what's your age again?

(2020) dom x nice

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    dominic cavendish
    Era successa una cosa disdicevole: gli avevano rubato «la dignità!» era entrato in infermeria urlando e lanciando la sua borsa per terra in modo anche piuttosto teatrale e aveva iniziato a prendere la misura della stanza a grandi passi, tra uno sbuffo e l’altro. «certe persone non hanno proprio una dignità, un po’ di buonsenso, di… di…» non trovava neanche le parole, tanto era scosso, guardava i colleghi con le gote rosse dalla rabbia e gesticolava in modo piuttosto nervoso «di cultura, di rispetto per gli altri, per il loro lavoro, le loro passioni. Anzi» continuò la sua invettiva «sono persone assolutamente vuote, non hanno una vita sono solo piene di… di…» pensò ancora una volta attentamente alle parole da utilizzare, stringendo il labbro inferiore tra i denti, finché non gli sovvennero, cosa che rese chiara con uno schiocco di dita. «brutte intenzioni!» uno «maleducazione!» due «brutte figure!» tre «come quella di ieri sera» aggiunse con un gesto stizzito della mano, quindi questa vale come tre e un quarto «ingratitudine!» quattro «arroganza!» cinque. Aveva tenuto il conto con le dita della mano quindi aveva il palmo aperto e le labbra schiuse a prendere aria dopo quella sfuriata, ma non sembrava aver finito di sputare la sua dose di veleno verso chicchessia. «Qualcuno dice che il disordine è una forma d’arte ma quelli là» marcò le ultime parole con un tono di voce più grave, puntando con il dito verso un punto imprecisato in direzione del corridoio, per indicare un generale e metaforico luogo esterno da quella stanza «quelli là, sanno solo coltivare invidia! Dovrebbero ringraziare di essere su questa terra e rispettare chi lavora e invece…»
    Questo era lui.
    Dopo quella scenata, Dominic aveva preso un profondo respiro e si era lasciato cadere su una sedia lì di fianco, stanco e affranto come se la sua stessa esistenza avesse perso qualsiasi parvenza di significato, sotto gli sguardi silenti e interrogativi di colleghi infermieri, psicomaghi e chiunque fossero gli sfortunati studenti che affollavano il luogo quella mattina. Il motivo per cui era arrivato – in ritardo – a lavoro era che aveva subito un furto; qualcuno era entrato in casa sua mentre lui non c’era e lo aveva derubato. Lo shock era più che comprensibile, ma la sua reazione era stata quella tipica di un ragazzo poco più che ventenne? Assolutamente no, apprensione e paura mai avuti, la sua era stata più simile alla reazione di una moderna moglie bionda viziata di qualche impreditore della costa orientale americana: aveva urlato alla tragedia ed era quasi svenuto sul colpo. «sì, sì, io sto bene» si era interrotto durante il racconto del fattaccio ai colleghi per chiarirlo «e anche Chandler» il gatto, una femmina ndr «ma hanno preso il Set™» concluse con tono drammatico, a cui seguirono – almeno nel suo immaginario – teatrali primi piani da soap opera sudamericana e rumorosi GASP.
    Qualche settimana prima l’OMCB (Organizzazione Mondiale per la Cura della Barba) aveva messo all’asta un pezzo più unico che raro: il set da barba di Neil Armstrong, il primo uomo sulla luna. Come rasoio non aveva la benché minima utilità ma come qualsiasi esperto cultore dell’argomento, il Cavendish aveva deciso che quel pezzo da collezione dovesse essere suo a tutti i costi. Letteralmente. Infatti aveva deciso di destinare, o meglio di investire in quell’oggetto da collezione una cifra assurdamente più elevata rispetto a quella che qualsiasi persona sana di mente avesse mai potuto pensare di spendere per un oggetto simile: intorno alle trentamila sterline. Una follia, uno schiaffo alla miseria, ma questo era quanto era disposto a fare per coltivare una passione. /Cosa dici, la cura della barba non può essere considerata una passione? Andiamo, Karen, c’è gente che decide consapevolmente di vendere la casa e vivere sotto i ponti per comprare la droga, giocare d’azzardo o pagare le prostitute e ora la sua passione sarebbe un problema? Almeno lui sarebbe arrivato sotto i ponti con la barba morbissima e curatissima, non c’era assolutamente paragone/
    Era fatto così (male): era cocciuto, ostinato, ossessionato, ottusamente risoluto di fronte a quelle che gli avevano sempre accusato essere non passioni ma stupidi vizi. Ma le medaglie hanno un rovescio e se quella era la croce del suo carattere, il peso che era costretto a portare sulle spalle come il promemoria di tutti i suoi difetti, la testa proponeva in risposta denotazioni positive come: tenace, perseverante, appassionato, incredibilmente determinato. Si era sempre sentito un intruso tra i corvonero, come se non appartenesse davvero a quelli che dovevano essere i saggi, i creativi, gli ingegnosi; la verità è che non provava un generale interesse per le cose, provava più uno specifico ed ossessivo interesse per determinate cose, aveva avuto sempre il difetto (o il pregio) di trovare qualcosa che gli piacesse e coltivare quel piacere fino a che diventasse un’ossessione, fino a che non scocciasse le persone attorno a lui, per questo era finito semplicemente a non parlare più delle sue passioni alle persone che conosceva, preferendo a queste un pubblico decisamente più eterogeneo, che talvolta aveva dimostrato anche di apprezzare i suoi gusti: twitter. Dopo aver ricevuto a casa per posta raccomandata (un gufo d’élite con il pacco chiuso in una gabbia d’oro) il lussuoso Set™ da barba di Neil Armstrong, preso dall’entusiasmo, aveva fatto la mossa sbagliata, quella che gli era valsa lo scacco matto dell’avversario: aveva scritto un tweet. Un tweet con tutti i dettagli dell’articolo acquistato, il suo valore all’asta e una foto con il suo indirizzo in bella vista. Una mossa da vero sveglione, insomma, non stupisce neanche così tanto che qualcuno avesse approfittato della sua assenza per intrufolarsi come un vero topo d’appartamento in casa sua e rubargli il tesoro. Il rammarico più grande era che per giorni non aveva perso d’occhio quell’oggetto, lo aveva conservato sotto una teca di vetro nel bagno come se fosse la sua Numero1 e l’unica volta in cui si era distratto – per colpa di una ragazza – l’aveva perduto, puff, sparito. «non avrei dovuto farlo, è stato un errore» piagnucolò affondando le mani tra i capelli e rimpiangendo t u t t o. tutto? t u t t o. Aveva avuto la geniale idea di uscire la sera prima, bere una birra di troppo e farsi stregare da due occhi verdi e un atteggiamento eccessivamente supponente, che, purtroppo, era una qualità che trovava sempre piuttosto affascinante nelle ragazze – un po’ gli piaceva essere bastonato (metaforicamente, ma forse non solo), magari era proprio questo il suo kink. Temeva anche, ormai, che quella stessa ragazza fosse la responsabile di quel furto e non avrebbe mai avuto la possibilità di ritrovarla – e minacciarla, o farla arrestare, o direttamente torturarla – perché si erano scambiati giusto un paio di parole nel locale, prima di decidere di uscire insieme e passare la notte a casa sua; sapeva di lei giusto che si chiamava Nice e che aveva 22 anni, nulla di più, gli erano bastate queste poche informazioni e un paio di gelide uscite taglianti da parte della ragazza per convincerlo a portarla a letto. E nonostante continuasse a maledirla, affibbiarle la colpa di quella sventura e convincersi sempre di più che fosse la ladra in questione, non poteva non ammettere che non riusciva totalmente ad avere un brutto ricordo di lei, probabilmente perché gli aveva regalato una serata degna di nota1.
    Si stropicciò gli occhi con la mano, poi strinse il pollice e l’indice alla base del naso, nella tipica espressione di chi avrebbe disperato bisogno di un’aspirina. «se la incontro di nuovo giuro che…» l’affatturo? l’ammazzo? la scopo di nuovo? Non terminò la frase, e perché non aveva davvero un’idea precisa di quello che sarebbe potuto succedere se avesse avuto di nuovo la possibilità di incontrare Nice, e perché in realtà Dominic non era seriamente capace di far del male a qualcuno, benché meno a una ragazza; probabilmente avrebbe fatto un po’ lo spaccone, avrebbe lanciato qualche minaccia, ma poi sarebbe finito per supplicarla di dirgli che fine avesse fatto il suo Set™. A posteriori, meglio non rincontrarla. Si poggiò a un pilastro del cortile e si accese una sigaretta, perché fumare lo aiutava a calmarsi e a ragionare in modo più lucido, come se non avesse bisogno veramente di ossigeno al cervello, quanto di nicotina nei polmoni per mettere in moto il criceto che albergava nella sua testa. Tra una boccata e l’altra, si chiese ingenuamente cosa se ne facesse poi una ragazza di un set da barba, e okay che era un oggetto di lusso che probabilmente desideravano in molti (ma chi) ma sembrava troppo strano addirittura per lui; arrivato al filtro della sigaretta decise che l’unica cosa che la sua one-night-stand poteva fare con il suo Set™ era rivenderlo e visto che sapeva che il deep web era un posto mistico e tragico, decise che fosse meglio affidarsi alle capacità tecnologiche delle nuove generazioni – visto che l’ultima volta che si era affidato ai social, lui, era stato fregato in pieno.
    Fece stampare (hanno una stampante ad Hogwarts? Dai sì che ce l’hanno, o strumenti con cui le tipografie magiche stampano le cose) una pila di volantini appositamente e meticolosamente creati da lui per l’occasione e, armato di scotch magico, iniziò a girare per il castello per attaccare i flyers nelle bacheche avvisi, nelle bacheche delle sale comuni e, perché no, anche sui vari pilastri e muri bianchi e tristi del castello, tanto era un’emergenza, non pensava che qualcuno potesse dirgli qualcosa.
    I volantini:
    VOPfEIf
    Durante la sua missione di tappezzare la scuola con i suoi volantini, plico in una mano, scotch nell’altra, doveva essere capitato nell’ora buia buissima del cambio delle lezioni, l’orario in cui le lezioni finiscono e gli studenti si dividono in tre gruppi ben distinti: chi si affretta a correre alla lezione successiva, chi si trascina senza voglia alla lezione successiva, chi si parcheggia nel corridoio perché non ha sbatti di andare alla lezione successiva. Insieme, queste tre categorie formano i doni della morte dei corridoi, e danno vita a ingorghi di traffico che King’s Cross spostati proprio, ed è proprio in uno di questi momenti topici che, come in un film qualsiasi di Disney Channel, nel voltarsi per cambiare strada, Dominic finì per andare a sbattere contro qualcuno, una ragazza, nello specifico, provocando inevitabilmente e inaspettatamente – rullo di tamburi – la caduta di qualche libro o quaderno di appunti che lei aveva in mano e quella dei volantini di lui. «cazzo, scusami» Desolato e mortificato – due aggettivi che molto precisamente descrivono l’infermiere – fece per piegarsi subito sulle ginocchia per recuperare dal pavimento quello che aveva fatto cadere, ma non senza prima rivolgere uno sguardo alla ragazza che aveva urtato. Sbiancò.
    «porca puttana»
    play @dumb
    not that dumb!
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    CITAZIONE
    16 - [scherzetto - regalo/prompt] non so dirti in che modo, ma ti è stato rubato un oggetto (a tua scelta) per te molto importante, a cui tenevi un sacco. Sei stato pestato in un vicolo? è semplicemente scomparso? L'hai perso per strada? Ti sono entrati i ladri in casa? Scegli te, ma comunicami l'oggetto (e come può averlo perso il pg). In cambio ti do un bacio in fronte (cita l'evento nel prossimo post che farai con questo pg, anche come flashback se non apri nuove role)

    cosa? un prompt di halloween a natale? beh, meglio tardi che mai dai

    1: era degna di nota, quindi ho messo la nota ihihi
    no dai è seriamente degna di nota ed è comprovato da:
    d10/10
    d19/20
    d39/60
     
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    don't pretend it's such a mystery
    think about the place
    where you first met me;
    no, nothing good starts
    in a getaway car
    berenice hillcox
    «Dove vai.»
    Lo si capiva dal tono freddo e senza inclinazione alcuna, che quella posta da Albert non era una domanda. Era più un monito, un “non pensarci nemmeno” rivolto alla ragazza che, con una scrollata di spalle, tornò ad ammirare la sua figura riflessa nello specchio per niente turbata dalla cosa. Non era una domanda, dunque Nice non rispose, e sistemò la cintura del vestito. «Non pensarci nemmeno,» roteò gli occhi al cielo per la prevedibilità del cugino, «non puoi lasciarmi qui.» 'Qui' era l'appartamento di Jekyll e Hyde, in quel preciso istante vuoto fatta eccezione per i nilbie. Dove fossero spariti tutti non interessava di certo la ragazza che lì, infondo, era solo un'ospite; lei e Albert non avevano altro posto dove andare... no, ce lo avrebbero avuto di nuovo, dal giorno seguente, ma era stato difficile trovare un luogo dove dormire, inizialmente, appena approdati in quel 2019 che volgeva ormai al termine, e dovevano molto ai fratelli CW per aver permesso loro di occupare la stanza degli ospiti. A Nice erano bastate tre notti nelle fatiscenti stanze del Paiolo Magico per mettere in discussione tutta quell'idea del viaggio (suicida) nel passato, quindi dormire su un letto che non puzzasse di... cose indescrivibili, e soprattutto poter evitare di spendere galeoni inutilmente, era stato un cambiamento molto più che gradito. Avrebbe fatto un bel regalo ai due, prima o poi – più poi che prima – per ringraziarli dell'ospitalità, ma in quel momento aveva cose più importanti a cui pensare: il suo ultimo giorno da Nice Cox-Hill, prima di tornare ufficialmente tra i banchi di Hogwarts e conseguire finalmente i tanto agognati M.A.G.O. Se avesse saputo a cosa andava incontro, probabilmente ci avrebbe pensato due volte prima di falsificare i documenti per essere ammessa di nuovo a scuola e si sarebbe fatta inserire direttamente nel mondo adulto, ma che ne poteva sapere lei, quasi un anno prima, che ogni sorta di sciagura si sarebbe accanita su di lei per via della sfiga contagiosa di un certo Park Sehyung? Sospirò pesantemente, quasi come se lo shentisse dentro, quel futuro inevitabile, ma al momento ciò che doveva affrontare era Albert; quello sapeva come farlo.
    «Me lo merito, okay? Da domani le cose cambieranno di nuovo e voglio vivere almeno una notte come se...» come se non fossimo due reietti del futuro approdati qui per un folle piano atto a salvare la nostra famiglia «se tutto fosse ancora come prima.» Prima che papà morisse, prima che il mondo andasse allo sfacello, prima che io e te decidessimo di mettere in atto quella follia. «Tornerò in tempo per la partenza.» Se le cose fossero andate come programmava – e di solito andavano esattamente come Nice programmava – sarebbe tornata a casa l'indomani, in tempo per una doccia al volo, un cambio d'abito e poi via, pronta per la Smaterializzazione ad Hogsmeade, da dove avrebbero poi raggiunto la loro nuova (vecchia) casa. Ma fino ad allora, voleva essere solo Nice. «Non ti chiedo di venire con me perché mi rovini sempre la piazza.» Perché cercava di conquistare le sue stesse vittime? Perché li scambiavano per una coppia? Perché il muso lungo di Albert scoraggiava chiunque? Scegliete voi, la lista delle motivazioni dietro quel gesto era pressoché infinita. Ma avevano abbastanza storia pregressa, di uscite in comitiva con amici e cugini, per sapere che con Albie al seguito non avrebbe concluso nulla. Perciò lo salutò velocemente, scompigliandogli i capelli, pronta per una serata di svago.

    Se lo sentiva addosso, lo sguardo chiaro e giudicante del biondo al suo fianco, ma non si scompose minimamente mentre il vicepreside Winston dava loro il benvenuto ad Hogwarts. Le lezioni erano ricominciate da pochi giorni, e loro avrebbero dovuto recuperare gran parte del programma del sesto anno per potersi rimettere in pari con i compagni. Per loro fortuna non erano un duo propenso alle distrazioni facili – ah ah, lo sarebbero diventati – e diplomarsi con ottimi voti era quasi più importante del motivo che li aveva spinti a compiere quel viaggio nel tempo. La loro priorità era, a tutti gli effetti, eccellere in ogni classe e raggiungere finalmente quel traguardo che nel 2039 gli era stato negato. Eppure, mentre Winston parlava, Nice (anzi, no, Berenice come avrebbe dovuto farsi conoscere da quel momento in poi) non riusciva a pensare ad altro se non agli eventi della notte precedente. Sembrava quasi come se il destino avesse voluto giocarle un tiro beffardo e lanciare dei dadi fin troppo clementi con lei; lo odiava, quel destino di merda.
    Sì, perché l'idea era stata abbastanza semplice: abbordare qualcuno per farsi offrire qualcosa (non aveva galeoni da spendere futilmente, e spillare soldi a giovani disperati in cerca di una botta e via era la soluzione più pratica), portarselo a letto, sperare in qualcosa di decente e poi andare avanti, pronta alla nuova vita che l'aspettava il giorno dopo. Un programma semplice, lineare, che difficilmente avrebbe potuto deragliare in qualcosa per cui poi Nice si sarebbe mangiata le mani.
    E invece... Non solo il destino le aveva piazzato davanti niente popò di meno che Heathcliff Wayne Maddox, ma lo aveva reso pure bravo a letto. Le ingiustizie! Sia chiaro: per la Nice del futuro sarebbe stato un colpaccio, quello, eh! Cliff era sempre stato il suo “prima o poi” ma gli eventi, le guerre, la malattia, la missione, la vita, alla fine le avevano remato contro facendolo diventare un “mai”; aveva perso l'occasione già una volta, non era intenzionata a compiere lo stesso errore, per questo quando aveva visto Heathcliff seduto al bancone, gli si era letteralmente gettata tra le braccia. No, dico davvero: aveva finto una storta e gli era planata contro, una mano sulla fronte, da brava drama queen, e una casualmente gettata su una parte del ragazzo che poteva essere il petto, le spalle, il pacco, le gambe, chi lo sa. Aveva fatto finta di nulla, sondando il terreno per capire cosa sapesse l'altro, e un po' era rimast adelusa dallo scoprire che non aveva alcuna idea di chi lei fosse. Come si poteva dimenticare una Nice Cox-Hill?! Inaccettabile. Però aveva rigirato la cosa a suo favore e, qualche birra dopo... beh. Era lì che Nice aveva iniziato ad odiare il destino: non poteva farle passare una bella nottata e stop? Doveva per forza renderla... degna di nota?! Era difficile smettere di pensare ad una delle tue crush dopo aver scoperto che sanno scopare degnamente! Non capitava molto spesso!
    Ecco, ci stava pensando nuovamente, ed erano ancora nell'ufficio del preside e oddio, tuo cugino è Legilimens, stupida, datti un contegno. Si schiarì la voce, cercando di farsi scivolare addosso quei ricordi e concentrandosi su ciò che il vicepreside stava dicendo, orari delle lezioni, laboratori extra, zone del castello da evitare, attività extracurricolari...

    «Sputa il rospo.»
    «Albie, è ora che tu la smessa di vivere attraverso la mia vita sessuale. Non ti fa bene.» Gli poggiò una mano sulla spalla, rivolgendo al cugino un'occhiata piena di apprensione. «Dico davvero. Trovati qualcuno e scopatelo. Quel biondino laggiù sembra carino, avete quasi la stessa gioia di vivere disegnata in faccia.» E lo lasciò lì, in mezzo al cortile, a cercare di capire a chi si riferisse. Lei aveva altro a cui pensare, tipo cercare qualche membro delle cheerleader Serpeverde per proporre la propria candidatura: non avrebbe affrontato un anno e mezzo ad Hogwarts senza il completino da ragazza pom-pom! Era così impegnata a leggere i nomi che avrebbe dovuto (molestare) importunare al riguardo, che non si accorse della figura pronta a travolgerla fino a che non fu troppo tardi. I suoi libri e appunti volarono da tutte le parti, così come dei volantini che andarono a sparpagliarsi sul pavimento. Gettò una velocissima occhiata a ciò che essi raffiguravano, prima di sentire il sangue gelarsi nelle vene a quel «porca puttana». Forse se rimaneva a testa bassa e faceva finta di nulla, se ne sarebbe andato. O magari sarebbe sparita lei.
    Perché aveva sentito quella voce fin troppe volte la notte precedente, ripetere cose che non posso riportare, per non riconoscerla subito. Il destino era proprio infame.
    Fece un profondo respiro, convincendosi di non aver fatto nulla di male, poi alzò la testa con orgoglio e smuovendo la chioma castana – sperando di colpirlo in un occhio e accecarlo, così, per puro culo. Quando il suo sguardo chiaro si posò sull'altro, ebbe conferma di quanto temuto: Cliff. O meglio, Dominic. Perché di tutte le persone che poteva portarsi a letto, aveva scelto proprio lui?!
    Anzi, no! Non era stata colpa sua, quindi riformuliamo: perché di tutte le persone che poteva trovare al castello, aveva dovuto beccare proprio lui?! Era un gomblotto segnale, forse? Qualcuno stava cercando di dirle qualcosa? Tipo, magari, che la sua permanenza ad Hogwarts era destinata a ritorcersi contro di lei? Che la sfiga era lì, sempre in agguato, e ci vedeva benissimo? Col senno di poi, avrebbe risposto di sì a quelle domande, ma quel giorno pensava solo a quanto fosse ingiusto che Dominic fosse stato così bravo la notte prima, perché era un po' più difficile fingersi altezzosa quando non aveva davvero qualcosa da incolpargli. Avesse fatto cilecca sarebbe stato molto meglio!!! (No, non è vero, ci sarebbe rimasta molto male maaaa...!!!)
    Poteva far finta di nulla? Raccogliere le sue cose e andarsene? Oh, sì, quella era un'idea allettante, ma qualcosa la frenava, qualcosa che la spinse persino a parlare. «Non cado ai piedi di nessuno, mi dispiace.» Uh, ma pensa, l'aveva già kinda fatto. «Non due volte, comunque.» E gli rivolse un sorriso gelido perché l'audacia!! di trovarsi lì!! Oh Morgana, give me strength (era troppo presto per invocare Totti).
    Dal momento che lo stava guardando dritto negli occhi, riuscì a vedere il preciso istante in cui “desolazione e mortificazione” divennero “consapevolezza”, che portò all'inevitabile impallidire del povero Dom. Lo riuscivaa leggere dietro lo sguardo azzurro, la matematica che stava svolgendo nella sua testolina: 33%, 50%. Settantasette, il nuovo numero delle bestie. Sapeva perfettamente a cosa stava pensando – o forse no, ma voleva credere che fosse così; di certo lei ci stava pensando eccome, a quelle che potevano essere interpretate come balle. Nice, ventidue anni, in attesa di iniziare un nuovo capitolo della mia vita. Erano tutte verità – le poche, c'è da dirlo – che aveva concesso a Dom la sera prima... e che ora potevano sembrare delle menzogne. L'unica (l'unica!!) volta in vita sua che era onesta e le si ritorceva contro!! Poi la gente si stupiva per il suo esser bugiarda cronica. Che vita di stenti.
    Fece per inchinarsi e raccogliere i propri libri, senza perdere di vista un attimo il biondino: voleva assicurarsi che non svenisse, mica per altro. «Cosa...» alzò uno dei volantini e lo osservò con aria impassibile, per poi lasciarlo cadere nuovamente - lungi da lei raccogliere le cose altrui, duh. - e tornare a recuperare libri e pergamene. «Cosa ci fai qui?» Domanda lecita, alla quale sperava di sentirsi rispondere con un “sono di passaggio ah ah a mai più rivederci”. Lei non aveva alcuna intenzione di rinunciare ad Hogwarts ma non se la sentiva nemmeno di dover incontrare il ragazzo tutti i santi giorni, passeggiando per i corridoi. Poi un pensiero la colpì, improvvisamente, e la fece rabrividere.
    «Non sarai mica...» si guardò intorno, accertandosi che nessuno fosse a portata di orecchio, «un professore, vero?» Oh, Morgana.
    MARINA @MarinaDiamandis
    Just found out the world doesn't revolve aroound me. Shocked & upset.
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    Ci tenne a ribadirlo perché la prima volta non era stato abbastanza chiaro, incurante del fatto che il luogo fosse frequentato anche da minorenni e bambini, e intanto rimase pietrificato come se quella che si era trovato improvvisamente davanti in quel corridoio affollato fosse Medusa in carne ed ossa e non la Serpeverde conosciuta la sera prima. Fu proprio lo sguardo turbato e giudicante che un pargolo di undici anni, un primino con la divisa che gli stava eccessivamente grande, gli rivolse subito dopo dal basso a contribuire a farlo sentire ancora di più un cretino. «cioè» gli occhi azzurri indugiarono prima sulla figura di Nice di fronte a sé, poi si posarono su quella del bambino. Sospirò profondamente «merlino ballerino» si corresse, stavolta attingendo direttamente dal carrello delle imprecazioni family friendly; suonava poco credibile a entrambi, comunque, e un sopracciglio inarcato del giovanotto manifestò la latente incertezza e mancanza di convinzione verso quell'uscita dell'infermiere, ma ciò che era chiaro, invece, era che quest'ultimo avesse ben altre priorità al momento. Mandò via il primino con un vago gesto della mano e tornò per l’appunto alla sua priorità, che poi era la stessa della sera precedente, ma lì le circostanze e le modalità erano ben differenti. Eh, era incredibile come le cose cambiassero velocemente; aveva sempre ritenuto inutili quegli spot pubblicitari che propugnavano certi messaggi ridicoli, ma ora lo capiva veramente, lo sentiva (ma non lo shentiva, there’s a big difference). Era proprio vero che finché non si vive in prima persona una disgrazia non la si può comprendere appieno. Nello specifico, la frase “la tua vita può cambiare in un battito di ciglia” che aveva sentito ripetere per anni nei soliti spot che pubblicizzavano yogurt dietetici e nei discorsi motivazionali di ciarlatani vari, ora la capiva, l’aveva finalmente fatta sua, esprimeva perfettamente il suo sentimento. Era successo letteralmente in un battito di ciglia: la sera prima aveva una quantità indefinibile con esattezza di alcool in corpo, una ragazza con cui passare la notte, e un magnifico e scintillante Set da barba che lo attendeva in bagno sotto una teca di vetro, poi aveva chiuso gli occhi e la mattina successiva l’alcool era stato smaltito, la ragazza che aveva al suo fianco era sparita e, cosa quasi peggiore, con lei anche il Set™. Era stato questo il suo battito di ciglia: crudele, meschino, barbaro, impietoso. Si trovò a pensarci di nuovo, con lo sguardo perso su uno dei pochi volantini che non gli era cascato da mano nel fatale incontro - scontro con Nice, ma per quanto doloroso fosse e per quanto gli costasse ammetterlo, aveva davvero altre priorità in quel momento, priorità che sfioravano la natura legale! Sì, perché dopo la first reaction (shock!) aveva stranamente fatto quasi subito il collegamento: se Nice era a Hogwarts, divisa verde-argento bella che stirata addosso, libri di Storia della magia e Incantesimi in mano, significava che la sera prima aveva mentito e che non avesse affatto 22 anni e, qui arrivano i capi d’accusa, era andato a letto con una minorenne. L’immagine di lui in cella, ammanettato, senza possibilità di avere con sé tutti i suoi balsami per la barba lo fece rabbrividire, quindi scosse la testa per allontanare quel pensiero nefasto e prese un respiro profondo, mentre con una mano percorreva il perimetro della sua fronte, e che si stesse asciugando goccioline di sudore – freddo – come la gif di EugeTM era più che probabile visto che il colorito del suo viso era diventato tutt’un tratto incredibilmente simile a quello di uno dei tanti fantasmi che abitavano il castello. «n-no aspett-» fece un passo indietro quando la ragazza si inginocchiò perché, nonostante la sera prima fosse stato veramente bello, non era quello il luogo per replicare, non era quello il momento, e le incomprensioni andavano risolte in modi ben diversi. Nice evidentemente ne era consapevole, lui un po’ meno. «ah» commentò sentendosi per l’ennesima volta incredibilmente stupido. Quella mattina era appena iniziata e stava già diventando una valanga di disastri troppo grande da gestire, si sentiva già ruzzolare giù dal cucuzzolo della montagna e chissà se sarebbe arrivato a valle illeso, gravemente ferito o da cadavere; le scommesse sono aperte, qui si punta sull’ultima. «Non sarai mica… un professore, vero?» alzò un sopracciglio e si strinse nelle spalle, stupito e quasi lusingato. Il corpo docenti di Hogwarts, bisognava ammetterlo, non spiccava troppo per serietà, ma il fatto che qualcuno avesse potuto pensare che lui fosse un insegnante lo rendeva in qualche modo fiero, significava che aveva giocato più che bene le sue carte e aveva nascosto in modo egregio le sue evidenti carenze. «Non sono un professore» per fortuna «sono infermiere. Lavoro qui. Tutti i giorni.» questo per rispondere anche alla domanda che gli aveva posto subito prima e per mettere in chiaro che qualsiasi cosa fosse quella che era successa la sera prima, qualsiasi fosse il motivo, lui era sempre stato a scuola ed era impossibile che non l’avesse mai visto dall’inizio dell’anno scolastico a dicembre. Se stava implicando che era stato ingannato, vittima di un raggiro? Certo, era proprio così, la sua colpa era semplicemente stata fidarsi troppo della ragazza. Ma aveva comunque la terribile sensazione che quella scusa (che era le semplice verità!!) davanti a un giudice non avrebbe retto. Mosse qualche passo incerto verso di lei, piazzandosi proprio di fronte, e si aggrappò con le mani ai propri fianchi, dischiudendo la bocca e facendo per parlare, ma la guardò negli occhi e rimase in silenzio. Il problema era che quegli occhi li aveva visti troppe volte e troppo da vicino la notte precedente, ne aveva ormai imparato le striature, li aveva contemplati, li aveva apprezzati apertamente con commenti che andavano dal semplice «hai degli occhi magnifici» al più imbarazzante «mi sono perso nei tuoi occhi ed è stato come perdersi nella Foresta Amazzonica», e ora non riusciva a fare del tutto finta di niente. Nonostante volesse dimostrare mano ferma nell’affrontare quella situazione, nonostante volesse dare l’aria di un ragazzo assolutamente distaccato dagli eventi passati, era in evidente difficoltà. Gli tornò alla mente l’ennesimo recap della notte e prese inevitabilmente colore e calore sulle guance, e il suo tentativo di parlare andò a farsi fottere; sospirò pesantemente e mentre stringeva il labbro inferiore tra i denti allontanò lo sguardo da quello della Serpeverde, così magari si sarebbe concentrato. «cazzo, non posso farcela» mormorò, maledicendo un po’ se stesso un po’ quella situazione generale. «tu...» raccolse finalmente il coraggio che gli era rimasto per parlare «tu cosa ci fai qui? chi sei?» la sera prima gli aveva detto di chiamarsi Nice, ma a quel punto non sapeva più a cosa credere e a cosa no «soprattutto, quanti anni hai? e… mi stai per caso seguendo?» tutte domande lecite; poi soggiunse un pensiero terribile, quindi le si avvicinò ancora un po’, azzerando quasi del tutta la distanza tra i loro corpi, e si guardò intorno prima di parlarle a bassa voce «mica sei, tipo, incinta…?» lo chiese con presagio di morte nel tono di voce, e avrebbe dovuto sapere che fosse impossibile (almeno da sapere) in quel momento, ma il panico prese il sopravvento e per un attimo dimenticò addirittura del suo Set da barba scomparso, e in attesa della risposta anche di respirare dato che gonfiò i polmoni trattenendo il respiro e non espirò per lungo tempo. who's in for the ultimate gara di apnea?
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    Quel «merlino ballerino» non avrebbe dovuto trovarlo così divertente ma non riuscì a trattenere del tutto una mezza risata, nascosta dietro un colpo di tosse e un pugno a coprire la bocca. Il primino che li aveva affiancati sembrava convinto di quelle parole tanto quanto lo stesso Dominic, quindi pochissimo. Era davvero una scena comica, il ragazzo che veniva rimbeccato silenziosamente da un undicenne, se per un attimo si metteva da parte tutto il resto, il vero Problema. Quasi le dispiacque quando il bimbetto venne congedato con un gesto della mano; lei, dal canto suo, lo salutò con un sorriso sghembo e uno sfarfallio di ciglia, la mano alzata in un cenno di saluto. Un "rifacciamolo presto, è stato divertente" rimasto taciuto, che Albert sarebbe stato in grado di leggere tranquillamente sulle sue labbra carnose e nello sguardo divertito.
    Ma Dominic non era Albie, Dominic non era nemmeno Heathcliff, ed era proprio per quello che Nice l'aveva avvicinato; si era buttata perché sapeva che non si sarebbe data pace se avesse sprecato quell'occasione offerta da un fato che, la notte prima, era sembrato così clemente salvo poi rivelarsi, invece, solo tanto stronzo. L'idea di aggiungere Heathcliff alla lista di conquiste era stata troppo ghiotta per rinunciarci; il pensiero che lui non avrebbe saputo chi fosse, al mattino, era stata a tratti una benedizione e una sfortuna.
    In quel momento? Beh Nice aveva appena scritto a caratteri cubitali sul suo personalissimo Deathnote un "FATO" sottolineato tre volte in rosso.
    I got a list of names, and yours is in red, underlined;
    I check it once, then I check it twice, oh!
    Ooh, look what you made me do.

    Era proprio il caso di dirlo; e Queen Tay ne sapeva sempre una più del diavolo!

    Tutto quello, comunque, non era assolutamente divertente ora che la parentesi Dom vs Primino era terminata; così come non trovò simpatico quel «n-no aspett-» che trasudava panico e malinteso. Lo fulminò con gli occhi, la Hillcox, domandandogli senza aprire bocca per chi l'avesse presa. Non voleva davvero sapere quel che era passato nella mente del ragazzo in quel frangente, ma onde evitare di confonderlo ancora di più (o fargli venire strane idee), Nice si rimise in piedi e al diavolo i volantini - che tanto, ripeto, non avrebbe raccolto a prescindere.
    All'espressione stupita dell'altro, rispose semplicemente con aria imperturbabile, una maschera priva di emozioni che suggeriva un solo pensiero: fai conto non l'abbia chiesto. Era più probabile che fosse lì come bidello, che come professore SMACKSMACK
    Dischiuse appena le labbra, però, l'unico accenno che, sotto sotto, anche lei provava qualcosa; in particolare, sollievo. Non era un professore, e quello era un bene; a Nice non sarebbe importato molto, in realtà, ma Berenice era, sulla carta, una minorenne e quel dettaglio avrebbe complicato di molto le cose - e la sua permanenza al castello. Ma non era un professore, dunque potev-
    «Sono infermiere.» Oh.
    «Lavoro qui.» Okay.
    «Tutti i giorni.» Cool.
    Dico, Domenico, di tanti lavori al mondo, proprio infermiere ad Hogwarts dovevi scegliere? Strinse le labbra, imbronciata, per esprimere tutto il suo disappunto. La politica del "agisci prima, fai le domande dopo" le si stava leggermente ritorcendo contro; avrebbe dovuto davvero parlare con Dom, prima di spogliarlo. Bene, okay, lezione imparata: in futuro avrebbe fatto il terzo grado prima di concedersi a qualcuno. (No, non l'avrebbe fatto; le piaceva farsi gli affari altrui ma solo fino ad un certo punto, e decisamente non prima di portarselo a letto. Spesso era meglio non sapere, certi dettagli erano proprio un turn off automatico.)
    Quindi, Dom lavorava lì. «Ne sei proprio certo?» Oh, magari stava per essere licenziato e ancora non lo sapeva, che volete. «Non sei qui solamente per, che ne so... fare uno stage?» Meh, era un po' grandino per lo stage ma magari... «Non senti, altrimenti, l'impellente bisogno di dare le dimissioni?» Sfarfallio di ciglia, espressione angelica: è solo un suggerimento, eh, però se vuoi ascoltarla fai pure!
    Come una figura allo specchio, Nice imitò la posizione assunta dal ragazzo di fronte a lei, le mani sui fianchi e l'espressione un filo più severa, come a volerlo intimidire, o sfidarlo a dire qualcosa; lei era pronta a rispondergli a tono.
    E invece, niente.
    Dom rimase a fissarla per un numero imprecisato di secondi, e persino Nice rimase in silenzio, in attesa; era curiosa di vedere fino a che punto avrebbe retto, quanto oltre si sarebbe spinto prima di ricordarsi che, davanti a sé, aveva una studentessa. Ma, in realtà, era difficile anche per lei rimanere impassibile e fare finta di nulla, come se la notte prima non fosse mai accaduta. Lo vide arrossire, imbarazzato, forse al ricordo di quello che avevano fatto entrambi, ad entrambi, e Nice si sentì segretamente orgogliosa della cosa. Segretamente, ma non troppo.
    Non riuscì infatti a frenare il sorriso soddisfatto che le incurvò le labbra tinte cremisi, mentre sfidava l'infermiere ad una gara di sguardi che, lo sentiva, avrebbe vinto: infondo, agli occhi della società - e del pudore -, non era lei quella nel torto, non avrebbe dimostrato vergogna né avrebbe abbassato la testa per prima.
    Non aveva neppure bisogno di sfoggiare le sue doti di Legilimens per sapere che Dom lo avrebbe fatto a breve: glielo leggeva negli occhi azzurri che stava per cedere, era solo questione di attimi. E, infatti, poco dopo lui allontanò lo sguardo e Nice gongolò, felice di aver vinto.
    «tu...» «io...?» lo esortò a continuare con un gesto della mano, come si fa con i bambini. Voleva mascherare un po' del suo stesso disagio, del suo stesso stupore, approfittando (e nascondendosi dietro) quello di Dominic.
    «tu cosa ci fai qui? chi sei?»
    Inclinò la testa leggermente da un lato, i lunghi boccoli castani a ricaderle morbidi sulle spalle, e la curva delle labbra leggermente piegata verso il basso. Lo lasciò finire, era in evidente difficoltà, prima di rispondere con un «ti sei già dimenticato di me?» Assolutamente no, ed era quello il problema. «Ouch, così mi ferisci.» Ad un occhio poco sveglio, sarebbe potuta apparire quasi sincera. Allungò una mano, la stessa mano che poco prima si era portata sul cuore fingendosi ferita. «Sono Nice.»
    Sul serio: per una, una!, volta in vita sua che era onesta e guarda un po' tu, le toccava pure rimangiarsi tutto. «Mi sono appena trasferita... da Salem.» No, non ci avrebbe mai creduto probabilmente, ma una balla valeva l'altra, a quel punto, no? «Sono qui per studiare beh, almeno quello era vero, «non per stalkerarti, stai tranquillo.» Sottolineò quelle parole con un'alzata di entrambe le sopracciglia, per niente smossa dalla sua domanda. Che manie di protagonismo...! «Credevo che la divisa spiegasse già tutto.» Se era una scusa per farsi ammirare nella sua attillatissima camicetta e la gonnellina svolazzante? Ebbene sì. Era Dicembre, certo, ma Nice aveva incantato tutti i suoi abiti per renderli caldi, così da non aver bisogno di mantelle o soprabiti che nascondessero le sue forme. Che volete farci, era estremamente intelligente.
    «mica sei, tipo, incinta…?» Okay, capiamo lo shock e la sorpresa e l'incredulità e tutto, ma per Morgana, Dom, collega quelle sinapsi per cortesia.
    «...non ti pare un po' presto?» Dio, com'era divertente. «Non lo sai come funziona? Non te l'hanno detto alla scuola degli infermieri che al fiorellino serve molto più di una notte per germogliare? E che i bimbi non sono portati dalle cicogne?» Si. Stava. Proprio. Divertendo. «Cavolo, certe cose andrebbero sapute diciamo... dai dieci anni in su.» Espressione preoccupatissima, Domenico tutto bene a casa?
    «Comunque no, non sono incinta.» Deadpan come solo un Hyde CW sa essere; ma le pareva doveroso metterlo in chiaro, Dominic le sembrava ancora un tantino spossato dalla cosa, forse ci stava credendo davvero a quella possibilità.
    Con entrambe le mani davanti a sé, Nice cercò di creare una sorta di barriera tra i loro corpi, ora davvero troppo vicini: poteva pure sembrare frigida e gelida, la Hillcox, ma non era del tutto indifferente a Dominic Cavendish, come aveva dimostrato ampiamente la notte precedente. Quella situazione, che ci crediate o meno, era complicata anche per lei. Solo che era un pochino più brava a fingere che non lo fosse. Anche lei, come chiunque, aveva però bisogno di spazio per non finire col fare qualcosa di cui si sarebbe poi pentita.
    No, non pentita: Nice faceva sempre e solo quello che voleva davvero. Ma, insomma, era una posizione scomoda anche la sua, per quanto fingesse di no.
    «Hey,» abbassò le mani solo per evitare di allungarla e scuoterlo violentemente, non voleva picchiare qualcuno già il primo giorno di scuola, «stai impallidendo, Casper.» Se lo stava per giocare definitivamente? Chi cura l'infermiere? Una rapida occhiata in giro per il cortile le suggerì che no, nessuno avrebbe accolto il suo grido d'aiuto nel caso (ammesso e non concesso che l'avesse lanciato, quell'appello). «Respira Che era più facile a dirsi, che a farsi, ma quando Nice asseriva che "gli uomini le morivano dietro", non intendeva letteralmente. «Non sono incinta,» ancora una volta, a bassa voce, ma era necessario ribadirlo, «e non sono qui per te. Se può consolarti, o aiutare a farti tornare di un colorito normale, non avevo idea di chi tu fossi, ieri sera.» Bugia, una bugia grande come il castello. Non sapeva chi fosse attualmente, ma sapeva chi era stato; valeva comunque, no? «Possiamo dire si sia trattato solo di una sfortunata coincidenza.» Non aveva specificato se fosse minorenne, o meno; gli aveva detto di essere una studentessa e i documenti falsificati da Hyde indicavano chiaramente 2003 come anno di nascita; eppure... eppure, una parte di lei, voleva dirgli di stare tranquillo, voleva rassicurarlo di non aver infranto nessuna legge, ma non se la sentiva. Non si fidava di lui. Meglio il suo evidente martirio, che una lei smascherata. «Possiamo comportarci da adulti e fingere che non sia mai successo.» Lei, l'adulta, poteva farla; Dominic? Ecco, aveva risolto il problema alla radice, no? Non doveva saperlo nessuno, né Albie né... chiunque Dominic avesse per amico, in quella vita. Riportò le braccia al petto e, ancora una volta, gli riservò un'occhiata impassibile; Nice non aveva intenzione di rinunciare alla possibilità di prendere i suoi MAGO, né tantomeno avrebbe permesso a Dom di rovinarle l'esperienza (ci avrebbero pensato Swing e Hazel, l'anno dopo) per cui, per come la vedeva lei, Dom aveva una sola possibilità: comportarsi da uomo adulto e andare avanti con la sua vita, ignorandola e ignorando il problema - altrimenti lei gliene avrebbe procurati altri dieci.
    Nice, dal canto suo, la scelta l'aveva già fatta: avrebbe evitato l'infermeria da lì al diploma.
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    No, Dominic non aveva dimenticato chi fosse la ragazza che gli stava di fronte. Non avrebbe potuto, pur volendo, per ovvi motivi. Gli atteggiamenti di lei, così reattiva e sicura di sé in quell’interpretazione da finta offesa, gli fecero schioccare la lingua sotto il palato e socchiudere gli occhi con un sorriso consapevole e soprattutto colpevole. Touché, avrebbe voluto ammettere. Era proprio quel modo di fare che l’aveva incuriosito prima e attirato subito dopo, e poi… tutto il resto. «no» sillabò piano e a bassa voce «non mi sono dimenticato di te» continuò con un sospiro, poi allungò una mano verso il proprio collo, giocò distrattamente con i primi bottoni della camicia lasciati aperti, poi tirò un lembo del tessuto, scoprendo la pelle sotto la clavicola su cui erano evidenti i segni della notte appena passata; segni che andavano dal rosso carico al violaceo e che lasciavano poco spazio a dubbi. Alzò entrambe le sopracciglia e piegò le labbra in un sorriso che aveva un che di ipocrita. Per tutta la conversazione i ruoli erano stati chiari: lei attiva, lui passivo, e che avessero semplicemente replicato i fattacci della sera prima non è dato saperlo, non in queste sedi, comunque, quindi si concesse almeno quell’occasione per ricordare alla Serpeverde, a quella che aveva appena scoperto essere una serpeverde, che erano stati in due a farlo. «ricordo» sentenziò infine con aria, finalmente, serafica, e quando ebbe di nuovo coperto quel lembo di pelle chiuse la stessa mano in un pugno, ma con il pollice indicò il retro: la sua schiena, anche quella portava i segni della sera precedente. Annuì, quindi, incassando anche la successiva ramanzina e spiegazione poco scientifica sull’impollinamento, e assicuratosi che non fosse prossimo a una paternità indesiderata, e soprattutto, che Nice non avesse intenzione di procedere a ricatti vari, convenne: «possiamo comportarci da adulti» ripeté con poca convinzione, ma nonostante avesse molto altro da chiedere e da chiarire, concordò che fosse la cosa migliore per entrambi.
    «comportarmi da adulto» continuò a ripetersi mentre, Nice ormai lontana da lui, raccoglieva i volantini stropicciati da terra e ne studiava il contenuto. Il suo set da barba. Poi la presa di coscienza: «ma io sono adulto» eh kinda, dipende dai punti di vista.

    one year later – may 2021


    Le giornate al castello, nel particolare le giornate in infermeria, erano diventate difficili da reggere. Non solo la scoperta di non appartenere veramente a quel tempo, di aver avuto una vita di cui non ricordava assolutamente nulla, lo aveva mandato in crisi, ma aveva preso consapevolezza del fatto che il suo collega e amico, Dakota, era suo padre. Uno dei due, comunque. Quando riusciva ad accantonare il fatto nella sua testa, nasconderlo in qualche cassetto della memoria e fare finta di niente, riusciva addirittura ad approcciarsi al collega nello stesso modo in cui faceva prima: si scherzava, si rideva, si lavorava, si scommetteva sulle morti più quotate a lezione o alle partite di Quidditch. Ma quei momenti erano ormai sempre più rari e sempre più fugaci. Il più delle volte il Cavendish si limitava a guardare di sottecchi l’ex Grifondoro e ad assumere un atteggiamento difensivo, fatto di nervi tesi e cenni del capo, niente di più. Era inspiegabilmente stanco e sopraffatto, che per una persona come lui – abituata perlopiù a ridere delle cose e nascondere le proprie ansie – significava essere giunto al limite; si stava facendo strada lentamente nella sua testa l’idea di lasciare il posto da infermiere a scuola, poteva tranquillamente andare a lavorare al San Mungo e lì sarebbe stato senza dubbio più semplice far finta di niente e andare avanti, che era l’unica cosa che voleva fare. Sotto sotto era curioso di conoscere le motivazioni, le dinamiche, gli eventi, che avrebbero, anzi che avevano (ormai facevano parte di un futuro passato che non gli riguardava, e che non vedevano lui, Dominic, protagonista, ma solo tale Heathcliff) portato a quei risvolti, ma ancora non così tanto da iniziare a indagare e da entusiasmarsi per la scoperta. Se fosse stato un Julian Bolton qualunque si sarebbe potuto dire che il suo sole si era oscurato, ma comunque Dominic non era mai stato un sole, lui era più una stellina: piccola, lontana e poco illuminata. Non era arrivato a ripetersi davanti allo specchio “Dominic, tu sei una stellina” ma non escludiamo completamente che di lì a poco avrebbe iniziato a farlo per aumentare la sua autostima.
    Gonfiando le guance in un sospiro pesante imboccò l’uscita dell’infermeria con il pacchetto di sigarette già semi aperto e pronto all’uso, l’accendino nell’altra mano. Suo fratello, uno dei due, poi, era un pirocineta, aveva scoperto. L’altro giocava a Quidditch per i corvonero. Come me. Come lui.
    Quando varcò la soglia dell’infermeria, diretto al cortile della scuola, alzò gli occhi solo per rivivere un flashback, ma questa volta senza scontro frontale, perché sia lui che Nice si fermarono a pochi passi l’uno dall’altro. Evitare la Serpeverde non era stato troppo difficile in quell’anno, lei non aveva mai messo piede in infermeria – clamorosamente, visto l’alto tasso di tentati omicidi quell’anno – e lui non l’aveva mai cercata neanche per chiederle se avesse avuto qualcosa a che fare con l’improvvisa sparizione del suo già compianto set da barba. Ignorarla completamente, d’altra parte, era stato piuttosto difficile: quando l’aveva vista passare per i corridoi non aveva mai girato lo sguardo, la mascella si irrigidiva e gli occhi la scrutavano, attenti al più piccolo movimento delle sue forme; quando l’aveva vista fare il tifo alle partite di Quidditch… lì si era costretto a non guardarla. Ci aveva provato. Aveva fallito. La divisa da cheerleader lo metteva automaticamente in tensione, non tanto quanto i non-completini delle ballerine del lilum, ma gli aveva chiesto comunque un impiego di forza di volontà non indifferente per spostare lo sguardo dalla ragazza ai morti (letteralmente) giocatori in campo. Però si erano detti di comportarsi da persone adulte, no? e lui lo stava facendo, benché significasse soffrire, in un certo senso.
    «sono un adulto» ricordò a se stesso come un mantra, cercando di scacciare quei suoi istinti e atteggiamenti ancora troppo adolescenziali per un 23enne o 24enne (siamo ancora molto confusi sull’anno di nascita, ma stiamo lì). E come un adulto si comportò: «non» si fermò a guardarla e deglutì. Cavolo perché doveva essere così difficile essere un adulto e perché tra gli adulti non era accettata l’idea di arrossire e sentirsi ancora in difficoltà con le ragazze, odiava tutto quello. «scappare» concluse alzando leggermente la mano per mostrarle il pacchetto di sigarette tra le dita, poi fece spallucce e accennò un sorriso. «io sto uscendo, quindi se devi andare in infermeria» gli occhi del Cavendish compirono un veloce scan della figura della ragazza nel tentativo di ricercare eventuali infortuni del caso – ma forse era solo una scusa per ammirarla silenziosamente da vicino. «non sarò io a visitarti, c’è…» lanciò uno sguardo oltre la sua spalla all’interno della stanza e socchiuse gli occhi, poi sembrò prendere un respiro profondo «Dakota. Ci penserà lui» e nel concludere si spostò dall’entrata per farle spazio. «io, come le persone adulte, sarò fuori a fumare» sottolineò quell’inciso perché sapeva che lei avrebbe capito l’antifona, e quella era la sua piccola rivincita per avergli negato un anno di dialoghi, di verità e chissà magari anche di qualcos’altro che era tanto piaciuto ad entrambi. E con quello non voleva supporre che tutte le persone adulte fumassero, piuttosto voleva mettere in chiaro che sarebbe stato ancora una volta al gioco – un piccolo gioco crudele – e si sarebbe allontanato dai suoi spazi, perché era quello che facevano le persone adulte, perché era quello che lei gli aveva chiesto di fare.
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    Non riusciva quasi a crederci, Nice, che quel lunghissimo anno stava quasi per concludersi: giugno le sembrava allo stesso tempo vicinissimo e lontanissimo, un po' perché finalmente avrebbe lasciato Hogwarts e un po' perché oh mio dio avrebbe lasciato Hogwarts!
    Nonostante le lezioni, nonostante i compagni ingrati e traditori, nonostante il Quidditch non promettesse alcuna gioia, nonostante tutto: era arrivata incolume alla fine dell'anno e poteva iniziare a respirare.
    I M.A.G.O., che la ragazza desiderava così ardentemente sebbene in molti non comprendessero il perché, erano vicinissimi – così come vicina era la fine di quella farsa: una volta dismessa la divisa verde-argento, avrebbe potuto finalmente tornare a vestire i panni di Nice, quella vera; non che per l'ultimo anno e mezzo avesse finto di essere qualcuno di diverso dall'originale, certo, ma poter tornare a fare l'adulta nel mondo degli adulti sarebbe stato un piacevole cambiamento. O, quanto meno, sarebbe stato completamente diverso dalla prima volta che aveva dovuto, suo malgrado, abbandonare la scuola e crescere tutto insieme, pur non essendo pronta.
    Essere “adulta” comportava moltissime responsabilità, ma lei era pronta ad assumersele una per una, persino in una società magica poco familiare e poco favorevole, pur di poter finalmente trovare se stessa: aveva le idee chiare, la Hillcox, sapeva dove voleva arrivare ed era certa che ci sarebbe arrivata più prima, che poi. Se avesse potuto tornare indietro, probabilmente non si sarebbe spinta così oltre per conseguire i M.A.G.O., non avrebbe mentito sull'età per dirne una, ma per quanto disastrosa sotto certi versi si fosse rivelata quell'esperienza, fingere per qualche mese di essere nuovamente adolescente era stato... piacevole. S'era sentita spensierata e leggera come non succedeva da fin troppi anni – da quel maledetto giorno che le aveva portato via suo padre. Tornare a vestire una divisa (troppo corta), inneggiare la sua squadra (di perdenti), sparlottare tra una lezione e l'altra con Indie, aggiornarsi sugli scoop scolastici e alimentare alcuni delle voci che erano circolate ultimemente... era stato tutto molto divertente, una parentesi piacevole che non le aveva però fatto perdere di vista il suo obiettivo, il suo scopo. Nice Hillcox era destinata a grandi cose (lo diceva lei e nessun altro.) e avrebbe avuto modo e maniera di dimostrarlo, fuori dal castello.
    Incastrata ormai in un tempo non suo, costretta a osservare in disparte mentre la vita dei suoi genitori e di sua sorella si dispiegava ignara del futuro che l'attendeva, senza poterli avvicinare o interagire con loro perché come spieghi a tua madre che sei la sua secondogenita non ancora nata e che vieni da un futuro dove ha prematuramente detto addio a suo marito e dove non c'è una gioia nemmeno a volerla pagare senza rompere il continuum spazio-temporale o tutte quelle stronzate lì? Ma soprattutto, senza distruggere il tuo stesso cuore? Era più facile rimanere in disparte, piangere lontano da occhi in discreti e mai troppo spesso, per carità, fingere che l'avere gli zomeron a portata di mano e non poterli davvero abbracciare non la toccasse fin nell'anima, pigiando su tutte le corde – e i nervi – possibili, piuttosto che avvicinarsi a loro e ricevere sguardi confusi, incerti, diffidenti, tipici di chi non credeva ad una singola parola di ciò che gli veniva detto. L'idea di avvicinarsi a loro ed esser trattata come una sconosciuta le provocava dolore fisico: il duemilaventuno faceva abbastanza schifo, sotto questo punto di vista, ma era uno dei contro che i cugini avevano considerato prima di prendere quella decisione e tornare indietro nel tempo. Certo, nessuno dei due era al corrente del fatto che l'altro stesse tramando per rendere la loro visita nel passato permanente ma quanto meno erano coscienti, ciascuno a suo modo, del fatto che in qualsiasi futuro avessero fatto, idealmente, ritorno non sarebbe stato mai il loro presente. Fottutissimi viaggi nel tempo, uh? Dovevi essere disposto a fare delle scelte, a compiere dei sacrifici, e non potevi neppure farlo a spese altrui: dovevi essere te a mettere in gioco quanto di più caro al mondo, e vivere con le conseguenze delle tue azioni.
    Per sua fortuna, Nice non era una che amasse perdere il tempo piangendosi addosso, o rimpiangendo azioni passate: la ragazza faceva qualcosa solo ed esclusivamente se era certa al cento percento di volerlo fare, di poter convivere con ciò che ne sarebbe conseguito, per quanto doloroso o duro o spiacevole potesse essere. Persino la scelta di abbandonare la scuola la prima volta, per quanto sofferta, e nonostante i rimpianti inevitabili che essa aveva comportato, rimaneva comunque una scelta che la Cox-Hill avrebbe fatto ancora e ancora e ancora, perché era la cosa giusta da fare.
    Guardando Albert assorto nei suoi pensieri, la testa china sull'ennesimo libro, si domandò distrattamente se lui se ne fosse mai pentito: di aver lasciato Hogwarts per essere vicino ai suoi genitori, di non aver fatto di più per impedire alle gemelle di partecipare alla missione, di aver scelto di partire lui stesso e rimanere incastrato nel passato. Non riuscì a trovare una risposta, Nice, e avvilita si lasciò cadere contro la seduta di legno, le braccia incrociate al petto. Ultimamente non riusciva più a leggere così chiaramente nei pensieri di Albert, con o senza magia: che l'Occlumante migliore, tra i due, fosse il biondo non era nemmeno lontanamente messo in discussione, sebbene la ragazza non avrebbe ammesso la cosa neppure sotto Maledizione Cruciatus – eppure, a conti fatti, non le era mai servito ricorrere alla Legilimanzia per leggere dentro Albert. Tra loro non c'erano segreti – tra nessuno di loro, in realtà: succedeva quando crescevi con un numero spropositato di cugini e parenti vari come il loro, imparavi ad accettare il fatto che non importava quanto discreto o bravo tu fossi, non saresti mai riuscito a tenere un segreto da tutti loro. Qualcuno lo veniva sempre a scoprire e finiva con il rivelarlo a tutti i familiari.
    Ma tra Al e Nice quel problema non c'era mai stato: il serpeverde era l'unico che potesse dire di conoscerla davvero davvero, l'unico a cui lei non avesse mai tenuto un segreto... beh, un grande segreto, ecco. Eppure, in quell'ultimo periodo (che andava avanti da.......tanto tempo.) sentiva che c'era qualcosa che non le diceva, così come sapeva benissimo di dover vuotare anche lei il sacco su una Questione di cui aveva discusso, mai troppo apertamente, solo con Chelsey. Ipocrita come poche, la Hillcox un po' ce l'aveva su con suo cugino per quel segreto che, come diceva una saggia, lo shentiva essere lì, tra loro due, a pesare su quel rapporto che richiedeva estrema fiducia e onestà: ma d'altra parte, era pronta a liberarsi lei stessa dei suoi segreti?
    «...nope»
    Forzò un sorriso sulle labbra perennemente cremisi in direzione del singolo sopracciglio di Albie, svettato poiché improvvisamente disturbato nella lettura. «Niente, mi sono ricordata di dover...» arrivata a quel punto, una bugia in più o una in meno non le cambiava davvero la vita, «le... divise.. per la semifinale.» Non voleva dirgli che preferiva allontanarsi da lui prima di mettergli le mani al collo e strangolarlo affinché le dicesse cosa cazzo le teneva nascosto. Doveva mantenere la calma, non avevano più dieci anni e non si trovavano nel giardino della villa di zia Dee, nascosti da sguardi indiscreti. Però se fosse rimasta un secondo di più lì, a tentare di forzare quei pensieri che non ne volevano sapere di arrivare a lei, sarebbe esplosa. «Ci vediamo a cena.» Ce la faceva a reperire un po' del Veritaserum della Queen per spacciarlo nel succo di zucca del cugino? Mh.
    Ma no, per quanto l'idea fosse allettante – e il non sapere stressante e decisamente non buono per la sua pelle – era grande abbastanza da sapere che c'erano persone con cui poteva concedersi certi sotterfugi (tipo Costas, lui poteva bullizzarlo in qualità di maggiore, ciao Costy) e quelle con cui doveva assolutamente evitare. Anzi, quella. Albert era l'unico che meritasse il suo rispetto, e Nice non avrebbe rovinato l'ultimo rapporto con la sua famiglia che le fosse rimasto in quel tempo, in quella vita. Ma sperava davvero che suo cugino decidesse di aprirsi con lei il prima possibile perché Nice aveva la pazienza di Zoe Cox, quindi non molta, sebbene fingesse di essere estremamente zen e paziente.
    Aveva bisogno di sfogarsi, di parlare con qualcuno di qualcosa che non fosse il suo bastardissimo cugino pieno di segreti segretissimi, ma senza Chelsey al Castello, e Indie impegnata con la sua chitarra, non aveva davvero molte opzioni. Poteva mandare Belladonna ad importunare Ams e richiamare la sua attenzione, i racconti della bionda sulle sfighe del corpo studentesco di Hogwarts la mettevano sempre di buon umore, ma era già ben lontana dalla Sala Comune - e non aveva la gatta con sé - e molto più vicina all'infermeria di quanto non fosse stata in quell'ultimo anno.. poteva andare a chiamarla di persona.
    Poteva chiudere la distanza e varcare la soglia alla ricerca della ex-Corvonero, a testa alta e con nonchalance, ma aveva resistito fino a quel giorno, non avrebbe ceduto a maggio, per le doppie punte di Morgana!!!
    Lei e Dominic avevano fatto un patto (ah davvero?) e, egoisticamente, Nice non voleva essere la prima a venire meno alla parola data – beh, circa. Lei aveva fatto la sua parte, s'era fatta medicare in sala comune dopo i duellanti, pur di evitare l'infermiere, e aveva con cura eluso lo sguardo chiaro dell'altro nelle situazioni che li avevano visti inevitabilmente nella stessa stanza. Certo, più di una volta non aveva resistito e l'aveva provocato ma mai in maniera troppo palese: se sgambettava durante una partita, e alzava la gonnellina della divisa un po' più del necessario, stava semplicemente facendo il suo dovere di cheerleader, no?! Non cercava per forza di attirare l'attenzione del biondo.
    Eppure.
    Eppure.
    L'argomento Dominic Cavendish era qualcosa che Nice non affrontava apertamente, un po' perché non c'era molto da dire e un po' perché non c'era molto che volesse dire: s'era divertita (parecchio) e non nascondeva d'aver pensato più di una volta di replicare gli avvenimenti di quella famigerata notte, per capire se fosse stato un caso o se fosse così sempre, e anche (soprattutto) perché Heath – no, Dominic non gli era uscito dalla testa dopo quella che aveva sostenuto con veemenza essere “una botta e via”. Da qualche parte, nascosto da commenti poco carini e un animo apparentemente gelido, aveva un cuore anche lei e quel bastardo (probabilmente non funzionava a dovere) continuava a battere sempre un po' troppo velocemente quando l'infermiere era nei paraggi. Vero, le batteva forte forte anche quando vedeva un paio di Jimmy Choo o una borsetta Chanel nuova di zecca, ma per tutte e tre le cose rimaneva valido il fatto che Nice non poteva permettersele. Dominic era stato un divertimento piacevole – molto. - e una conquista che in altri tempi, in un'altra vita, avrebbe sventolato sotto il naso delle sue cugine... ma non in quel momento. Nice, un po' come Paganini, non si ripeteva e non si concedeva mai due volte alla stessa persona; e poi, Dominic aveva scritto errore a caratteri cubitali, sulla fronte e un po' ovunque, onestamente.
    Per quanto la stuzzicasse l'idea di provarci, di vederlo cedere per la seconda volta, non aveva mai dato retta alla vocina che le suggeriva di farlo e aveva tentato di mantenere calma e compostezza, pur senza dimenticare di essere una Nice di tanto in tanto.
    In ultimo, ma non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, temeva che Dom l'avrebbe odiata se mai fosse venuto a conoscenza delle sue bugie: come avrebbe reagito nello scoprire che lei sapeva esattamente chi fosse (stato), quando lo aveva avvicinato? Se avesse scoperto che per tutto quel tempo, aveva taciuto una verità che forse Dom si meritava? Ma non era compito suo, non stava a Nice decidere quando sganciare la bomba – o sganciarla e basta, punto. Dominic era un ragazzo sensibile, giusto, anche se un po' fessacchiotto, e per quanto stronza, la Hillcox non se l'era sentita di infierire troppo. Aveva preferito nascondere certi timori e certe titubanze dietro una finta facciata menefreghista, pronta a farsi desiderare da lontano pur sapendo che non avrebbe potuto cedere. Meglio fargli credere che fosse una ragazzina con cui aveva compiuto un grande errore, per debolezza e per solitudine, e niente più; lei poteva convivere tranquillamente con le sue menzogne.
    O, almeno, così aveva cercato di convincersi.
    E infatti: «non scappo.» Era figlia di sua madre, dopotutto. «Mai.» Se si era aspettata di incontrare Dom, quel giorno? Beh, era nei pressi dell'infermeria che valutava se entrare a cercare Amalie o meno, direi che il rischio di beccare il Cavendish era molto più che una possibilità. E lei lo sapeva.
    Ma trovarselo davvero davanti, vìs-a-vìs era tutto un altro paio di maniche.
    Aveva decisamente bisogno di una distrazione, e Hogwarts non ne offriva molte (che fossero legali), dannazione.
    «Non sono qui per una visita.» E l'idea di farmi visitare da...... tuo padre, ew, Dominic. Ew. Ma non diede voce a quell'ultimo pensiero, limitandosi ad un'espressione contrariata – quella che capeggiava sul suo volto di default – e a portare le braccia ad incrociarsi al petto; un gesto meccanico, di automatica difesa: era pronta al diverbio, ma non avrebbe concesso terreno, né avrebbe perso.
    Purtroppo era fatta così, Nice, non riusciva a non passare direttamente sulla difensiva quando sentiva di non avere il controllo della situazione, era il suo modo per limitare i danni: infondo, se fosse dipeso da lei avrebbe trascinato Dominic nel primo stanzino libero per togliersi quell'ennesimo sfizio, per zittire il tarlo che la implorava di riprovarci, di comprovare quella teoria... ma sapeva di non poterlo fare. Così piantò saldamente i piedi nel terreno (metaforicamente parlando, erano sul corridoio di pietra e anche se fosse stata erba, non avrebbe rovinato le sue bellissime scarpe.) e si obbligò a rimanere impassibile, mentre osservava Dominic osservarla.
    «Le persone adulte non sottolineano di essere adulte.» Lo sguardo le cadde sul pacchetto stretto tra le dita, chissà se era una scusa perché aveva percepito (del potenziale.) la sua presenza in avvicinamento e aveva tentato una fuga disperata o se era davvero... un caso che si fossero incontrati. Ma Nice non credeva in quell'ultima nozione e per lei ogni cosa dipendeva fortemente dalle azioni di ciascuno, era troppo facile dare la colpa al “fato”; e, infondo, non era una possibilità così remota quella di incontrare un infermiere. Fuori dall'infermeria scolastica.
    Well...
    «Non lo sai che il fumo è una delle maggior cause di calvizia?» era vero? Quasi certamente no, il fumo portava a problemi molto più grandi ma, «e rende la barba ispida. E meno folta.» le piaceva divertirsi anche così. Mosse qualche passo, nella giusta misura per avvicinarsi al ragazzo pur rimanendo a distanza, e dopo un brevissimo momento in cui nessuno dei due fiatò, ne fece un altro paio e gli diede le spalle. «Sarebbe un peccato poi non poter utilizzare i tuoi bellissimi set da barba.» Un accenno di sorriso curvò le labbra carnose della Hillcox. Proprio non era riuscita a resistere... dal rubare il set di Dom, mesi prima? Dal fare una semplice battuta? Chi lo sa.
    Chi lo sa.
    MARINA @MarinaDiamandis
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    Per quasi un anno si era ripetuto nella testa come un mantra di essere un adulto, l’aveva ribadito a voce alta in quel corridoio sotto le iridi verdi giudicanti di una Berenice in divisa scolastica, e tuttavia non si comportava da tale. Se fosse stato un vero adulto avrebbe fatto finta di nulla, ingoiato il rospo con una risatina complice, e sarebbe uscito in cortile per fumare la sua sigaretta proprio come aveva appena annunciato, ma invece rimase fermo a pochi passi dall’entrata dell’infermeria, la sigaretta ancora spenta tra le dita e lo sguardo un po’ troppo attento ad indugiare, colpevolmente, sulla figura della Serpeverde. Saggiò l’interno della propria bocca con la lingua e poi piegò la testa di lato con un sorriso amaro: non era vero che non lei non scappava, era scappata in occasione del loro primo incontro, lasciando il Cavendish guardarla rivestirsi in tutta fretta dal proprio letto, ed era scappata il giorno immediatamente dopo, quando aveva glissato su tutta una serie di – doverose – domande che avevano assalito l’infermiere quando l’aveva ritrovata tra i corridoi del castello in veste di studentessa. «bugia» decretò alla fine con tono non troppo inquisitorio e neanche ostile, ma anzi quasi accomodante, così come la successiva aggiunta – questa sì, un po’ una provocatoria. «una delle tante, no?» alzò il sopracciglio sinistro e l’angolo delle labbra in un sorriso storto, nascondendo sotto i baffi, anzi la barba!, una risata quasi divertita. Sapeva di godere di un piccolo vantaggio in quella situazione; perché era vero che era andato – a quanto pareva – a letto con una minorenne di cui sapeva poco e nulla, e aveva già fatto i dovuti mea culpa e si era flagellato a sufficienza, ma in fin dei conti non era stato lui a mentire, e poi avevano raggiunto un accordo di mutuo silenzio sulla vicenda, e per quanto non si fidasse pienamente di lei, aveva capito (ogni tanto il suo animo da corvonero usciva fuori, strano ma vero) che per arrivare a quella decisione doveva avere da perdere molto più lei di lui, quindi poteva permettersi di giocare un po’ sull’argomento. Non era sempre stato così. C’era stato un momento – subito dopo il fattaccio – in cui Dominic aveva cercato a tutti i costi di capire, di raccogliere informazioni e dettagli utili per riempire tutti quei buchi che il racconto di Nice aveva lasciato scoperti, per sapere chi fosse veramente e se doveva preoccuparsi; c’era stato un lungo periodo in cui si era preoccupato di quello che era successo, per se stesso, ma anche e soprattutto per la ragazza. Si era chiesto più volte se fosse stato giusto lasciarsi abbindolare così facilmente, cedere così velocemente a qualche provocazione, e soprattutto si era dannato più e più volte per tentare di cavare dai suoi ricordi una ricostruzione neutra della serata, e non una che fosse alterata dall’alcool, per stabilire se avesse commesso o meno un errore e se avesse interpretato male alcuni segnali, e anche se lei fosse stata davvero pronta. Si era sentito terribilmente in colpa per un lungo periodo, e sentiva quella stessa sensazione riaffiorare e crescere in lui ogni volta che la incrociava in un angolo qualsiasi del castello, ogni volta che assisteva alle partite di Quidditch, quando alla fine di ogni lezione, facendo la conta dei morti feriti in infermeria, cercava con una certa apprensione anche il viso di lei, un po’ preoccupato ma soprattutto quasi desideroso di poterla vedere di nuovo da vicino, in alcuni casi addirittura speranzoso di poter essere lui a sanare eventuali sue ferite. E per un po’ l’aveva detestata per questo, per come lo aveva fatto sentire, poi, un po’ complici le neanche troppo velate continue provocazioni di lei, un po’ il sopraggiungere delle sconvolgenti notizie sulla sua vera identità, sul suo passato (futuro), quel sentimento era andato via via scemando, passato in secondo piano. In quel momento, anzi, quasi sembrava volersi aggrappare a quell’incontro (neanche troppo) casuale per evitare di soccombere di nuovo sotto il peso dei pensieri che lo opprimevano in infermeria e che riguardavano Heathcliff, Dakota, il 2043, i fratelli, il futuro, l’altro universo, le leggi di Gamp, qualcosa che faceva tornare in vita i morti, e tutto quello che aveva blaterato Hunter sulla ruota panoramica mentre lui era troppo impegnato a cercare di non vomitargli sulle scarpe per capire veramente e collegare i puntini fra di loro; avrebbe potuto comportarsi da adulto quale professava di essere e andarsene, ma aveva bisogno di una distrazione in quel momento, e nonostante si sentisse in colpa ad ammetterlo, Nice era una bella distrazione.
    La guardò solo per un attimo, in modo fugace ma non per questo meno attento, incrociare le braccia sotto il seno e si sentì stupidamente tornato un adolescente con le guance che avvampavano, quindi svagò subito dopo con lo sguardo, puntando le iridi azzurre prima sull’ambiente circostante e solo alla fine di nuovo sul viso della Serpeverde. «in verità le persone adulte» si schiarì leggermente la voce e si guardò attorno per evitare che ci fossero nei dintorni occhi e orecchie indiscreti, poi mosse qualche passo in sua direzione per abbassare la voce e continuare «non fingono di essere adulte solo per- portarsi qualcuno a letto; stare così vicino alla ragazza era più difficile di quanto in realtà pensasse e stava per pentirsi di tutto, come al solito, mentre sentiva la fragranza del suo profumo proprio sotto al suo naso -farsi offrire da bere nei locali» alla fine era riuscito a fare la sua chiusura degna, a piazzare anche lui un punto in quel lungo match, laddove invece durante il loro ultimo incontro era stata perlopiù la ragazza ad aggiornare il punteggio con un parziale nettamente favorevole – come un Man City qualsiasi che ne segna 5 all’Arsenal ah ah ah fa ancora molto male. Fece subito dopo dietrofront, tornando a mettere tra di loro la debita distanza di sicurezza per evitare di dare un’impressione sbagliata dall’esterno (chiunque sarebbe potuto uscire dall’infermeria in quel momento e nonostante Hogwarts non si lasciasse sconvolgere così tanto dalle relazioni – clandestine o meno – al suo interno tra professori, studenti, assistenti, e vari ed eventuali, il Cavendish sentiva comunque di essere dalla parte sbagliate, e soprattutto di sentirsi terribilmente a disagio sotto occhi sconosciuto e/o indiscreti), e per evitare che il suo sguardo si attardasse troppo a studiare i lineamenti della ragazza da vicino. Sebbene non fosse facile per lui comportarsi da adulto, ci stava provando ed era uno sforzo che andava apprezzato, anche perché non era affatto facile visto che intanto continuava ad ricoprire il ruolo di topo in quella caccia al topo che Nice aveva iniziato – e probabilmente non avrebbe mai terminato, troppo divertita dall’avere il controllo della situazione in mano.
    «per quello non c’è problema» la calvizie e la barba ispida, intendeva «uso abbastanza balsami per prendermene cura a dovere» e oh insomma non era la più virile delle confessioni ma era giusto così, l’infermiere era infinitamente fiero dell'attenzione e della dedizione che metteva nella cura della sua chioma e della sua barba, e nonostante fosse stato deriso più di una volta – da ragazze e ragazzi – per questo, sapeva che prima o poi avrebbe trovato qualcuno che avrebbe apprezzato le sue gesta, duh!
    Non voleva farlo, si stava costringendo a non farlo, ma quando Nice gli diede le spalle, i suoi occhi percorsero automaticamente tutta la lunghezza della schiena di lei, fermandosi alla base per poi proseguire lentamente oltre; con questi – proibiti – pensieri in testa, Dominic si era giustamente perso dei passaggi. Le parole di Nice gli erano arrivate forti e chiare alle orecchie, ma solo dopo un po’ riuscì a cogliere l’antifona: il suo amato e già compianto set da barba, misteriosamente scomparso dopo che erano stati a letto insieme. «eH?!» quasi sconvolto, scosse velocemente la testa e scattò in avanti, piazzandosi questa volta senza timore alcuno (oddio, non esageriamo, è pur sempre Dominic, ha comunque timori continui) a poca distanza dalla figura della studentessa e abbassando lo sguardo su di lei, confuso ma deciso. «l’hai preso tu?» non ci fu bisogno di specificare cosa o di quale set da barba parlasse, sapeva che Nice avesse usato il suo bagno, sapeva che doveva aver per forza visto quel pezzo più unico che raro e sapeva anche quanto facesse gola (a chi.) a tutti averlo in casa propria o rivenderlo, e i suoi sospetti sulla ragazza non si erano mai davvero placati, piuttosto erano andati sempre infittendosi. «l’hai venduto?» sperava di no «sai che sei passabile di denuncia? Mio padre» che non era il vero padre, ma fu mosso dalla forza dell’abitudine «è un uomo potente, puoi andare ad Azkaban per questo» sounds fake ma era difficile per lui mentire così su due piedi, o inventare, o peggio ancora dispensare minacce; un po’ per l’accumulo di ritrovata rabbia (per il suo set scomparso) mista a tensione, un po’ per la fatale vicinanza alla Hillcox, le guance tornarono a colorarsi di rosso, le sopracciglia si piegarono verso l’interno, e le labbra furono serrate in una sottile riga di color rosa su un viso invece quasi paonazzo, nella tipica espressione di un… pulcino arrabbiato?!
    play @dumb
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    in a getaway car
    berenice hillcox
    Imperturbabile.
    Così si dimostrò la Hillcox sotto l'accusa - non infondata – dell'infermiere Cavendish; una statua di marmo il cui viso, perfettamente truccato, non dimostrava emozione alcuna. Una maschera sapientemente costruita negli anni che oramai la Serpeverde indossava ogni mattina, un accessorio importante e indispensabile al pari della divisa e del rossetto ciliegia.
    Anche quando dentro di lei si agitavano mille emozioni, cercava di rimanere stoica e di mostrarsi poco toccata da quanto le accadeva intorno – o, in alternativa, da quanto le veniva detto. Come in quel caso specifico: le parole di Dominic, il rimprovero di aver mentito, non la toccarono minimamente. Si limitò a stringere, di poco, le braccia al petto e a sollevare in maniera impercettibile le spalle. E se anche avesse mentito? Era la parola di Dominic contro quella di Nice. Non gli diede la soddisfazione di rispondere, lasciando che le labbra si curvassero in un sorriso calmo – e di circostanza. Non parlò, lo osservò avvicinarsi da sotto le fitte ciglia, le iridi azzurre a studiare ogni minimo dettaglio di quel volto che aveva avuto (il piacere e) l'opportunità di guardare per l'ultimo anno e mezzo; un viso che, tutto sommato, non le dispiaceva affatto. Involontariamente, quei pensieri ammorbidirono l'espressione – di poco, un nonnulla, qualcosa che solo un osservatore attento (o un Albert) avrebbe potuto percepire. Lo lasciò invadere il suo spazio personale, solo in parte delusa dal modo in cui Dom cercava in tutti i modi di mantenersi a distanza; in parte, invece, la stuzzicava l'idea che quel gioco di rincorrersi fosse ancora in piedi e lontano dal considerarsi terminato.
    «Chi ti ha detto che fosse finzione Buttata lì con estrema nonchalance, una battuta che avrebbe potuto sembrare tale – ma non lo era. Dopotutto Nice era stata sincera: aveva detto a Dominic la verità... beh, non tutta, ma buona parte. Gli aveva detto di essere maggiorenne, e all'inizio di un nuovo percorso e non aveva mentito: aveva solo tralasciato qualche piccolo dettaglio. Ma non aveva raccontato una balla, per una rarissima volta nella sua vita. E ora non poteva dimostrare il contrario perché, infondo, non era nell'interesse di Dominic Cavendish conoscere alcuni particolari della sua vita. Magari un giorno gli avrebbe confessato tutto – ma lo trovava alquanto improbabile: a Nice piacevano i suoi segreti e tali voleva mantenerli. Non elaborò ulteriormente le sue parole, dunque, mantenendo il contatto visivo con il ragazzo, mentre quest'ultimo si allontanava da lei. Peccato. Ne studiò ancora un po' i lineamenti, ne seguì il movimento e la curva del collo, le spalle larghe e i muscoli che si intravedevano sotto la camicia attillata; okay, aveva decisamente bisogno di una distrazione. E subito. Optò così per il cambiare argomento, passando alla potenziale calvizie prematura qualora avesse continuato ad assecondare quello stupido vizio del fumo – una scusa come un'altra per guadagnare qualche secondo e ricomporsi. Non la preoccupò la sua reazione, al contrario la accantonò con un ghigno vagamente divertito, passando oltre.
    L'avrebbe volentieri lasciato così, confuso e abbandonato, diretta verso l'infermeria a cercare Amalie (e questa volta per davvero) - ma lui le si piazzò davanti e la costrinse ad arrestare la camminata. Un sopracciglio svettò con disappunto, e Nice portò una mano sul fianco, nella posa di chi non ne voleva sapere di essere trattenuta ulteriormente. (Spoiler: in realtà ci aveva sperato, ma non lo avrebbe di certo ammesso.)
    Gli domandò cosa desiderasse, solo con lo sguardo e senza proferire parola, poi lo osservò impassibile mentre lui le propinava una serie di domande – ancora una volta, le accuse non la preoccupavano né le facevano venire improvvisamente voglia di confessare. «Preso io cosa Uno sfarfallio di ciglia, l'espressione innocente di chi non ha assolutamente colpe. «Non so di cosa parli, mi dispiace.» Oh, forse invece lo sapeva benissimo. Però non era disposta ad ammettere le sue (eventuali e non dimostrabili.) colpe, perciò mantenne serafica il controllo sui muscoli del viso e non lasciò trasparire nulla, se non la vaga e confusa espressione di chi è stato colto alla sprovvista. Espressione che sparì quando, incapace di resistere, roteò visibilmente gli occhi al cielo – verso l'infinito ed oltre. «Esagerato.» Schioccò la lingua sul palato, un po' divertita e un po' preoccupata dal quanto seriamente Dominic avesse preso la cosa. «Dubito che al ministero abbiano tempo per processi di così poco conto A chi fregava di set da barba da collezione quando c'erano ribelli in giro pronti a destabilizzare l'intero sistema magico da un momento all'altro?
    L'intensità con cui Dominic cercò di dimostrare il suo rincrescimento, e quella smorfia vagamente arrabbiata su un viso davvero troppo carino per risultare credibile, la divertirono più del dovuto e le strapparono, suo malgrado, un sorriso. «Mi dispiace per la tua perdita.» Non avrebbe dovuto farlo ma lo fece comunque: portò una mano a posarsi sul bicipite dell'infermiere nel rivolgergli quelle finte condoglianze, e li la fece riposare per qualche istante. «Con il tempo supererai anche questa.» Si stava divertendo più di quanto fosse lecito. «Sii forte.»
    E gli diede un paio di colpetti, facendo indugiare la mano solo un attimo di più, prima di abbassarla di nuovo. «Ci sono cose ben peggiori da affrontare al mondo.» Tipo la rabbia ingiustificata (e abbastanza fastidiosa.) di un Mort Rainey durante gli allenamenti senza cedere al desiderio di tirargli un bolide in faccia(fosse stata la rabbia di Birch l'avrebbe anche compresa - il povero bistrattato Birch. Un fessacchiotto. Ma Mort quali scuse aveva, a parte l'adolescenza?) - o accettare il fatto di non poter avvicinare i tuoi genitori per non danneggiare irreparabilmente il futuro (se quella era solo una stronzata da nerd propinata da Arturo Maria Hendrickson, Nice l'avrebbe fatto fuori) e via dicendo.
    Quei pensieri la portarono a chiedersi se Dom fosse già venuto a conoscenza di certi segreti... Chelsey non le aveva raccontato nulla - e la Hillcox non aveva chiesto per non dimostrarsi interessata.
    Eppure, lo era.
    Decise tuttavia di non cedere alla curiosità e di non indagare, nella speranza che l'espressione non avesse tradito i suoi intenti e fosse rimasta abbastanza neutrale agli occhi dell'infermiere. «Avresti dovuto fare più attenzione.» Al set da barba? Alla situazione? A lei?
    Le scelte erano varie – e tutte abbastanza giuste.
    Chi lo sa.
    MARINA @MarinaDiamandis
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    Non era scaltro, di certo non poteva vantare di conoscere i sotterfugi e i segreti con cui gli altri ragazzi portavano le ragazze a far loro le confessioni più private e a farle dire esattamente quello che desideravano, e non sapeva pizzicare le corde giuste, ma quella volta pensava, anzi sperava, conscio della sua situazione di vantaggio, di aver messo in difficoltà una volta e per tutte la serpeverde; eppure si crucciò nel constatare che invece tutto quello che trapelava dallo sguardo della ragazza e dai suoi movimenti era tranquillità.
    Di norma non si sarebbe stupito nel trovarsi a disagio di fronte a una ragazza, gli capitava spesso di sentirsi in difetto e quasi intimorito – saperci fare alla prima impressione non era una delle sue migliori qualità – ma in quella specifica situazione quella sensazione sembrava quasi provocargli fastidio. Non capiva per quale motivo per un anno intero fosse stato solo lui quello a porsi innumerevoli interrogativi, a crearsi mille problemi, a tentare a tutti i costi di evitare di incrociarla, a desiderare sì, ma comunque non cercare il suo confronto, mentre da parte sua Nice appariva totalmente indifferente.
    A differenza della minore, Dominic non era bravo a nascondere le sue emozioni, si stampavano sul suo viso in un’espressività esageratamente teatrale e quasi comica: la confusione gli faceva corrugare la fronte, la rabbia gli faceva serrare la mascella, donando un’innaturale durezza ai lineamenti altrimenti dolci del suo viso, e la curiosità gli faceva rimpicciolire gli occhi, aguzzare lo sguardo alla ricerca di una precisa reazione che poteva dargli qualche indizio; erano tutte reazioni che Nice poteva facilmente individuare sul suo volto, leggerle, e dargli un nome ben preciso. Ma più di tutto, quello che lo rendeva veramente nervoso e trovava difficile se non quasi impossibile da nascondere era quella crescente ammirazione che gli impediva di staccarle gli occhi di dosso, gli curvava le labbra in un sorriso intrigato, e gli faceva tendere le orecchie in attesa di ascoltare ancora quello che aveva da dire, che fossero provocazioni o insulti vari alla sua persona.
    Piegò leggermente la testa di lato, convenendo con un pensiero che solo nella sua mente era stato reso esplicito, ma che gli fece ugualmente colorare leggermente le guance «beh, effettivamente troverei un po’ offensivo sapere che fosse tutta finzione» ammise comunque ad alta voce, ma subito dopo si schiarì la voce e alzò il mento per guardare la serpeverde dall’alto, provando a sfruttare quella differenza di altezza per darsi un’aria più convincente. «e quindi cos’era?» chiese con un’alzata di spalle, e nella domanda dell’infermiere non era nascosta alcuna provocazione, ma la sincera volontà di conoscere finalmente la verità.
    Durante il loro primo incontro le aveva chiesto chi era, il giorno successivo, scoperto l’inganno, le aveva posto ancora una volta la stessa domanda, ma non le aveva mai chiesto cosa era quella situazione, cosa significava per lei, e perché l’avesse fatto; in quel momento le stava dando l’opportunità di liberarsi di quel peso ed essere davvero sincera con lui, ed egoisticamente sperava anche di poter soddisfare il proprio interesse e rispondere a qualcuno dei suoi interrogativi, e perché ne aveva abbastanza di misteri e cose che gli venivano tenute nascoste, e perché credeva di meritare qualcosa di più di una risposta ironica dopo tutto quel tempo.
    «perché quello che mi hai detto non combacia con» agitò la mano davanti al viso in un gesto vago, poi si guardò intorno, facendo saltare lo sguardo dalle mura fredde di Hogwarts alle armature ornamentali che abbellivano i lati del corridoio, fino a posarsi definitivamente di nuovo su Nice, sulla divisa verde-argento che indossava e definiva il suo status da studentessa «questo!» aprì il palmo della mano, puntando esattamente ai colori della casata stampati sulla cravatta, ma quando abbassò lo sguardo si rese conto che le dita in realtà sfioravano la camicia della serpeverde in corrispondenza del suo seno. Rimase con le labbra dischiuse, boccheggiando in cerca di una risposta che non arrivò mai, perché riuscì ad articolare solo vaghi suoni gutturali mentre sentiva il viso avvampare inevitabilmente fino alla punta delle orecchie; per quanto sbagliato e becero lo considerasse, indugiò più di quanto avrebbe voluto con lo sguardo, e rialzare gli occhi fu più difficile del previsto. «non… questo…» con la mano evidenziò ancora una volta le forme della ragazza – maledicendosi ancora mentalmente «cioè… hai capito.» sapeva che se avesse continuato a parlare e a cercare di spiegarsi avrebbe soltanto peggiorato la situazione e si sarebbe reso ancora più ridicolo, quindi passò a lei, più recettiva e risolutiva, la patata bollente di sintetizzare il suo gesto.
    Che poi non c’era niente da imputargli in quello che aveva appena fatto. Non aveva mai nascosto, né con le parole, né con i gesti, né con le azioni, l’interesse – perlomeno fisico – nei confronti di Nice, aveva solo cercato di essere corretto, di non compiere nuovamente un errore di cui avrebbe potuto pentirsi, ma l’attrazione era innegabile – e chiametelo scemo, scusate tanto. Anche per questo tornò sui suoi passi, e soprattutto per questo fu incredibilmente difficile starle di fronte e far finta di nulla, anzi cercando di riacquisire il naturale pallido colorito del viso e le fattezze minacciose di un uomo offeso e ferito nell’animo. Quindi sbuffò e alzò gli occhi al cielo «non sei divertente» le fece notare, ma sebbene cercasse di mantenere una certa serietà nel tono di voco, la curva delle sue labbra tradiva un leggero sorriso. Non perché ritenesse la questione priva di importanza, sia mai, la scomparsa del suo set da barba aveva consumato tutte le sue (lacrime.) forze per un lungo periodo, e continuava a essere un tasto dolente per l’infermiere, ma perché notava del sadico divertimento nelle parole della mora e fortunatamente il Cavendish non era un tipo permaloso, sapeva stare al gioco quando la situazione lo richiedeva.
    E poi una bella ragazza che scherzava con lui prendendolo in giro? Totally his thing, ormai non si chiedeva neanche più se fosse una buona idea, era il primo a non prendersi troppo sul serio.
    «Dubito che al ministero abbiano tempo per processi di così poco conto.»
    «non…-» è di poco conto. Per me.
    «Mi dispiace per la tua perdita.»
    «potresti…» farmi parlare?
    «Con il tempo supererai anche questa.»
    «se hai fin-» -ito…
    «Sii forte.»
    Qualsiasi cosa provasse a dire, appena apriva la bocca – con non molta convinzione, comunque – era frenato dall’ennesimo sfottò da parte della serpe, quindi rinunciò dopo poco e rimase ad ascoltare, le labbra allungate in un sorriso paziente. La lasciò fare, pensò che prima o poi il divertimento sarebbe scemato, ma appena ebbe l’occasione di attaccare non se la lasciò sfuggire.
    «tipo?» piegò il capo verso la spalla e attese risposta sinceramente interessato «magari le ho già affrontate tutte le “cose ben peggiori”, no? che ne sai» più di quanto lui immaginava «magari» ma proprio per ipotesi «ho perso i miei genitori» o li hai lasciati nel futuro «sono orfano» o adottato «e quel set da barba era l’unico ricordo della mia famiglia» o… no per questo non ci sono ipotetici traumi abbastanza validi da giustificare la sua ossessione; rise, infine, per sottolineare l’incredibilità della cosa, ma fece anche spallucce per tentare di insinuare il dubbio in lei. «quali sono invece le tue cose peggiori? I compiti di arti oscure? Tuo cugino ha un capello bianco? Tacco rotto?» e che ne poteva sapere Dominic che in realtà i drammi che aveva affrontato la Hillcox erano veramente ben peggiori di quelli che, un po’ capricciosamente, continuava a ricordare a se stesso con incredulità e incapacità di accettare la verità, che l’unica volta in cui aveva provato a tenere il punto con la ragazza (o con una ragazza in generale) sarebbe stato un completo fallimento e una totale figura di cacca di troll? Non lo sapeva, ma forse stava per scoprirlo, chissà.
    Ma apprezziamo comunque il tentativo, continua così bro!
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    Fece schioccare la lingua contro il palato, soppesando le opzioni a sua disposizione: rispondere a Dominic con la verità; rispondere a Dominic con una bugia; non rispondere affatto.
    Ça va sans dire che la prima non era neppure lontanamente un'opzione contemplabile: e infatti Nice la scartò subito, senza pensarci due volte. Rimanevano dunque le sue preferite: le menzogne, perché con quelle poteva creare gli scenari che preferiva senza dover fare i conti con la realtà dei fatti – oppure ignorare il problema, limitandosi a mantenere l'espressione serafica e impassibile e lasciare che fosse Dominic a rispondere alle sue stesse domande, con altre domande probabilmente, o con qualsiasi verità gli facesse comodo e lo facesse andare avanti.
    Non la spaventava l'idea di rimanere invischiata nella sua stessa tela, così arzigogolata e piena di falsità che era impossibile trovare l'inizio: quando aveva detto la prima bugia? Era stato nel momento in cui aveva posato lo sguardo su Dominic, convinta di avere a che fare con Heathcliff – o forse era stato molto prima, in una Londra diversa e più cupa, in un anno che Nice aveva lasciato indietro non senza rimpianti? Era molto difficile trovare l'inizio per sbrogliare quella matassa, e nonostante fosse brava a navigare nelle sue stesse bugie, non era sicura di volerlo fare: non mentiva solo agli altri, la Hillcox – prima di tutto mentiva a se stessa.
    Non erano, appunto, le bugie a spaventarla: era la verità. Dover affrontare le cose così come stavano e rendersi conto di essere una delusione – non agli occhi degli altri, ma ai suoi.
    Non era la figlia perfetta che era stata Florence, nonostante il carattere esuberante e le mille scelte sbagliate: Nice aveva sempre dovuto fare i conti con la figura insormontabile della sorella –e quello l'aveva portata a spingersi troppo oltre. L'idea di essere meno che perfetta era stata la benzina che l'aveva mandata avanti a lungo – e che l'aveva resa ciò che era: autoritaria, maniaca del controllo, desiderosa di vedere le cose dispiegarsi sempre così come le aveva progettate.
    Dominic era stato un intoppo sul suo percorso: non aveva pensato nemmeno per un momento di poterlo rivedere, specialmente non tutti i giorni come era successo in quell'ultimo anno. Un errore di giudizio da parte sua, una macchia sul suo curriculum quasi perfetto: Nice era come Paganini, non si ripeteva – e quello era possibile perché sceglieva sempre con cura le persone con cui intrattenersi. E invece ecco cosa succedeva quando ragionava un pochino meno del solito: rimaneva fregata.
    «Divertimento, mi auguro.» Alla fine vinse una via di mezzo: non ignorò, né rifilò lui l'ennesima bugia, nonostante una parte di lei volesse cedere alla tentazione. Si strinse nelle spalle, sfidandolo con lo sguardo.
    Una vocina le chiese quanto ancora avrebbe tirato la corda, stuzzicandolo, mentendo, prima di rendersi conto che era sempre ad un passo dallo spezzarsi; una vocina che Nice zittì subito – perché dopotutto lei era anche quello: non sapeva come porsi se non sulla difensiva, e non voleva - non permetteva - a niente e nessuno di avere controllo sulle sue emozioni. Non riusciva a lasciarsi andare con Dominic perché era diverso dal solito - dai soliti - e non era pronta ad accettarlo. Sistemò una ciocca castana dietro l'orecchio, resistendo al sorriso che i modi impacciati dell'infermiere sembravano sempre provocarle – che fastidio. Serrò le labbra e si intimò di rimanere impassibile. «No ma prego. Continua pure, se vuoi.» «non… questo… cioè… hai capito.» Piegò la testa verso la spalla, osservandolo. «Mh.» Lui si ammutolì di colpo, e lei rimase in altrettanto stoico silenzio. Qualsiasi cosa fosse uscita dalle sue labbra sarebbe stata a) un commento ironico e poco carino; b) probabilmente l'ennesima bugia rifilata al buon Dominic. Ma reputava di aver già infierito abbastanza.
    Rimasero così, qualche istante, a studiarsi – a capirsi. «Secondo me sono divertentissima Gli riservò un occhiolino, e le labbra curvarono in una smorfia maliziosa. Poi il suo sproloquio. E i vani tentativi da parte di Dom di interromperla; solo alla fine, sistemando la divisa, annunciò: «ok, ho finito Segno che finalmente anche lui poteva parlare: dai, era stata carina, non se n'era andata subito dopo averlo tramortito di parole – e sarebbe rimasta persino ad ascoltare ciò che aveva da dire! Wow.
    A tutte le ipotesi di Dom, Nice rivolse uno sguardo pensieroso e labbra tirate, come se stesse effettivamente riflettendo su quelle parole e prendendone nota. E, in un certo modo, lo stava facendo davvero: una parte di lei stava cercando di capire se il ragazzo stesse insinuando quello che lei pensava o se la serpeverde stava solo proiettando i suoi pensieri di poco prima in quella conversazione. Si morse delicatamente il labbro, osservandolo. «Non hai detto che tuo padre è un uomo potente? Nel senso di adesso? Nel senso di è vivo Dom, se vuoi mentire almeno cerca di ricordare cosa dici, è un suggerimento dalla professionista nel settore. Lo esortò a rispondere con lo sguardo più dolce che riuscisse a reperire, un dito ad agitarsi in aria, come a radunare quelle piccole ed innocenti domandine. «Parliamo dello stesso uomo?» Così: chiediamo. E non voleva assolutamente intendere nulla di più, vi pare?
    Unless...
    «Comunque, per la cronaca:» era giusto farlo presente, ormai, quel giochino l'aveva stancata, «non ho io il tuo set da barba.» Era sincera? Sì. Lui le avrebbe creduto? Probabilmente no.
    «quali sono invece le tue cose peggiori?» Non poteva biasimarlo: avrebbe voluto farlo – avrebbe voluto davvero tanto, ma non ci riuscì. Il suo corpo la tradì, irrigidendosi a quelle parole, la mascella serrata e lo sguardo improvvisamente duro, ma non volle mostrarsi ancor più toccata dalla conversazione di quanto non fosse. «Mi hai scoperta!» Lasciò uscire una mezza risata sprezzante, quasi acida. «Berenice Hillcox, cheerleader senza un briciolo di personalità a cui piace fingersi più grande per conquistare i ragazzi soli e disperati nei bar.» Allargò entrambe le braccia, come a volersi mostrare meglio. «I miei unici problemi sono la prossima coreografia per supportare una squadra di perdenti, trucchi e vestiti.» Ricaddero con un tonfo secco lungo i fianchi, e l'espressione tornò seria. «Piacere di conoscerti.»
    Non poteva – no, non voleva - dirgli quali pensieri e quali incubi la tenessero sveglia la notte – non erano affari suoi. Non erano nemmeno affari di Albie, ma a lui non poteva negarli: alla fine, c'erano dentro insieme in quella storia. Non voleva ammettere con lui – o con nessun altro – che almeno una volta al giorno sentiva il bisogno di smaterializzarsi fuori dalla porta di casa di sua zia e sua mamma e abbracciarle forte; che tutte le volte che qualcuno nominava il ministero o i pavor il suo cuore perdeva un colpo al ricordo del padre; che ogni volta le succedeva qualcosa di bello, il primo istinto era quello di correre da sua sorella e dalle sue cugine per raccontarglielo – ma non poteva, perché Flo non aveva neppure dieci anni e le cugine ancora non erano nate!
    No, i suoi problemi erano suoi – che la considerasse pure superficiale e priva di spessore, dopotutto non gli stava dando granché motivo di fidarsi di lei o rimanerle accanto.
    «Adesso devo andare – i miei problemi mi aspettano.» Aveva dimenticato quale motivo l'avesse trascinata fuori dalla sala comune, ma in quel momento voleva solo allontanarsi – le sarebbe piaciuto prendere Bolidate qualcosa come Chels aveva proposto più volte di insegnarle a fare, ma non voleva spezzarsi un'unghia.
    Perché quelli erano i suoi problemi – per quanto ne sapeva l'intera popolazione di Hogwarts.
    MARINA @MarinaDiamandis
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