don't cry because it's over. smile because it happened.

Gid x Nah

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +5    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,073
    Spolliciometro
    +2,074

    Status
    Anonymous
    mi ritrovo negli stessi posti, proprio quei posti che dovevo evitare
    E faccio finta di non ricordare e faccio finta di dimenticare
    Ma capisco che per quanto io fugga,
    torno sempre a te
    Gideon McPherson
    Le mani sudate e le dita affusolate strette tra di loro a torturarsi, erano l'esatta rappresentazione fisica di come si sentisse dentro: nervoso, combattuto, in tensione.
    Aveva imparato presto che vivere fosse difficile, ma in quel periodo aveva potuto appurare e sperimentare questa verità in ogni più piccola sfumatura. Sorrideva, piano, mentre le immagini di quasi due anni prima si ripresentavano puntuali nella sua mente, e poi smetteva di farlo e si rabbuiava, rattristato da un ricordo in particolare. E poi? Sorrideva di nuovo, come inebriato da un altro ricordo piacevole, e poi? Di nuovo giù, in picchiata verso il buio.
    I gomiti premuti sulle ginocchia, la testa china in avanti ed i riccioli scuri ormai troppo lunghi ad oscurargli il viso: una posizione strategica, la sua. Seduto sulla panchina del Wicked Park in attesa di Narah, aveva optato per l'unica posizione possibile che gli consentisse di nascondere il volto da sguardi indiscreti che avrebbero potuto osservarlo e domandarsi cosa avesse visto di tanto brutto per farlo apparire così stravolto - era appena uscito da un'attrazione spaventosa? Si sentiva male? Si trovava al Wicked Park, ma le montagne russe che il corvonero sentiva dentro di sè erano le più spettacolari in circolazione. Era un'alternanza di emozioni difficile da vivere ed impossibile da spiegare. Il profumo dolce ed invitante delle mele caramellate proveniente da una bancarella poco distante, non contribuiva a migliorare quello stato d'animo. Al contrario, quello stesso odore familiare gli riportava alla mente la voce dolce di Narah che, con delicatezza ed un sorriso, gli confessava
    «Sei stato carino a offrirmi la mela, grazie. Sto bene con te.»
    Erano passati quasi due anni, da quel giorno.
    Percepiva malinconia e nostalgia, perchè quello era il posto in cui lui e Narah, quasi due anni prima, avevano scelto come loro primo appuntamento. Ed ogni cosa, ogni dettaglio lo ripotava a quel giorno di tanti mesi prima, seduti su quella stessa panchina. Ricordava ogni sguardo di lei, intenerito, ogni piccolo gesto, ogni parola che si erano scambiati quel giorno. Poteva ricordare con precisione come si fosse sentito fortunato ad averla al proprio fianco, come si sentisse speciale ad essere la persona a cui lei aveva risposto con candore e stupore «Sì, va bene.»
    Sì, contro ogni pronostico, anche lei voleva uscire con lui.
    Ricordava come, quel giorno, Narah lo aveva guardato con insicurezza, confidandogli che lei, in realtà, non si piaceva molto. Ricordava come si fosse sentito dinnanzi a quelle parole che per lui erano assurde, e come fosse possibile che non riuscisse a vedersi da fuori con gli stessi occhi con la vedeva lui. Ricordava ciò che lei gli aveva raccontato in merito alla sua famiglia ed al fatto che, praticamente, non ne avesse una. Che a parte le sue amiche, lei fosse sola. Allo stesso tempo, però, ricordava anche quanto forte gli fosse sembrata nel raccontare la sua vita difficile e di come stesse provando a superare le difficoltà che comportava essere una special. Narah Bloodworth era sempre stata la parte forte della coppia, Gideon lo aveva capito subito, ma la sensazione non era mai stata davvero così forte come in quel preciso momento. Una consapevolezza difficile da metabolizzare, un galleggiante isolato nel mare nero che era stato quel duemilaventi.
    Non poteva fare a meno di pensare e di credere, forse dettato dall'insicurezza e dall'incertezza di quel fragile periodo di vita, di non averle lasciato davvero niente, tra le mani. Di averla lasciata senza nemmeno la consolazione di essersi arricchita di un qualcosa. Aveva la sensazione che, nella vita di lei già difficile, lui era stato solo l'ennesimo ostacolo da affrontare e superare, l'ennesimo coglione sul suo percorso.
    Consciamente, se ci avesse pensato a mente fredda, avrebbe capito che non era così, non poteva essere così, e che lui, per Narah, era stato molto più di questo. Eppure, eppure, non riusciva a non provare un senso di colpa dilaniante, distruttivo, che mordeva da dentro, ogni volta che pensava di averla lasciata sola. Non era pena, quella che provava. La pena la provava solo per sè stesso. Ma lei non aveva una famiglia, e Gideon aveva creduto di poterlo essere per lei, lo credeva ancora, credeva che fosse possibile sebbene le condizioni fossero cambiate. Lei non si piaceva e lui non aveva fatto niente per aiutarla a farle capire che fosse fantastica, bellissima, la donna più bella di tutte sia dentro che fuori. Era questo che pensava, buttato giù da quei pensieri cupi.
    L'idea di averla fatta soffrire lo uccideva, ogni giorno, e questo pensiero era sufficiente a mandarlo nel panico ogni volta che ci pensava e lo costringeva a sciogliersi in una marea di lacrime. Pensò a Jane ed a quella filosofia di vita che prevedeva il piangere solo per questioni che non dipendevano da lui stesso, pensò al fatto che in determinate circostanze evitare di piangere fosse davvero impossibile e a chi attribuire la colpa fosse l'ultima delle cose da considerare. Molte cose stavano andando di merda e basta e lui era talmente confuso da non riuscire a capire niente, ed a non vedere nemmeno uno spiraglio di luce attraverso quel tunnel nero. Di chi potesse essere la colpa, poi, era davvero importante? Era sua? In parte lo era, ed in parte, purtroppo, non dipendeva da lui. Era una situazione a metà, ed il McPherson pensò a Jane domandandosi cosa avrebbe dovuto fare in quel caso, secondo lei, e se fosse possibile piangere a metà, piangere solo un pochino. Era colpa sua se aveva iniziato a percepire qualcosa dentro di sè cambiare? Era colpa sua se si era reso conto di non riuscire a sostenere un rapporto di coppia come avrebbe dovuto e voluto, perchè si chiedeva troppe cose ed i se ed i ma si erano accumulati per mesi, raffreddando quello che era il rapporto con Narah? Forse, aveva sbagliato a gestirla, forse avrebbe potuto essere una bomba pronta a scoppiare anche rimanendo al fianco della Bloodworth, ma preferiva esplodere da solo, senza che lei fosse lì a guardarlo e sorprendersene. Perchè esplodere sotto i suoi occhi sarebbe stato troppo umiliante. Questo credeva. Egoista. Si ripeteva di esserlo stato, egoista ed immaturo, ma era andata così, aveva distrutto tutto lui stesso e non aveva intenzione di chiedere a qualcuno di aiutarlo a raccogliere i cocci per ricostruirsi: doveva farlo da solo, doveva capirsi da solo, e rischiare da solo di tagliarsi. Ma lui per Narah c'era, ci sarebbe stato sempre, questo era importante che lei lo capisse, perchè forse non era stato mai davvero chiaro. Lei sarebbe stata sempre e per sempre il suo cor cordium. Il cuore dei cuori.
    Anche se non stavano più insieme, anche se per loro non esisteva un futuro in questo senso.
    Attese dunque l'arrivo della ragazza nel punto in cui si erano dati appuntamento, dopo l'ennesimo mental breakdown che lo aveva portato ad impallidire, gli occhi lucidi ed arrossati per il pianto trattenuto e la gola pronta a scoppiare. Doveva parlarle, perchè meritava di sapere alcune cose che per lui erano importanti.
    Poggiata al proprio fianco, stava una bustina di carta rosa lucida con sopra disegnato un fiore non meglio distinto, e richiusa con un fiocchetto di nylon bianco. Respirò piano, controllandone il ritmo, ancora, per molti secondi, gli occhi chiusi, come quando la sera tentava di addormentarsi ma tutto diventava nero e non a causa del buio. Ogni pensiero si tingeva di nero e lui sentiva di affogare, e che non ci fosse abbastanza aria nel mondo per consentirgli di vivere.
    BOULEVARD @boulevardofbro
    paranoia's all I got left
    3025 12.1k


    questo post mi è costato entrambi gli occhi
     
    .
  2.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    938
    Spolliciometro
    +837

    Status
    Anonymous
    do you ever just
    want to sit outside
    with someone
    and talk all night
    narah bloodworth
    «Io vorrei parlarti di una cosa importante, ma non qui… ti va se facciamo un giro appena stacco?»
    «Okay.» Aveva risposto subito, con naturalezza e candore, proprio come una persona che per Gid ci sarebbe sempre stata. La era, e questo non sarebbe cambiato. Se lui voleva parlarle di una cosa importante, la special era più che disposta ad ascoltarlo, anzi: conosceva le sue abitudini, i suoi gusti, le sue espressioni e i suoi pensieri. Gid non nascondeva – quasi – nessun segreto per lei, percepiva che qualcosa non lo faceva stare tranquillo. Forse era proprio di questo che il ragazzo voleva sfogarsi, o forse no, ma comunque fosse Narah non avrebbe risposto diversamente. Aveva sorriso a quel volto estraneo eppure così familiare. «Dove vogliamo andare?»


    Non avrebbe saputo esprimere a parole il modo in cui Gideon la faceva sentire. Era complicato, e certe cose andavano vissute piuttosto che spiegate. Aveva cercato di fare chiarezza sul proprio diario, che ultimamente si era riempito di considerazioni sulla nuova routine, però senza successo. Provava un groviglio di emozioni contrastanti, che sentiva premere nel petto anche mentre, nella sua stanza, sostituiva il giacchetto con un cappotto adatto alle temperature rigide della sera. Ne approfittò per posare sul comodino di Aveline un cappellino che la donna le aveva prestato un paio di giorni prima, ovviamente in uno stato pulito e profumato. Lei e Gid avevano deciso di vedersi proprio al Wicked Park, e questo aveva portato a galla una marea di ricordi che la facevano sorridere, ma al tempo stesso le sottraevano il respiro in una pungente malinconia. Si armò di spazzola, e nemmeno l’eterna sfida tra quest’ultima e i suoi ricci la sottrassero alle immagini di quasi due anni prima.
    Le sembrava passata un’eternità dal loro primo appuntamento: ricordava i pomeriggi passati in biblioteca a studiare con Gideon. Ricordava come era stato bello che fossero divenuti amici, migliori amici, senza che quasi se ne accorgesse, in un periodo in cui Narah credeva con tutta se stessa di essere un irrimediabile disastro. Ricordava persino il bruciore alle guance di quando Gid le aveva chiesto di uscire, e chissà se all’epoca lui aveva scambiato quel rossore solo per imbarazzo e non come la forte emozione che aveva provato. Non era mai uscita con un ragazzo, non era mai uscita con nessuno e basta ad eccezione delle sue amiche, e le era parso così incredibile!! Perché qualcuno come lui avrebbe dovuto interessarsi a una come lei?? E poi UN APPUNTAMENTO? Come ci si comportava a un appuntamento??? E se si fosse mostrata come la persona noiosa che era, Gid sarebbe scappato a gambe levate??
    Sbuffò una risatina, perché il panico che aveva provato era talmente iconico che non si era scordata una singola virgola. Posò la spazzola e si osservò allo specchio – non che reputasse quella serata un appuntamento, assolutamente. Aveva accettato da tempo che i sentimenti di Gid nei suoi confronti fossero cambiati, sul serio. In fondo andava bene così, doveva andare bene! Voleva solo… essere in ordine, ecco. Abbassò le iridi scure, distogliendole dal proprio riflesso, le mani occupate ad abbottonare il cappotto.


    Il naso nascosto dietro la sciarpa viola e sollevata di aver scelto abiti pesanti, lo sguardo della special incominciava a scorgere le luci brillanti della ruota panoramica, con una sorta di bizzarro affetto. Era terribilmente facile richiamare alla memoria la prima volta che lei e Gid si erano tenuti per mano, la prima volta in cui si era permessa di sfiorargli i capelli, il loro primo bacio – il suo primo in assoluto –, e quanto si fosse sentita compresa e felice. Poi era… tutto finito, come un sogno effettivamente troppo bello per essere vero. Narah aveva donato il suo cuore a Gideon, proprio lei che era stata abbandonata dalla madre quando più ne aveva avuto bisogno, lei che non riusciva a fidarsi totalmente degli altri, che dopo anni aveva ancora il terrore che un bel giorno Jane e Fitz le voltassero le spalle nell’ennesimo abbandono. Si era sentita come se, quel cuore, lui glielo avesse spezzato nel momento stesso in cui aveva pronunciato il primo “Mi dispiace”. Si era sentita così stupida, ingenua, trascurabile, piena di vergogna, tradita. Da quanto Gideon voleva lasciarla, ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo? Da quanto aveva iniziato a guardarla con occhi diversi, da quanto aveva sopportato i suoi baci e le sue carezze, intento a pensare a come poterle confessare la verità senza ferirla troppo? Da quando lei aveva smesso di essere la ragazza che amava, trasformandosi in un peso?
    Sì, era terribilmente facile pensare a come da allora si fosse sentita per settimane, forse mesi. Invece, era meno facile capire cosa si stesse agitando in lei a distanza di tempo. Erano cambiate un sacco di cose. Aveva accettato, accettato davvero. Era arrivata a rispettare la sua decisione, e il cielo solo sapeva quanto Narah non fosse fisicamente in grado di provare astio verso Gideon McPherson. La loro storia era finita, ma ciò non le aveva fatto dimenticare che il Corvonero era una delle persone più importanti della sua vita, e almeno da parte sua avrebbe sempre avvertito l’esistenza di un legame speciale. Gli voleva bene, come poteva biasimarlo per aver preso una decisione per se stesso? Anche se aveva sofferto e messo in discussione la sua – fragile – autostima, e ad oggi Nah ci stesse lavorando pian piano, Gideon rimaneva Gideon. Sapeva che non ci era stato bene, che non l’aveva fatto con cattiveria. E insomma, già non era possibile odiare Gideon McPherson, figuriamoci per lei.
    Si diresse in automatico verso La panchina, quella vicina allo stand delle mele caramellate, le mani nelle tasche del cappotto troppo grande per un fisico snello come il suo. Come la faceva sentire, Gideon McPherson? Forse non aveva ancora una risposta, forse era ancora troppo presto per dirlo, ma alla vista di quei ricci che ormai nascondevano per intero il profilo del ragazzo, le venne da sorridere con un affetto talmente incondizionato che cancellò tutto il resto. E in cuor suo Nah giudicò che per adesso, come risposta, fosse sufficiente. Ed era decisamente una bella risposta. «Sono appena arrivata e già sei stanco di vedermi??» Annunciò il proprio arrivo con un tono leggero e ironico, di quelli che usava sempre quando voleva fargli capire che poteva stare tranquillo; con passo leggero si fermò di fronte a lui, il naso gelido e metà volto ancora celato dalla sciarpa. Smise di seguire l’ondata di ricordi, a quel punto, focalizzandosi solo sul presente e sul motivo per cui erano lì: fare un giro insieme, passare una bella serata, e parlare di quel che Gideon avrebbe voluto. Tutte cose che Narah, nella più totale sincerità, sarebbe stata contenta di fare: le mancavano le giornate passate assieme a fare tutto e nulla, non importava che lo facessero da coppia o da amici. Incrociò il suo sguardo nocciola con gentilezza, quella gentilezza calda e delicata che Narah Bloodworth era in grado di trasmettere con una semplice occhiata; non le serviva la telepatia per essere sicura che anche lui stesse ripensando al loro primo appuntamento, pur non sapendo con quale stato d’animo. «Ti va una mela caramellata??» Era sempre un buon momento per le mele caramellate.
    I'm @dancingalone
    more faith than fear
    3025 12.1k
     
    .
  3.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,073
    Spolliciometro
    +2,074

    Status
    Anonymous
    mi ritrovo negli stessi posti, proprio quei posti che dovevo evitare
    E faccio finta di non ricordare e faccio finta di dimenticare
    Ma capisco che per quanto io fugga,
    torno sempre a te
    Gideon McPherson
    «Sono appena arrivata e già sei stanco di vedermi??» Sollevò la testa di scatto, gli occhi lucidi puntati sulla telepate. Quanto tempo era passato? Due minuti? Venti? Non poteva dirlo con certezza perchè, in determinati momenti, il tempo diventava davvero...relativo. Non lo percepiva, gli scivolava addosso senza farsi sentire. Subito, portò una mano a massaggiare un po' il viso e gli occhi, scosse una po' la testa, con un sorriso appena accennato sulle labbra e la guardò, dal basso della posizione seduta. Ehi, ciao. Sei arrivata. Fece leva sulla panchina per sollevarsi e recuperò la bustina che aveva portato con sè. Il sorriso si fece più largo, sentendo ironia nelle sue parole. Scema. Le disse, bonariamente. E' che questo posto...si guardò intorno, riflettendo sul fatto che ci fossero più risposte per commentare quel posto, poteva lasciarsi andare all'emotività del momento e semplicemente esprimere ciò che stava pensando "Questo posto è pieno di ricordi, mi fa male. Mi ricorda te, mi ricorda noi, mi ricorda quel periodo di vita che era tranquillo e perfetto". E poi, c'era una risposta giusta, la risposta che non lasciava spazio a sentimentalismi, la risposta coerente con ciò che erano e non ciò che erano stati. Mi è sempre piaciuto il Wicked Park. Optò per rimanere sul vago, portando una mano ad accarezzarsi la nuca riccioluta e rigirando la bustina nell'altra mano. Lo sguardo gentile di Narah lo fece sentire a proprio agio, placando l'emotività che fino a quel momento aveva guidato ogni pensiero, in maniera così evidente che non era sicuro che lei non stesse usando il proprio potere. Ma glielo avrebbe detto se lo avesse fatto, no? «Ti va una mela caramellata??»
    Come ai vecchi tempi, giusto? Se aveva smesso di sorridere, il McPherson riprese, più di prima. E si permise di avvicinarsi a lei ancora un po', poggiando un braccio sulle sue spalle per avvicinarla piano a sè e poi chinarsi verso la sua guancia. Un piccolo bacio veloce, prima di lasciarla andare. Ma lo sapeva anche lei, che per lui il contatto fisico era importante, no? Ne sentiva il bisogno, baci, abbracci, erano un modo per esprimere concetti che non sarebbe riuscito a definire a voce, non come avrebbe voluto. Sì, mi va la mela caramellata. E delicatamente, allontanò il braccio da lei, riportando la mano nella tasca del jeans. Ti ho portato una cosa, se può...piacerti. Allungò verso di lei la bustina rosa che aveva tenuto fino a quel momento, e che riportava la scritta "semi di Fuchsia" e l'immagine del fiore. Non so se lì a New Hovel potete... piantare dei fiori? Okay si sentiva stupido, non aveva pensato al fatto che forse non potesse tenere dei fiori! Ma è una pianta che può essere coltivata in vaso. Sollevò le spalle. Quindi, insomma, se vuoi. Mi ha fatto pensare a te quindi.. Infilò anche l'altra mano nella tasca del jeans, e portò lo sguardo sulla bancarella delle mele caramellate. Andiamo? Domandò, iniziando ad avviarsi con lei. Doveva...ricercare le parole giuste per spiegarle cosa stava succedendo nella sua testa, glielo doveva.
    BOULEVARD @boulevardofbro
    paranoia's all I got left
    3025 12.1k
     
    .
  4.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    938
    Spolliciometro
    +837

    Status
    Anonymous
    do you ever just
    want to sit outside
    with someone
    and talk all night
    narah bloodworth
    Le dita a pettinare i ricci, una mano passata sulla guancia, un’occhiata più lunga delle altre, gli angoli delle labbra verso il basso. Bastava poco, a Narah, per accorgersi che Gid portava sulle spalle il peso di un qualche problema, e quella sera al Wicked Park glielo vide stampato in faccia. Il sorriso le si era affievolito per un attimo prima di recuperare il proprio vigore, e tuttora il dispiacere le serrava la bocca dello stomaco, mentre con delicatezza lo osservava alzarsi dalla panchina; non credeva di essere realmente in grado di serbare rancore, Narah. E no, non si parla di rabbia, quell’emozione intensa che si prova o non si prova, ma quella più strisciante, che si insinua nel cuore e mette radici in una maniera straordinariamente debilitante. Nel suo, di petto, non c’era spazio per una cosa tanto oscura e dannosa – non lo provava neppure per chi anni prima l’aveva rapita, rendendola poi una special. Con questi presupposti, era ovvio che Nah non avrebbe mai potuto provare rancore nei confronti di Gideon, nonostante tutto. Non l’aveva mai fatto, voleva solo che stesse bene, che si sentisse bene, e quell’espressione che il ragazzo forse non aveva neppure provato a nasconderle le aveva suscitato tristezza.
    Ma, pur rimanendo trasparente e intuibile come un libro aperto, la special aveva imparato a mettere da parte i sentimenti scomodi per non peggiorare la situazione: nella fattispecie, non voleva demoralizzare il Corvonero col proprio dispiacere – dio, bastava che uno dei due piangesse per far iniziare l’altro come per osmosi. No!! Quella sera niente tristezza, almeno da parte sua!!! Trovò il coraggio di emergere dalla sua sciarpa per emettere un infreddolito ma sereno «Ciao! Eh sì, ma a quale prezzo,» aggiunse con una risatina appena sbuffata, creando una nuvoletta di condensa col respiro per poi riaffondare un po’ nella lana calda. Tutto senza staccare lo sguardo dal McPherson, che continuò dandole della scema; sorrise leggermente, scrollando le spalle. Nah era dotata – per quanto in pochi lo sapessero – di una vena ironica, e questa spuntava fuori o quando si trovava a suo agio o quando era nervosa. Quella serata, un mix di entrambi, ma finché non avesse iniziato a sparare scemenze come quando era molto nervosa, non le avrebbe dato noia. Era uno stato d’animo cui si era abituata se nelle vicinanze del McPherson.
    «È che questo posto…» Chinò di lato la testa, occhieggiando con curiosità la bustina che Gideon si stava rigirando, le mani ad affondare ulteriormente nelle ampie tasche del cappotto. Le venne istintivo pensare di nuovo al loro primo appuntamento – cavolo, come poteva non farlo?? Stesso posto, stessa panchina, stesso stand delle mele caramellate… gli unici ad essere cambiati erano loro, e la prova fu il «Mi è sempre piaciuto il Wicked Park» con cui Gid concluse la frase. Arrossì appena, chiedendosi se avesse sbagliato così tanto e lui si riferisse davvero solo alla sua passione per il luna park. Sbatté le palpebre, riprendendo a sorridere. «Uh- già, tu lo ami!» E lo sapeva bene!! Attrazioni vietate a persone con complicanze cardiache a parte, ovviamente, anche se era sicura che si sarebbe divertito a provare anche quelle. Aveva sempre pensato a lui come a un bambino intento a esplorare il mondo, super curioso di vedere e provare tutto.
    Non avrebbe potuto risparmiarsi dal chiedergli se voleva una mela caramellata, un po’ perché era tradizione, un po’ perché Narah adorava le mele caramellate e il loro profumo la tentava troppo!!! Rincuorata dal sorriso appena comparso sul volto di Gid, raddrizzò le spalle felice di quello che era un evidente sì #5anni. Lasciò che si avvicinasse per darle un bacio sulla guancia, avvertendo adesso il profumo di lui e, assieme a questo, l’abitudine di mettersene un pochino troppo; continuava ad adorare quei gesti di affetto, era innegabile. «Ma forse hai già abbastanza zucchero in corpo,» scherzò. Era contenta che Gid si mostrsse affettuoso anche adesso che erano solo amici, o quegli abbracci le sarebbero davvero davvero mancati.
    Decisa ad avvicinarsi alla bancarella, si interruppe a metà, sorpresa. «Una cosa… per me??» Gli occhi sgranati si abbassarono sulla bustina. Le… aveva fatto un regalo?? Allungò una mano per afferrare il sottile involucro, avvertendo il classico suono di semini che rotolavano, e le scappò subito un gran sorriso riconoscendo l’immagine del fiore. Quel signorino di Gideon McPherson dimenticava che non era l’unica enciclopedia vivente, solo che lei era specializzata nelle piante e lui sugli insetti!! E che quel fiore gli avesse ricordato lei era… be’, un complimento. «È bellissimo, non vedo l’ora cresca!!! La coltiverò in vaso insieme alle altre.» Sistemò delicatamente i semi in tasca, immaginando già dove sistemare il nuovo vasetto. Poi scrutò Gid con meraviglia, l’affetto innegabile nello sguardo. «Grazie. Io non ho niente per te, però.» Ed era imbarazzata dalla cosa?? Un po’, ma in sua difesa non si era aspettata che Gideon avesse un regalo per lei. «Andiamo?» Annuì dolcemente, affiancandolo nel breve percorso fino alla bancarella. «Stavolta la offro io!» E se la rise apertamente, ricordando una certa figuraccia di Gideon che riguardava il suo portafogli. Se lo ricordava ancora come fosse successo ieri: bellissimo. Mio dio aiuto orribile. Rimase in silenzio, in attesa che il ragazzo avesse preso la sua mela caramellata, prima di dare un morsetto alla propria. Per le mele caramellata tornava sul serio bambina!!1! Non mancò di osservare Gid, e notare che si stesse comportando in modo un po’ strano; o meglio, la tensione che emanava era un po’ strana. Come quando non sai da dove iniziare a parlare e ti chiudi nel silenzio. Dopo un minuto, sperando di non infastidirlo, azzardò un «Volevi… dirmi qualcosa??» piuttosto tranquillo. Per lui Nah ci sarebbe stata, non importava se per una chiacchierata o discorsi più seri.
    I'm @dancingalone
    more faith than fear
    3025 12.1k
     
    .
  5.     +4    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,073
    Spolliciometro
    +2,074

    Status
    Anonymous
    mi ritrovo negli stessi posti, proprio quei posti che dovevo evitare
    E faccio finta di non ricordare e faccio finta di dimenticare
    Ma capisco che per quanto io fugga,
    torno sempre a te
    Gideon McPherson
    L'aria fredda del parco gli arrossava le guance, camuffando almeno un po' l'aspetto strafatto che avrebbe avuto altrimenti. Si strinse nella propria giacca calda, mordicchiandosi le pellicine delle labbra, palesemente a disagio persino davanti ad una persona che avrebbe dovuto conoscerlo come le proprie tasche. Era davvero così, alla fine? E riuscì comunque a sorridere, alla sua uscita riguardante lo zucchero. Era stato troppo avventato in quel bacio sulla guancia? Intendeva questo? Si strinse nelle spalle larghe, nascondendo il viso dentro la sciarpa e sperando di annegarci dentro il prima possibile. Chiuse gli occhi, solo un attimo, prendendo un respiro. Non mangio da ore, non è possibile. Una risposta che era un dato di fatto. Era fatto di nervosismo, ed ansia, niente zucchero, in realtà. E poi magari quella sarebbe stata l'ultima occasione di poterla stringere, di baciarle la guancia. Magari dopo quell'incontro, lei sarebbe stata più schiva e non glielo avrebbe più concesso davvero. Dondolò lento da un piede all'altro, l'indecisione sul volto. Le mani ficcate nelle tasche dei jeans, a stringere il foglio che teneva spiegazzato al loro interno. Era ancora in tempo per scappare, per trovare una scusa plausibile per non dover affrontare tutto quello, e quel pensiero rimase costante anche mentre si allontanavano dalla loro panchina. Ma poi si voltava verso Narah, il suo profilo delicato a ricordargli quanto meritasse una spiegazione a...tutto. L'unico motivo per cui aveva chiesto quell'incontro era questo: darle una spiegazione. La vide sorridere nel guardare la bustina di semi di fuchsia, e lui sorrise di rimando, come uno specchio, dimenticandosi per un momento di tutto il resto.
    «Grazie. Io non ho niente per te, però.» Sbuffò dalle narici, scuotendo la testa. Un remake del nostro primo appuntamento? (che ridere - cit). Ricordava con chiarezza quel giorno, ed il regalo che le aveva portato al loro primo appuntamento, le calze-cagnolino che le avrebbero tenuto compagnia nei momenti più solitari, abbaiandole ai piedi. Le hai ancora le calze cagnolino? E, quando gliele aveva date due anni prima, lei aveva risposto proprio allo stesso modo "io non ti ho fatto niente". Come se Gideon si aspettasse davvero qualcosa in cambio. Sciocchina! Prese un profondo respiro, sentendo l'ansia montare dentro di sè, prepotente come un palloncino gonfio all'interno della cassa toracica. Bruciava ad ogni respiro, e si sentiva in apnea. Doveva ricordarsi di respirare, ma era difficile. Tipico di lui, complicare la cosa più semplice del mondo, il respirare. «Stavolta la offro io!» Alzò le spalle, solo per non dover tirare fuori le mani dalle tasche ed alzare quelle, di certo non si sarebbe lamentato.
    Ma riflettendoci, era meglio aspettare a prendere le mele caramellate, ed ancora meglio sarebbe stato aspettare a mangiarle. Conoscendosi, Gideon avrebbe rischiato di vomitare tutto lì davanti a lei, a breve. Aspetta. Allungò una mano verso il suo braccio, stringendola piano, prima che potesse avvicinarsi troppo alla bancarella. Forse è meglio prenderle dopo, se ne avrai ancora voglia. Prima preferisco dirti ciò che... Voglio? Devo? Entrambe. Perchè appunto sì, voleva dirle qualcosa. Più di qualcosa. Sarò breve... #no Vieni? Si spostò di qualche passo, ponendosi in una posizione appena più isolata rispetto al via vai del parco. Non voleva che orecchie indiscrete ascoltassero, anzi. Ci teneva che fossero davvero solo loro due. Io... ehm... un sospiro, chinò lo sguardo verso il basso ed estrasse dalla tasca un foglio - o erano più fogli? - sì, più fogli, dall'aria parecchia sgualcita, come se fossero stati piegati e ripiegati più volte, scritti su fronte e retro, con una grafia a tratti illeggibile e scarabocchi neri ovunque. Io...ho scritto questa lettera a pezzi, in vari periodi. Non era una lettera del tutto recente, come aveva detto, l'aveva scritta a pezzi un po' dopo essersi lasciati, un po' durante l'estate, ed un po' di recente. Per questo, forse, sarebbe sembrata un po'...confusa? Sperava di no, che anzi fosse chiaro. Si schiarì la voce, di nuovo, l'ansia a palla dentro lo stomaco, il petto, le vene. L-l'ho scritta un po' di getto e sicuramente non- non renderà? ci saranno scritte castronerie? Nel caso, le avrebbe omesse, proseguendo nella lettura. Sollevò lo sguardo su di lei, sfuggente, per timore di fissarla dritta negli occhi, ma diamine, com'era difficile vivere. Non era in programma di leggerla a voce, volevo scriverla bene e dartela per leggerla da sola, ma poi ho pensato che... preferisco leggerla io...Ci sediamo? Propose, prendendo posto nella panchina più vicina, in ferro battuto vecchio e logoro ed a pochi passi da un'attrazione per bambini priva di qualsiasi essere umano. Fammela finire, prima di commentare. "Perchè se mi fermo e ti guardo, non riesco a finirla" poi...se vuoi te la passo, okay? Detto questo, la guardò un attimo negli occhi e poi spiegò il foglio per iniziare a leggere le prime righe. Le mani che tremavano come foglie al vento, reggendo quei pezzi di carta. *da qui, puoi leggere lo spoiler*

    "Cara Narah" E già così, si sentiva scemo.
    è così che si inizia una lettera, no? E poi, come si continua?
    Non lo so, perchè non ho mai sentito il bisogno di scriverne una e non sono bravo a farlo.
    Ma ci tenevo, perchè sento di doverti chiedere Scusa, e darti una spiegazione a ciò che sta succedendo. La meriti.
    Scusa se ti scrivo queste parole e non ho il coraggio di dirtele a voce."
    Anche se, in verità, aveva trovato il coraggio per farlo. "So che se ti guardassi negli occhi non riuscirei a pronunciarle davvero. Mi bloccherei, non sarebbe un discorso chiaro. Non avrebbe nè capo nè coda, ma forse non lo ha nemmeno adesso, e non avrà molto senso nemmeno alla fine."
    Fece una breve pausa, poi riprese. "Sono sempre stato bravo con le parole, ma solo quando queste riguardavano argomenti di studio o fatti scientifici: i sentimenti sono tutta un'altra cosa. Non si tratta di spiegare che cosa siano i Fasmidi o che la Graphium Sarpedon ha ben quindici fotorecettori visivi, decisamente più dell’uomo." Sorrise, da solo, a caso, ma non fremeva all'idea di proseguire con le inforandom come avrebbe fatto in altri momenti.
    "Si tratta di qualcosa di più complicato che a me è sconosciuto, o almeno lo era finchè non ho conosciuto te: l'amore. Non sono mai stato bravo in questo campo. Non credo che lo sarò mai, ma sto provando a far chiarezza su ciò che sento.
    Abbiamo diciotto anni, siamo giovani ed in quanto tali, spesso non sappiamo né chi siamo, né cosa vogliamo. Non siamo tutti uguali, e per questo alcune persone lo sanno ancora meno di altre. Ma io pensavo di saperlo, pensavo di essere uscito dalla fase critica della vita, non sapendo, invece, che questa doveva ancora arrivare.
    Non sapevo che questa sarebbe arrivata proprio nel momento in cui credevo di aver trovato una stabilità, finalmente, dopo anni difficili.
    Ed è arrivata proprio quando c'eri tu con me.
    E' arrivata spazzando via ogni mia certezza.
    E' arrivata fregandosene davvero di ciò che io avevo tra le mani.
    Fregandosene di quello che avrei potuto perdere.
    Perchè la vita è così, lo sai, non guarda in faccia nessuno. Capita e basta e non le importa che tu sia pronto ad affrontarla, a viverla davvero. A prenderne le redini. Lei arriva e pretende che tu sia pronto. E se non lo sei, semplicemente, ne paghi le conseguenze."

    Una breve pausa, le mani ancora a tremare e scuotere i fogli, non aveva il coraggio di sollevare lo sguardo su di lei, e si limitò a girare la carta, per leggere il retro.
    "Sai, quando nasci metamorfomagus, hai la possibilità di essere chiunque tu voglia e questo è bellissimo, ma anche pericoloso. Lo è perchè, se puoi essere chiunque, magari succede che non capisci chi sei davvero. Ti chiedi chi sei in realtà, e se puoi essere qualcuno di diverso, di migliore, qualcuno di più affine a come ti senti dentro. Io me lo sono chiesto spesso in questi mesi, mi sono fatto tante domande, anche quando stavamo insieme. Continuavo a chiedermi se fosse giusto, nei miei confronti e nei tuoi, rimanere con il dubbio di chi fossi in realtà, lasciando da parte tutto il resto. Non sei mai stata tu il problema lo sai." Stavolta riuscì a staccare gli occhi dalle righe scritte e sollevare lo sguardo, con non poco timore, su di lei, come a voler sottolineare questo concetto molto importante, poi riprese. "E so che sembra una frase fatta ma non è così. Tu sei perfetta, lo sei sempre stata. Nelle tue imperfezioni e nei tuoi difetti.
    Ti devo la verità, quella che è rimasta silenziosa tra di noi e mai espressa. Quella che a me è chiara, ma che ho avuto paura di dirti. Quella verità che più di tutto mi ha fatto pensare e mi ha allontanato da te: la verità è che ho smesso di sentirmi a mio agio con te quando ti ho rivelato di Guinevre e del fatto che io prendessi il suo aspetto ogni tanto, per mia nonna. Sembra stupido ma, ti assicuro, non lo è per me. Mi sono sentito a disagio perchè non ero pronto a condividere qualcosa di così intimo con un'altra persona, nonostante questa persona fossi tu. La mia persona. La più importante.
    Mi sono sentito a disagio perchè non sapevo nemmeno io a cosa stessi andando incontro in quel momento, mentre il mio corpo cambiava. Perchè, prendere un aspetto femminile, avrebbe dovuto essere semplicemente qualcosa che dovevo fare per lei, per mia nonna, o almeno questo mi ripetevo, ma in realtà dietro c'era molto di più e io non lo accettavo."
    Tremò ancora, faticando a leggere quelle righe. Dentro di sè una tempesta.
    "Mi sono sentito a disagio per questo, ho avuto tanti pensieri, di continuo, e mi sono allontanato. Ci sono stati mesi in cui mi sono comportato in maniera fredda con te, e forse tu non te ne sei accorta perchè entrambi avevamo tanti impegni a lavoro e a scuola, ci vedevamo poco. Non ti ho mai detto niente, perchè speravo che questi pensieri prima o poi se ne andassero da soli, e non volevo farti soffrire. Ma dentro stavo male, sentivo che c'era qualcosa che non andava, qualcosa che andava chiarito. E non riuscivo ad essere sincero con te. Ancora di più non riuscivo a perdonarmi per questo perché, come ci eravamo promessi, avremmo dovuto essere sinceri l'uno con l'altra e io non lo ero, di nuovo. Mi sono allontanato perchè avevo bisogno di avere uno spazio che fosse solo mio. Perchè non esiste una crisalide che contenga due farfalle. C'è spazio solo per una, anche se questo ha comportato perderti."
    Prese aria, e poggiò il foglio al proprio fianco, sulla panchina, leggendo quello sotto.
    La voce non più ferma come prima, un po' meno decisa.
    "Ogni volta che diventavo Guin, avevo il terrore che potessi pensare di me ciò che in realtà...già ERA, ciò che E’ anche adesso.
    Avevo il terrore che potessi credere che mi piacesse assumere l'aspetto di una ragazza, un aspetto che non mi apparteneva. Avevo paura che potessi pensarlo. E dirti la verità su Guin mi ha aperto una ferita. Mi ha messo a disagio. Ci ho pensato e ripensato e non riuscivo più a trovare un qualcosa di positivo a cui appigliarmi per continuare la nostra relazione, dovevo capire.
    A volte ho pensato che avrei voluto tornare indietro e tenere per me quel segreto, non dirti niente, continuare a mentire.
    Lo giuro, forse avrei preferito continuare a mentire.
    Se lo avessi fatto, se avessi represso tutto dentro di me, forse a quest'ora la storia sarebbe diversa.
    O magari no, magari era solo destino che andasse così."

    Si inumidì le labbra, temendo di sollevare lo sguardo.
    "Ho sempre avuto paura, anzi, terrore del giudizio altrui. Non di ciò che una persona qualunque avrebbe potuto pensare di me, ma del giudizio delle persone a cui tengo e che mi vogliono bene. Ho sempre avuto paura di deluderle, di non essere all'altezza delle loro aspettative, delle aspettative di mia madre, di mio padre, di mia sorella e...ovviamente, delle tue. Mia sorella mi guarda stranita ancora oggi, e mi chiede perché lo faccio. Davanti a mia madre non avrei mai il coraggio di farlo, di prendere un altro aspetto che non coincida con il mio sesso di nascita. Lei è babbana, ed ha un’altra mentalità." Non era ancora il momento di fare uscire le lacrime, e non lo fece, sebbene ci mancasse davvero poco. Gli occhi lucidi e la voce tremula.
    "Credere di non essere come forse tu ti aspetteresti che io sia, mi ha mandato in crisi. E' diventato un pensiero fisso. E ha cancellato tutti gli altri belli, e per più di qualche mese, io non ho visto nient'altro se non questo: il buio.
    Pensavo di sapere chi ero, pensavo di averne la certezza, finchè poi non ho iniziato a dubitare di tutto. E non potevo averti al mio fianco in quel momento.
    Scusa se non te l'ho detto. Non ero pronto a farlo.
    Scusa se ti ho fatta soffrire, scusa se ti ho lasciato con una motivazione stupida, banale, inutile, egoista e superficiale.
    Scusa se ho pensato solo a me, lasciando te da parte, pensavo fosse meglio per entrambi, ma ho sbagliato.
    Scusa se ho pensato che i miei problemi fossero più grandi di ogni altra cosa, persino di ciò che noi avevamo.
    Non avrei mai voluto farti soffrire, ma ho avuto paura. Ce l'ho ancora adesso.
    In quei mesi, ho fatto l'errore più grande che si può fare in una coppia: dare l'altra persona per scontata. Credere che questa persona ci sarà per te nonostante tutto, in qualsiasi difficoltà. Credere che non la perderai mai anche se non riesci a darle ciò che meriterebbe. E ti ho vista come una persona da poter mettere da parte per dare la priorità a me stesso. Ho dato la priorità a me stesso e ho sbagliato. Perchè tu meriti al tuo fianco una persona che ti metta al primo posto sempre, che non ti dia mai per scontata, non come ho fatto io. Meriti qualcuno che ti faccia sentire speciale ogni giorno, qualcuno che accenda la tua fiamma e l'alimenti. Quel qualcuno puoi essere tu stessa, è vero, ma non potevo essere io in quel momento. Non meriti niente meno di questo, meriti qualcuno che non abbia paura di bagnarsi e che rimanga con te sotto la pioggia, in silenzio, meriti qualcuno che ti scriva e dedichi delle canzoni e te le canti, magari stonando ma con trasporto perchè non è perfetto, ma è divertente. Meriti qualcuno che ti accarezzi i capelli, ti faccia le trecce, qualcuno che si svegli con te la mattina e ti dica che sei la cosa più bella che abbia mai guardato, anche con le occhiaie e la faccia stanca ed assonnata, qualcuno che ti stringa la mano quando in tv ci sono le scene di paura che odi, che ti abbracci forte e ti dica che sei al sicuro. Qualcuno che abbia la mente abbastanza libera per farlo. Io avevo smesso di essere questa persona, te ne sei accorta? O ti accontentavi del poco che riuscivo a darti nell’ultimo periodo? Anche se non ci toccavamo più? Forse sì, perché tu ami davvero, tu sei paziente, sai aspettare, sei sensibile, sei tutte queste cose."
    Eccola, la lacrima bastarda, o forse anche due.
    "Te l’ho già detto, ma certe cose meritano di essere ripetute: tu sei fantastica. Non è dipeso da te. E' stato qualcosa più grande di noi. Qualcosa che non tutti i diciottenni affrontano, ma che a me è successa. Qualcosa che non ho saputo gestire o che, anzi, ho gestito nel peggiore dei modi. E' andata così, e mi pento. Mi pentirò sempre di ciò che ho fatto o non ho fatto non aprendomi con te." La voce lo stava tradendo, maledetta. "Ma adesso la priorità sei tu e sono io, entrambi a modo nostro. Non siamo “noi” come coppia, non adesso e forse mai, perchè lo sai, ho sbagliato troppo con te. Io devo capire, assestarmi e tu allo stesso modo saprai cosa è meglio per te. Ma non posso lasciare che tu creda che ciò che è successo mesi fa, sia dipeso da te in qualche modo. Da qualche tua mancanza. O che possa essere stata colpa tua anche solo lontanamente. Non è così. Come ti ho già detto, non è colpa di nessuno. Doveva succedere e basta.
    Probabilmente sono stato un vigliacco. Ma, in mia difesa, non ho mai nascosto di non avere abbastanza coraggio per osare. Non ho mai nascosto di essere un tipo che da la precedenza alla mente piuttosto che al cuore, e questo lo sai. Ma anche io sono umano, anche io sbaglio. E con te ho sbagliato, tanto. Solo adesso trovo il coraggio di aprire bocca, per dire cose che avrei dovuto dirti tempo fa. Ma dovevo mettere in chiaro le idee, dovevo riflettere. Alcune cose sono chiare, altre sono in via di chiarimento, ed altre ancora non so se le chiarirò mai."
    E fece una pausa, un grosso sospiro a scandire i secondi, prima di riprendere.
    "Mi piacciono i vestiti e le camicette femminili, mi piace vederli addosso alle altre ragazze ed anche sopra di me, mi piace sentirmi leggero, in un corpo che non è quello che vedi ora, mi piacciono i seni femminili. Li adoro. E li invidio. E i reggiseni sono scomodi, ma quando mi guardo allo specchio, sorrido e penso che siano bellissimi. Sono felice, sono davvero felice quando mi guardo allo specchio e vedo il mio caschetto lungo, le fossette nelle guance, ed il viso più delicato. Così, allo stesso modo, mi piace essere ciò che vedi ora: un ragazzo alto e goffo, con le spalle troppo larghe ed un collo da giraffa. Mi piace di più essere questo ragazzo, ma mi piace anche il resto.
    Saresti stata pronta a tutto questo?? Magari sì, perché io so che tu mi avresti amato lo stesso, in qualsiasi modo. I know you will."
    gli occhi lucidi ancora sul foglio e sorrise, o almeno ci provò, ricordando la risposta della ragazza nel bel mezzo della sua prima partita di Quidditch.
    "Se lo avessi saputo, magari mi avresti detto che per te non sarebbe cambiato niente, che sarei stato sempre io ma, Narah, se ancora non so chi sono, come faccio a starti vicino? Cos’ho da darti se sono una persona insicura, che non ha niente da offrire se non domande, incertezze e confusione? Come faccio? Ci stavo male perchè sapevo che tu meriti delle cose che forse non ero in grado di darti.
    Sto male al pensiero che tu possa guardarmi in modo diverso e possa pensare che durante l’anno in cui siamo stati insieme, io non ero soddisfatto di me stesso o di noi, e che magari adesso lo sono.
    Sto male al pensiero che tu possa credere che chi sono adesso sia per me più importante di chi ero quando stavamo insieme. Non è così, per me le due parti si equivalgono. Questa è solo un’altra parte di me e non è una parte che sostituisce chi ero, ma la completa.
    Girò il foglio, oh Gesù.
    "Ti ricordi di quella sera, quando eravamo avvolti nelle coperte, con le nostre tazze di tè in mano, Game of Thrones in tv, a stringerci e chiacchierare di quello che avremmo voluto fare in futuro? Mi dissi che, se avessi guardato nello specchio delle emarb, avresti visto noi. Avresti visto me, te ed i nostri figli." Ed a questo punto, le lacrime erano tre o anche quattro, le scacciò. "All'epoca mi misi a ridere, ero già confuso e non ti risposi davvero. Non ti dissi davvero ciò che forse avrei visto io, perché in realtà non ne ero sicuro, non lo sapevo. Ero confuso. Ma ciò che mi hai detto lo porto nel cuore, anche se avevo paura di guardare nel mio specchio e scoprire che con me non funzionava." Ed ora, una parte difficile, forse anche più di quella precedente, per lui.
    Eppure, vuoi sapere una cosa, Narah? C’è anche altro! e cambiò foglio, prendendone un altro.
    "Fosse solo questo, sarebbe già tanto, ma c'è anche altro. E forse questa è la cosa più difficile, per me, da dire. E' qualcosa a cui non vorrei mai mai dar voce. Qualcosa che vorrei tenere relegato dentro di me. Perchè alla fine ha importanza? Importa davvero a qualcuno? Non è così importante. Ma fa parte di me, e ti avrei promesso che sarei sempre stato sincero con te, che non ti avrei più mentito. E su questo non l'ho fatto, in realtà. Perchè sto ancora capendo questa parte di me, è qualcosa di più recente. La sto esplorando pian piano, da solo. Preferisco farlo da solo perché non riuscirei a fare altrimenti. E' da un po' di tempo che mi pongo delle domande anche per quanto riguarda il mio orientamento sessuale. Tante domande, troppe. E tu dirai, che vuoi che sia? Non è la fine del mondo, no? Ma come fai a dire una cosa simile alla tua ragazza? Come fai a dirglielo guardandola in faccia?" Probabilmente non l'avrebbe più guardata, non dopo quella lettera. "E' iniziato tutto da un po', ma ho avuto la conferma solo quest'estate, durante la festa a casa di Barry. E' successo qualcosa che proprio non mi aspettavo, e che ha confermato quelli che fino a quel momento erano soltanto dei dubbi: mi piacciono anche i ragazzi, ed è terribile per me dirti questo. Perchè ho sempre paura che dando voce a questo pensiero, chi lo ascolta possa credere che ciò che c'è stato tra me e te non è mai stato reale, che è stato finto, che era una copertura per altro. Hai visto le voci che girano a scuola, no? Io gli do peso, e ci sto male. Ma tu sai che non è così, no?
    Ho sempre avuto problemi su questo argomento. Fin da piccolo è stato per me un argomento taboo, lo vedevo come qualcosa di sbagliato per me. Alcuni compagni mi prendevano in giro, mi chiamavano femminuccia, frocetto e li odiavo, ne soffrivo, pensavo di essere sbagliato. E facevo di tutto per evitare che loro lo pensassero, avrei davvero fatto di tutto. Anche solo scrivere queste parole mi sta sviscerando, chissà se avrò mai davvero il coraggio di leggertele."
    Evidentemente lo stava avendo. "Non so come definirmi, e non voglio farlo, ma ho pensato che dovessi saperlo.
    Scusa anche se ci ho messo un po' di tempo per riorganizzare le idee. Avevo paura, ancora, che stessi troppo male anche solo per vedermi, per sentirmi vicino, anche se bramavo almeno la tua amicizia perché, egoisticamente, avrei fatto di tutto per non perderti. C'è stato quel periodo in cui non ci siamo visti, non ci siamo sentiti. Non sapevo che fine avessi fatto. Le nostre strade si sono divise come mai avrei pensato che sarebbe potuto succedere.
    Ma posso dire che, in mezzo a tutta questa confusione, l'unica certezza è che tu, per me, sei e sarai sempre qui"
    E portò la sinistra sul petto, all'altezza del cuore. "Anche se adesso, probabilmente, mi vedi come il coltello che ti ha ferita. Anche se magari mi vedrai così anche in futuro. Anche se magari non riuscirò a farti cambiare idea. Tu sei qui, nel cuore. Sei il mio cor cordium. Lo sei adesso, lo eri prima e lo sarai per sempre. Non importa chi sono, perchè ho capito che, alcune cose, sono più grandi di tutto." Un sospiro, la manica a scacciare le lacrime, di nuovo.
    Grazie per essermi stata vicina nonostante tutto.
    Grazie per avermi amato, per avermi voluto bene, per avermi aiutato.
    Grazie di starmi ascoltando ancora adesso, mentre ti leggo queste parole.
    E...grazie di essere venuta a questo appuntamento.
    Queste parole non erano scritte sul foglio, ma lui temeva di sollevare lo sguardo. Sentiva freddo, un freddo ed un silenzio glaciali. Eppure, rosso in volto, lo fece, staccò gli occhi dalla lettera, portando lo sguardo, spaventato, su di lei.
    BOULEVARD @boulevardofbro
    paranoia's all I got left
    3025 12.1k


    riporto la lettera in spoiler così la leggi con più facilità, leggi solo quando nel post arrivi al pezzo in cui ne parlo. Non leggere prima.
    "Cara Narah" E già così, si sentiva scemo.
    "E' così che si inizia una lettera, no? E poi, come si continua?
    Non lo so, perchè non ho mai sentito il bisogno di scriverne una e non sono bravo a farlo.
    Ma ci tenevo, perchè sento di doverti chiedere Scusa, e darti una spiegazione a ciò che sta succedendo. La meriti.
    Scusa se ti scrivo queste parole e non ho il coraggio di dirtele a voce."
    Anche se, in verità, aveva trovato il coraggio per farlo. "So che se ti guardassi negli occhi non riuscirei a pronunciarle davvero. Mi bloccherei, non sarebbe un discorso chiaro. Non avrebbe nè capo nè coda, ma forse non lo ha nemmeno adesso, e non avrà molto senso nemmeno alla fine."
    Fece una breve pausa, poi riprese. "Sono sempre stato bravo con le parole, ma solo quando queste riguardavano argomenti di studio o fatti scientifici: i sentimenti sono tutta un'altra cosa. Non si tratta di spiegare che cosa siano i Fasmidi o che la Graphium Sarpedon ha ben quindici fotorecettori visivi, decisamente più dell’uomo." Sorrise, da solo, a caso, ma non fremeva all'idea di proseguire con le inforandom come avrebbe fatto in altri momenti.
    "Si tratta di qualcosa di più complicato che a me è sconosciuto, o almeno lo era finchè non ho conosciuto te: l'amore. Non sono mai stato bravo in questo campo. Non credo che lo sarò mai, ma sto provando a far chiarezza su ciò che sento.
    Abbiamo diciotto anni, siamo giovani ed in quanto tali, spesso non sappiamo né chi siamo, né cosa vogliamo. Non siamo tutti uguali, e per questo alcune persone lo sanno ancora meno di altre. Ma io pensavo di saperlo, pensavo di essere uscito dalla fase critica della vita, non sapendo, invece, che questa doveva ancora arrivare.
    Non sapevo che questa sarebbe arrivata proprio nel momento in cui credevo di aver trovato una stabilità, finalmente, dopo anni difficili.
    Ed è arrivata proprio quando c'eri tu con me.
    E' arrivata spazzando via ogni mia certezza.
    E' arrivata fregandosene davvero di ciò che io avevo tra le mani.
    Fregandosene di quello che avrei potuto perdere.
    Perchè la vita è così, lo sai, non guarda in faccia nessuno. Capita e basta e non le importa che tu sia pronto ad affrontarla, a viverla davvero. A prenderne le redini. Lei arriva e pretende che tu sia pronto. E se non lo sei, semplicemente, ne paghi le conseguenze."

    Una breve pausa, le mani ancora a tremare e scuotere i fogli, non aveva il coraggio di sollevare lo sguardo su di lei, e si limitò a girare la carta, per leggere il retro.
    "Sai, quando nasci metamorfomagus, hai la possibilità di essere chiunque tu voglia e questo è bellissimo, ma anche pericoloso. Lo è perchè, se puoi essere chiunque, magari succede che non capisci chi sei davvero. Ti chiedi chi sei in realtà, e se puoi essere qualcuno di diverso, di migliore, qualcuno di più affine a come ti senti dentro. Io me lo sono chiesto spesso in questi mesi, mi sono fatto tante domande, anche quando stavamo insieme. Continuavo a chiedermi se fosse giusto, nei miei confronti e nei tuoi, rimanere con il dubbio di chi fossi in realtà, lasciando da parte tutto il resto. Non sei mai stata tu il problema lo sai." Stavolta riuscì a staccare gli occhi dalle righe scritte e sollevare lo sguardo, con non poco timore, su di lei, come a voler sottolineare questo concetto molto importante, poi riprese. "E so che sembra una frase fatta ma non è così. Tu sei perfetta, lo sei sempre stata. Nelle tue imperfezioni e nei tuoi difetti.
    Ti devo la verità, quella che è rimasta silenziosa tra di noi e mai espressa. Quella che a me è chiara, ma che ho avuto paura di dirti. Quella verità che più di tutto mi ha fatto pensare e mi ha allontanato da te: la verità è che ho smesso di sentirmi a mio agio con te quando ti ho rivelato di Guinevre e del fatto che io prendessi il suo aspetto ogni tanto, per mia nonna. Sembra stupido ma, ti assicuro, non lo è per me. Mi sono sentito a disagio perchè non ero pronto a condividere qualcosa di così intimo con un'altra persona, nonostante questa persona fossi tu. La mia persona. La più importante.
    Mi sono sentito a disagio perchè non sapevo nemmeno io a cosa stessi andando incontro in quel momento, mentre il mio corpo cambiava. Perchè, prendere un aspetto femminile, avrebbe dovuto essere semplicemente qualcosa che dovevo fare per lei, per mia nonna, o almeno questo mi ripetevo, ma in realtà dietro c'era molto di più e io non lo accettavo."
    Tremò ancora, faticando a leggere quelle righe. Dentro di sè una tempesta.
    "Mi sono sentito a disagio per questo, ho avuto tanti pensieri, di continuo, e mi sono allontanato. Ci sono stati mesi in cui mi sono comportato in maniera fredda con te, e forse tu non te ne sei accorta perchè entrambi avevamo tanti impegni a lavoro e a scuola, ci vedevamo poco. Non ti ho mai detto niente, perchè speravo che questi pensieri prima o poi se ne andassero da soli, e non volevo farti soffrire. Ma dentro stavo male, sentivo che c'era qualcosa che non andava, qualcosa che andava chiarito. E non riuscivo ad essere sincero con te. Ancora di più non riuscivo a perdonarmi per questo perché, come ci eravamo promessi, avremmo dovuto essere sinceri l'uno con l'altra e io non lo ero, di nuovo. Mi sono allontanato perchè avevo bisogno di avere uno spazio che fosse solo mio. Perchè non esiste una crisalide che contenga due farfalle. C'è spazio solo per una, anche se questo ha comportato perderti."
    Prese aria, e poggiò il foglio al proprio fianco, sulla panchina, leggendo quello sotto.
    La voce non più ferma come prima, un po' meno decisa.
    "Ogni volta che diventavo Guin, avevo il terrore che potessi pensare di me ciò che in realtà...già ERA, ciò che E’ anche adesso.
    Avevo il terrore che potessi credere che mi piacesse assumere l'aspetto di una ragazza, un aspetto che non mi apparteneva. Avevo paura che potessi pensarlo. E dirti la verità su Guin mi ha aperto una ferita. Mi ha messo a disagio. Ci ho pensato e ripensato e non riuscivo più a trovare un qualcosa di positivo a cui appigliarmi per continuare la nostra relazione, dovevo capire.
    A volte ho pensato che avrei voluto tornare indietro e tenere per me quel segreto, non dirti niente, continuare a mentire.
    Lo giuro, forse avrei preferito continuare a mentire.
    Se lo avessi fatto, se avessi represso tutto dentro di me, forse a quest'ora la storia sarebbe diversa.
    O magari no, magari era solo destino che andasse così."

    Si inumidì le labbra, temendo di sollevare lo sguardo.
    "Ho sempre avuto paura, anzi, terrore del giudizio altrui. Non di ciò che una persona qualunque avrebbe potuto pensare di me, ma del giudizio delle persone a cui tengo e che mi vogliono bene. Ho sempre avuto paura di deluderle, di non essere all'altezza delle loro aspettative, delle aspettative di mia madre, di mio padre, di mia sorella e...ovviamente, delle tue. Mia sorella mi guarda stranita ancora oggi, e mi chiede perché lo faccio. Davanti a mia madre non avrei mai il coraggio di farlo, di prendere un altro aspetto che non coincida con il mio sesso di nascita. Lei è babbana, ed ha un’altra mentalità." Non era ancora il momento di fare uscire le lacrime, e non lo fece, sebbene ci mancasse davvero poco. Gli occhi lucidi e la voce tremula.
    "Credere di non essere come forse tu ti aspetteresti che io sia, mi ha mandato in crisi. E' diventato un pensiero fisso. E ha cancellato tutti gli altri belli, e per più di qualche mese, io non ho visto nient'altro se non questo: il buio.
    Pensavo di sapere chi ero, pensavo di averne la certezza, finchè poi non ho iniziato a dubitare di tutto. E non potevo averti al mio fianco in quel momento.
    Scusa se non te l'ho detto. Non ero pronto a farlo.
    Scusa se ti ho fatta soffrire, scusa se ti ho lasciato con una motivazione stupida, banale, inutile, egoista e superficiale.
    Scusa se ho pensato solo a me, lasciando te da parte, pensavo fosse meglio per entrambi, ma ho sbagliato.
    Scusa se ho pensato che i miei problemi fossero più grandi di ogni altra cosa, persino di ciò che noi avevamo.
    Non avrei mai voluto farti soffrire, ma ho avuto paura. Ce l'ho ancora adesso.
    In quei mesi, ho fatto l'errore più grande che si può fare in una coppia: dare l'altra persona per scontata. Credere che questa persona ci sarà per te nonostante tutto, in qualsiasi difficoltà. Credere che non la perderai mai anche se non riesci a darle ciò che meriterebbe. E ti ho vista come una persona da poter mettere da parte per dare la priorità a me stesso. Ho dato la priorità a me stesso e ho sbagliato. Perchè tu meriti al tuo fianco una persona che ti metta al primo posto sempre, che non ti dia mai per scontata, non come ho fatto io. Meriti qualcuno che ti faccia sentire speciale ogni giorno, qualcuno che accenda la tua fiamma e l'alimenti. Quel qualcuno puoi essere tu stessa, è vero, ma non potevo essere io in quel momento. Non meriti niente meno di questo, meriti qualcuno che non abbia paura di bagnarsi e che rimanga con te sotto la pioggia, in silenzio, meriti qualcuno che ti scriva e dedichi delle canzoni e te le canti, magari stonando ma con trasporto perchè non è perfetto, ma è divertente. Meriti qualcuno che ti accarezzi i capelli, ti faccia le trecce, qualcuno che si svegli con te la mattina e ti dica che sei la cosa più bella che abbia mai guardato, anche con le occhiaie e la faccia stanca ed assonnata, qualcuno che ti stringa la mano quando in tv ci sono le scene di paura che odi, che ti abbracci forte e ti dica che sei al sicuro. Qualcuno che abbia la mente abbastanza libera per farlo. Io avevo smesso di essere questa persona, te ne sei accorta? O ti accontentavi del poco che riuscivo a darti nell’ultimo periodo? Anche se non ci toccavamo più? Forse sì, perché tu ami davvero, tu sei paziente, sai aspettare, sei sensibile, sei tutte queste cose."
    Eccola, la lacrima bastarda, o forse anche due.
    "Te l’ho già detto, ma certe cose meritano di essere ripetute: tu sei fantastica. Non è dipeso da te. E' stato qualcosa più grande di noi. Qualcosa che non tutti i diciottenni affrontano, ma che a me è successa. Qualcosa che non ho saputo gestire o che, anzi, ho gestito nel peggiore dei modi. E' andata così, e mi pento. Mi pentirò sempre di ciò che ho fatto o non ho fatto non aprendomi con te." La voce lo stava tradendo, maledetta. "Ma adesso la priorità sei tu e sono io, entrambi a modo nostro. Non siamo “noi” come coppia, non adesso e forse mai, perchè lo sai, ho sbagliato troppo con te. Io devo capire, assestarmi e tu allo stesso modo saprai cosa è meglio per te. Ma non posso lasciare che tu creda che ciò che è successo mesi fa, sia dipeso da te in qualche modo. Da qualche tua mancanza. O che possa essere stata colpa tua anche solo lontanamente. Non è così. Come ti ho già detto, non è colpa di nessuno. Doveva succedere e basta.
    Probabilmente sono stato un vigliacco. Ma, in mia difesa, non ho mai nascosto di non avere abbastanza coraggio per osare. Non ho mai nascosto di essere un tipo che da la precedenza alla mente piuttosto che al cuore, e questo lo sai. Ma anche io sono umano, anche io sbaglio. E con te ho sbagliato, tanto. Solo adesso trovo il coraggio di aprire bocca, per dire cose che avrei dovuto dirti tempo fa. Ma dovevo mettere in chiaro le idee, dovevo riflettere. Alcune cose sono chiare, altre sono in via di chiarimento, ed altre ancora non so se le chiarirò mai."
    E fece una pausa, un grosso sospiro a scandire i secondi, prima di riprendere.
    "Mi piacciono i vestiti e le camicette femminili, mi piace vederli addosso alle altre ragazze ed anche sopra di me, mi piace sentirmi leggero, in un corpo che non è quello che vedi ora, mi piacciono i seni femminili. Li adoro. E li invidio. E i reggiseni sono scomodi, ma quando mi guardo allo specchio, sorrido e penso che siano bellissimi. Sono felice, sono davvero felice quando mi guardo allo specchio e vedo il mio caschetto lungo, le fossette nelle guance, ed il viso più delicato. Così, allo stesso modo, mi piace essere ciò che vedi ora: un ragazzo alto e goffo, con le spalle troppo larghe ed un collo da giraffa. Mi piace di più essere questo ragazzo, ma mi piace anche il resto.
    Saresti stata pronta a tutto questo?? Magari sì, perché io so che tu mi avresti amato lo stesso, in qualsiasi modo. I know you will."
    gli occhi lucidi ancora sul foglio e sorrise, o almeno ci provò, ricordando la risposta della ragazza nel bel mezzo della sua prima partita di Quidditch.
    "Se lo avessi saputo, magari mi avresti detto che per te non sarebbe cambiato niente, che sarei stato sempre io ma, Narah, se ancora non so chi sono, come faccio a starti vicino? Cos’ho da darti se sono una persona insicura, che non ha niente da offrire se non domande, incertezze e confusione? Come faccio? Ci stavo male perchè sapevo che tu meriti delle cose che forse non ero in grado di darti.
    Sto male al pensiero che tu possa guardarmi in modo diverso e possa pensare che durante l’anno in cui siamo stati insieme, io non ero soddisfatto di me stesso o di noi, e che magari adesso lo sono.
    Sto male al pensiero che tu possa credere che chi sono adesso sia per me più importante di chi ero quando stavamo insieme. Non è così, per me le due parti si equivalgono. Questa è solo un’altra parte di me e non è una parte che sostituisce chi ero, ma la completa.
    Girò il foglio, oh Gesù.
    "Ti ricordi di quella sera, quando eravamo avvolti nelle coperte, con le nostre tazze di tè in mano, Game of Thrones in tv, a stringerci e chiacchierare di quello che avremmo voluto fare in futuro? Mi dissi che, se avessi guardato nello specchio delle emarb, avresti visto noi. Avresti visto me, te ed i nostri figli." Ed a questo punto, le lacrime erano tre o anche quattro, le scacciò. "All'epoca mi misi a ridere, ero già confuso e non ti risposi davvero. Non ti dissi davvero ciò che forse avrei visto io, perché in realtà non ne ero sicuro, non lo sapevo. Ero confuso. Ma ciò che mi hai detto lo porto nel cuore, anche se avevo paura di guardare nel mio specchio e scoprire che con me non funzionava." Ed ora, una parte difficile, forse anche più di quella precedente, per lui.
    Eppure, vuoi sapere una cosa, Narah? C’è anche altro! e cambiò foglio, prendendone un altro.
    "Fosse solo questo, sarebbe già tanto, ma c'è anche altro. E forse questa è la cosa più difficile, per me, da dire. E' qualcosa a cui non vorrei mai mai dar voce. Qualcosa che vorrei tenere relegato dentro di me. Perchè alla fine ha importanza? Importa davvero a qualcuno? Non è così importante. Ma fa parte di me, e ti avrei promesso che sarei sempre stato sincero con te, che non ti avrei più mentito. E su questo non l'ho fatto, in realtà. Perchè sto ancora capendo questa parte di me, è qualcosa di più recente. La sto esplorando pian piano, da solo. Preferisco farlo da solo perché non riuscirei a fare altrimenti. E' da un po' di tempo che mi pongo delle domande anche per quanto riguarda il mio orientamento sessuale. Tante domande, troppe. E tu dirai, che vuoi che sia? Non è la fine del mondo, no? Ma come fai a dire una cosa simile alla tua ragazza? Come fai a dirglielo guardandola in faccia?" Probabilmente non l'avrebbe più guardata, non dopo quella lettera. "E' iniziato tutto da un po', ma ho avuto la conferma solo quest'estate, durante la festa a casa di Barry. E' successo qualcosa che proprio non mi aspettavo, e che ha confermato quelli che fino a quel momento erano soltanto dei dubbi: mi piacciono anche i ragazzi, ed è terribile per me dirti questo. Perchè ho sempre paura che dando voce a questo pensiero, chi lo ascolta possa credere che ciò che c'è stato tra me e te non è mai stato reale, che è stato finto, che era una copertura per altro. Hai visto le voci che girano a scuola, no? Io gli do peso, e ci sto male. Ma tu sai che non è così, no?
    Ho sempre avuto problemi su questo argomento. Fin da piccolo è stato per me un argomento taboo, lo vedevo come qualcosa di sbagliato per me. Alcuni compagni mi prendevano in giro, mi chiamavano femminuccia, frocetto e li odiavo, ne soffrivo, pensavo di essere sbagliato. E facevo di tutto per evitare che loro lo pensassero, avrei davvero fatto di tutto. Anche solo scrivere queste parole mi sta sviscerando, chissà se avrò mai davvero il coraggio di leggertele."
    Evidentemente lo stava avendo. "Non so come definirmi, e non voglio farlo, ma ho pensato che dovessi saperlo.
    Scusa anche se ci ho messo un po' di tempo per riorganizzare le idee. Avevo paura, ancora, che stessi troppo male anche solo per vedermi, per sentirmi vicino, anche se bramavo almeno la tua amicizia perché, egoisticamente, avrei fatto di tutto per non perderti. C'è stato quel periodo in cui non ci siamo visti, non ci siamo sentiti. Non sapevo che fine avessi fatto. Le nostre strade si sono divise come mai avrei pensato che sarebbe potuto succedere.
    Ma posso dire che, in mezzo a tutta questa confusione, l'unica certezza è che tu, per me, sei e sarai sempre qui"
    E portò la sinistra sul petto, all'altezza del cuore. "Anche se adesso, probabilmente, mi vedi come il coltello che ti ha ferita. Anche se magari mi vedrai così anche in futuro. Anche se magari non riuscirò a farti cambiare idea. Tu sei qui, nel cuore. Sei il mio cor cordium. Lo sei adesso, lo eri prima e lo sarai per sempre. Non importa chi sono, perchè ho capito che, alcune cose, sono più grandi di tutto." Un sospiro, la manica a scacciare le lacrime, di nuovo.
    Grazie per essermi stata vicina nonostante tutto.
    Grazie per avermi amato, per avermi voluto bene, per avermi aiutato.
    Grazie di starmi ascoltando ancora adesso, mentre ti leggo queste parole.
    E...grazie di essere venuta a questo appuntamento.
    Queste parole non erano scritte sul foglio, ma lui temeva di sollevare lo sguardo. Sentiva freddo, un freddo ed un silenzio glaciali. Eppure, rosso in volto, lo fece, staccò gli occhi dalla lettera, portando lo sguardo, spaventato, su di lei.[/size]
     
    .
  6.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    938
    Spolliciometro
    +837

    Status
    Anonymous
    do you ever just
    want to sit outside
    with someone
    and talk all night
    narah bloodworth
    «Un remake del nostro primo appuntamento?» Un sorriso ad aprirsi spontaneo sul volto della special, mentre sbuffava una risatina dal naso arrossato e infreddolito. Se lo ricordava anche lui, allora! Si schiarì la voce, contenta non si fosse dimenticato i piccoli dettagli di quella giornata che le era rimasta impressa nella mente. «In effetti è un po’ inquietante, stesse parole,» scherzò, cercando di infondere quanta più leggerezza nel tono. Non voleva farlo sentire a disagio in alcun modo. Mettendosi in tasca quei bellissimi semi di fuchsia e immaginando già la pianta sana e sviluppata nel vaso, fece spallucce come ad arrendersi di fronte a quello che evidentemente era un vizio – ma trovava brutto non avere un regalo con cui ricambiare! E… se aveva ancora le calze cagnolino??? «Scherzi?? Le adoro, non me ne separerò mai!» proclamò, quasi offesa da quell’iNfAmAnTe accusa. Sarebbe stato come abbandonare dei cagnolini veri, le si sarebbe spezzato il cuore! E anche per questo, quando tempo dopo avrebbe avuto una certa kathelvete a cui pensare, si sarebbe premurata di nascondere bene le calze dove lei non sarebbe mai potuta arrivare con le sue zampette.
    Parte dell’ansia che aveva avuto alla prospettiva di passare del tempo con Gid si era sciolta, appurando che lui si stava comportando come il Gideon di sempre; dall’altro lato non era il Gideon di sempre. In ke senso? Narah non ne aveva idea – era una telepate, non una veggente – ma reputava di avere un certo intuito per quanto riguardava le persone, e il Corvonero lì presente stava nascondendo qualcosa. Non era solo perché quando era arrivata lui aveva gli occhi lucidi, anche se già quello sarebbe bastato come un segnale di allarme per portarla a sospettare; infatti, Nah non era mai d’accordo quando lui si definiva “goffo” – va bene, era molto alto e non aveva movenze super sciolte da ballerino della Scala ma…? Pochi le avevano??? E Gid non era un rinoceronte quindi??? ERA UNA DEFINIZIONE INGIUSTA!!! –, tranne nei momenti in cui era nervoso. Decisamente, in preda al nervosismo Gid tendeva a sembrare una falena che sbattacchiava le ali a destra e sinistra: metteva le mani in tasca, poi le toglieva, se le passava tra i capelli, le rimetteva in tasca, guardava in lontananza e poi le proprie scarpe, scalciava i sassolini, spostava il peso da una gamba all’altra, stringeva le spalle – detto amorevolmente, faceva un po’ venire l’ansia. Quindi:
    1) Certo che avrebbe potuto scrivere un’enciclopedia su quel (unico più che) raro esemplare di Gedheone Selvaticus.
    2) Aveva la certezza matematica, proprio qui, proprio adesso, che Gideon McPherson fosse nervoso.
    La vera domanda era: perché? Avrebbe tentato di scoprirlo più avanti, spingendo l’esemplare di Gedheone a rilassarsi con lei dopo aver sgranocchiato con gusto una mela caramellata, ma il suo fantastiko piano che piano non era andò in fumo. «Aspetta.» Niente mela. Era bastata quell’esclamazione a far fermare Narah, docile, ma era stata la stretta sul suo braccio a sorprenderla davvero. «Mmmh, okay,» acconsentì con calma e una certa perplessità, mentre lanciava un’occhiata prima alla mano che l’aveva fermata e poi il McPherson. Doveva essere… parecchio in ansia. Lo ascoltò, gli occhi sempre più grandi e curiosi pur annuendo; le voleva parlare, o così le aveva detto, e immaginava che fosse… arrivato il momento?? Non aveva potuto trattenersi dal fare qualche ipotesi, Nah, e a conti fatti tutto roteava attorno al fatto che di recente gli fosse successo qualcosa e volesse sfogarsi con lei. «Certo.» Una risposta immediata e fiduciosa, ma non poteva essere altrimenti visto che, adesso, il ragazzo pareva molto più di semplicemente nervoso.
    «Io… ehm…» Mio dio che stava succedendo, Nah era facile all’ansia. Si spostò con busto e gambe in sua direzione. «Va tutto bene?» Inquadrò i fogli che l’altro stava dispiegando, e trattenne il respiro. «Io...ho scritto questa lettera a pezzi, in vari periodi.» Ecco. Da quel secondo esatto, Nah iniziò a provare una gran tensione, un misto di ansia e confusione, senza contare che non aveva la più pallida idea di cosa aspettarsi – Gideon che aveva scritto una lettera per lei, dopo tutti quei mesi? Aveva avuto la sensazione che Gid avesse chiuso definitivamente la parentesi della loro rottura, che non ne avrebbero più parlato. Si era evidentemente sbagliata in pieno e non… sapeva cosa dire. Era l’ultima cosa che aveva immaginato potesse succedere. Ne aveva quasi paura. «Sederci? Uh, sì sì, nessun… problema.» Aveva balbettato? Aveva balbettato. #narahnsia. Si sedette sulla panchina di ferro, le sopracciglia appena aggrottate, imponendosi di non torturarsi il labbro – e non ci teneva a mangiarsi il burrocacao. Gid voleva ascoltasse tutto prima di commentare, ma figuriamoci, già Nah pregavaTM su quei fogli vi fossero scritte cose carine, non avrebbe osato fiatare per tutto il tempo. «Okay.»
    Et voilà, iniziarono i pianti. Poteva essere una frase stereotipata, ma certe cose si sentivano, non si potevano descrivere. Soprattutto quando il silenzio aveva lasciato mille domande e mille riflessioni in sospeso, Narah non era preparata a ricevere risposte. Non esistevano parole in grado di sbrogliare il groviglio di emozioni accumulatesi nel petto, man mano che la voce di Gideon andava avanti, e si fermava, tentennava e riprendeva, facendole riempire gli occhi di lacrime che nemmeno provò a contenere. Era troppo complicato, troppo doloroso, troppo intenso: era stato facile, per Narah Bloodworth, cercare la spiegazione che non aveva avuto in se stessa. Aveva pensato tante cose, col suo solito vizio di rimuginare ancora e ancora. Che Gideon non avesse voluto darle una vera motivazione per non farla stare male, perché magari non l’amava, ma era sicura le volesse bene. Che fosse stata lei a essere troppo noiosa, troppo monotona, troppo poco in qualcosa.
    Le settimane erano passate una dopo l’altra, e lei aveva smesso di attendere spiegazioni. Giunta a novembre, Narah non avrebbe mai creduto che Gideon avrebbe tirato fuori quella lettera, e con essa tutti i punti interrogativi rimasti inespressi sulla fine della loro storia. In effetti, forse non c’era da sorprendersi se la gola le faceva terribilmente male, e le lacrime uscivano e il cuore sembrava sul punto di esplodere; continuò comunque a seguirlo in silenzio, con attenzione, perché senza saperlo aveva avuto bisogno di ascoltare quella lettera tanto quanto Gideon aveva avuto bisogno di leggerla. Parlava di fasi critiche, di incertezze, di non essere sicuri sulla propria identità; e se c’era un’unica, grande cosa che le faceva odiare il McPherson, era proprio la sua incapacità di odiarlo. Che la facesse sempre empatizzare e immedesimarsi in come lui si sentisse, togliendole anche la possibilità di un effimero quanto inutile risentimento. Ma era impossibile farlo, quando Gid era accanto a lei, in lacrime nell’aprirle il cuore. Come se non fosse bastato c’era il proprio, di dolore, rinnovato e ben presente, a schiacciarle il petto ad alcune frasi che la colpivano più delle altre. “Non sei mai stata tu il problema lo sai.” No, Nah non lo sapeva. “Tu sei perfetta, lo sei sempre stata.” Non l’aveva mai creduto.
    Non importava quante volte si asciugasse le lacrime, queste tornavano sempre, lo sguardo fisso sul terreno senza osservarlo davvero. Le stava dicendo un sacco di cose, Gideon: alcune le riscaldarono il cuore, la confortarono, sgretolando mattone dopo mattone quel muro di colpe che si era attribuita e che si era rafforzato sempre un po’ di più; alcune dolorose, come il ricordo di quando Narah, ingenuamente, gli aveva confessato cosa avrebbe visto nello specchio delle emarb e lui le aveva risposto con una risatina impacciata, facendola sprofondare nella vergogna, non capendo; scuse, parole dolci; ma altre ancora erano del tutto sconosciute, e riguardavano Gideon e lui soltanto.
    Ciò che il ragazzo non poteva sapere era che Narah lo aveva già perdonato da tanto, nonostante tutto. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Non avrebbe potuto non essere felice per lui, sapendo che Gid era davvero felice sia in sembianze maschili che femminili, e di sicuro non lo avrebbe mai potuto giudicare per il suo orientamento sessuale. Perché avrebbe dovuto? Strinse le palpebre, si sforzò di deglutire contrastando il nodo alla gola, divisa tra il dolore che aveva provato lei e quello di lui. Per quanto Narah stesse male, non riusciva a trascurare come stessero gli altri.
    Come stesse lui. Erano sempre stati simili. Condividevano passioni, idee, atteggiamenti, paure, fragilità, e un trascorso di pregiudizi e prese in giro. Sapeva, Nah, com’era sentirsi male con se stessi, avere il terrore delle voci che si diffondevano da una a due, quattro, quindici persone.
    Non voleva e non aveva senso avercela con lui. Non voleva fingere di non capirlo. Non voleva continuare ad avvertire quella barriera tra loro due, in quell’amicizia che stavano portando avanti. «E...grazie di essere venuta a questo appuntamento.» Meno male che era previdente e non si truccava mai la rima inferiore degli occhi, o sarebbe andata a quell’appuntamento per ridursi un disastro. Si asciugò le guance con la manica del maglione, alla ricerca di un respiro regolare e magari un minimo di contegno. Alzò lo sguardo per incrociare quello di Gideon: aveva un’aria terrorizzata che non avrebbe mai voluto vedere sul suo volto e le spezzò definitivamente il cuore. COME PENSAVA CHE POTESSE AVERCELA CON LUI SE LA FISSAVA COSÌ.
    «S-sei uno stupido.» Che, detto dopo un discorso così importante e delicato, sembrava essere qualcosa da veri maleducati(!), ma magari il McPherson l’avrebbe perdonata: si allungò sulla panchina, verso di lui, le braccia ad avvolgerlo con slancio per avvicinarlo a sé in un abbraccio stretto stretto. Come aveva fatto mille volte prima di allora, strofinò piano la guancia contro i vestiti dell’altro, soffocando i singhiozzi in gola. Si sentiva come se avesse ritrovato il vero Gideon dopo un tempo infinitamente lungo, senza maschere o segreti e le era mancato troppo. Si allontanò, combattendo la timidezza e il pensiero che Gid potesse fraintendere, per prendergli il viso tra le mani. Non sapeva esattamente cosa dire, anche lei si trovava meglio a scrivere, ma avrebbe provato l’improvvisazione del drama club. «Vediamo se l’improvvisazione del drama club è stata utile.» Un sorriso un po’ tremulo e decisamente commosso, prima di continuare. «Io… ti voglio bene per quello che sei. Va bene chi sei. D’accordo?» Strofinò piano il pollice contro la sua guancia, in una carezza che voleva essere rasserenante. «Sì, lo so che non mi hai parlato solo di questo, ma… questo è importante. Se ti piace indossare un reggiseno e una camicetta… piacciono anche a me, andremo a sceglierne insieme!» Sbuffò una risatina, anche se con gli occhi e il naso rossi che probabilmente si ritrovava non doveva essere stata una risata allegrissima. Ne era rimasta un po’ sorpresa, che Gideon si sentisse bene nelle sue sembianze femminili, ma finiva lì: non c’era niente di male, Gid rimaneva la persona che conosceva. «È una tua questione se ti piacciono anche i ragazzi, nessuno può metterla in discussione. È tutto okay, basta che ti renda felice.»
    Ma, come gli aveva detto, sapeva che non aveva voluto chiarire solo questo. Abbassò le mani, lasciandolo libero e spazzando via altre due lacrime. Chissà, forse quella era la volta buona che entrambi avrebbero mantenuto la promesso di essere sempre sinceri. Afferrò nervosamente il bordo del proprio cappotto, ad altezza del ginocchio, arricciandolo distratta. «Lo sai che sono stata male quando ci siamo lasciati. Non… non me lo aspettavo, non sapevo cosa fosse successo, all’improvviso non- non sapevo niente.» Non credeva sarebbe stato così liberatorio. Una parte di sé, quella che stava cercando di cambiare, si vergognava, le suggeriva di chiudere la bocca e tenere tutto dentro com’era abituata a fare. Non le diede retta, con gran fatica. «Pensavo che avessimo superato le incomprensioni, che stessimo bene e lo saremmo stati per tanto. E… l’hai detto anche tu, siamo giovani e io sono romantica Una risatina, stavolta per prendersi in giro, mentre si obbligava a scrutarlo in viso, monitorando le sue reazioni. «Ho pensato fosse colpa mia. E magari un pochino lo è, anche se credi di no…? Non lo so. Pensavo io avessi qualcosa che non va, e non me lo volessi dire.» Fece una pausa, e scosse la testa. «Ora tu mi hai letto quelle pagine, capisco cosa hai passato. Non cancella il fatto che io abbia sofferto, ma capita di sbagliare. Anch’io ho fatto degli errori e ti chiedo scusa. Mi dispiace.» Gli sfiorò il braccio. «Ti voglio bene, conta questo. Per me è tutto risolto.» Era stato il migliore dei discorsi? Ovviamente no, e magari faceva pure schifo – non lo escludeva per niente – ma sperava tanto che Gideon dimostrasse ancora una volta di (essere disagiato tanto quanto lei e) comprenderla in qualche magiko modo. Respirò profondamente, alzando le sopracciglia interrogativa. «…….. Offerta di pace? Mela caramellata?»
    I'm @dancingalone
    more faith than fear
    3025 12.1k
     
    .
  7.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,073
    Spolliciometro
    +2,074

    Status
    Anonymous
    mi ritrovo negli stessi posti, proprio quei posti che dovevo evitare
    E faccio finta di non ricordare e faccio finta di dimenticare
    Ma capisco che per quanto io fugga,
    torno sempre a te
    Gideon McPherson
    Aveva smesso di parlare ed aveva iniziato a prestare più attenzione alla ragazza dinnanzi a sè, per captare qualsiasi fosse la sua reazione. Aveva letto la lettera tutta d'un fiato, evitando di guardare Narah per paura di bloccarsi, ma adesso il suo sguardo era completamente su di lei. Guardò quel viso che ben conosceva e del quale, in un altro momento, avrebbe potuto indovinare i pensieri, ma non quel giorno. Quel giorno aveva davvero poche certezze.
    E lei...piangeva, come stava piangendo anche lui e com'era prevedibile che fosse: un riassunto efficace del loro rapporto, quando piangeva uno, piangeva anche l'altra di rimando, era automatico. Se in altre circostanze avrebbe trovato quella scena bella e quasi divertente, ora invece gli dispiaceva molto. Istintivamente portò le mani su quelle di lei, a stringerle, intrecciando le dita alle sue. Le braccia tremanti così come tutto il resto del corpo tremava, vibrava al solo pensiero di averle fatto del male. Tremava anche all'idea che lei potesse alzarsi da quella panchina, voltargli le spalle ed andarsene. Non perchè credeva che Narah non potesse comprenderlo, non era questo che lo spaventava. Lo spaventava il fatto di averci messo tanto tempo per tirar fuori quel groviglio di emozioni, pensieri e spiegazioni. Ci aveva messo tanti mesi, durante i quali si era comportato pure in maniera stupida, provando ad allontanarla da sè ed al tempo stesso sperando che lei non lo facesse. E magari anche se Narah avesse compreso il suo punto di vista, forse era troppo tardi e basta, era passatro troppo tempo. Quanti mesi? Sei? Sette? Ci aveva messo troppo tempo per capire, per capirsi. Ed il bello era che ancora non aveva finito, era in corso d'opera. Strinse le mani di lei nelle proprie, mentre lei si sporgeva verso di lui per abbracciarlo, trattenendo i singhiozzi. Sorpreso, si lasciò travolgere da quell'abbraccio e lo ricambiò, con leggera esitazione all'inizio, perchè era inaspettato, ma poi con altrettanto trasporto, salendo piano con le mani sulla sua schiena, per stringere quel corpo che aveva stretto altre volte in passato e del quale non era mai stanco. Il cuore nel petto sembrava aver raggiunto e superato un limite nuovo, mai battuto prima. Batteva talmente forte da fargli male, chissà che Narah non avrebbe potuto sentirlo nel suo petto, a contatto con il proprio. Una lotta tra cuori quella tra i due, con i toraci a contatto ed a sfidarsi. Sospirò sul suo collo, sui capelli, ed istintivamente le diede un bacio su quegli stessi capelli, su quei ricci scuri che tanto amava e che profumavano di lei. Un altro sospiro, faticò a staccarsi da quell'abbraccio, non perchè non volesse ascoltare ciò che lei aveva da dirgli, ma perchè tra le sue braccia si era sempre trovato bene. In quel momento era proprio di un abbraccio che aveva bisogno, non servivano davvero parole, non subito per lo meno - e sì, forse aveva paura di scoprire cosa lei avrebbe gli avrebbe risposto, anche se il suo abbraccio lo aveva risollevato. Le labbra tremavano, e Gideon ne strise tra i denti la carne, per fermare il tremolio, il volto in fiamme mentre la guardava. Staccandosi, lei gli prese il viso tra le mani e il corvonero per un attimo chiuse gli occhi, sentendo che non avrebbe retto a lungo. Si sentiva stravolto, in ogni senso. Ma stava tenendo duro per non crollare, perchè voleva mantenere quella connessione con Narah, non voleva perderla, voleva sentire ciò che lei pensava. Sospirò, di nuovo, portando le mani a stringere qualsiasi parte di lei riuscisse a raggiungere, probabilmente in quel momento la sua giaccia fredda che l'avvolgeva, un lembo di tessuto stretto tra le dita, mentre lei, delicata, gli accarezzava le guance.
    "Va bene chi sei" un altro sospiro. Non riusciva a dire un'altra parola, bloccato e dispiaciuto per tutto quel drama, ma diamine, stava un po' meglio.
    "Se ti piace indossare un reggiseno e una camicetta… piacciono anche a me, andremo a sceglierne insieme!". Quella frase lo colpì, lo colpì perchè da una parte significava che lei lo accettava davvero, che non aveva alcun problema a riguardo e questo sollevava da lui un altro peso enorme. D'altra parte, apriva un'ennesima porta sulla propria intimità. Era pronto a fare qualcosa di così intimo? Senza più maschere? Senza più nascondere quanto fosse importante per lui? Era pronto a farlo? Credeva che non fossero solo frasi di circostanza, quelle della special, ma...magari voleva semplicemente tirarlo su di morale. Annuì. Sai non so se sono ancora pronto a farlo, forse dovrei? Vorrei. Solo per curiosità e lo farei con te. Non scherziamo, non sarebbe andato con nessun altro che non fosse lei, in quel caso, quindi era un Sì.
    "È una tua questione se ti piacciono anche i ragazzi, nessuno può metterla in discussione." Nah si mostrò incredibilmente comprensiva, la sua reazione era stata meno sorpresa o scioccata di quanto lui avesse previsto. E fu l'ennesima conferma di quanto quella ragazza fosse...speciale.
    "Non cancella il fatto che io abbia sofferto, ma capita a tutti di sbagliare"
    Lo sapeva che ci era stata male, malissimo. Sapeva di essere stato egoista, di averla fatta soffrire troppo, di averla lasciata sola a rimuginare su qualcosa che non esisteva, qualcosa che la vedeva come "la colpevole" della loro rottura, anche se era assurdo in qualsiasi universo, da qualsiasi lato si guardasse la questione, era assurdo che potesse essere colpa di Narah.
    E poi, anche lui rimuginava, fin troppo. Si sentiva uno stupido - ancora, sempre - se ripensava a quel giorno, in cui lei gli aveva detto «sai, i… soliti idioti. Mi prendono di mira perché ci siamo lasciati.» ed anche se lui sapeva che lei stava soffrendo, non poteva fare niente per alleviare quel suo dolore, non in quel momento. Le uniche parole che era stato in grado di dirle erano state «Se può farti stare meglio in qualche modo, posso spargere la voce che sei stata tu a lasciare me.» Come se questo avesse davvero potuto rendere meno doloroso ciò che lei provava. Aveva sbagliato, quel giorno, a dirle quelle parole, come aveva sbagliato a tentare di allontanarla da lui, pur tenendola vicina. Ma in qualche modo, non potendo esserle di aiuto in altro, avrebbe voltuo aiutarla almeno in quello. Quanto stupido poteva essere stato? Che aiuto del cazzo le aveva proposto? Quando avrebbe semplicemente dovuto sparire dalla sua vita se proprio voleva che stesse meglio.
    «Non… non me lo aspettavo, non sapevo cosa fosse successo, all’improvviso non- non sapevo niente.»
    Quando lui aveva lasciato Narah, non era stato in grado di affrontarla davvero, magari chiedendo una pausa di riflessione, come fanno tante coppie, anche per rendere meno traumatica una possibile rottura. Riflessione per che cosa? Sarebbe stata una domanda legittima, ed allora avrebbe dovuto fare i conti con la propria confusione, avrebbe dovuto far chiarezza per forza, perchè per avere una pausa di riflessione bisognava che ci fosse qualcosa su cui riflettere. Avrebbe sentito una scadenza farsi sempre più pressante, ed il pensiero di lei lì ad aspettarlo. Per cui, lui si era limitato semplicemente a farle capire che i suoi sentimenti erano cambiati, che non era più come prima - e questo era un dato di fatto - perchè era più semplice così. La scusa migliore, la scusa che non prevedeva un "riproviamoci tra un po'" "proviamo a cambiare le cose", un sentimento o c'è o non c'è. Aveva preferito ferirla.
    Io non so come tu faccia a guardarmi ancora. Mentre lui a volte non riusciva quasi nemmeno a guardarla in faccia, perchè era un vigliacco. Come fai a guardarmi dopo ciò che ti ho fatto? Questa era una domanda da un milione di dollari. Nonostante adesso sapesse come stavano le cose, c'erano stati mesi in cui non aveva saputo niente, eppure lo aveva guardato lo stesso, con amore, con affetto. Aveva cercato di riconciliarsi con lui, sempre, in qualche modo. Aveva aspettato il momento adatto per fargli capire quanto ci tenesse, per esempio quando lo aveva baciato, durante la festa di Barry. Lo aveva baciato per fargli capire che, magari, lui si stava sbagliando, magari poteva ripensarci. Ma Gideon era nel pieno della propria confusione in quel periodo, e semplicemente sempre in maniera molto egoista, avrebbe voluto vivere quel momento di scoperta da solo, senza la sua Narah vicino.
    «Pensavo che avessimo superato le incomprensioni, che stessimo bene e lo saremmo stati per tanto. E… l’hai detto anche tu, siamo giovani e io sono romantica.»
    Avrebbe voluto dirle qualcosa di più, ma non lo fece, limitandosi a guardarla negli occhi, espressione seria e le mani a salire sul suo viso a scacciarle le lacrime con i pollici.
    Sinceramente? Non sapeva quanto meritasse le attenzioni che Narah gli aveva dato in passato e che gli stava dando anche ora, ma sapeva che avrebbe fatto in modo di meritarsele. Era determinato in questo. La domanda era se sarebbe riuscito a rimediare alla sofferenza che le aveva provocato. Tutti hanno dei buoi propositi per l'anno nuovo, il proposito di Gideon sarebbe stato proprio questo: esserci per le persone che amava e che lo amavano, fare qualcosa di bello per loro. Far capire loro quanto fossero importanti per lui, come loro facevano con lui. Solo questo, nient'altro.
    «Ti voglio bene, conta questo. Per me è tutto risolto.»
    Accennò un sorriso, dopo un altro sospiro, l'ennesimo. Ti voglio bene era riduttivo, tre parole che pensava non riuscissero a racchiudere l'essenza di ciò che stava provando in quel momento. Ma erano umanamente comprensibili, erano le più accettabili. Grazie. Le rispose, portando nuovamente una mano su quella di lei, e l'altra nella tasca della giacca per estrarre un pacchetto di fazzoletti e passargliene uno. Uno per lei e uno per lui. Dio come siamo... Nah. Non cambieremo mai. Ma mi sento davvero più leggero adesso, e spero che tu ti senta altrettanto leggera, nel senso...adesso che sai.
    La verità era che aveva lo stomaco chiuso, ma che avrebbe volentieri mangiato una mela caramellata con lei, per farle compagnia e per alleggerire ancora di più quella serata. E poi, sinceramente, le mele caramellate erano un simbolo del loro Wicked park. Non esisteva Wicked Park o appuntamento, senza la mela caramellata. Doveva mangiarla e poi, Nah era in debito, no? Si alzò, trattenendo la mano di lei ancora per un attimo nella propria e poi staccandosi. Le sorrise, precedendola verso la bancarella.
    BOULEVARD @boulevardofbro
    paranoia's all I got left
    3025 12.1k


    ...ho altre role in lista prima, MA dovevo chiuderla ora che sono nel mood.
    SORRY for the ennessimo pippone. tvb
     
    .
6 replies since 11/11/2020, 17:05   276 views
  Share  
.
Top