davvero parte della terapia; nel dubbio, ty si ritrovò a scuotere lentamente la testa.
    c'erano state delle volte, prima di capire che il tryhard gli piaceva davvero, e quando ancora invece di sé non aveva nemmeno iniziato ad intuire le forme, che il desiderio di baciare qualcuno si era affacciato nella mente del ragazzino, ma l'aveva sempre respinto. come un difetto, una cosa sbagliata, l'ennesima vergogna «voglio baciare solo beh» sfuggito con tanta sicurezza dalle labbra da costringerlo ad abbassare lo sguardo. anche se ne avevano parlato centinaia di volte, affrontato l'argomento sotto (quasi) tutti i punti di vista «ma mica posso chiedergli se vuole baciare solo me» come conversazione adulta™ andava un po troppo oltre per ty — e probabilmente anche per beh «é così che funziona? ci si deve solo fidare degli altri e lisciarsi* (sotto) andare?» chiese, alla fine mentre incapace di trattenersi allungava le mani per spostare i pezzi colorati e incastrarli uno sull'altro.
    la domanda da un milione di dollari.

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    Edited by anxie/ty - 31/1/2022, 08:47
     
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    Solo Dio sapeva quanto poco Andrew Stilinski fosse adatto a quella conversazione. Anzi: Dio, e chiunque conoscesse Stiles, fatta eccezione per il ragazzino seduto di fronte a lui in quel momento. L’ex Tassorosso stava sudando, ma si sforzava di mantenere una certa professionalità studiando attentamente un punto imprecisato fra gli occhi del Limore, annuendo di tanto in tanto alle parole del Tibiavorio con un espressione impassibile e indecifrabile; dentro di sé, stava urlando.
    Perchè Stiles non sapeva un cazzo, di quelle situazioni. Poteva aiutare nelle situazioni di bullismo, nei daddy issues, nelle dipendenze ed il controllo della rabbia, ma quel particolare argomento gli era sempre stato oscuro e misterioso. Come disse l’iconica Rihanna, quando si sentiva insicuro di sé stesso non gli rimaneva che fingere, un’alternativa migliore a piangere – ma avrebbe voluto fare anche un po’ quello, così, per supporto emotivo. «avere paura è perfettamente normale» replicò, scandendo lentamente le parole, cercando di prendere un tempo che non aveva. Buttata lì senza contesto sembrava una frase da baci Perugina, e Stiles non voleva essere quel tipo di persona. Umettò le labbra, abbassando lo sguardo sulle mani di Ty, nervosamente strette fra loro. «non è un emozione negativa. Bisogna solo imparare a gestirla. Non è semplice, ma...prova a pensare ai perchè» Farsi delle domande non sempre portava a delle risposte, ma poteva aiutare nell’elaborare il problema, e trovare un modo, se non per superarlo, di aggirarlo. «perchè hai paura?» Lo immaginava, ma voleva sentirselo dire. Voleva che Ty ci pensasse sul serio, che guardasse la situazione con occhio critico, e raggiungesse una conclusione. «non mi è mai piaciuto nessuno. non sono mai piaciuto a nessuno» Arcuò un sopracciglio, ma si trattenne dal commentare. Non sapeva esattamente dove volesse andare a parare, anche perchè la sua non era una situazione così diversa da quella del ragazzo interessato. Andiamo, Behan Tryhard. Quel genere di paranoia avrebbe potuto averla nei riguardi, boh, di una Heather Morrison, ma con Beh? Doveva solo superare l’angoscia di vivere e parlarci.
    Che era molto più facile a dirsi che a farsi, lo sapeva, ma insomma il suo lavoro implicava che portasse Ty a quel livello di consapevolezza – altrimenti che ci stava a fare lui in quell’ufficio, oltre che a infastidire Dominic e giocare ai Pokèmon con Dak. «voglio baciare solo beh. ma mica posso chiedergli se vuole baciare solo me» Intrecciò le dita sotto il mento, un lieve sorriso verso il ragazzo a cui avvicinò, con non curanza, i pezzi di lego. Lo vedeva vibrare dal bisogno di – di - fare qualcosa; quello era un posto sicuro, se non si sentiva abbastanza a suo agio lì per essere, e fare, quello che preferiva, non avrebbe potuto esserlo nel Mondo TM. «é così che funziona? ci si deve solo fidare degli altri e lisciarsi* (sotto) andare?» Ok. Era il suo momento di distruggere ogni sogno di gloria di Ty, e dirgli la verità.
    «no.» O meglio, avrebbe potuto farlo, ma non avrebbe risolto nulla – lo sapeva per esperienza, oltre che come psicomago. Strinse le labbra fra loro, sospirando piano prima di ammorbidirsi sullo schienale della poltroncina. «non puoi aspettarti che gli altri sappiano cosa gli stai chiedendo, senza prima dirglielo» Tamburellò un dito sul taccuino, alzandolo poi verso il fanciullino. «hai presente il gioco della fiducia? Quello in cui ti metti di spalle, chiudi gli occhi, e ti lasci andare fidandoti che l’altro ti afferri al volo?» Chi non conosceva quel gioco malefico. «ecco. Non funziona se non dici all’altro che ti stai per buttare» Sostanzialmente.
    «ty, la comunicazione è fondamentale. Non è facile mostrarsi vulnerabili e uscire dal proprio guscio, ma… a piccoli passi. Con me parli, ma il mio aiuto è limitato» Aggrottò lievemente le sopracciglia. «cosa ti fa credere di non poterlo fare anche con gli altri?» a quanto pare era il momento delle conversazioni serie.
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    ah, quant'era naive.
    raggomitolato su una poltroncina a preoccuparsi di questioni di fiducia reciproca — argomento che, per spezzare una lancia a suo favore, non aveva mai dovuto affrontare prima: di lì a pochi mesi tutta quell'incertezza gli sarebbe mancata. ne avrebbe provato nostalgia, ty, mentre occhi che non erano suoi gli rimandavano un'immagine estranea riflessa nello specchio.
    «non puoi aspettarti che gli altri sappiano cosa gli stai chiedendo, senza prima dirglielo» e questa di per sé era già una tragedia, ma taichi non si era mai davvero posto il problema: di base, non chiedeva; né tantomeno si aspettava qualcosa. aveva imparato a tenere basse le proprie aspettative, un meccanismo non solo di difesa, ma anche istintivo; come i bambini che nei primi tre anni si vita fanno propri i comportamenti dei genitori e si regolano di conseguenza, anche lo special si era attenuto a quel processo di evoluzione involontario «io non mi sono mai buttato» non è che avesse provato, e fallito. sarebbe stato più semplice, in quel caso, far rimarginare una ferita aperta e ricominciare da capo, un passo alla volta «sapevo che non mi avrebbero preso» disse, incastrando l'ennesimo mattoncino, senza rendersi conto di aver parlato se non dopo averlo fatto.
    strinse le labbra tra loro, avvertendo il leggero cambio del ritmo cardiaco, lo sguardo cocciutamente rivolto alla scultura di Lego — parlare dei genitori non rientrava nei suoi piani, non ancora. forse mai. avrebbe preferito eliminarli dai suoi pensieri, farli scorrere via dal suo corpo come per estrarre un veleno corrosivo sotto pelle, ma tutto ciò che avevano rappresentato per il ragazzino gli rimaneva attaccato addosso nonostante i chilometri a separarli, a dispetto della decisione presa. se tutto fosse andato bene, cosa di cui ty dubitava fortemente, non li avrebbe più rivisti.
    che voleva dire tutto, e niente insieme.
    «Con me parli, ma il mio aiuto è limitato. cosa ti fa credere di non poterlo fare anche con gli altri?» questa volta, per un istante e un battito di ciglia, ty rivolse allo stilinski un'occhiata dubbiosa, prima di tornare a rivolgere tutta la sua attenzione alla torre di mattoncini; era una risposta, quella, che non avrebbe mai pensato di dover dare ad un adulto — non quando era stato proprio un adulto a trovarne in principio una per lui «per quanto ne so io» per quanto gli avevano insegnato «quando confessi le tue debolezze a qualcuno, qualcuno a cui tieni davvero, quel qualcuno inizia a guardarti in modo diverso» stava parafrasando ciò che gli aveva detto suo padre, ma il succo era quello: niente paure, niente lacrime, le femminucce a questo mondo non arrivano da nessuna parte.
    e infatti ty dove cazzo era arrivato? con più ansie di quante un corpo potesse sopportare, incapace di gestire un rapporto umano senza infarcirlo di dubbi e paranoie, costretto a pensare che fingersi qualcun altro potesse essere una buona soluzione ai suoi problemi «lo so che beh-» si interruppe per una frazione di secondo, appoggiando sulla scrivania di stiles la costruzione colorata «per beh non cambierebbe niente. che non cambia niente per livy, o per narah, o per bri» e no, il nome di hans non lo fa, hanno litigato ciao «ma..» già, ma: si strinse nelle spalle, abbandonandosi ancora una volta contro lo schienale della poltroncina, improvvisamente sfinito — tra saperlo in linea teorica e fidarsi davvero, lasciarsi andare ad occhi chiusi come diceva stiles, ci passava di mezzo in intero mare di incertezze, vecchie convinzioni sbagliate, panico e muri troppo alti da scavalcare.
    «beh mi piace davvero tanto» concluse, occhi scuri rivolti al soffitto e mani intrecciate sotto il mento, una traccia di rossore diffuso sulle guance pallide; ty faceva pena in tante cose, ma a cambiare argomento era davvero bravissimo (no).

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    La cosa peggiore, era che non poteva neanche domandare a Dio o se stesso perché mai avesse scelto di fare quel lavoro. Considerando quanto si trovasse in difficoltà on a daily basis, sarebbe parso un quesito del tutto lecito, ma... ma. Andrew Stilinski sapeva benissimo perché fosse uno psicomago, e sapeva perché fra tutti i posti in cui avrebbe potuto svolgere la sua missione (il San Mungo, ed ormai aveva abbastanza denaro da potersi permettere di - non lavorare - aprire un ufficio suo, se avesse voluto) aveva deciso di rimanere ad Hogwarts, malgrado avesse odiato tutto della sua permanenza fra quelle mura.
    Nel suo (molto) piccolo, Stiles aveva la sindrome dell'eroe: di poter salvare tutti, di poter cambiare le cose, di sistemare i pioli della scala così che i passi successivi potessero essere su pianta più stabile. Non era un tipo da grandi gesti o rivoluzione, non lo sarebbe mai stato, ma non significava che non potesse fare la differenza. Quale miglior posto, se non quello che aveva reputato un incubo per sette anni? Aveva visto il brutto ed il peggio della scuola magica. Nei suoi anni formativi, era stato... certamente non l'attrezzo più affilato della cassetta. Aveva passato più tempo in sala delle torture, per colpe sue o biasimate falsamente a lui, che quello passato a studiare, si era sempre trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, e non aveva mai fatto nulla per essere un po' meno se stesso, rispondendo a tono e pagandone il prezzo. Qualcosa di positivo c'era stato, ma i lati negativi erano decisamente superiori.
    Eppure. In quale altro luogo avrebbe potuto...rendersi utile? L'infermeria di Hogwarts era il posto perfetto, ed il fatto che fosse difficile, non lo rendeva meno adatto a lui: perché a Stiles, al contrario di molti con la sua stessa vocazione, importava di tutti. Che era terribile, visto che aveva a che fare con la peggior razza al mondo, aka gli adolescenti, ma quando uno nasceva calibrato male, c'era poco da fare.
    Quindi.
    «io non mi sono mai buttato. sapevo che non mi avrebbero preso» Stiles voleva morire? Stiles voleva morire, malgrado quel dubbio insinuato nelle parole e nello sguardo di Ty fossero prettamente parte del suo lavoro, ma non significava che l'avrebbe fatto. (Di nuovo xd troppo simpa.) «non parlo dei tuoi genitori» un tono di voce tranquillo e moderato, che non si imponeva di infiltrarsi nelle pieghe delle sue insicurezze, ma invece di virare su territori più neutrali. Sapeva con certezza avesse degli amici - dang, era stato spiritualmente adottato da Nah per l'amor del cielo - ed era chiaramente con loro che avrebbe dovuto cercare di aprirsi. La famiglia era imposta; quel genere di legame, invece, si basava su altro, e meritavano quelle verità spinose che Ty teneva sottopelle come elettricità statica. «quando confessi le tue debolezze a qualcuno, qualcuno a cui tieni davvero, quel qualcuno inizia a guardarti in modo diverso» Stiles congiunse le dita fra loro, osservando la disposizione precisa dei pezzi di lego sulla scrivania. Non poteva vincere battaglie contro il lavaggio del cervello attuato sin dalla tenera età, perché evidentemente di quello si trattava, ma poteva...cambiare la prospettiva. Dare una forma ad un concetto ingannevole come quello del cambiamento. A rendere più complesse le parole dello Stilinski, c'era il fatto che fossero terribilmente ironiche dette da lui, ma non era un problema di Taichi Limore o qualcosa che lo concernesse. «diverso non significa peggiore. diverso è solo...diverso» fece spallucce, evitandosi di aggrottare le sopracciglia in quella frecciatina a se stesso. «ci saranno persone a cui non piacerà. ma non saranno le persone che tengono a te» allargò le braccia, uscendo dal carattere prettamente psicomago per rientrare nella meno professionale, ma adatta alla circostanza, pelle di Stiles.«neanche le patatine fritte piacciono a tutti.» era per quelle perle di saggezza che era diventato il Guru dei Losers, mark my words.
    «beh mi piace davvero tanto» così, senza contesto, cambiando argomento come il prete salesiano del CnOS di Serravalle. Non avrebbe forzato il discorso, se lo Special non voleva.
    Ok. Back in track #trymore. «e lui lo sa?» La domanda del tutto lecita (e disinteressata 👀) perché non aveva mica capito, come sara, a quale punto fossero della loro relazione in quel momento.

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