idk ig im emotionally prepared

[ Joni ft. More // campo da quidditch]

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    Joni Peetzah

    quello non era ciò che joni aveva in mente sin dal principio — tutta la situazione era un po' troppo extra per i suoi gusti.
    «coach» il fatto che jeremy stesse sogghignando nemmeno troppo sotto i baffi, iridi di un azzurro brillante rivolte verso il cielo, non aiutava la Tassorosso ad affrontare tale indicibile tortura, anche se l'unico motivo per cui non stava ridendo anche lei alle spalle dei provinanti era che quelli rischiavano di diventare i suoi compagni di squadra.
    una parte di loro almeno, e certo non quella testa di Trump che rispondeva al nome di Cillian Nooren, arrivato fino al sesto anno senza più nemmeno un neurone. joni lo odiava dal primo, magico giorno, e sul campo si stava dimostrando idiota quanto lei lo aveva sempre considerato. «sei proprio sicuro che cj o Sandy non possano cambiare idea?» ci provava sempre, la Peetzah. non poteva credere che i due si fossero ritirati, proprio quando lei aveva finalmente accettato il fatto che né Kain né Behan si sarebbero fatti bocciare per la causa.
    non potevano essere tutti come il McPherson, a quanto pare.
    «se con questo intendi che dovrei provare a fargliela cambiare io allora si, sono proprio sicuro. ormai sei in sella, joni, ti conviene pedalare.» come se su quella bicicletta troppo grande per lei ci fosse finita di sua spontanea volontà. «grazie coach, molto di ispirazione» molto sottile la nota di sarcasmo bella voce della quindicenne, la mancina a stringere con forza il manico della propria scopa mentre dieci metri sopra le loro teste quel babbeo di Cillian cercava di mettersi in mostra accanendosi contro un membro della squadra avversaria a suon di bolidi — sottile, ma perfettamente udibile. forse perché il discorso della bicicletta gliel'aveva già fatto Morley più di una volta, e vederlo sugli spalti a mangiarsi le mani mentre lei supervisionava i provini la mandava in bestia; non puntava certo a quel grado di responsabilità joni peetzah, ma il fato non le aveva offerto alternative.
    tutte quelle valide si erano dileguate lasciando la squadra a pezzi, letteralmente, e quando nella sala Grande era serpeggiava la voce che voleva Nooren candidarsi come capitano, alla ragazzina era partito un embolo.
    era una duro lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo.
    «aww, grazie, lo so! se non ti dispiace, quando puoi, lo diresti anche a bells che sono di ispirazione per i miei studenti? for science» e joni annuì, senza ascoltare davvero, le iridi grigio azzurre rivolte al cielo del medesimo colore, là dove la situazione stava cominciando a degenerare. «ho come l'impressione che ti tocchi intervenire, capitano» solo a quel punto sul volto spruzzato di lentiggini apparve un sorriso poco rassicurante, come se la quindicenne avesse atteso con ansia quel momento dopo un'ora di agonia — e come altro chiamare il tempo passato ad osservare gli aspiranti membri della squadra Tassorosso? qualcuno bravino c'era, inutile negarlo (joni aveva già segnato un paio di nomi durante i provini del giorno prima, più qualcuno che sarebbe andato bene come riserva), ma quella mattina le erano toccate solo pippe. o sbruffoni patentati, come il tizio cui, in qualità di capitano, si apprestava a fare il culo.
    «my time to shine» e si fregò le mani protette dai guanti in cuoio, pepper Joni, conscia del fatto che suo fratello stava assistendo alla scena dagli spalti — abbastanza vicino per sentire quello che era pronta ad urlare in faccia ai suoi concasati. la conosceva fin troppo bene, Morley, per non sapere che in quel corpo minuto poteva nascondersi un uragano ansioso di uscire a far danno; sul campo era stato così anche lui, finché l'infamous bolide non lo aveva quasi mandato all'altro mondo. «partita finita, scendete giù» era certa che in quel modo, con la bacchetta puntata alla propria gola e la voce amplificata dalla magia, anche gli studenti in movimento davanti agli anelli in fondo al campo l'avrebbero sentita, e in effetti molte teste si voltarono nella sua direzione; quasi tutti, Reginald per primo, si diressero (con un grado di euforia variabile tra morte vivente e mi sono sparato due litri di caffè) verso il prato, tonfi ripetuti di piedi a pestare l'erba — tranne, ovviamente, quella merdina di Cillian.
    che si fece attendere per cinque minuti, volando in tondo sopra le loro teste con il probabile intento di farle girare le palle e guess what? ce la stava facendo benissimo. solo, non come avrebbe voluto lui. «stavo per segnare un gol da manuale, pepper. non potevi lasciarci giocare ancora un pò?» la Tassorosso vide Reginald e un paio di altri candidati scambiarsi occhiate perplessa, qualcuno spostare il peso del corpo da una gamba all'altra in preda al l'imbarazzo; sapeva a cosa stavano pensando, quale dubbio gli si fosse formulato nella testa. Jérémy l'aveva messa in guardia sin dall'inizio, ma Joni non aveva bisogno di qualcuno che le facesse presente le difficoltà della sua condizione — una ragazzina, una femmina, con un nome conosciuto sulle spalle e poca esperienza oltre a queste. Il fatto che Noolan si fosse candidato come capitano e non avesse ricevuto alcun voto a favore la diceva lunga sul tentativo continuo di dimostrare a tutti quanto la concasata fosse inadeguata al ruolo. «non sai nemmeno cos'è un gol da manuale, Chilly. ti ho fatto un favore ad interrompere il gioco» vide l'altro avvampare e di schiudere le labbra per dire qualcosa - magari anche appellarsi ad un Milkobitch per nulla intenzionato ad intervenire -, e lo zittì con un cenno della mano sollevata a mezz'aria. «ho visto quello che dovevo vedere. molte cose positive, alcuni di voi hanno la stoffa e ampio margine di miglioramento» annuì a se stessa, osservando uno a uno gli aspiranti, soffermandosi infine su quell'unico che le avrebbe volentieri scippato il posto «ma anche cose negative. sarete parte di una squadra, e una squadra non funziona se i singoli pensano solo a loro stessi. se di fronte ad un compagno in difficoltà passano oltre, se sacrificano gli sforzi fatti del gruppo per cinque secondi di gloria personale» nessuno dondolava sul posto, questa volta.
    i provinanti - quattro maschi e cinque femmine - la guardavano dritta negli occhi, con le dovute eccezioni, ciascuno conscio di aver rispettato a pieno quegli ideali; l'avevano visto tutti Cillian lasciare che un compagno della sua squadra quasi si prendesse in faccia un bolide, senza fare il minimo tentativo di aiutarlo. o che, in mezz'ora, non aveva mai passato la pluffa davanti agli anelli come un Cristiano Ronaldo qualunque, finendo come ovvio per segnare una volta sola. Joni Peetzah non era forse la persona più socievole al mondo, ma era leale e sempre pronta a farsi il culo, due caratteristiche che in quanto nuovo capitano dei Tassorosso aveva deciso di rendere tassative per ciascun membro della squadra, il che escludeva Cillian a priori — e poi insomma, chi non odiava le prime donne come (Ronaldo) lui? «ma quante stronzate, io-» «non ho ancora finito, Chilly. Tieni la bocca chiusa ancora due minuti» già mentre lo diceva, con la coda dell'occhio la quindicenne registrò tre cose: la faccia del concasato che passava da un blando rossore diffuso al colore febbricitante dei mattoni, Reginald che tentava inutilmente di trattenere una risata e, il più temibile dei segnali, suo fratello che si alzava dagli spalti per incamminarsi verso di loro.
    allarme rosso.
    «ci tenevo solo a farvi sapere quale per me è il criterio più importante, quando valuto una candidatura. detto questo, domani sera al più tardi troverete in Sala Comune l'elenco con i nomi di chi ha superato il provino» diede un'ultima occhiata alle spalle dei Tassorosso presenti, dove Morley già salutava sventolando con la mano sollevata in aria; nella speranza che fosse rivolto a Jeremy, Joni non fece una piega, preferendo concentrarsi sugli aspiranti per mandarli via il più in fretta possibile. già serpeggiavano dubbi sul fatto che l'avessero scelta come capitano grazie a suo fratello, ci mancava solo che lo vedessero sul campo a farle da stalker. «potete andare adesso» così, nel caso non l'avessero ancora capito. salutò un paio di loro, quelli del suo anno che conosceva meglio, con un cenno del capo, già pronta a filare negli spogliatoi per togliersi la divisa e tagliare la corda, e così avrebbe fatto se prima di essere bloccata da more non si fosse trovata di fronte quella zecca di Noolan: il fatto che la superasse di venti centimetri e stesse invadendo il suo spazio vitale la mandava in bestia, ma mai quanto l'idea di non potergli dare un calcio nei testicoli.
    non poteva sopportare anche la ramanzina da parte del bro.
    «spero davvero di trovare il mio nome su quell'elenco, pepper» ma perché tutti a lei i casi umani. «altrimenti?» una domanda retorica quella della quindicenne, posta con poche speranze e tanta stanchezza — la giornata era cominciata da tre ore e già la odiava «altrimenti la tua vita a scuola potrebbe diventare difficile» caspita, più di quanto non fosse già? insane. «una minaccia davvero elaborata, Chilly. io invece ti faccio una promessa» e fa niente se Morley era già alle loro spalle pronto ad intervenire in caso di rissa «se non mi stai fuori dalle palle per i prossimi due anni ti faccio saltare tutti i denti, a uno a uno» oh, al club dei duellanti la Peetzah aveva imparato un sacco di cose.
    «jONi1!1!#1!»
    eccallà.


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    morley peetzah
    Era passato troppo tempo da quando un Morley Peetzah, di rientro dall'ennesimo pomeriggio passato in compagnia di Penn Hilton e suo (no, loro) figlio si era detto, guardandosi allo specchio: «domani glielo dico.»
    Quel domani non era arrivato dopo ventiquattro ore, ma bensì dopo ventiquattro settimane, e nonostante tutto quel tempo trascorso, l'ex Grifondoro non aveva immagazzinato sufficiente coraggio per sentirsi a suo agio con ciò che lo aspettava una volta rivelato quel gigantesco segreto. Era così che si era sentita Penn? Aveva provato la stessa angoscia che aveva attanagliato lo stomaco del Peetzah per mesi? Sola.. no, non era stata sola; aveva avuto (purtroppo o) per fortuna, la sua famiglia alle spalle – e sì, persino Yale si era reso utile in quel frangente, assurdo, lo so. Ma ora Piz la capiva, la capiva davvero, perché nemmeno lui si sentiva così pronto a condividere quel segreto che aveva già rivoluzionato la sua vita; era così difficile tenerlo nascosto alla sua famiglia, ma lo era ancora di più trovare il coraggio necessario per renderli partecipi. Non aveva ancora capito, lui per primo, cosa provasse a riguardo, ma sapeva che ogni momento condiviso con Penn e Bangkok era un momento speciale e sia Liv che Joni meritavano di sapere, e di viverli a loro volta, così come anche i coniugi Peetzah.
    Ciò che spaventava Morley era la possibilità che loro non lo giudicassero all'altezza della situazione! Beh, spoiler in arrivo: lui stesso non si sentiva (ancora) pronto! Ci stava provando, ci stava provando davvero e ogni momento della giornata pensava a come comportarsi per poter rimediare a quegli anni di assenza – e ad altri che sarebbero venuti in futuro, ma ancora non poteva saperlo. Giorno dopo giorno aveva cercato aiuto nei posti più disparati - su internet, nelle parole scritte da Fray sul giornale, in una conversazione casuale con Barrow, negli occhi azzurri e fin troppo svegli di Bells (Piz passion pg di Sara sr) - ma senza mai aprirsi troppo, senza mai rivelare davvero cosa stesse cercando, cosa tenesse nascosto. Le prime a dover sapere, secondo l'ex Battitore, erano proprio le sorelle Peetzah; non si sarebbe sentito in pace con se stesso se non lo avesse fatto lui di persona ma mai in ventisette anni di vita si era sentito così codardo. Sapeva di non essere fatto per fare il padre, se ne era accorto a sue spese, però sentirselo dire avrebbe fatto più male che rendersene conto guardandosi allo specchio, ogni singola mattina. E se Liv avesse arricciato le labbra come suo solito, giudicandolo silenziosamente come fosse l'ennesimo grattacapo del Ministero da dove risolvere? E se Joni lo avesse guardato, impassibile, ma desiderosa di prenderlo a calci e pugni come fosse un Clicker bastardo per il suo ennesimo guaio? Non c'erano dubbi sul fatto che Bang fosse proprio quello, un casino grande e grosso, qualcosa che in qualche modo i due maghi erano riusciti a tenere nascosto ai giornali magici e babbani... Ma Morley, più passava il tempo, più iniziava ad affezionarsi a quella creaturina così simile a lui e allo stesso modo così simile a Penn, al punto da rendersi conto troppo tardi del sguardo da pesce lesso che rivolgeva in direzione di madre e figlio. Un casino, certo, ma per qualche strana ragione i #carbs erano riusciti a renderlo un bellissimo casino; una cosa abbastanza sconvolgente, considerato chi fossero e tutti i guai combinati in passato. Ma non c'era dubbio che Bang fosse il loro disastro migliore.
    «...adesso vado lì e gli spacco la faccia!»
    La voce che aveva fatto da sottofondo ai suoi pensieri per gli ultimi quaranta minuti arrivò così alta alle orecchie di More che per un attimo temette che la rossa avesse castato un Sonorus per farsi sentire fin dagli spalti; non che ne avesse davvero bisogno, Dylan Kane, con la voce acuta – e a tratti fastidiosa – che si ritrovava. Morley storse il naso e le riservò un'occhiata di traverso. «Se ti metto le mani addosso ti trasformo nel Guernica!!!!!» «???» confused-piz.gif «Ouch» Si massaggiò il braccio laddove la Kane lo aveva appena colpito, sfogando la rabbia che avrebbe voluto invece rivolgere tutta verso uno dei provinanti. «Leanie.» Ammonimento che non servì ad un bel niente, non quando la rossa era in full-mode-hurrikane. La trattenne per la divisa, giusto per impedirle che, in un impeto di rabbia, saltasse giù dagli spalti e si scaraventasse al suolo (#beentheredonethat).
    «Calm the fuck down» e, internamente, pregò che crescere Bang si rivelasse più facile che crescere Joni – e per diretta conseguenza della #joyland, anche Dyl – nella speranza che il figlio si calmasse crescendo. (Spoiler: you're in for a rude awakening, More.) Scuotendo la testa, tornò a prestare attenzione al motivo per cui era tornato nuovamente ad Hogwarts: i provini di Quidditch. Erano sempre un'emozione per il Peetzah, che li vivesse da giocatore, da capitano, da spettatore o da fratello-barra-coach; perché sì, in quel momento Piz si sentiva un po' entrambe le cose. Era lì per supportare sua sorella nella sua nuova avventura come Capitano («ODDEO MI RENDI COSE' FIERO CAROTINA!!!» e il conseguente abbraccio stritolatore che... beh, se lo doveva immaginare che si sarebbe beccato un pugno nello stomaco per quel gesto ma ne valeva la pena!!!) ma era anche lì per dirle la sua su come poteva migliorare (la squadra, il suo approccio, la tecnica, tutto). E poi, sì, dai, anche magari per dirle quell'altra piccola cosina che non era poi molto rilevante al momento hihihi
    «asdfghjkl»
    I provini avevano rotto la Kane. Piz rimase un momento a riflettere se scuoterla per assicurarsi che respirasse ancora, o se lasciarla al suo destino: un pericolo pubblico in meno sulla piazza. Forse persino Joni lo avrebbe ringraziato della cosa. Ma alla fine si limitò a roteare gli occhi e, esasperato, tirarle la sciarpa fin sulla fronte, per nascondere il volto della ragazzina in un gesto dispettoso che solitamente riservava a Pepperoni. La Kane, da pazza quale era, ne approfittò per lanciare un urlo e schiantarsi contro di lui: «sono un Bolide MUHAUAHAUH ti abbatto»
    OKAY, that's it. Anche Piz aveva un limite di sopportazione per il nonsense adolescenziale. «...okay» bofonchiò mentre se la scollava di dosso e si alzava, pronto ad abbandonare gli spalti. Era giunto il momento di intervenire sul campo: you can take the boy out of the pitch but you can't take the captain out of the boy (??) «See ya.» E fece per andarsene.

    «spero davvero di trovare il mio nome su quell'elenco, pepper»
    «altrimenti?»
    «ooohhh» Piz mascherò a fatica un'espressione divertita, un pugno davanti alla bocca, arrivando alle spalle di Jeremy e sussurrando un «avvisa stiles, digli di preparare uno dei letti dell'infermeria» era sempre fiero di Joni quando la sua ira veniva rivolta verso altre persone, ovviamente «quel tipello sta per essere abbattuto come una delle anatre di duck hunt» cose da millennials. Poi ignorò il professore per avvicinarsi al gruppetto di tassi che andava via via diradandosi, cercando di non fare troppo rumore o di distrarre la squadra dall(a minaccia nell)e parole della Peetzah. Era una scena troppo bella per non godersela da più vicino.
    «se non mi stai fuori dalle palle per i prossimi due anni ti faccio saltare tutti i denti, a uno a uno»
    «jONi1!1!#1!» avrebbe dovuto redarguirla per quella violenza verbale – che non avrebbe tardato a diventare anche fisica – ma lui non era Liv né Ellie French; era solo un fratello maggiore che a fatica conteneva la risata che la scena aveva provocato in lui. Pepper Joni Peetzah era un diavolo della Tasmania e tendeva a travolgere chiunque le capitasse a tiro, specialmente le primedonne rompicoglioni come quel Ronaldo dei poveri (fanno gli stessi paragoni mentali i Peetzah, è canon). Non si intromise nella discussione, Joni non aveva assolutamente bisogno di qualcuno che intercedesse per lei, ma attese con pazienza – e ridendo sotto i baffi – che quel ragazzino si allontanasse per poter finalmente parlare con sua sorella. Le si avvicinò e le mise una mano in testa, senza troppa difficoltà, visto che la ragazzina era alta la metà di lui. «carotina» le scompigliò anche i capelli, giusto perché quel nickname infame a volte non bastava hihihi doveva proprio fare il fratello infame fino alla fine. «Te la sei cavata bene, brava» /bene/ perché non voleva darle né troppe speranze, né farle sin da subito presente ciò che era andato invece malissimo – primo fra tutte dare all'Antipatico anche solo la possibilità di salire in sella ad un manico di scopa. «Pensavo peggio.» No, non lo pensava in realtà; era davvero contento di vederla sul campo in qualità di Capitano. Addirittura – ma non lo avrebbe mai ammesso – era quasi invidioso di lei per aver raggiunto quel traguardo al quinto anno e lui solo al settimo. Rimpiangeva ogni giorno di non aver fatto fuori Eli per strappargli il ruolo MA BRO non ti avremmo mai fatto del male I PROMISE.
    La studiò un altro po', senza smettere di sorridere, e poi le disse «ma avrei qualcosa da dirti.» Che potevano essere appunti sul gioco, consigli su chi prendere e chi mandare a casa a calci, rivelarle che era zia (cosa?cosa.); chi lo sa cosa le avrebbe detto. «Voglio ascoltare anche io!!!»
    «JFC, Dylan.» ma da dove era uscita? Gli faceva così paura, certe volte. Indirizzò uno sguardo verso Joni, chiaramente perplesso, e non si stupì della scrollata di spalle del Capitano, un chiaro “che vuoi farci” rassegnato dipinto sulla faccia. Sorrise allora diabolico, prima di sussurrare un «guarda, quello non è Mehan?»
    «dOvEeEeEeEee»
    «Funziona ogni. singola. volta.» bastava solo sapere la crush del momento della Kane e il gioco era fatto. «Andiamo, Carotina, che ne dici se mentre parliamo ci esercitiamo un po'?» E afferrò due mazze e un finto Bolide, di quelli che non volano impazziti, ma che si usavano per affinare la tecnica da terra (me lo sono appena inventato? certo che si.) perché degli originali Piz aveva ancora paura. Poi indicò con un cenno della testa il centro del campo e attese che Joni lo seguisse.
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    notoriamente, joni non sopportava niente e nessuno.
    la cosa peggiore, di questa sua intolleranza, era che le persone a lei più vicine sembravano fare di tutto per ignorare i suoi malumori, le risposte deadpan, i monosillabi, la quasi totale mancanza di reazioni emotive; persone come Dylan, Lucy, suo fratello, si arrampicavano alacremente sul muro di cemento armato che la quindicenne aveva costruito con tanta cura e dedizione, rapidi e agili come gechi al sole, superavano senza batter ciglio il filo spinato posto in cima e passavano dalla parte opposta atterrando con la stessa grazia di un gatto selvatico. e joni un po li odiava per la facilità con cui lo facevano, mettendola nella posizione scomoda di non poterli odiare davvero.
    capite lo struggle?
    era molto più felice quando poteva insultare Cillian e minacciarlo di spaccargli i denti, quando qualcuno la provocava e lei poteva dimostrare a suon di testate in faccia quanto poco convenisse darle fastidio. porca miseria! era più facile persino litigare con quel palo deforme di Julian Bolton (30cm di piede? ma è legale??? ), perché quelle frecciatine non portavano a nessuna responsabilità - a Julian, Joni non doveva dimostrare niente. ma quando permetti a qualcuno di diventare tuo amico, quando li lasci scavalcare il muro, improvvisamente ti senti responsabile per quel rapporto così delicato e fragile e ti viene spontaneo pensare che forse, forse, quelle persone meriterebbero qualcosa di più.
    che lei fosse più coinvolta, più partecipe, più come loro.
    solo che joni non poteva.
    non voleva nemmeno provarci, il che la faceva sentire allo stesso tempo in pace e un po' una merda.
    «vale la scusa "ha iniziato prima lui"?» chiese, con fare innocente, quando Morley fu più a portata di orecchio, mentre quel cagasotto di Nooren si faceva improvvisamente piccolo piccolo nel tentativo di passare inosservato agli occhi del maggiore, lo sguardo e i successivi passi rapidi rivolti verso l'uscita del campo. e anche oggi il divertimento è concluso, Joni. Sapeva ben prima di farla quanto quella fosse una domanda retorica, perché a) suo fratello aveva assistito all'intera scena e b) le regole educative di casa peetzah richiedevano comunque un certo aplombe che la quindicenne non possedeva; ogni tanto anche piz, come la loro madre, cercava di ricordarle tali paletti di creanza e compostezza, ma nella maggior parte dei casi - come, fortunatamente, quello - il ragazzo desisteva prima ancora di cominciare.
    «carotina» oh, Totti(ngton, ma non ancora.), give me strength.
    Totti: sorry we're closed today.
    «Te la sei cavata bene, brava. pensavo peggio» fece un bel respiro, la peetzah, quando la pala che suo fratello aveva per mano le calò sulla testa come faceva quando lei aveva cinque anni scompigliandole i capelli; non si chiamava persessinclairdellacasatadeiserpeverde, conosceva a malapena il significato della parola pettinarsi, ma da qui ad apprezzare quando qualcuno le toccava i capelli ne passava. e Morley, quel pikkolo infame, lo sapeva meglio di chiunque altro. una vera fortuna, per lui e le sue dita, che Dylan non fosse stata capace di trattenersi oltre, già provata da una resistenza psicologica e fisica per lei fuori dalla norma: per la kane lasciare spazio vitale alle persone era praticamente impossibile. Le si voleva bene anche così eh, ma per Joni era una sfida continua contro se stessa e il cielo verso il quale sollevava gli occhi un minuto sì e l'altro pure.
    «guarda, quello non è Mehan?»
    «dOvEeEeEeEee»

    Joni aprì bocca per fermarla, stringere il braccio dell'amica impedendole di cadere nella trappola, ma era già troppo tardi - le toccava affrontare la chiacchierata da sola, senza un emotional support (dove con emotional support si intende qulcuno capace di dimostrare una gamma variegata di emozioni al posto suo). come accadeva a qualunque essere umano - o almeno, così Joni pensava dovesse girare il mondo per le persone sane di mente -, anche alla quindicenne la frase 'ti devo parlare' metteva i brividi lungo la schiena, come un sintomo iettatore di oscuro presagio. aveva scoperto così che morley si era fatto quasi ammazzare - non un bel precedente.
    «Andiamo, Carotina, che ne dici se mentre parliamo ci esercitiamo un po'?» quindi la situazione era ancora più grave del previsto.
    «hai ucciso qualcuno e hai bisogno che ti fornisca un alibi mentre scappi in messico?» che poteva sembrare una battuta, ma sul viso pieno di lentiggini della tassorosso non c'era nemmeno l'ombra di un sorriso; un po perché riteneva l'ipotesi del tutto possibile, se non addirittura probabile, e - soprattutto - perché lo avrebbe fatto senza problemi. fornire un alibi falso al fratello mentendo alle autorità? quisquilie; la cosa davvero difficile era rispondere alla cugina ciatella di mamma durante i pranzi in famiglia quando le chiedeva del fidanzatino, resistendo alla voglia di picchiarla con un piatto. ma, in tutto questo, l'espressione di Morley era cambiata, lo sguardo limpido rivolto con troppa rapidità verso il prato, le dita a muoversi febbrili attorno al manico della mazza. no, non stava per scappare in messico (unless.)
    «dai.» gli fece cenno di lanciare il bolide, mentre a sua volta afferrava saldamente la mazza con entrambe le mani, i piedi distanziati quel tanto che basta a darle la stabilità in previsione del colpo «sputa il rospo» cioè, si parlava pur sempre di Morley Peetzah, l'idolo delle ragazzine, il cocco di mamma: cosa cacchio poteva aver mai fatto di tanto terribile da diversi confessare in segreto con lei? #spoiler.

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    C'erano cose che per More erano familiari, giuste, consuete.
    Il legno ruvido della mazza stretta saldamente con la mancina; le protezioni ben allacciate e il mantello della divisa a svolazzargli tutto intorno; il pranzo di famiglia la domenica rigorosamente ad Hogsmeade, dove quindi nessuno poteva mancare; il gelato alla stracciatella, quell'unico vizio concessosi quando particolarmente abbattuto; una passeggiata notturna sulla M25 perché lo sanno tutti che il momento migliore per imboccare l'autostrada londinese è la notte fonda, quando non c'è un'anima in giro; una bella corsa nel parco di prima mattina, la brezza fresca – o il vento gelido, a seconda della stagione – a risvegliare e tonificare il corpo.
    Tutte cose che il Peetzah aveva fatto milioni di volte e che avrebbe fatto ancora e ancora nel corso della sua vita; cose che lo facevano sentire al sicuro, che lo cullavano con la loro monotonia. Cose che facevano male, a volte, certo, ma altre che lo facevano stare benissimo.
    C'erano cose, dunque, semplici che davano a Morley Peetzah quella stabilità di cui, per tutta la vita, aveva fatto a meno, cercandola sempre e solo a cavalcioni di un manico di scopa. Cose che lo facevano sentire tranquillo.
    E poi c'era il dover dire a tua sorella che è diventata zia da due anni ma, hey!, caramba, non lo sapevi nemmeno tu fino a qualche mese prima!
    E lui, solitamente fiero e spensierato, si sentiva a disagio alla sola idea di dover confessare una cosa grande come quella. Inconsciamente lo sapeva che era una scemenza, perché era di Joni che si stava parlando: la piccola di casa che, in qualche modo, era la più scaltra e sveglia di tutti. La stessa Joni che, nonostante la differenza d'età, nonostante fosse la sua sorellina minore, gli aveva retto il gioco (e parato il culo) più volte di quelle che Morley potesse contare. Quella Joni che aveva appena visto rimettere in riga un pallone gonfiato col caratterino che tanto la contraddistingueva. Joni che aveva le spalle più grosse delle sue, di questo ne era consapevole, e che era dieci volte più matura dello stesso coach.
    Una Joni a cui probabilmente avrebbe fatto piacere scoprire di avere un nipotino... o forse no?
    La dita a stringere a più riprese sullo strumento di gioco, mentre con la punta del piede stuzzicava delle zolle di terra – doveva smetterla, Jer lo avrebbe ucciso se avesse rovinato quel dannatissimo prato inglese – e una morsa nervosa a stringere lo stomaco, come solo le serate di partite importanti sapevano fare. Non riuscì a frenare l'istinto di abbassare lo sguardo sul terreno di gioco, il Peetzah, schiacciato dai sensi di colpa e dall'ansia. Non le doveva confessare alcun crimine – non aveva ancora ucciso nessuno, anche se leggendo certi commenti sui blog l'istinto omicida ogni tanto era venuto a galla, ma si era sempre trattenuto. Eppure, ammettere di averle tenuto un segreto del genere così a lungo aveva lo stesso sapore di quell'improbabile alternativa, a detta dell'uomo. E poi c'era sempre la possibilità che Joni gli riservasse la sua Occhiata Tipica, quella che teneva di solito per i coglioni che facevano qualche stronzata. Godric solo sapeva quante volte l'aveva vista roteare gli occhi così forte verso il cielo al punto da temere che le rimanessero incastrati o le cadessero o che ne so io, ma la Pizzetta era proprio una Eyeroll Master, e lui una delle tante cause che la portavano a quel gesto di estremo fastidio.
    Insomma, grande grosso e giuggiolone come dice il detto (ma quale?chissà se è solo roba nostra o se si usa davvero) ma la sola idea di svuotare il sacco con la sorellina quindicenne lo mandava in tilt.
    O forse era l'idea stessa di ammettere la verità a voce alta a terrorizzarlo? Finché rimaneva una cosa che condivideva con Penn, solo ed esclusivamente loro, poteva fingere che fosse... una sorta di doppia vita, qualcosa che non doveva necessariamente andare ad intaccare la sua carriera, le sue abitudini, la sua routine. Poteva frequentare donna e bambino quando riuscivano ad organizzarsi, ma poi tornare a casa e pensare a ciò che, da sempre, aveva considerato il suo unico scopo nella vita; amava passare del tempo con Bang, ma amava anche il tempo che aveva per se stesso. Ammettere finalmente a qualcuno di essere diventato padre, di avere la responsabilità di un altro essere umano sulle spalle era... terrificante. Si domandava quotidianamente come facesse Penn a farlo sembrare così facile, come riuscisse a giostrare le sue mille attività, il reality, gli eventi di beneficenza, la vita mondana e l'esser madre. Lui a malapena riusciva a badare al Piccolo Tulipano – e per fortuna che le sue ragazze non avevano bisogno di lui, anzi semmai succedeva l'esatto opposto.
    «dai. sputa il rospo»
    «E' veramente uno stupido modo di dire, se ci pensi.» Quell'osservazione fatta con leggerezza, mentre palleggiava pigramente col bolide lanciandolo in aria e riprendendolo, servì a ben poco; non lo rilassò come avrebbe sperato, né servì a minare la determinazione che leggeva nello sguardo ceruleo di Joni, uno sguardo che Piz conosceva benissimo, concentrato e serio; lo stesso sguardo che l'uomo aveva durante ogni singola partita e allenamento. Uno sguardo pesante, tuttavia, che Morley riuscì a sorreggere solo per qualche secondo appena.
    Le fece cenno di correggere la postura, la modalità coach mai completamente disattivata, e poi caricò il tiro; era quasi confortevole sapere di avere ancora qualcosa da dare, qualcosa con cui contribuire in quello sport, ma non era più come un tempo. Se non avesse rischiato di vomitare ancor prima di staccare i piedi da terra, avrebbe volentieri sfidato Pepperoni ad una gara ad alta quota, a chi riusciva ad evitare più Bolidi e, allo stesso tempo, chi riusciva a disarcionare prima l'avversario.
    Ma si doveva accontentare di quello che aveva, e ringraziare di avere una sorella con cui condividere quei piccoli momenti.
    Stranamente silenzioso, quel giorno, un po' sentiva la mancanza di Dylan e del suo continuo chiacchiericcio - Dylan che in quel momento, sugli spalti, assillava proprio il Tulipano, l'ombra di Piz, il supporto morale di cui l'uomo ogni tanto aveva bisogno, il suo portaborse, il bastone della vecchiaia (?). Sì, se l'era portato dietro, ovvio che se lo fosse portato dietro; anzi, quasi quasi lo promuoveva anche a portavoce, così da far ricadere su di lui incombenze come quella.
    Oh Totti, ma quello vero, give me strenght. Con tanto di manona schiaffata sulla faccia per trovare quella forza che nessun Signore del Calcio avrebbe potuto infondergli.
    Attese la ribattuta di Joni prima di pensare nuovamente al tiro, e ne approfittò per pensare a cosa dire. Poteva essere diretto e liberarsi con uno strappo netto, e via il pensiero. Ma un “ciao Joni, volevo solo dirti che sei zia di una creaturina di due anni, no biggie, continuiamo pure ad allenarci” non gli sembrava proprio il modo più carino.
    «So che spesso il Morley Allenatore prende il sopravvento sul Morley Fratello Maggiore e non lo dimostro a dovere, ma sono davvero fiero di te, Carotina.» Non stava cercando di arruffianarsela, quindici anni vissuti con Joni gli avevano insegnato che serviva ben altro per lecchinarsi la Tassorosso; Morley era molto serio, in quel momento, ed era disposto a riconoscere i propri sbagli, perché non sempre le aveva dato il giusto supporto, preferendo sottolineare gli errori compiuti in partita o qualsiasi altra cosa avesse ritenuto bisognosa di accorgimenti, perché l'indole perfezionista di Morley Peetzah non possedeva davvero un tastino di on/off, era sempre settato su attivo, anche quando magari sarebbe stato sufficiente un “bravissima” e un pollice verso l'alto, in segno d'approvazione.
    Che poi Joni preferisse di gran lunga quando lui evitava qualsiasi tipo di dimostrazione d'affetto era un altro paio di maniche: il fatto che sua sorella fosse emotiva come un sasso non significava che lui si perdonasse certi atteggiamenti costipati che aveva nei confronti della minore. Capite il suo dilemma? E se non fosse stato bravo a crescere Bangkok perché l'unica cosa di cui gli importava davvero, l'unica cosa su cui fosse veramente bravo era prendere a mazzate una cazzo di palla volante? Morley non era affatto come sua mamma, amorevole e piena di affetto da donare al prossimo; cavolo, persino Big Peetzah era dieci volte più bravo del figlio a elargire complimenti o riservare gesti affettuosi. I modelli di vita, per essere un buon genitore, davvero non gli mancavano; eppure...
    Si schiarì la gola, conscio di aver preso fin troppo tempo e di aver portato quel nuovo lancio troppo per le lunghe; si costrinse dunque a riportare la testa sul campo, a concentrarsi, e poi effettuò un secondo tiro, questa volta cercando di donare alla palla una traiettoria ad effetto per obbligare la ragazzina a sforzarsi un minimo di più: okay che stavano parlando ma si stavano anche allenando, e More non prendeva mai non sul serio gli allenamenti.
    «Intendo... per la nomina a Capitano, ovviamente.» Ovviamente, duh. «E pensare che a tredici anni ero convinto che quello sgorbietto spelatino appena arrivato avrebbe portato solo problemi.» La prese in giro, ma nemmeno troppo; il piccolo More aveva davvero temuto che gli equilibri della famiglia si sfasciassero, con la new entry di casa e non perché fosse geloso di Pepper Joni Peetzah ma perché a quel tempo i cambiamenti repentini lo spaventavano a morte. Una nuova sorella? Che lui non poteva tenere d'occhio perché passava sei giorni su sette al castello? Impensabile!
    Ma poi, col tempo, si era dovuto ricredere. «Le cose inaspettate non devono per forza essere uno shock, no? O essere temute. Un cambiamento può anche portare a cose belle.» Si stava rivolgendo a se stesso, o a Joni? Difficile dirlo. Le lanciò un'occhiata di sottecchi. «Ma ovviamente non parlo di te.» Si deve abbassare per evitare il bolide? Chissà, probabilmente no, Joni ha troppo aplombe (?) per un gesto del genere. Ad ogni modo, «sul serio, però.» Era serio. «Anche se, per favore, nessuno vuole la brutta copia di Ronaldo in squadra.» Arricciò il naso, infastidito dal mero ricordo di quel Tassorosso insopportabile che aveva incrociato appena, a fine allenamento. «Dimmi che non hai alcuna intenzione di dargli una possibilità. Credimi, con uno del genere in squadra non finisce mai bene.» lui ne aveva viste di primedonne andare e venire nel corso della sua carriera, e gli doleva ammetterlo ma, alcune volte, lo era stato lui stesso: troppo rigonfio di ego e superbia per accorgersene, spesso raggiungere un traguardo o un record personale aveva significato più del lavoro di squadra ed era una cosa di cui si vergognava terribilmente, col senno di poi.
    Con un sospiro profondo, infine, e l'ennesimo tiro di Bolide, racimolò coraggio a sufficienza per almeno iniziare una frase. «Non sto scappando in Messico,» non ancora, comunque, «né ho ucciso nessuno. Semmai -» colpo di tosse per schiarire la voce, o per mandare giù quel groppo che aveva in gola, «- semmai è il contrario.» Chissà se era riuscita a sentirlo, quel sussurro, pronunciato nel momento esatto in cui il Bolide andava ad intaccare contro la mazza tenuta dalla studentessa, un momento calcolato con estrema cura e preciso al secondo.
    Non era una scheggia in matematica, il Peetzah, ma aveva imparato a capire i Bolidi, a sintonizzarsi con loro ad un livello quasi spirituale, sapeva perfettamente prevedere quando sarebbero andati a segno, e le traiettorie che avrebbero compiuto.
    Beh, tutti i Bolidi eccetto uno, ma era una storia vecchia.
    In quel momento ne aveva un'altra da dover raccontare.
    Sempre che la mano di Godric Gryffindor fosse finalmente scesa su di lui per (schiaffeggiarlo e) infondergli il coraggio che, per definizione, si presupponeva possedesse e di cui aveva assoluto bisogno per sputare il rospo.
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    Joni Peetzah

    «E' veramente uno stupido modo di dire, se ci pensi.»
    mio
    buon
    signore
    Benedetto
    dammi
    la forza.
    durante la discussione con Noolan, Joni aveva accumulato una considerevole dose di veleno nel sangue, impossibilitata a sputarlo addosso al concasato nella maniera da lei ritenuta più opportuna, e Morley Peetzah avrebbe dovuto sapere il rischio che correva. In primis, stava girando davvero troppo attorno a qualunque orribile segreto avesse deciso di confessare (la quindicenne apprezzava chi andava direttamente al sodo, risparmiandole lunghe conversazioni condite da pause tattiche e silenzi imbarazzati); in secondo luogo, come se prenderla alla larga non fosse stato sufficiente, suo fratello stava facendo troppo suo fratello «sarebbe stupido anche farsi colpire ora da una mazza, se ci pensi» lo disse con una certa nonchalance, senza traccia di cattiveria nella voce; era semplicemente il suo modo di comunicare, e nessuno più di more - forse più avanti un certo Giuliano - sapeva riconoscere quando sotto quell'approccio un po' rude si celasse anche un reale pericolo. non era il loro caso, ma se il fratello fosse andato avanti a tergiversare poteva tranquillamente diventarlo.
    allargò leggermente i piedi, tenendo la mazza con due mani nonostante sapesse bene di non poter fare altrettanto durante una partita, ma in quel momento si trovavano a terra e Joni poteva scaricare la tensione con tutta la forza che aveva: immaginate che il bolide fosse in realtà la testa di Cillian le dava una certa soddisfazione, nonché un prurito ai palmi che chiedeva a gran voce di essere sedato. rimaneva solo da capire se la rossa avrebbe finito per sfogarsi sulla sfera o sul ragazzo che le si trovava accanto, stessi occhi azzurri a sondare il cielo in cerca di ispirazione. ma cosa cazzo doveva dire di così terribile da non trovare le parole? proprio Morley Peetzah, poi, che a chiacchiere e sguardi languidi nella vita se l'era sempre cavata alla grande.
    «So che spesso il Morley Allenatore prende il sopravvento sul Morley Fratello Maggiore e non lo dimostro a dovere, ma sono davvero fiero di te, Carotina.»
    oh no.
    «E pensare che a tredici anni ero convinto che quello sgorbietto spelatino appena arrivato avrebbe portato solo problemi.»
    merda.
    doveva essere davvero grave, terribile, insopportabile il peso che il maggiore si stava portando dentro, per lasciarsi andare in quel modo ad un nostalgico e sentimentalistico tuffo nel passato. non è che non l'avesse mai spinta a migliorare ed eccellere, sia chiaro; aveva sempre evitato di perdersi via in smancerie inutili, in campo e fuori, cosa che Joni aveva sempre apprezzato fin da piccola. erano così, loro due, capaci di infondersi forza reciproca attraverso uno sguardo senza bisogno di bacetti musetti e abbraccetti, senza troppe parole di conforto che poi alla fine valevano giusto il fiato speso per dirle. quel cambiamento improvviso, la luce di malinconia sul volto del fratello, il modo che aveva di sfuggire al suo sguardo, non era solo preoccupante - le stava a fa' vení la voglia d'urlare.
    «non mi sono mai lamentata di Morley allenatore, comunque. hai finito?» aveva appena rispedito un bolide nel cielo terso, ma la voglia di indirizzarlo verso il Peetzah le era giustamente passata per la testa. un po' di pazienza, forse persino il rispetto che si conviene nel vedere un pesce boccheggiare agonizzante sul bagnasciuga joni glieli aveva mostrati, ma al terzo colpo di mazza non poteva proseguire oltre: ruotò su se stessa con la mazza levata in aria, poco oltre la spalla destra, la mancina libera a premere sul braccio del fratello «finchè ci sarò io Cillian Noolan non vedrà la divisa della squadra nemmeno con il binocolo, di questo puoi stare certo» non è che fosse offesa, ma poco ci mancava.
    Morley avrebbe dovuto arrivare alla suddetra conclusione da sé, senza chiederle conferma, e se prendeva tempo fino a quel punto significava che il famoso rospo non era ancora disposto a sputarlo - quindi poteva farglielo fare la quindicenne, con un colpo ben calibrato alla testa.
    doveva averle letto nel pensiero, o forse solo scorto la luce omicida negli occhi chiari della sorella, perché subito il maggiore si affrettò ad aggiungere un criptico «Non sto scappando in Messico, né ho ucciso nessuno. Semmai- semmai è il contrario.» ora, se c'era una cosa che Joni Peetzah sopportava meno delle persone logorroiche (tantissime cose, ma non staremo qui ad elencarle), erano quelli che le parlavano per enigmi (e gli scaccolatori seriali. chi sputa per terra. quelli che non rispettano le file); esattamente il numero pirotecnico nel quale si stava esibendo l'altro in quel preciso momento (i prepotenti. quelli che urlano. chi ti tocca mentre parla. chi non rispetta le distanze). non che la ragazzina avesse problemi con indovinelli e cavolate varie, finché si trovavano in un libro o nella settimana enigmistica - ma in una conversazione, soprattutto con la persona che più la conosceva al mondo, le facevano risalire i nervi a fior di pelle «quindi insomma, il tuo segreto imbarazzante e vergognoso per cui ti stai quasi mettendo a piangere è che hai scoperto di poter resuscitare i morti e magari trasformare l'acqua in vino?»
    magari sembrava una battuta, ma Joni non stava ridendo.
    anche perché se suo fratello non voleva finirla, aveva tutta intenzione di farlo lei «o magari hai messo incinta una e hai paura di dirlo a mamma e papà come se fossi minorenne» perché si, c'era arrivata da sola. più o meno, considerate le circostanze, ma il succo era quello, no? corrugò la fronte, spostando rapidamente lo sguardo altrove, sugli spalti; per un istante, fu davvero arrabbiata con Morley, e la lentezza del maggiore nell arrivare al succo della questione non c'entrava affatto: non gliel aveva detto, che si stava vedendo con una ragazza (a parte che Joni ancora convintissima il fratello fosse gay per via delle molteplici crush scolastiche nei confronti dei compagni)- capite che disrespect??! 1!? «non sembra poi così scandaloso, dubito che ti toglieranno dal testamento per così poco» si strinse nelle spalle, appoggiando la punta della mazza sull'erba del campo senza ancora voltarsi nella sua direzione, il labbro inferiore distrattamente punzecchiato dagli incisivi.
    quello era forse il momento di fare certe domande - sei felice? la ami? hai paura? -, ma anche se le sentiva dentro di sé nascoste da qualche parte, sembrava impossibile trascinarle in superficie; non sapeva come fare, Joni, a forzare quella parte di se stessa che preferiva farsi gli affari suoi e non sapere, affinché si mostrasse a tutti gli effetti un essere umano normale.
    scus bro, non siamo tutti bellini e affabili come te tvb comunque ❤

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    La stava facendo più drammatica del dovuto? .
    Ma non sarebbe stato Morley Wayne Peetzah, due volte Bolide d'oro, campione degli Sweetwater All-Stars, se non avesse ingigantito anche quella conversazione, quel problema. A lui piaceva quella vena drammatica che rendeva le notizie sempre un po' più interessanti e proprio non riusciva a non essere DramaticTM anche nella vita; infondo, che non fosse mai cresciuto del tutto non era di certo un segreto, in molti faticavano ancora a credere che Morley Peetzah fosse un uomo adulto e con la testa sulle spalle.
    E avevano ragione, perché lui la testa sulle spalle non ce l'aveva mai avuta, ne ce l'avrebbe mai messa.
    La stessa cosa non poteva dirsi di Joni che invece, a quindici anni, era molto più matura del suo fratellone. C'era qualcosa di diverso nelle donne di casa Peetzah, avevano quel qualcosa in più che a Big e Piz mancava: nessuna delle tre si faceva mai infinocchiare dalle bullshit dei loro uomini, ma anzi riuscivano a prevederle a distanza di miglia. Piz non era mai riuscito a tenere un (1) segreto che fosse uno a sua mamma – nemmeno quando era fuggito oltre oceano per giocare a Quidditch; Ellie riusciva sempre a capire se qualcosa non andava – o se andava troppo bene – semplicemente dal tono di voce di Morley. Era una cosa spaventosa.
    Che valeva anche per Liv, ma soprattutto per Joni. La Tassorosso era impossibile da fregare, e un po' a Morley dispiaceva per i poverini che ci (avevano e) avrebbero provato: ad attenderli non c'era nulla di piacevole. L'ex battitore aveva smesso già da un pezzo di tentare di raggirarla con moine o giri di parole (anche perché non c'era mai riuscito, neppure una misera volta) e aveva imparato ad andare dritto al sodo con lei, che per di più detestava inutili perdite di tempo.
    Ma non quella volta.
    Quel giorno proprio non riusciva a trovare il coraggio per dirle semplicemente “hey carotina, congratulazioni, sei zia!” e passare al prossimo passaggio di bolide come se nulla fosse, perché una parte di lui (chissà quale, ma sicuramente molto importante semicit) gli ricordava che per mesi (e mesi e mesi e mesi) le aveva praticamente mentito ogni volta che si erano visti a pranzo a casa Peetzah e lui aveva taciuto quell'importante notizia. Per come la vedeva lui, non era una bugia quanto più una piiiiiccolissima omissione di verità... ma alla fine della fiera, non era stato onesto. E, insieme a "infantile" e "drammatico", onesto era uno degli aggettivi che spesso venivano associati all'ex Grifondoro; ma ancora di più, non era il tipo di persona che teneva certi segreti alla propria famiglia. Ma, in qualche modo, il tempo era volato e le settimane erano diventate mesi ed era giunto al punto in cui l'aver tenuto per sé quella notizia era diventato un fardello ben più pesante della notizia stessa. Non voleva alzare gli occhi su Joni, dopo aver sganciato la bomba, e leggere nella sua espressione rammarico per non averlo saputo prima. Nella testa del coach presero a vorticare le immagini di mille scenari diversi in cui tutto andava a rotoli, e troppo distratto da quei pensieri registrò con un secondo di ritardo le parole di Joni. «co-» -me l'hai capito? -sa intendi dire? -me ti viene in mente una cosa del genere AH H A AH «...eh, più o meno.» Afferrò il bolide d'allenamento con una mano, nell'altra ancora l'impugnatura della mazza ben stretta, mentre osservava la sorellina spostare lo sguardo sugli spalti – dove un povero Del stava subendo tutta la furia di una Dylan confinata lontano da tUtTa l'aZIoNe!1!1!! - e incurvò automaticamente le spalle. Classic Joni, essere un trilione di passi avanti. Aaaahhh, le donne Peetzah!!!!
    Fece volare in aria la palla magica un paio di volte, prima di portarla definitivamente sotto braccio e muovere qualche passo verso la tassorosso – rimanendo sempre a debita distanza perché Joni era pur sempre armata di mazza da quidditch, non era mica uno sprovveduto !!!
    «Non ho paura» calcò su quell'ultima parola più del dovuto: un po' aveva paura – ma non di essere escluso dal testamento, più di averli delusi. Per cosa? Eh, tante cose, ma in primis l'avergli fatto perdere più di tre anni col nipote. «È che non è un argomento facile.» Cit chiunque non sappia come affrontare una scomoda verità.
    Studiò il profilo di Joni per qualche istante, poi fece un respiro profondo e socchiuse gli occhi: se aspettava che fosse lei a chiedergli dei dettagli, avrebbe fatto in tempo a vedere l'inferno gelare.
    «La mamma è Penn.» Doveva specificare? Dai quante “Penn” esistevano?!! Cioè.... quante Penn degne di essere conosciute e ricordate esistevano? Una, solo lei. Ma comunque: «Penn Hilton
    Nessuno:
    Letteralmente nessuno: wow che sorpresa
    I trascorsi dei due non erano di certo un segreto o una novità, e sebbene una Joni Peetzah era quasi impossibile da beccare con una rivista di gossip in mano, sperava che essendo (migliore amica di Dylan) sua sorella avesse una vaga idea della loro storia. (E se ce l'aveva, poteva anche condividerla con lui che ancora faticava a capire cosa fossero, i #carbs, specialmente ora che Bang s'era aggiunto all'equazione)
    E a quel proposito... «il bambino» ha quasi quattro anni, tra un po' «non me lo aspettavo. È stato una sorpresa anche per me» Sul serio, era stato un shock per Piz!!! «Quando Penn me lo ha detto non volevo crederci.» Erano stati momenti molto difficili quelli all'Amortentia, per poco Piz non era svenuto (più di una volta) quando aveva ricevuto la notizia. La mazza che teneva in mano dovete volteggiare un paio di volte prima che l'uomo trovasse le parole per andare avanti; incredibile come, dopo tutto quel tempo e dopo tutto quello che aveva passato, maneggiare lo strumento di gioco riuscisse ancora a calmarlo.
    «Si chiama Bang... cioè, Bangkok, ma per gli amici» ?? quali ???? «Bang.» Andò a cercare ancora lo sguardo di Joni, nella speranza che sentir parlare del nipotino sciogliesse un po' quella corazza tipica della quindicenne e desse modo a Piz di leggere qualcosa (letteralmente qualsiasi cosa andava bene) sul volto della sorella. «All'inizio non lo credevo possibile ma... è decisamente mio.» Non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto nel pronunciare quelle parole. «Devi vedere come batte bene! Ha già fatto fuori un numero non meglio quantificato di soprammobili e cristalleria varia! È un Peetzah nel sangue, si vede!» Era la prima volta che parlava così apertamente di Bang con qualcuno che non fosse Penn ed era stranamente liberatorio. Non meno spaventoso, certo, ma più raccontava, più sentiva sciogliersi quel peso sulla bocca dello stomaco che l'aveva frenato fino a quel momento.
    Oh, come dite? Mh, giusto.
    «Ah sì, ha tre anni Carramba che sorpresa! «Ma fino a pochi mesi fa, non lo sapevo nemmeno io!!»
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    Joni Peetzah

    «...eh, più o meno.»
    capite lo struggle?
    non per Morley, per joni.
    una che le cose le diceva dirette, senza filtri, senza prendere scorciatoie che AA fine si rivelavano più tortuose e complicate della strada principale; joni peetzah parlava lo stretto necessario e negli anni aveva imparato a farne una virtù — suo fratello evidentemente no «inseminazione artificiale?» chiese, anche se era evidente non si trattasse di una vera domanda. la voce bassa, apparentemente tranquilla, nascondeva una vibrazione negativa che il maggiore dei peetzah ben conosceva, la frequenza che joni raggiungeva solo quando si trovava davvero ad un passo dal spaccare qualcosa (#tottington).
    era quel limite sottile a distinguerla da thor: una lo aveva e rischiava di superarlo, l'altra non sapeva nemmeno cosa fosse un limite.
    «Non ho paura» sounds fake but okay «È che non è un argomento facile.» al che joni riportò la mazza a poggiare sulla spalla destra, immobile quando il maggiore fece un passo avanti verso di lei. non era abbastanza funzionale per correre ad abbracciarlo, o mettersi a singhiozzare istericamente come rob quando suo fratello un giorno al telefono le ha detto 'allora, come stai zietta? — ma quanto meno adesso sembrava incuriosita. che è sempre meglio di arrabbiata «a volte mi chiedo se ti rendi conto di essere un adulto» nemmeno questa era una domanda: infatti non richiedeva risposta. ce l'aveva davanti agli occhi, con un fratello più che maggiorenne a sudare freddo non tanto per l'idea di avere un figlio ma perche doveva dirlo a lei. poi, inaspettata, davvero inattesa, impossibile da prevedere, first reaction shock, OMG, non l'avrei mai detto sono proprio basita guarda, la rivelazione™: «La mamma è Penn. Penn Hilton.»
    joni: giphy
    vorrei dire 'impressed' ma non sarebbe vero — almeno adesso i conti tornavano: more non le aveva detto di avere una ragazza perché effettivamente non ce l'aveva. Penn Hilton era un ricordo del passato, il chiodo fisso che suo fratello non era riuscito a togliersi dalla testa nemmeno dopo che la fama (ma quale) gli aveva concesso un numero secondo Joni eccessivo di spasimanti (ma chi); quel genere di plot da film romantico super palloso che la Tassorosso sopportava solo per amor di Dylan e per non più di una visione l'anno. l'unico problema, e la quindicenne prese a ragionarci su mentre Piz si torceva le mani come una ragazzina stressata, era che si trattava - per l'appunto - di storia antica «state di nuovo-» «il bambino.. non me lo aspettavo. È stato una sorpresa anche per me» «si, ma-» «Si chiama Bang... cioè, Bangkok, ma per gli amici Bang.»
    e joni era di nuovo confusa.
    in primis perché suo fratello non la lasciava parlare, per una (1) volta che voleva fargli delle domande, e poi.. avevano già scelto il nome? (uno brutto, oltretutto) «more, stai z-» «All'inizio non lo credevo possibile ma... è decisamente mio»watch cinic joni chiedere se ha già fatto il test di paternità «Devi vedere come batte bene! Ha già fatto fuori un numero non meglio quantificato di soprammobili e cristalleria varia! È un Peetzah nel sangue, si vede!»
    Mmmmm momento momento momento questo non è il mio bicchiere:«ma in che senso» e questa volta si, era una fucking domanda — anche senza la punteggiatura appropriata alla fine. perché la confusione della Tassorosso si shentiva a pelle, e gliela si leggeva in faccia: un secondo prima se l'era immaginato come agglomerato di cellule senza forma e ora addirittura già giocava a quidditch?
    in escalated un po' troppo quickly.
    «Ah sì, ha tre anni. Ma fino a pochi mesi fa, non lo sapevo nemmeno io!!» no ma tranquillo, dimmelo alla fine «quindi fammi capire» qualcosa, in generale «hai un figlio di tre anni» lasciò cadere la mazza sull'erba, spostando lo sguardo dal fratello agli spalti, un cenno con il braccio verso Dylan perché la raggiungesse invece di continuare a molestare Kiel «avuto da una tua ex che per altrettanto tempo non ti ha detto nulla né calcolato in altro modo» tornò a voltarsi verso More, entrambe le mani a premere nelle tasche dei pantaloni. avrebbe tanto voluto mostrare più entusiasmo, la peetzah, però anche no «una ex ricca e famosa, vorrei aggiungere.. che ha deciso di punto in bianco di farti fare il padre? »
    joni chiedeva, eh.
    non capiva davvero cosa potesse spingere una come Penn Hilton, dopo tre fucking anni, a contattare suo fratello per coinvolgerlo in una cosa dalla quale aveva evidentemente voluto escluderlo nel momento clou, a meno che ovviamente «è lei quella che deve scappare in Messico?» sbolognare un figlio in caso di necessità sembrava alla Tassorosso più che accettabile; ma c'era una questione a premere con più insistenza sul cervello di joni, aumentandole il battito cardiaco «non devo per forza prenderlo in braccio, giusto?»
    meh.


    [verse 1]
    i am a
    nice person
    but im about to
    start throwing rocks
    at people
    gifs
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it


    minchia joni come zia quanto spacca.


    Edited by j e r k . - 24/8/2021, 14:55
     
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    morley peetzah
    Un testardo.
    Ecco cos'era – tra le tante cose – Morley Wayne Peetzah. Per questo, alla fine, aveva insistito: con Joni, certo, ma anche (e soprattutto) con se stesso. Lo sapeva, lo sentiva nelle ossa, che quella era l'unica occasione per essere onesto e smetterla di tenere quel segreto che, alla fine, non meritava nemmeno di esser considerato tale.
    Non con la sua famiglia, comunque.
    Aveva dunque approfittato di quel barlume di coraggio trovato tra una battuta e l'altra, per dire finalmente le cose come stavano.
    E poi lo vide: il cambio impercettibile nell'espressione di Joni, già in precedenza passata da scocciata ad indifferente e poi a irritata - tutti minuscoli cambiamenti nell'espressione del Capitano Tassorosso che ad un occhio poco esperto sarebbero forse sfuggiti. Ma non a Morley. Li colse tutti, dal primo all'ultimo e li prese come monito – di stare attento a quello che diceva – e anche come sollecitazione – a dirlo comunque, e farlo in fretta. Perciò sì, lo vide, il momento esatto in cui Joni iniziò a provare interesse per quella conversazione.
    Quella lieve inarcatura del sopracciglio rossiccio lo spinse a non demordere, e gli diede il coraggio necessario per farlo proseguire con lo snocciolamento di informazioni forse superflue – quasi certamente irrilevanti - ma che voleva lo stesso condividere con la sorellina.
    Aveva trovato il giusto la, il suo fischio d'inizio.
    «A volte mi chiedo se ti rendi conto di essere un adulto» No, ovvio che no, ma visto che non era una domanda, quanto più una semplice constatazione dei fatti da parte della minore, More evità di rispondere, rivolgendole solo un fugace sorriso sghembo. Lui? Un adulto? Ma per favore. Chelsey e Bells avevano una lista lunga chilometri di tutti i motivi per cui Morley Peetzah poteva esser considerato un eterno ragazzino – e non tutti erano lusinghieri. Peccato che fossero, al contrario, tutti veri.
    Lasciò dunque correre, evitando di infastidire ulteriormente Joni con risposte a domande retoriche, e si concentrò su quello che aveva da dire di veramente importante. Era ormai un fiume in piena, si interrompeva solo di tanto in tanto per riprendere fiato, ma mai abbastanza a lungo da lasciare alla sorella in tempo di fare domande - proprio ora che lei ne aveva, ma pensa. Le disse quindi di quanto inaspettata fosse stata per lui quella notizia, qualche aneddoto divertente sul piccolo Bang, e le reazioni iniziali nello scoprire che sì, era proprio suo e non c'erano dubbi.
    Terminò il racconto quasi col fiatone, ma incredibilmente elettrizzato. Ora che ne stava parlando a cuore aperto, gli sembrava quasi leggero e si sentiva uno stupido per aver avuto tutti quei timori iniziali.
    «Ma in che senso» Eh, Pepperoni, vacci a capire. Con una scrollata di spalle, le rivelò l'età del bambino, con tanto di numero mimato alzando tre dita. «Quindi fammi capire. Hai un figlio di tre anni» annuì lentamente, lo sguardo che ora non perdeva di vista la mazza rinforzata – per timore di vedersela arrivare addosso solo quando ormai troppo tardi. «Avuto da una tua ex che per altrettanto tempo non ti ha detto nulla né calcolato in altro modo» L'aveva interrotta abbastanza fino a quel momento, ma la voglia di farlo di nuovo per precisare alcuni punti era molto forte, al punto che dovette mordersi l'interno della guancia per non cedere. Oh, Joni gli stava spaccando un po' il mood eh, col suo cinismo. Non è che Penn si fosse svegliata all'improvviso dicendosi “ma sì, accolliamo 'sto bambino al povero Peetzah” - o almeno, così sperava lui. «è lei quella che deve scappare in Messico?» «Non...... che io sappia???» Era poco convinto, ma credeva di no??? «No, nessuna fuga....» Tentò di mostrarsi vagamente più sicuro, con quelle ultime parole, anche se nel suo cuore sapeva fosse così. Penn non aveva sganciato la bomba per potersi poi lavare le mani da ogni responsabilità!! Non era quel genere di persona!!! ANZI!! Evitò di dirlo alla sorella, comunque: erano lì per parlare di Bangkok e non della sua (non) relazione con la Hilton. E dubitava fortemente a Joni fregasse qualcosa a riguardo.
    «Beh, considera che sono stato... mh, fuori gioco per qualche tempo -» un modo simpatico per riferirsi alla sua disavventura sul campo, «e che lei ha creduto a lungo fosse di un altro!!» Oh beh, sì, c'era pure quel dettaglio. «Non posso dirti chi, non chiedermelo!!» (Joni: I wasn't planning on asking.) «Poi, insomma, ha rifatto i conti e si è accorta che la prima volta non erano quadrati molto bene.» Circa? Non lo sapeva, gli unici numeri che Morley capiva erano quelli strettamente legati agli schemi di gioco e alle maglie delle sue arpie o degli avversarsi, stop. «Insomma, ha avuto qualche dubbio e ha fatto un test di paternità, dimostrando che non era figlio di Quella Persona Famosissima e Segretissima.» Ciao Leo DiCaprio, beccati questa. «E alla fine mi ha contattato. Per dirmi fosse mio.» ancora una volta, spallucce. Non ricordava bene il resto dei dettagli – e infondo il prima non gli interessava: ciò che contava davvero era quanto accaduto dopo quel pomeriggio all'Amortentia (poco, in realtà, ma hey!! ci stava lavorando!!)
    «Prima che tu possa chiederlo,» se non l'aveva già fatto, tra l'altro, almeno nella sua mente, «è davvero figlio mio. Abbiamo fatto già il test.» Una precauzione che andava presa prima di rischiare di rivoluzionare entrambe le loro vite e poi rendersi conto che fosse stato un errore. Ma no, Bangkok non lo era.
    E a quel pensiero, More sorrise teneramente. Provava emozioni contrastanti a riguardo: da una parte sentiva (no, sapeva) di non essere il padre migliore del mondo né quello più attento, ed era conscio che spesso il suo affetto si traduceva in regali costosi perché non conosceva altri modi per compensare le sue innumerevoli mancanze, così come sapeva benissimo che fosse ancora troppo immaturo, come ampiamente sottolineato anche da Joni, per poter crescere un altro essere umano; ma allo stesso tempo era cambiato in quei mesi, e avrebbe continuato a farlo con il tempo. Non sapeva dire se ci sarebbe riuscito, alla fine, ma quanto meno c'avrebbe provato.
    (spoiler: il 2043 dice che non ci riuscirà, povero piz, abbandonato da tutti tanto “se la caverà”, e invece .)
    «non devo per forza prenderlo in braccio, giusto?»
    La guardò da sotto le ciglia, pensieroso. Non si era aspettato festoni di benvenuto e zompettii da parte di Joni, certo, ma..... nemmeno quello. Che Joni fosse poco propensa alle effusioni – o anche solo a dimostrare di avere un cuore (la giuria stava ancora decidendo se lo avesse davvero o meno.) - era risaputo ma... no, okay, Piz non poteva davvero giudicarla: erano proprio fratelli, infondo, e anche lui aveva reagito (male) allo stesso modo quando l'aveva scoperto. Nel suo caso era stato più un “oddio Penn, sto svenendo” ma dettagli.
    «Non devi... se non vuoi.» Ma se avesse cambiato idea a Bang non sarebbe certo dispiaciuto, Morley ne era certo. «Però puoi.... conoscerlo.... se ti va?»
    [verse 1]
    you open your
    eyes and recognize
    that of all the balls
    there ever were,
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    i see it, i like it, i want it, i got it
     
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