«can you read?» «its the bible you get credit for trying»

[@brojob + @takeaselfie_gif + libera] [campi da quidditch]

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    Non si sarebbe definito una persona con vizi o tic, Asher Ketchum. Non fumava, non si mangiava le unghie, non agitava nervosamente la gamba quando era seduto, non si abbuffava di schifezze, non mordicchiava le penne. Appena sentiva di iniziare a provare emozioni scomode, il ragazzo trovava altro da fare, qualcosa di pratico e liberatorio, fosse questo allenarsi, disegnare, pregare... in quel momento di emozioni scomode ne stava provando eccome, ma sapeva anche di non poter scappare e andare a flexxare i muscoli o dire una preghierina al fly. Doveva farlo e basta.
    Resistette dal mordersi il labbro (abitudine: anche quando non c'era nessuno nei paraggi, si obbligava a non cadere alle tentazioni), e strinse invece fra i denti la lingua.
    "Non è così grave". Si diceva. "E' solo una piccola bugia. Non andrò all'inferno per questa; ne ho dette altre, ma è a fin di bene". Eppure non si muoveva. Restava immobile, lo sguardo fisso oltre la porta dell'ufficio aperto, due pergamene e una piuma in mano. Osservava l'uomo dall'altra parte della soglia, non visto-
    «....guarda che ti vedo che mi fissi»
    Sobbalzò leggermente, il fu bodiotto, schiarendosi la voce e rizzando la schiena. Era di nuovo un armadio sicuro di sè. «si. certo.» "come ha fatto a vedermi? Ero così fermo. shockbasito".
    Avanzò nell'ufficio, apparendo d'un tratto meno titubante. Era bravo ad autoconvincersi che andasse tutto bene, aveva come un interruttore in testa: click, e spegneva i pensieri e le preoccupazioni. Click, e diventava il ragazzone semplice che voleva essere, che c'era bisogno che fosse. «Signor Simmons, vorrei chiederle un favore»
    Il giovane fece una smorfia. «Ash, sono Leroy, qui»
    «oh. sì. Certo.» riprovò «Signor Leroiqui-» l'assistente di Arti oscure alzò gli occhi al cielo; Asher non notò il sorriso esasperato mal trattenuto. «mi serve un favore»
    «Non sono la tua tata. Sto facendo una cosa il professor Jackson, quindi se non sai fare i compiti perchè non eri attento-»
    «non si tratta di questo»
    Posò finalmente quanto aveva in mano sulla cattedra. Il Leroy guardò i fogli confuso. «Non c'erano consegne per oggi»
    «Voglio scrivere una lettera» Spostò i fogli, mostrando al ragazzo: una pergamena era vuota, l'altra era fitta d'inchiostro, di parole barrate e confusione. C'erano un paio di disegni a margine, segno che il ragazzo di fosse distratto durante l'opera. «Ma non sono molto bravo a scrivere»
    L'assistente si sporse per provare a leggere. «Qua c'è un puttanaio»
    «No, non credo di aver citato donne di malaffare» Confuso - un po' in panico - Asher si allungò anche lui a leggere, e il Leroy aprì la bocca per rispondere. Sembrò ripensarci, e chiese altro: «Vuoi... che ti scriva un lettera»
    «Sì»
    «Da parte tua»
    «No»
    «...no?»
    «La lettera non è da parte mia» Asher picchiettò sul fondo della pergamena, indicando un nome «Per questo mi serve che la scrivi tu». Il Leroy guardò dove stava indicando, e la sua espressione, prima fra lo scocciato e il divertito, divenne improvvisamente seria. Alzò lo sguardo di nuovo sul grifondoro.
    Asher non era un cima, ma sapeva cosa voleva dire quell'occhiata: gli stava chiedendo perchè. «hai una sorella» Il Leroy strinse le labbra. «la Perpetua-...» «No. Ma fingerò tu non l'abbia detto» «- non vuoi che è felice? Cè, che si sente tipo... amata?»
    Il Leroy ci mise un sacco di secondi a rispondere. Ash iniziava a credere avrebbe detto di no, e iniziava a preoccuparsi di cosa avrebbe fatto in quel caso. Non sapeva a chi altro chiedere: doveva essere qualcuno di Bodie, e qualcuno che sapesse scrivere. Qualcuno che non facesse direttamente parte della sua vita, qualcuno del cui giudizio non avesse paura. Qualcuno di abbastanza disponibile da fare una cosa così per lui, ma non troppo indiscreto da fare mille domande o parlarne in giro.
    Dopo un po' l'assistente sospirò, e tirò a sè la lettera scribacchiata e la pergamena vuota. Prima di iniziare a scrivere recuperò da un cassetto un paio di occhiali. No, non quelli da sole usati dal Talpadrillo e da Perses, ma semplici occhiali da vista. Fulminò con lo sguardo Asher prima che potesse commentarli. «Se lo dici a qualcuno, ti strozzo» Il Ketchum annuì (anche se non capiva se si riferiva alla lettera o agli occhiali????).
    «Non sono neanche io shakespeare-» «chi-?» «-MA di sicuro posso fare di meglio di te. Dettami, però, che di questa merda non si capisce una sega»
    Ash prese fiato, cercando di leggere cos'aveva buttato giù nella brutta (effettivamente illeggibile), inventando qua e là dove non riusciva a decifrare o perchè gli era venuto in mente altro: «"Cari Claudius, Gregory Joel, Valerian e Asher...
    (...)
    «"...ma appena la guerra finirà, tornerò da voi. Vi voglio un bene dell'anima e voi e vostra madre siete la mia vita. Dio vi protegga.
    Con amore, Sawyer Mayo Ketchum"»

    Spinse la lingua nella guancia, annuendo fra sè e sè.
    Era la terza volta che la rileggeva (*ridiceva a memoria; leggere non era mai stato il suo forte, ma a imparare a memoria? Era una bomba, un po' come i durga), e ad ogni giro suonava un po' più vera. Ad ogni giro, una parte di lui si convinceva che fosse davvero così, che davvero Claudius, sparito dalle loro vite nel momento stesso in cui avevano messo piede nel 2019, avesse in realtà cercato che fine avesse fatto loro padre nel lontano ventesimo secolo dopo essere sparito («Per andare in guerra» aveva detto Ash a tutti), che davvero avesse trovato chissà come questa lettera datata 1918 e l'avesse riportata ad Asher dicendogli che aveva trovato gli affetti di Sawyer Ketchum in un centro di veterani.
    «Lui non voleva che ve lo dicessi» si vedeva pronto a dire Asher ai fratellini «Ma credo sia giusto sappiate che papà è morto, sì, ma da eroe! Per proteggere i valori americani in cui credeva! La lettera non è mai arrivata o non è mai riuscito a spedirla, ma c'era questo ciondolo insieme, quello che ha scritto di voler regalare alla mamma...»
    Era una bugia grande.
    Lo sapeva che lo fosse.
    Ma cosa c'era da perdere? Aveva mentito per tre anni, poteva fare questo rush finale.
    Sawyer Ketchum era morto, anche se non da eroe. Asher lo aveva cercato, nel ventunesimo secolo; era stata una ricerca veloce. Si era risposato - in una cittadina neanche lontana da Bodie (se fossero andati loro a vendere gli animali al mercato lì invece che mandarci braccianti babbani, forse lo avrebbero visto). Era mancato a causa di qualche malattia.
    Non ci era neanche mai andato, militare.
    E dire che Asher se ne era quasi convinto... e ora avrebbe voluto tornare a crederci, piuttosto che avere la certezza che aveva lasciato la sua famiglia con un'attività indebitata in un posto in cui una moglie abbandonata, è una donna destinata a restare sola. Ma c'era ancora tempo perchè i suoi fratelli non lo sapessero.
    Claudius- beh. Ash sapeva che il fratello li amava, per forza. Era sparito, aveva giusto mandato dei soldi ai tre (*ai due minorenni) un paio di volte, ma... doveva voler loro bene. Erano una famiglia.
    Erano quello che della sua famiglia gli restava.
    Richiuse la lettera, infilò sia quella che la collana nell'armadietto dello spogliatoio grifondoro. Appena avesse trovato un momento da solo con i fratelli, gliel'avrebbe letta. Ci sarebbero rimasti male, alla morte del padre, ma per Ash era la chiusura di un capitolo, una parola fine almeno a quella questione.
    Prima o poi avrebbe detto che Claudius aveva trovato la madre, o che aveva la certezza che tutti gli abitanti di Bodie erano stati evacuati in tempo, così come i loro animali, o- no, era troppo, avrebbero trovato le tombe, lui li aveva letti i nomi. Allora magari fargli solo dimenticare- no, terribile. E se-
    Strinse gli occhi. Ispirò. Espirò.
    Un pensiero per volta.
    Si schiaffeggiò la guancia, guardò il proprio riflesso nello specchio dentro l'armadietto per darsi forza, e avvicinò alle labbra il crocifisso che portava al collo.
    «è per una buona causa» mormorò. E se anche fosse andato all'inferno per quelle bugie, perchè voleva che i suoi fratelli si sentissero amati e non abbandonati, allora che fosse. Aveva tutta l'eternità per riconquistarsi un posto in Paradiso, ma solo quella vita per far felici Vel e GJ.
    Sorrise allo specchio, raggiante. Ammiccò facendo un finger guns. «sei troppo un pro» Si sentiva già meglio.
    Uscì nel campo, e, dopo essersi sistemato lo scaldacollo, iniziò a correre.
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    you know those days when you're like ho voglia di scrivere ma non una delle mille role che ho già facciamone una a caso e unexpected


    rispondete pure, nel mio cuore ash sta aspettando takeaselfie_gif
     
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    «Okay Pervy, andrà bene» ma in francese.
    Lo specchio, anche quel giorno, le restituiva un riflesso che non era il suo: non poteva essere semplice abituarsi e lo aveva saputo fin da subito, eppure era troppo strambo osservarsi e vedere un ragazzo che, di fatto, lei aveva inventato di sana pianta. Il prezzo della libertà era alto. Era disposta a pagarlo, aveva architettato quel piano consapevolmente e doveva proseguire su quella strada – non poteva mollare adesso, per un miliardo di motivi. Non importava quanto le mancassero mamma o papà o sua cugina. Sovrappensiero, rughe di preoccupazione sulla fronte, portò le dita al collo e come sempre si stupì di non trovare alcuna ciocca scura. Si focalizzò di nuovo sul riflesso, afferrando un pettine e sistemandosi velocemente i capelli corti. L’unica cosa che le trasmetteva familiarità di quell’aspetto erano le fossette, anche se quelle erano… be’, più marcate, più mascoline.
    Se aveva l’irrazionale timore che in qualche modo la scovassero e la riportassero in Francia??? Sì, SEMPRE!! E insomma, era il timore che aveva qualunque fuggitivo accusato di un omicidio ahah. Per la prima volta nella sua vita, Pervenche aveva iniziato a provare una forte ansia. Il sospetto le annebbiava la mente ogni volta che incontrava nuova gente, com’era successo qualche giorno prima quando si era permessa di unirsi a un torneo di scacchi – amava gli scacchi, e non aveva resistito a rispondere al tweet di Gideon McPherson che si era dimostrato un valido avversario!!! Aveva stretto delle amicizie, si era divertita, per certi versi si era sentita più libera di essere se stessa nel corpo di Lilac che nel proprio, a casa. Era una… situazione piena di contraddizioni. Le mancava la tranquillità che le avrebbe permesso di entusiasmarsi per quell’avventura, e proprio per questo cercava di dimenticarsi che il moto di ribellione che l’aveva portata a Hogwarts non era affatto una bambinata.
    Per questo aveva creato un account su twitter – inizialmente tentando di interpretare Lilac come se lo immaginava, con una famiglia, una storia diversa dalla sua, ma che era finito per essere – letteralmente – una sua versione maschile e più socievole. Lilac era Pervenche, e non era rientrato nei suoi piani, anzi. Ma era lei che adorava gli scacchi e pattinare su ghiaccio, era lei che guardava le partite di Quidditch per passione, proprio come piaceva a Lilac. Sospirò e si prese a schiaffi le guance. «Andiamo.» brojob la – lo aspettava per allenarsi, e meno male che oltre alle sembianze aveva anche la forza di Lilac; sarebbe stato esilarante accasciarsi al suolo entro i primi dieci minuti. Cioè, era fan del Quidditch ma non ci aveva mai giocato, non aveva mai fatto degli allenamenti pesanti!! Chiunque si nascondesse dietro brojob le sembrava un ragazzo sincero, a tal punto da farla sentire in colpa e spingerla a raccontare meno bugie possibili – non ci era riuscito con nessuno di quei pochi utenti con cui aveva parlato. Fingere si stava mostrando più difficile del previsto, soprattutto perché non voleva farsi degli amici per falsità, avrebbe voluto integrarsi sul serio! Allo stesso modo, brojob le stava davvero simpatico, così diverso dai manichini impomatati di Beauxbatons, e le faceva piacere incontrarlo! Dai, non… non poteva essere una spia francese o qualcosa di simile. Doveva smetterla con le paranoie, e magari quel pomeriggio l’avrebbe convinta a rilassarsi un po’!!
    Con questo spirito positivo, Lilac aveva raggiunto il campo di Quidditch e??? Stava guardando brojob???? Non ne aveva idea, non sapeva che aspetto avesse, però a parte quel ragazzo che stava correndo non c’era nessuno, quindi- approfittò di un po’ della confidenza di Lilac per schiarirsi la voce ed esclamare un «EHI AMICO!» con un forte accento francese – no, sul serio, parlava inglese alla perfezione ma l’accento era quello che era(??). Appena finì di parlare, il sorriso splendido splendente da mastro lindo di Lilac si allargò ancora per il divertimento Quando mai Pervenche Marie Roux, elegante e posata, si era rivolta a qualcun altro con un “ehi amico”??? Fantastico. Non si era mai presa così tanto per il culo da sola come in quel periodo, e non capiva se fosse avvilente o confortante. Stava imparando a prendersi meno sul serio rispetto a come le era stato insegnato. Si avvicinò con rapide falcate – “comportati come un normalissimo ragazzo simpatico comportati come un norMALISSIMO RAGAZZO SIMPATICO!!!” fu così che Ari decise di sgamarla random per mantenere la tradizione del “… come… hai fatto a capire che sono io” – e alzò la mano come a dirgli di dargli il cinque.
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    Si faceva così no? (cosa? cosa) «Sei tu, vero?? BROJOB!!!! Sono Lilac, piacere di conoscerti!!» E un altro sorrisone, forse un po’ nervoso ma sincero. Era strano anche non dover stare attenta all’eTiChEtTa e potersi comportare da normalissim(a)o adolescente, perché: chi era mai stato un normalissimo adolescente. Sperava nella gentile anima di brojob.
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    Era facile fare esercizio, facile far lavorare il corpo, invece che la mente. Quando era fisicamente stanco Ash era in grado (con più facilità del solito) (che già era molto facile) a scollegare il cervello; c'era chi trovava fastidioso il farfallio in testa, l'impressione di star volando e la difficoltà a mettere insieme due frasi di senso compiuto, ma per lui era un po' come una droga. Si sentiva più se stesso, quando non lo era affatto. Libero, pur nei suoi limiti. Rispetto a pensare a Bodie, non era difficile correre, fare un passo dopo l'altro, spingere i muscoli finchè faceva male e finchè diventava automatico. E poi era un linguaggio universale, dove nessuno gli diceva di non usare abbreviazioni, o usare meglio i tempi verbali, o qualsiasi altra cosa.
    Stava correndo da un po', quando l'«EHI AMICO!» lo raggiunse. Non correva da abbastanza tempo per essere effettivamente stanco, ma abbastanza da vedersi dal viso e dal respiro che non era stato beccato mentre stava giusta facendo finta di correre.
    Rallentò, finendo il giro di corsa, e con un sorriso enorme sul viso si voltò a guardare chi era arrivato, dando per scontato fosse il ragazzo di twitter (...in effetti non si erano neanche presentati; oh beh). Voce sconosciuta ma atteggiamento da amicone? Andiamo, doveva essere lui, il suo «BRO!» di penna (penna perchè twitter era un uccellino che trasportava i messaggi da un posto all'altro, giusto? A bodie era così e cinguettava davvero, da questo il nome ovviamente).
    Quando si trovò davanti all'altro, questi aveva alzato la mano per dargli il cinque. Ash si considerava un ragazzo da brofits, ma non si appende mai un frà, quindi senza starci troppo a pensare sbattè la mano contro la sua.
    «Sei tu, vero?? BROJOB!!!! Sono Lilac, piacere di conoscerti!!»
    Annuì allegramente, facendo con entrambe le mani la V ansimando leggermente (ale jr's voice: fare la V is gay culture........) (ansimando per la corsa per per la gay culture.)
    «BRO sì sono io! In carne e muscoli!» ammiccò, accompagnando il gesto con uno tz. In carne e muscoli perchè a lui mica si vedevano le ossa!! Eh. «Quindi Lilac, eh? Forte! È un bel fiore!» Gli diede una pacca sulla spalla (perchè un maschio che tocca la spalla di un altro maschio non poteva sembra un omosessuale) e... solo a quel punto lo studiò da capo a piedi - attento a non soffermarsi sulle caviglie perchè, come gli aveva precisato in chat, si erano dati appuntamento in modo virile e basta. Probabilmente aveva caviglie carine ma ad Ash non interessava quel tipo di cose! A lui interessavano di più i suoi bicipiti nascosti dai vestiti o la linea dura del collo, segno che Lilac fosse un VERO uomo dedito all'esercizio fisico. No homo bro. E poi ormai a scuola lo sapevano tutti che i 30cm di Julian erano imbattibili, inutile cercare un degno rivale (ash era un po' geloso di non poter competere, ma ammetteva la sconfitta; aveva OVVIAMENTE voluto vedere con occhio - e toccare con mano! - in dormitorio la lunghezza della protuberanza del bolton, e poteva dirsi sconfitto con dignità).
    Si schiarì la voce, rendendosi conto di averci messo un po' a soppesare l'altro. Imbarazzato? No certo che no, non stava facendo niente di male!! E in chat ne avevano discusso: era un incontro per parlare di quidditch e spellball!!!
    ...ok forse un po' imbarazzato.
    Un neurone nel cervellino del grifo continuava a sbattere in giro, cercando di mandarlo in panico perchè c'era un motivo se era anonimo su twitter - poter dire quello che pensava davvero senza freni -, e a Lilac aveva parlato ad esempio della propria famiglia (e, temeva, di altro), ma il grifo mise a tacere il piccolo e sciocco neurone (com'era solito fare). Quel ragazzo gli piaceva, gli ispirava fiducia. Si fidava di lui e del suo buon cuore, poco importava che sapesse cose personali di ash; sapeva non le avrebbe tirate fuori. Erano lì per tirare fuori altro! (muscoli e voglia di fare ovviamente!!)
    «da cosa vuoi iniziare?» aprì le braccia, indicando intorno. Cosa, che non c'era niente? boh. Il campo? L'eternità del tutto? La mia voglia di vivere? La mia capacità di scrivere un post dopo settimane di vuoto? Le tue brutte intenzioni? la maleducazione? la tua brutta figura di ieri sera? «io ho iniziato a scaldarmi da solo, ma se vuoi possiamo continuare insieme, e nel mentre chiacchieriamo?» dai, due bro, uno che fa gli addominali e l'altro che gli tieni e i piedi, e aiutarsi a fare streching. Cose da amiki.
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    Nel momento in cui si decise a richiamare l’attenzione del ragazzo, si rese conto di star vivendo più conflitti di quanto si fosse aspettata. Le mani sudavano, le schiena era rigida, ma aveva sorriso perché si era sentita di farlo, divisa tra il costante “oh mio dio sto mentendo a una persona che magari potrebbe davvero essere un amico” e il pensiero che era libera di stravolgere le sue modalità di interazione come più le pareva e piaceva. Nessuno, a Hogwarts, si aspettava da lei un certo tipo di comportamento – affettato, raffinato, forbito e blabla. Poteva… gestirsela come voleva.
    E va bene, non sapeva affatto come gestire la cosa, non aveva fatto poi tutti questi programmi sulla personalità di Lilac; l’unico requisito era che non spiccasse tra gli altri in maniera particolare. Quella regola non la stava infrangendo, e si sentì un po’ meglio quando il suo “bro” sbatté la mano contro la sua. Okay, non doveva essergli apparso troppo strano. Le spalle si liberarono di quel tremore impercettibile, un sospiro ad alleggerirgli il petto mentre ridacchiava. In carne e muscoli. Era sempre così spontaneo – e scemissimo –?? Fu inutile tentare di inquadrare quei lineamenti, i capelli castani o gli occhi nocciola in un qualcuno che avesse già incrociato: conosceva davvero poche persone, e solo perché si era unito al torneo di scacchi di Gideon McPherson e Mehan Tryhard. «Oh, ti piace? Anche a me, grazie-» Pausa. Altra piccola pausa. Se sua cugina avesse potuto vederla sarebbe morta dalle risate, ma già lo aveva scritto per messaggio quindi «bro!» Aveva scelto il proprio nome personalmente e insomma, Pervenche Roux non faceva nulla per caso. Si prese la pacca sulla spalla, cercando di mantenere un atteggiamento naturale. Tra l’altro, sapeva che gli piaceva disegnare, che lavorava con gli animali e dettagli sulla sua famiglia che non si confessavano con semplicità, eppure non aveva la minima idea di come l’altro si chiamasse. Che strano.
    «Tu come ti chi...» mMmMmh okay lo stava fissando. E fin qui niente di strano ma, senza dire niente?? Pervy non era più suscettibile della norma agli scrutini ma eh, facile a dirsi in un corpo che non è realmente il tuo. Spostò il peso da una gamba all’altra, mentre il volto di Lilac si increspava in un sorriso perplesso, le fossette a smorzare il nervosismo. Le fossette erano universalmente carine e simpatiche no?? #no. Quando il ragazzo si schiarì la voce, non le parve di scorgervi nessuna ombra che lei potesse trovare sospetta, sembrava solo… un po’ impacciato. Magari non era tanto abituato a fare amicizia, a dispetto dell’impressione che le aveva dato. In ogni caso non vedeva l’ora di riprendere i discorsi da uomini duri. Emise una risatina, prima di terminare la domanda: «Come ti chiami?» Perché va bene che “bro” valeva sempre, ma ogni tanto doveva pur variare!!1!
    «da cosa vuoi iniziare?» Non credeva avrebbe mai provato tutto quell’entusiasmo alla prospettiva di allenarsi, sarebbe stata una benedizione rilasciare lo stress con l’esercizio fisico – magari sarebbe riuscita a comportarsi come il normalissimo ragazzo della porta accanto – il ragazzo della porta accanto che non moriva dentro a ogni secondo di silenzio. «Beh.» Si guardò attorno. «Direi che gli spalti sono utilissimi per allenarci!» Magari dopo, visto che Ash gli aveva proposto di continuare il riscaldamento insieme. «Sicuro!! Mi piace chiacchierare. Hai una…» attimo di vuoto nella testolina francese provata da quella situazione senza precedenti. Sentì un gran calore accumularsi alle guance – cosa che disapprovava perché, per come se l’era immaginato, Lilac Parker non arrossiva. E invece, da adesso Lilac faceva anche questo. Maledizione. Scosse appena la testa, liquidando la questione con un gesto della mano e una risata. «Scaletta! Scusa, non mi veniva la parola.» Attese le sue direttive, arrivando subito alla parte del “chiacchieriamo”. «Quindi tu e i tuoi fratelli venite dalla California, vero?» Ricordava quando aveva raccontato di come Salem fosse diversa da Hogwarts, e bastava pensare alla sala delle torture per comprendere il senso di quell’affermazione. Agghiacciante. Gli sorrise. «Ti manca?»
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