siamo una cena a lume di candela fra due taniche di benzina

Campo da Quidditch // Arturo & Costas

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    Settembre gli faceva sempre lo stesso effetto, non importava quante volte avesse già attraversato quel portone per infilarsi nella sala grande, non ci sarebbe mai stato un Primo di Settembre in cui, giungendo ad Hogwarts, Arturo non fosse rimasto senza fiato. Checché ne dicesse, amava quel posto, e in cuor suo era quasi felice di avere ancora due anni da passare lì dentro, torture della Queen a parte. Il punto era che, di solito, al castello poteva essere ciò che per anni aveva scrupolosamente finto di essere, ovvero un ragazzo spensierato, buffo, solare, senza dover necessariamente affrontare di petto certi problemi che ultimamente sembravano insormontabili, e questo gli dava in un certo senso la sensazione di poter respirare in tranquillità.
    Hogwarts era il posto in cui Arturo poteva rifugiarsi quando le cose a casa andavano male (cioè spesso) ma cosa accadeva quando era proprio tra quelle quattro mura che nasceva il *Charles' voice* draaAAAAaamaaa? Beh, non c'erano tante alternative e sebbene l'ipotesi di fuggire in Mongolia e sparire per sempre fosse stata presa più volte in considerazione dal ragazzo - con tanto di tabella pro e contro della cosa - alla fine, anche quell'anno, Arturo aveva preparato il suo baule e aveva attraversato la barriera che portava al binario dell'Espresso per Hogwarts. Aveva passato l'estate a convincersi che andava tutto bene, che il semplice fatto di aver capito finalmente cosa intendevano i suoi compagni quando parlavano di cannelloni e lasagne, e accettare di conseguenza che gli piacessero entrambi, non era motivo sufficiente a far perdere per sempre le tracce di sé, ed era stato quasi completamente certo di poter sopravvivere al rientro in Scozia ma... eh già, c'era sempre un "ma" quando si parlava di Arturo Hendrickson. In quel caso era un gran bel "ma".
    «Non dovresti essere nella carrozza insieme a Caposcuola e Prefetti, Capitano?» Il problema di aver degli amici, si era accorto lo spagnolo, era che loro Sapevano, sempre. E con Lucy non era diverso: la Tassorosso lo conosceva fin troppo bene e non gli era permesso, in sua presenza, di fingere o comportarsi da stupido o ignorare la situazione, come avrebbe fatto in qualsiasi altro caso. «hhhh» che non era né una risposta, né un verso umano. Con una veloce scrollata di spalla, si affrettò a cambiare discorso. «Non è bellissimo il paesaggio, oggi?» Se pensava di poterla distrarre parlando della campagna inglese? Beh, sì, lo scopo era quello. Peccato che Lu fosse troppo sveglia per lasciarsi infinocchiare dalle sue tecniche da quattro soldi. La bionda ci mise la bellezza di 0.01 secondi a riportare la conversazione sulla giusta strada. «Non mi hai ancora raccontato cosa è successo alla festa a casa di Barry...»

    Niente.
    Ecco cosa era successo. N-I-E-N-T-E. Arturo non capiva perché la gente continuasse ad insistere al riguardo - o perché avessero avuto chissà quali aspettative su quella dannata festa. Lui e Costas vi erano giunti insieme, certo, ma in qualità di compagni di squadra! Erano lì per incontrarsi con gli altri Serpeverde, nulla di più, il fatto che fossero arrivati insieme non significava assolutamente nulla. E Arturo lo aveva capito, eccome se lo aveva fatto, quando Costas aveva iniziato a flirtare spudoratamente con Emilian davanti ai suoi occhi. E pensare che il francese gli stava anche simpatico...
    Per non parlare di cosa era successo dopo! Non avrebbe mai pensato che vedere il Motherfucka baciare qualcun'altro potesse farlo sentire in quel modo, ma era successo. In quell'istante, mentre il minore ci dava dentro prima con Perses e poi con lo stesso Emilian, Arturo aveva realizzato, ancora una volta, quanto forte fosse il desiderio di prendere Costas da parte e concedere finalmente quella limonata che era rimasta in sospeso dalla fine dello scorso campionato. E no, stavolta non parlava della bevanda.
    Ma non li, non davanti a tutti, non per uno stupido gioco: Arturo non lo avrebbe mai fatto in quel modo e, ironia della sorte, probabilmente non l'avrebbe fatto mai più e basta perché se quel gioco gli aveva fatto realizzare una cosa (nuova) era che probabilmente il concasato aveva ormai perso interesse nei suoi confronti. Era così palese. Il brivido della caccia poteva durare solo fino ad una certa, ed era cristallino il fatto che ormai Costas avesse cambiato totalmente rotta.
    Francia 1 - 0 Spagna.

    La questione, dunque, era chiara: potevano solo tornare ad essere compagni di squadra. Forse amici, con un piccolo sforzo da parte del Capitano, che per quanto abituato ai rifiuti, mai si era sentito in quel modo. Come? Beh, come un coglione che aveva sprecato tempo in una stupida crisi di identità per poi ritrovarsi con un pugno di mosche.
    Una cosa andava però detta di Arturo: era terribilmente testardo. Non sempre, certo, ma quando ne valeva la pena. E in quel caso sentiva di potersi sforzare, nonostante tutto, per essere un buon amico anche nei confronti di Costas. Era ciò che gli riusciva meglio, dopotutto, essere un amico.
    Solo che non aveva trovato il coraggio sufficiente, quel giorno sul treno, per andare a sedersi nella carrozza che gli spettava di diritto. Né lo aveva trovato i giorni successivi a colazione, a cena, a lezione. In camera. Se Charles fosse stato li, Turo lo avrebbe probabilmente supplicato di porre fine alle sue miserie (costringendolo ad agire oppure obliviandolo, a discrezione del francese) ma lo stronzetto si era fatto promuovere (aSsUrDo) lasciando non solo il posto in squadra scoperto, ma anche il povero Arturo in balia di se stesso. Pls Carlo, torna da noi, ci manchi.

    Intanto Settembre scorreva lento e incredibilmente monotono, tra lezioni che non erano di certo più interessanti dell'ultima volta che le aveva seguite (chi aveva detto "dai, sarai avvantaggiato il prossimo anno, hai già frequentato le lezioni hahah" meritava una Pluffa sui denti) e notti insonni. Arrivato quasi alla fine del mese, il Serpeverde non aveva più certezze se non una: essere il Capitano era un bel dito su per il-
    «Hai già una data per i provini, Hendrickson? Devi prenotare il campo. Le date disponibili sono -» ma Arturo aveva smesso di ascoltare le parole del Milkobitch dopo "provino". Erano settimane che pensava a come rimpolpare la squadra, su chi fare pressioni affinché tentasse almeno i tryouts, ma anche lì si era ritrovato con un bel sacco di niente. A quanto pareva possedeva un bel faccino e abbastanza charme da attirare l'attenzione, ma non il pugno duro e deciso necessario per riunire altre persone attorno a sé. Ma che Arturo non fosse come la Weasley lo sapevano tutti; non aveva neppure la passione di Moonair, o il carisma di Kain. Damn, persino il sui vecchio Capitano era riuscito a far stare nella stessa squadra certe serpi senza che si affatturassero a vicenda. Gli serviva una strategia nuova se voleva almeno riuscire a racimolare giocatori sufficienti per partecipare alla coppa. Era evidente che la sua tecnica non era abbastanza, mancava qualcosa.
    O forse, qualcuno.
    Magari, se fosse stato bravo a giocare le sue carte, avrebbe potuto finalmente risolvere due problemi in una volta; non ci sperava più di tanto, ma l'ottimismo non gli era mai mancato.
    L'unica pecca di quel piano? Doveva agire prima di cambiare di nuovo idea. Quindi subito.

    «perchéperchéperché» Eh già, perché? Perché l'aveva fatto. Perché non ci aveva riflettuto su. Perché era stato così sciocco. Peeeerchééééé.
    Persino il cielo rifletteva il suo malessere interiore. I nuvoloni grigi impedivano al sole di fare capolino, e il campo su cui Arturo sedeva era ancora umido e bagnaticcio. Ma non importava: doveva costringersi a rimanere seduto perché se avesse mosso anche solo un passo avrebbe iniziato poi a correre senza mai fermarsi, si conosceva abbastanza da sapere che sarebbe andata a finire esattamente così.
    Quindi no, non si alzò, rimase a terra con le gambe incrociate a tamburellare sulla cassa che conteneva le palle da gioco, in attesa che il concasato si palesasse.
    Scrivendo quel "campo da quidditch, 6.30, non fare tardi" aveva messo in conto che a) Costas avrebbe potuto benissimo ignorarlo e rimanere a dormire - infondo era Arturo l'unico insonne del dormitorio, come dimostravano le occhiaie scure sul volto stranamente pallido per uno come lui -; b) se anche avesse deciso di presentarsi, con ogni probabilità sarebbe arrivato in ritardo. E, infondo, non era neppure colpa sua se Arturo era sceso in campo alle 5.50 del mattino, quel giorno, stufo di rigirarsi nel letto senza motivo. Il battitore e le lezioni erano solo alcuni dei pensieri che lo tormentavano, altri avevano a che fare con la sua famiglia, problemi che sembrava non essere riuscito a lasciare a Dublino, quell'anno. Poteva solo sperare che un paio d'ore sul campo avrebbero dato definitivamente fondo alle sue energie, costringendolo a svenire, esausto, se ce ne fosse stato bisogno, pur di farsi una sacrosanta dormita.
    Aveva bisogno di quello sfogo, di allenarsi e non pensare a nient'altro se non al gioco. Ma era stufo di farlo da solo, tutti i santi giorni.
    E poi... aveva una cosa da chiedere a Costas.
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    arturo maria hendrickson


    Edited by (cry me a) mojito - 24/9/2020, 13:23
     
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    Settembre finalmente. Era strano da dire per uno come lui, forse poteva sembrare il tipico cazzone che odiava andare a scuola che preferiva passare l'estate andando da una festa all'altra o tra una mutanda e l'altra se vogliamo dirla a modo, ed era così o almeno fino all'anno precedente, quando ancora viveva nell'illusione di essere un battitore di quidditch in futuro. Ma la vita non era così semplice come sembrava e il Motherfucka aveva passato quell'estate a lavorare presso il ministero con suo padre e non era riuscito a godersi a pieno i suoi sedici anni come voleva cioè concedendosi a chiunque volesse. Non era così pratico di sesso come mostrava ma gli piaceva pensare di essere diventato bravo grazie alla sua ex fiamma. Invece non era riuscito ad assaggiare nè cannoli nè lasagne e tutto ciò era davvero molto triste.
    Settembre voleva dire Quidditch, sport che amava più di qualsiasi altra cosa e diciamolo era anche molto bravo anche se sembrava sempre distratto dai culi dei suoi compagni. Purtroppo il lavoro lo aveva portato ad allenarsi poco e sentiva la mancanza della sua mazza, gli mancava maneggiarla, di sentire il legno nella sua mano, stare sulla scopa e battere. Gli mancava sentire il suono che faceva la mazza quando colpiva il bolide e lo tirava verso gli avversari, grifondoro possibilmente perchè la sconfitta ancora bruciava, quell'anno dovevano assolutamente vincere. Aveva nostalgia dei suoi compagni specialmente di Charles, non sarebbe stato più lo stesso negli spogliatoi senza di lui; ma doveva andare avanti magari dando fastidio ai nuovi arrivati.
    Amava Hogwarts perchè poteva essere Costas, il battitore oltre che molestatore e da quell'anno persino prefetto dei Serpeverde. Tra l'altro quando i genitori avevano appreso di quella notizia fu un grande giorno («Prefetto come tuo padre. Il prossimo passo sarà essere caposcuola e poi il ministero») anche se per lui non era davvero così importante era il primogenito della famiglia Motherfucka, destinato al lavoro ministeriale mentre a scuola poteva essere finalmente il ragazzo che ci provava con tutti, che faceva battute squallide sulle mazze e soprattutto che amava il culi come quello di Arturo che probabilmente non si sarebbe mai concesso. Ci aveva provato per molto tempo e anche se aveva creduto per un momento di essersi avvicinato a lui, forse doveva smettere di provocarlo e di metterlo in imbarazzo perchè chiaramente non era interessato a lui. Alle festa di fine estate aveva quasi creduto di poterlo limonare ma dopo il bacio con Heather era quasi certo che quei due avessero deciso di concludere la serata da soli senza per giunta invitarlo. Si era divertito però con Perses e soprattutto con Emi, ma alla fine avrebbe voluto concludere la serata con Arturo ma questo non era stato dello stesso avviso e forse doveva rinunciare a lui. Sarebbe stato solo un bel culo da ammirare da lontano e niente di più, anche se una piccola parte di lui era geloso del fatto che il cuore del compagno appartenesse alla bionda diplomata. Doveva farsene una ragione e pensare che il mare era pieno di pesci. Per fortuna che esisteva il suo amato quidditch, era pronto per tornare in sella, allenarsi e godersi del culo di Arturo, il nuovo capitano della squadra tanto che fu contento di vedere un messaggio con scritto qualcosa come alle 6 al campo, nonostante fosse molto presto. Decisamente troppo presto. Amava il quidditch ma sul serio voleva vederlo a quell'ora?
    «perchéperchéperché» poteva sentire quanto l'amico fosse frustrato. Rimase ad osservarlo mentre camminava in modo nervoso e sarebbe rimasto a guardare il suo sedere per ore ma si stava congelando rimanendo fermo. «Agitato di prima mattina...capitano» gli passò un caffè caldo, preso grazie agli elfi che si erano adoperati per fargliene due. Diede un sorso al proprio per poi appoggiare a terra la propria tazza e prendere la propria amata mazza. La fece roteare e si mise a colpire l'aria così per riscaldarsi, poi tornò a guardare il capitano «Non capisco perchè tu abbia deciso di allenarci a quest'ora. Lo sai che prima dell'alba l'attività fisica si fa sotto le coperte?» ok, forse decidere di non provocarlo con battute squallide stava fallendo, ma non riusciva a non farle perchè adorava metterlo in imbarazzo e vederlo arrossire, anche se in modo lieve lui poteva percepirlo, ma la cosa che più la mandava su di giri alias lo eccitava era quando gli rispondeva in spagnolo. Era tremendamente sexy.
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    «perchéperchéperché»
    Non riusciva a pensare o a dire altro, Arturo, mentre continuava a tamburellare nervoso sul legno massiccio del baule. Avrebbe atteso ancora 0.00001 secondi prima di andarsene e fingere che fosse stato tutto uno scherzo di cattivo gusto, che non aveva davvero invitato il Motherfucka per un appuntmento all'alba sul campo da Quidditch. Cosa che, in una qualsiasi altra situazione, sarebbe stata persino romantica, ma Arturo non riusciva a vedere oltre l'azzardo di quel gesto di cui, inutile dirlo, si stava già pentendo. Aveva sentito il rimpianto serrargli lo stomaco nel momento in cui si era chiuso la porta del dormitorio alle spalle, ma lo aveva zittito e aveva costretto le gambe a raggiungere la struttura al limitare del bosco, gli spogliatoi, poi il centro del campo. Il tutto ripetendosi come un mantra che era solo un allenamento tra due compagni di squadra, non doveva per forza renderlo imbarazzante come suo solito; poteva farcela.
    «Non posso farcela.» Scattò in piedi e afferrò i due manici di scopa che aveva prelevato dallo sgabuzzino, i manici da allenamento - era inutile rischiare di rovinare quelli buoni, non prima di aver dato il via agli allenamenti ufficiali - e fece per prendere la bacchetta dalla tasca del mantello abbandonato sull'erba, per incantare il baule e riportarlo indietro, il tutto ripetendo tra sé e sé quell'unica parola, in loop: «perchéperchéperché» Stava quasi per castare un Wingardium Leviosa, quando una voce alle sue spalle lo fece sussultare; non si era accorto della presenza del concasato, da quanto tempo era lì? I manici di scopa gli sfuggirono di mano e caddero a terra con un tonfo sordo. «Non sono agitato», rispose. He was, in fact, molto agitato. «Perché dovrei essere agitato.» A chi voleva darla a bere? La posizione delle spalle, il tremolio alle mani, il piede che batteva a tempo sull'erba... o erano segni di agitazione, o l'insonnia aveva più effetti collaterali del previsto.
    «Sei venuto.» Non poteva saperlo, Arturo, che di lì a una ventina d'anni avrebbe pronunciato quelle stesse, identiche parole, allo stesso, identico ragazzo che aveva ora di fronte; non poteva sapere che avrebbero avuto lo stesso tono sorpreso, la stessa domanda a sporcarne la cadenza, la stessa incredulità. Lo stesso destino, probabilmente, di ricevere come risposta una battuta scadente... ma hey, chi era lui per giudicare? Già la sentiva nell'aria, la replica piccante e vagamente oscena del concasato, ma d'altronde non si sarebbe aspettato nulla di diverso da Costas. E in parte, quel sapere esattamente cosa avrebbe detto o fatto, lo faceva sentire... al sicuro. C'erano tante variabili nella sua vita in quel momento, fin troppi castelli di carta che minacciavano di crollare da un momento all'altro, ma non lui; il ragazzo era uno dei pochi punti fermi nell'esistenza di Arturo, arrivati a quel punto. E come, esattamente, c'erano arrivati?! Arturo non lo sapeva, non ne aveva la benché minima idea, onestamente, ma andava bene così. Sorrise impacciato e accettò il caffè che il minore gli stava porgendo, ringraziandolo con un un soffice «gracias» pronunciato sottovoce. Soffiò sul liquido scuro quel tanto che bastava per renderlo bevibile, e poi portò il bicchiere alle labbra, ringraziando – stavolta mentalmente – Costas per quel gesto decisamente apprezzato. Per la fretta di raggiungere il campo, spaventato dal pensiero di poter cambiare idea e fuggire invece in Burundi, Arturo aveva saltato a pié pari la colazione; il caffè caldo era una mano santa per il suo fisico già provato dalle basse temperature dell'alba scozzese di fine settembre. Non che avesse effettivamente bisogno di assumere altra caffeina, già dormiva poco così, ma il calore era piacevole e riuscì, almeno in parte, a rilassarlo.
    Sensazione che sparì, ovviamente, quando l'altro aprì nuovamente la bocca.
    Il Capitano non riuscì a trattenersi e, imbarazzato da quelle parole audaci, si strozzò con un sorso di caffè. Tossì svariate volte, percependo il sapore sgradevole del caffè persino nelle narici, e poi abbassò gli occhi nascondendosi dietro la bevanda fumante. Non chiese il solito /in k sns/, la sua ingenuità poteva proteggerlo solo fino ad un certo punto, ormai, ed era chiaro il senso delle parole di Costas, perciò si limitò a sorridere nervoso e a sperare che “mamma mia come fa freddo brr” risultasse una scusa valida per giustificare l'arrossamento improvviso delle gote.
    Si domandò, distrattamente, se era una delle frecciatine che il sedicenne era solito rivolgerli, o se era un semplice dato di fatto; il pensiero che Costas potesse esser stato impegnato in altre attività fino a pochi minuti prima, gli strinse lo stomaco. Alzò lo sguardo quel tanto che bastava per studiare la figura dell'altro da oltre il bordo del bicchiere, ma poi si costrinse a distoglierlo quando si rese conto di aver indugiato più del dovuto. Solo amici, si ripeteva, e voleva in qualche modo crederci. But friends don't look at friends that way. Che ne era stato del suo “posso farcela”? Dov'era il suo inner Alex Baroni quando serviva? Damn. Doveva sempre fare tutto da solo.
    Costrinse dunque le labbra a piegarsi in un sorriso tirato, un poco sentito “hihihi” a riempire lo spazio tra i due, prima di fare un respiro profondo e lasciarsi alle spalle quella situazione imbarazzantissima. «Siamo fortunati che il sole sia già sorto, allora.» E anche se non si poteva ancora scorgere, nascosto dietro a nuvoloni fin troppo fitti, Arturo aveva letto che per quel giorno l'alba era prevista intorno alle 6.22; stando all'orologio che portava al polso, il tempo per le attività illecite sotto le coperte era finito da 19 minuti. «Non possiamo impigrirci, Costas. Non se vogliamo vincere la coppa quest'anno» Lo ammonì, utilizzandola come scusa per quell'allenamento ad un orario improponibile. In realtà non sapeva come dirgli che aveva dimenticato di prenotare il campo per una sessione di allenamento /umana/ e dovevano accontentarsi di quell'unico buco nel calendario. «Ti concedo qualche altro minuto per finire il caffè.» Magnanimo, da parte sua, ma la verità era che voleva ancora qualche momento per crogiolarsi nel fatto che Costas si fosse davvero presentato; sapeva bene quanto il Quidditch fosse importante per il battitore e Arturo non era così poco furbo da credere che fosse andato lì necessariamente per lui (astuzia 1), infondo ogni scusa era buona per battere; però, improvvisamente, l'idea di passare un po' di tempo col ragazzo non era poi così male.
    Sorrise, perso nei suoi pensieri, e camuffò poi quell'espressione con un colpo di tosse; jeez, anche meno Arturo. Conceal, don't feel. «Voglio proprio vedere se ti sei attenuto alla scheda che vi ho mandato in estate...» plurale doverosissimo, anche se se dei membri di quella chat erano rimasti ben pochi. Loro due, Sersha, Gin. Quella squadra aveva davvero bisogno di essere rimpolpata. E a quel proposito...
    Posò il bicchiere mezzo vuoto sull'erba e aprì il baule con un gesto secco. Dare le spalle a Costas gli permetteva di ragionare più facilmente. Prese la Pluffa e iniziò a rigirarsela tra le mani, formulando una frase che non sapeva bene come pronunciare. Era una cosa talmente sciocca, così inevitabile, eppure così difficile per lui. Temeva che Costas ci leggesse qualcosa tra le righe che Arturo non era sicuro di voler insinuare... o forse sì? Dannazione, come poteva pretendere che l'altro capisse se lui per primo non aveva le idee chiare? Fece un gran sospiro e poi si voltò nuovamente. Dai, ce la puoi fare, Arturo. «Prima di iniziare...» Non gli stava chiedendo chissà cosa, andiamo! Non era una proposta di matrimonio #cos «Prima... di iniziare...» Un ultimo sforzo, dddddai. «Volevo.. ehm... ricordarti di tenere le spalle aperte e la schiena ben dritta, anche nelle picchiate, altrimenti perdi velocità e rischi di arrivare in ritardo sul bolide. Cerca di schiacciare il peso del corpo verso il manico, il più possibile.»
    Magari la proprosta di diventare vice Capitano gliel'avrebbe fatta un altro giorno momento.
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    arturo maria hendrickson
     
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    «Sei venuto.» Sul serio aveva appena detto quello che aveva udito?! Non poteva averlo detto ad voce e soprattutto non poteva averlo detto a Costas. Come poteva far finta di niente quando gli aveva appena servito una battuta -squallida- su di un piatto d'argento. Non poteva assolutamente lasciar correre o non sarebbe stato un Motherfucka.
    «oh si che l'ho fatto» gli venne così, sapendo fin troppo bene che quella frase fosse ambigua ma era quello che voleva alla fine: imbarazzare Arturo. Anche se non era del tutto vero dire di essere venuto nel senso che le persone maliziose credono perché stando ad Hogwarts era difficile fare sesso, ma era un sedicenne e come tale aveva gli ormoni costantemente impazziti che spesso, nel suo letto singolo, si dava piacere da solo e quasi sicuramente lo aveva fatto anche la sera precedente; quindi non era del tutto sbagliato alla fine dire che era venuto, in ogni senso. Sorrise malizioso senza smettere di guardare il latino con il solo scopo di vederlo arrossire. E poi gli parlò in spagnolo, quanto lo eccitava quando lo faceva. Dettagli che si eccitava per tutto.
    «Siamo fortunati che il sole sia già sorto, allora.» aveva la battuta pronta allora quando voleva! gli piaceva quando arrossiva ma quando gli rispondeva con un altra battuta gli veniva voglia di baciarlo fino a perdere il fiato. Forse aveva voglia di farlo suo sempre, ma che ci poteva fare se il ragazzo lo eccitava in tutto, dal suo accento latino che lo faceva smuovere dentro a quel sedere che aveva davvero molta voglia di palpare. Insomma tutto in quel ragazzo glielo faceva drizzare gli faceva venire strane voglie.
    «mi piace quando fai così» si fece più vicino a lui per poterlo provocare ma tutto si spense quando il ragazzo prese a parlare di allenamenti «Non possiamo impigrirci, Costas. Non se vogliamo vincere la coppa quest'anno» il ragazzo sbuffò e tornò a bere il caffè mentre il capitano continuava blaterale. Forse doveva smettere di provocarlo, era chiaro che non era interessato a lui. Per forruna a Hogwarts non c'era solo lui ma al contrario era pieno di prede che si sarebbero fatte catturare volentieri da uno come Costas.
    Erano lì per allenarsi, anche se non capiva per quale motivo fossero solo loro due. Forse il resto della squadra aveva deciso che fosse troppo presto. Avevano ragione ma come il capitano anche il battitore aveva voglia di allenarsi e soprattutto smettere di perdere di con le altre squadre. Costas ancora oggi non riusciva a sopportare la sconfitta contro i grifondoro. Odiava perdere. sempre.
    «Voglio proprio vedere se ti sei attenuto alla scheda che vi ho mandato in estate...»
    «Capitano...» si fermò ad ammirare il suo sedere, sembrava che lo facesse apposta a voltarsi e mettersi chino, se fosse stato qualcun altro avrebbe pensato che lo stava facendo apposta ma Arturo era talemente ingenuo e non interessato a lui che sicuramente stava semplicemente prendendo dal baule la Pluffa. Scosse la testa, per riprendersi dal quella visione e finì anche lui il suo caffè. Lo gettò alle sue spalle«non dire niente. Lo prendo dopo.»disse riferendosi al bicchiere gettato a terra e tornò ad allenarsi con la mazza.«quanto mi sei mancata» le diede un bacio per poi poggiarla sulla spalla mentre il capitano continuava a dire frasi poche sconnesse a parere suo. A volte diventata logorroico e trovava quel suo aspetto adorabile, se fosse stato uno che credeva nell'amore probabilmente sarebbe stato l'aspetto che più lo avrebbe fatto innamorare. Nella loro ma vita futura/passata quell'aspetto l'aveva fatto innamorare anche se non si era mai confessato.
    «Volevo.. ehm... ricordarti di tenere le spalle aperte e la schiena ben dritta, anche nelle picchiate, altrimenti perdi velocità e rischi di arrivare in ritardo sul bolide. Cerca di schiacciare il peso del corpo verso il manico, il più possibile.» Lo guardò male, non perchè Costas non sapesse accettare i consigli - anche per quello - ma soprattutto perchè non aveva bisogno di sentire tali parole, insomma era il miglior battitore della squadra «Arturo....» fece un passo verso di lui quando questo decise di zittirsi dopo tutte quelle parole senza senso. Si era ripromesso di non provocarlo ma come poteva evitare anche quella volta di rispondere. Non poteva ecco tutto. «Io batto.» si fermò per guardarlo negli occhi, sempre più vicino, tanto che quasi ci si poteva perdere nei suoi occhi, o lo avrebbe fatto se fossimo in una scena di un film romantico «forte.» fece scorrere la mazza dalla spalla fino a portarla davanti a lui, in modo che fosse l'unica cosa che teneva a distanza i due ragazzi forse troppo vicini. «sempre.» e si lasciò andare a quel sorriso ammaliante, per tutti ma non per Arturo. Probabilmente. E subito dopo fece un passo indietro e diede le spalle al compagno per poi salire sulla scopa «Forza capitano, lanciami un bolide e ti mostro cosa so fare»
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    Edited by Costa(nzo)s - 4/12/2020, 10:00
     
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    Se qualcuno glielo avesse chiesto - e lo avevano fatto, ripetutamente - lui avrebbe negato - e lo aveva fatto, ripetutamente - ma la verità era che, nonostante tutto (e con tutto intendo: l'ansia, le responsabilità, i cambiamenti, l'ansia, la visibilità, ho già detto l'ansia?) entrare a far parte in maniera attiva della squadra di Serpeverde era stata una svolta innegabilmente importante nella vita di Arturo, positiva o negativa che fosse – e spesso era entrambe le cose insieme.
    Non è che lo considerasse un cambiamento importante perché, grazie a quello, aveva capito cosa farne della sua vita - il Quidditch post diploma, se mai lo avesse preso eh, era comunque un'opzione che lo spirish continuava a non considerare – ma era servito sicuramente a fargli realizzare cose su se stesso che forse avrebbe compreso comunque, prima o poi, ma chissà con quanti anni di ritardo. Doveva ancora capire se fosse un bene o un male, l'esser sceso a patti con quella verità in un momento così particolare della sua vita (you know, adolescenza...), ma una parte di sé, quella più taciturna e timida, la parte più onesta di se stesso, era contenta che fosse finalmente emerso.
    Ed era, ovviamente, la parte di lui che Arturo più temeva e, per questo, tendeva a nascondere persino a se stesso. Il lato di sé che sapeva perfettamente di aver ragione, il lato più sincero e schietto, trasparente; un Arturo che lui aveva paura di affrontare di petto perché a quel punto non avrebbe più potuto negare, non avrebbe più potuto far finta di nulla. Si era chiesto più e più volte se ne valesse la pena, se era una mossa furba ammetterlo ad alta voce – anche solo guardandosi allo specchio, perché era ancora ben lontano dal sentirsi pronto a dichiararlo apertamente a tutti<7i> - e alla fine, forse rimuginandoci troppo su, aveva accettato la cosa, con aria mesta ma, innegabilmente, sentendosi più leggero, <i>ma non troppo. Quello primo scoglio, una volta superato, aveva solo dimostrato di nascondere dietro di sé altre mille incognite, mille problemi. Mille difficoltà.
    E Arturo non era propriamente noto per la maestria con cui superava le difficoltà, anzi. Ogni qualvolta se ne presentava una, lo spagnolo si improvvisava parkourista e trovava i modi più (bizzarri) strani per aggirare il problema; quella volta non sembrava però riuscirci.
    Lo spagnolo attribuiva la colpa - ma anche il merito - di tutto quello alla dannatissima partita contro i Grifondoro, e di conseguenza al suo passaggio ufficiale da riserva a titolare, cosa che non si sarebbe mai aspettato in tutta la sua vita: scoordinato - e miope! - com'era, con un leggerissimo problema di vertigini, chi mai l'avrebbe davvero voluto come Cacciatore titolare? Ancora peggio, chi mai l'avrebbe voluto come Capitano? Eppure era lì, cinque mesi dopo, con la spilla appuntata al petto e la responsabilità di altre sei Serpi sulle spalle - Serpi che era deciso, con tutto se stesso, a non far finire in sala torture con la Queen, ergo, Serpi che avrebbe portato alla vittoria.
    Sperava solo di riuscirci.
    Insomma, la partita disputata in primavera era stata al contempo la fine del campionato e un nuovo inizio per Turo, non solo scolasticamente parlando. Non se ne era reso conto subito, certo, troppo amareggiato per la sconfitta e su di giri per il bacio ricevuto da Heather in seguito al triplice fischio del Milkobitch, ma era iniziato tutto li, con quel "ricordati che come infilo io (la palla) non lo fa nessun altro" e tutto quel parlare di pannocchie, discorsi che avevano minacciato di farlo volare giù dalla scopa, mortificato e con le gote più rosse della divisa degli avversari. E poi quell'offerta di una limonata che non era stata affatto la limonata immaginata dallo spagnolo.
    O forse sì, ma era stato solo troppo (ingenuo) spaventato, al momento, per ammetterlo a chiunque, persino se stesso.
    Ma la verità... La verità era che Arturto l'avrebbe rifatto altre mille volte, checché ne dicesse. Ad alta voce era tutto un "¿por qué dije que sí? mentre, in realtà, pensava "me alegro de haber dicho que sí" perché se non si torturava da solo con le ambiguità e i contrasti tipici del suo carattere, a quanto pare, non era felice. Quindi sì, viveva come al solito in un limbo fatto di incertezze e continui ripensamenti, spesso terrorizzato dall'idea che tutti sapessero e altre volte quasi rasserenato dall'idea di vedere quella bolla, finalmente, scoppiare e con essa tutti i segreti che si portava dentro. Non sapeva quale delle due ipotesi preferisse, i suoi sentimenti a riguardo cambiavano ora dopo ora, ma stava pian piano accettando la cosa e, per lui, quello era già tantissimo. Avrebbe voluto, idealmente, essere meno fifone o farsi meno problemi (per tutto ma soprattutto) al riguardo, però era fatto così e non bastava la semplice consapevolezza di essere fortemente attratto anche dai ragazzi per cancellare diciassette anni di insegnamenti super conservatori inculcati nella sua testa. Ma ci stava lavorando, pian piano, nella speranza di potersi accettare meglio ad Hogwarts, lontano dalla famiglia difficile che si trovava alle spalle e che era, di fatto, la fonte principale di tutti i suoi problemi; Hogwarts sembrava un buon compromesso se non fosse stato per il fatto che tutti sembravano già sApErE e Turo sentiva più ansia del previsto, anche lì. Forse era tutto nella sua testa, forse agli altri non fregava un fico secco se preferisse lasagne piuttosto che cannelloni o viceversa, ma era una parte del suo (particolarissimo) carattere quella di sentirsi sempre giudicato, motivo per il quale evitava di aprirsi troppo con le altre persone, o di mostrare il vero se stesso per timore di non esser compreso, di non piacere. Era un'altra cosa di se su cui doveva lavorare, ma Arturo funzionava un cambiamento radicale alla volta, e non aveva abbastanza CPU nel suo cervello per poter elaborare più di una cosa nello stesso momento, quindi quello avrebbe dovuto aspettare.
    Ad ogni modo, quello era un problema che – strano! - non aveva quando si trovava in compagnia del Motherfucka; non sapeva come o quando fosse successo, ma all'improvviso l'idea (e la paura) di esser giudicato da Costas era sparita, lasciandolo libero di essere se stesso... o quanto meno, lasciandogli come unica preoccupazione quella di non comportarsi come un perfetto idiota e confessargli, accidentalmente, di aver capito di essere attratto da lui. Non ora che l'altro non lo voleva più! Insomma, era uno stupido, Arturo Maria Hendrickson, ma non si sarebbe sotterrato con le sue stesse mani. Quindi, fin tanto che non si fosse reso ridicolo sotto quel punto di vista, poteva essere onesto con Costas e mostrargli un Arturo che in pochi - pochissimi - conoscevano. Poteva comportarsi da compagno di squadra, da capitano, da amico.
    E lo avrebbe dimostrato anche quella mattina, sul campo da Quidditch, senza troppe paturnie, senza pensieri, senza imbarazz- «quanto mi sei mancata» AH OKAY??? Nel silenzio assordante dell'alba settembrina, Arturo sentì chiaramente il suo *GASP* involontario nel vedere quella scena. Come poteva rimanere impassibile di fronte a tanta......... Costanzità? Si schiarì la voce, facendo finta di nulla mentre Costas baciava la mazza (oh meo deo.) per poi concentrarsi su quello che avrebbe voluto dirgli, cosa in cui, manco a dirlo, fallì miseramente. Si ritrovò a blaterare qualche indicazione su come stare bene in sella, ma non stava davvero prestando attenzione a ciò che diceva; era troppo impegnato a ripercorrere mentalmente tutta la conversazione fino a quel minuto, perché quella era una cosa che Arturo faceva spesso, e che ingigantiva di molto tutti i suoi problemi; come in quel caso, non era servito a nulla se non a ripensare alle parole del concasato e quella frecciatina volta a fargli capire le cose sconceTM che faceva nel suo letto...!!! a pochi metri a quello del capitano...!!! Okay, era ufficialmente andato. Rip «Arturo...» Fu il suo nome pronunciato dal battitore a farlo tacere. Così come l'avanzata lenta del ragazzo, sguardo fisso nel suo, servì a buggarlo completamente.
    «Io batto. forte. sempre.» Deglutì nuovamente, stavolta a fatica, cercando di non soccombere all'imbarazzo che gli suggeriva di abbassare lo sguardo, poiché iniziava a diventare un po' troppo sostenere quello verde e profondo di Costas. Ma non lo fece, e rimase a guardarlo fino all'ultima parola, fingendo di non notare la mazza (quale.) tra loro, l'unica cosa a separarli. Poi quel sorriso col quale sapeva di non avere alcuna chance; fu particolarmente grato al Signore quando notò Costas allontanarsi e voltarsi, dandogli le spalle, così da potergli permettere di tornare a respirare: non si era reso conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. Si passò entrambe le mani tra i capelli, tirandoli leggermente, mentre il #gaypanic cresceva in lui. Per fortuna il momento sembrava esser finito e potevano tornare a concentrarsi sul motivo (almeno sulla carta) per cui Turo aveva convocato Costas sul campo: gli allenamenti. «”cosa so fare”» borbottò, imitando la voce del compagno, mentre questi si allontanava in sella al suo manico di scopa. Arturo ne approfittò per tornare ad armeggiare con il baule e liberare uno dei Bolidi, che subito partì all'impazzata disegnando traiettorie indefinite nel cielo.
    Rimase un attimo a guardare la palla magica, poi afferrò la Pluffa, se la mise sotto braccio e raggiunse Costas a svariati metri di altezza. «Cerca di non farmi volare giù dalla scopa*» *non voglio fare la fine di tuo padre «¡Muéstrame lo que vales!» L'allenamento era semplice, l'avevano visto fare – e fatto a loro volta – altre mille volte: Arturo doveva provare a segnare mentre il Bolide vagava impazzito nel cielo, e Costas poteva affinare le sue doti da battitore colpendo la palla posseduta – indirizzandola il più lontano possibile dal capitano. O, in alternativa, verso il capitano: non faceva mai male lavorare sui propri riflessi ma Arturo sperava di non esser disarcionato prima ancora di raggiungere gli anelli. «E mi raccomando...!» Lo ammonì, puntandolo con l'indice, «niente gioco sporco.» A preoccuparlo, nel caso del Motherfucka, non erano tanto i potenziali falli fisici, quanto più ciò che avrebbe potuto dire: quello avrebbe mandato lo spirish giù dalla scopa all'istante. "Morte per imbarazzo acuto", lo vedeva già inciso sulla propria lapide (i dettagli li avrebbe curati la Beckham? Chi lo sa.)
    Ma per il momento era meglio non pensarci.
    «Vediamo se riesci a impedirmi di segnare. » Non che ci volesse molto, visto e considerato che era pur sempre un Arturo Maria qualsiasi, ma.
    E partì veloce in direzione degli anelli.
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    Ammirare il sedere del capitano era una piacevole ricompensa per essersi alzato prima dell'alba, inutile negarlo e sicuramente anche lo stesso Hendrickosn aveva capito l'effetto che gli faceva quando si muoveva in quel modo, era certo che sapesse quanto poco casti fossero i pensieri del Motherfucka e si divertiva a farlo eccitare. Dai era impossibile che fosse così totalmente ingenuo e adorabile.
    «¡Muéstrame lo que vales!» Chiaramente lo stava facendo apposta. «Arturo Maria Hendrickson» rimase in silenzio mentre continuava a fissarlo e allo stesso tempo cercava di scacciare i mille pensieri sconci che affollavano la sua mente.
    Si leccò le labbra e sorrise sornione «Capitano così mi distrai» giocava sporco il ragazzo e sicuramente lo sapeva che parlando in spagnolo mandava in confusione il compagno. Più di una volta gli aveva detto quanto trovasse il suo parlare latino molto eccitante. Avrebbe voluto sentirlo gemere in spagnolo mentre lo faceva suo, sognava spesso la sua voce che diceva parole piccanti, magari un giorno sarebbe successo.
    «E mi raccomando...niente gioco sporco.» disse serio mentre saliva sulla scopa. Costas rise di gusto perchè sapevano entrambi che il Motherfucka non era propriamente sportivo o leale quando si trattava di quidditch e il resto. «Non posso promettertelo, Capitano» I motherfucka non erano per le cose leali, quando veniva lanciata una sfida dovevano vincere ad ogni costo anche se questo voleva dire giocare sporco. Sempre.
    «Vediamo se riesci a impedirmi di segnare.»
    «Sfida accettata. » appunto. Non avrebbe mai permesso al compagno - di vita - di batterlo, perchè era lui che batteva e sopratttutto odiava perdere anche in allenamento.
    Lo vide sfrecciare verso gli anelli senza ascoltare la sua risposta e questo lo fece sorridere ed eccitare allo stesso tempo, che perfetta combinazione: Arturo e sfida, entrambe lo eccitavano. Per la barba di Merlino se lo trovava eccitante. Gli andò dietro, perchè rimaneva la sua posizione preferita, prese velocità e in poco tempo si ritrovò al suo fianco, col vento freddo che gli scompigliava i capelli e gli gelava anche il sedere. «Capitano » gli fece l'occhiolino e si mise davanti a lui - chissà se si può davvero - occhi negli occhi. Lo avrebbe ammirato ancora ma sulle scope e a quell'altezza - neanche troppa - non poteva tergiversare ancora, doveva vincere la sfida e lo fece alzandosi come un Harry Potter sulla scopa per poi gettarsi tra le braccia del capitano. Non lo avrebbe mai fatto in una partita ufficiale, preferiva usare la mazza ma quella situazione era totalmente diversa perchè davanti non aveva un semplice avversario o il capitano della squadra ma una preda troppo deliziosa che doveva fare assolutamente sua. Forse poteva fare altre mille cose ma quando gli ricapitava una tale occasione? Poteva gettarsi sul compagno senza che qualcuno glielo portasse via. Ok, aveva pensato di non avere più speranza con lui dopo quello che era successo in passato, ma insomma lui era pur sempre Costas e Turo gli piaceva troppo per non continuare a provarci- nei modi più sbagliati - .
    «MIO» Come un lupo saltò verso Arturo, così da poterselo mangiare in un sol boccone. Lo abbracciò mentre entrambi cadevano dalla scopa verso l'erba, si sarebbero fatti male? Forse ma la tentazione era stata troppa per non fare un gesto del genere.
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    Edited by Costa(nzo)s - 2/1/2021, 23:20
     
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    Si era preoccupato solo di eventuali frasi scorrette che il Motherfucka avrebbe potuto rivolgergli, dando per scontato che non avrebbe davvero attentato alla sua vita così platealmente, non in allenamento e, soprattutto, non a fine settembre per giunta: l'anno era appena iniziato, dai!! Sperava di arrivare vivo almeno fino ad Halloween, il serpeverde – ah, quanto si sbagliava. Dopotutto, avrebbe dovuto saperlo no?
    Che la vita era infame.
    Che Hogwarts era piena di insidie.
    Che quando ci sono le gite è sempre meglio inventarsi malori improvvisi.
    Che Costas Motherfucka non giocava mai pulito.
    Quindi si: avrebbe dovuto saperlo che sarebbe finita male.
    Avrebbero davvero dovuto saperlo anche per i seguenti motivi: a) una sessione di allenamento vis-à-vis con Constantine Motherfucka era sempre una pessima idea; b) Costas era imprevedibile come i Bolidi che, per via del suo ruolo, doveva contrastare; c) i piani di Arturo non finivano mai bene.
    Ma allora, perché non era tornato velocemente sui suoi passi per stracciare quel bigliettino lasciato al concasato, ed evitare tutto quello? Perché? Perché?!

    Perché, pur essendone razionalmente consapevole, tra il dire e il fare c'era un puto océano e qualsiasi sua azione era sempre, sempre, seguita da mille ripensamenti, rimpianti, e da mille “ma” e “se”. Era fatto così, Arturo: pensava mille volte sulle cose da fare e poi, comunque, rimpiangeva di averle fatte. Era davvero – ma davvero davvero – un Chidi nell'anima, lui. Quindi si, avrebbe dovuto saperlo che sarebbe finito con il rimpiangere quella scelta, per tutta una serie di motivi.
    Si chiese, velocemente, se sarebbe mai giunto ad una crescita personale dove prendere una cazzo di decisione non si sarebbe trasformato poi in dibattiti interiori e torture auto inflitte, e la risposta arrivò fin troppo velocemente: no. Ci doveva convivere, con quel carattere di merda che si trovava.
    E poi, per le mutande di Merlino, Costas glielo aveva anche detto che non poteva prometterglielo ma Arturo aveva creduto (sperato!!) che il compagno stesse scherzando.
    E invece.

    Se lo vide arrivare di fronte, troppo sorpreso per l'avventatezza del gesto per registrare in tempo cosa stesse succedendo, fissandolo dunque con gli occhi spalancati con un dannatissimo cervo inchiodato sul posto dai fari di un'automobile. Non poteva davvero credere ai suoi occhi, ma dovette arrendersi all'inevitabilità dei fatti e costringersi a rallentare la corsa per evitare di centrare in pieno il compagno; Costas non ne voleva sapere di arrestare il proprio manico, e anzi, dallo sguardo intenso lanciato al Capitano faceva intendere ben altro.
    E' strano il tempo durante le partite di Quidditch: sembra passare in un battito di ciglia e, allo stesso momento, così lentamente da darti il tempo di pensare a mille strategie, persino di poter scegliere quella migliore: e la mente allenata di Arturo ormai aveva imparato come fare quegli esercizi anche sotto pressione, si era dovuto per forza adattare, sentendosi responsabile per altri sei individui bloccati a mezz'aria insieme a lui. Ma nulla, neppure tutti gli allenamenti del mondo, lo avrebbero mai potuto preparare a quell'eventualità.
    Prima cosa: era UNA PAZZIA!
    Seconda cosa: era!! chiaramente!! FALLO!!! ARBITRO!!! NON VALE!!
    Terza cosa: quel Motherfucka li avrebbe uccisi entrambi, ay Dios mio.
    Non fece in tempo ad urlare un «nooo/oo/oo» strozzato da paura e incredulità, che si vide Costas capitombolargli tra le braccia e lui, per puro istinto, si ritrovò a mollare la presa salda sul manico di scopa per afferrare, invece, la divisa d'allenamento del compagno.
    Non era un abbraccio, ma una goffa imitazione di esso, un disperato tentativo di evitare che Costas si schiantasse al suolo – aveva agito di getto, senza pensare che, così facendo, non poteva più contare sulla propria stabilità. Il suo fisico cedette sotto il peso improvviso dell'altro ragazzo, e Turo fallì miseramente nel tentativo di rimanere in sella al suo manico, facendo forza sulle gambe.
    Il secondo dopo volava giù dalla scopa avvinghiato al Motherfucka.

    Ma aveva imparato col tempo a non separarsi più dalla sua bacchetta, Arturo, persino durante le partite ufficiali (era considerato fallo? possibile, ma tra la squalifica e il salvarsi la pelle, Arturo sceglieva la seconda) sebbene sapesse perfettamente che in mano sua, quell'arnese, fosse utile come un pettine in mano a Charles Xavier; ma sapere di averla comunque a portata di mano gli dava una sensazione di protezione, lo faceva sentire al sicuro, gli faceva sperare di potersela cavare.
    Anche in quel momento, mentre volava giù come Morley Peetzah alla finale del 2018 – damn you, Costas, ma ti pare questo il momento di prendere alla lettera il tale padre tale figlio - allungò istintivamente la mano per estrarre la bacchetta dal calzino, dove l'aveva nascosta affinché non gli fosse d'intralcio e, in una prontezza di riflessi che non sapeva gli appartenesse, lanciò a gran voce un «Imbottito per attutire la loro caduta.
    Ciononostante, vuoi perché i suoi riflessi erano entrati in azione troppo tardi, vuoi perché la caduta dalla scopa era pur sempre una fucking caduta dalla scopa, vuoi perché Arturo Maria Hendrickson, era risaputo, faceva schifo in Incantesimi... beh, le ragioni erano tante, ma il risultato solo uno: si schiantarono a terra.
    Meno duramente di quello che aveva temuto il serpeverde, ma il contatto col manto erboso risultò ugualmente tremendo; sentì l'aria mancargli per qualche istante, il gomito colpire troppo forte il terreno sotto di loro, e la pressione del giovane concasato premere contro il suo corpo. Incredibile ma vero, di tutte e tre le cose, quest'ultima era decisamente l'ultimo dei suoi problemi al momento.
    Ci mise il tempo che ci mise a riprendersi, un po' perché non riusciva a credere di essere sopravvissuto («siamo...vivi?» sussurrato con un filo di voce, quel poco che gli rimaneva dopo l'urlo lanciato mentre era in caduta libera), un po' perché non aveva davvero così tanta voglia di fare la conta dei danni; aveva paura di ciò che avrebbe scoperto se si fosse messo a vedere davvero cosa gli duolesse e cosa no. Si limitò dunque a riaprire gli occhi, chiusi con un gesto istintivo mentre cadevano (e, tra l'altro: «note to self: mai castare ad occhi chiusi, just saying.») e si ritrovò direttamente a fissare dentro quelli verdi del Motherfucka.
    Qualsiasi lamento piagnucoloso o ramanzina per quel gesto sconsiderato gli morirono in gola.
    Ma chi stava prendendo in gito? (Se stesso.) Non poteva essere solo amico con lui.
    Quell'anno sarebbe stato davvero duro e difficile.
    Cercò inutilmente di mandare aria nei polmoni, già duramente provati, umettando anche le labbra secche. Tentare di schiarirsi la gola per dire qualcosa, qualsiasi cosa, fu ugualmente inutile e Arturo si ritrovò a dischiudere e serrare le labbra per due o tre volte, prima di rinunciarci del tutto.
    Lasciò cadere la testa contro il prato verde, un dolorante «ouch» a sfuggirgli piano. Solo muovendo una mano per andarsi a massaggiare uno dei tanti punti indolenziti, si rese conto di essere ancora saldamente avvinghiato al compagno di squadra. Quell'improvvisa realizzazione lo portò a staccare velocemente le mani dal corpo del minore, come se avesse preso la scossa, e portarle sotto il petto di Costas, con l'intento di dargli una leggera spinta e farlo alzare.
    Non aveva neppure le parole per commentare !! tutto !! quello. Era veramente TroppoTM.
    Doveva concentrarsi e costringersi con ogni fibra del suo corpo per non dare ascolto a quella vocina che gli sussurrava, melodiosa e bastarda, che incastrato in quella scomoda posizione tra il terreno di gioco e Costas, avrebbe potuto facilmente cedere e rimanere così tutta la vita.
    Ma non poteva.
    Non doveva.

    Certo che l'altro avrebbe collaborato (vero che collabori, Vio Costas?) tentò di alzarsi da terra ma il massimo che riuscì ad ottenere fu una posizione a metà tra lo spiaggiato e il seduto, un gomito poggiato a terra e quello dolorante stretto contro il petto. «Non ti meriti la mia preoccupazione dopo questa follia ma -» sono troppo preoccupato per fingere il contrario «sei tutto intero?» Gli lanciò un'occhiata per studiare eventuali danni o ferite, ma inutile dirlo, era stato lo stesso capitano ad attutire parte della caduta, laddove l'incanto aveva fallito. Provava il duplice desiderio, però, di vedere Costas soffrire per quel gesto pazzissimo, e allo stesso tempo temeva di sapere che si fosse davvero fatto male. Un'altra normalissima giornata nella vita di Arturo, insomma.
    In caso di risposta affermativa da parte di Costas, comunque, Arturo ne avrebbe approfittato per tirargli un colpo sul braccio, COSI', perché se lo meritava e redarguirlo. «Ma io dico, sei scemo?!» E non stava nemmeno esagerando come avrebbe voluto! «Volevi ammazzarci entrambi? Ma che ti dice la testa!!» Ora che aveva la certezza che fossero entrambi vivi e stessero più o meno bene, era giunto il momento di mettere Costas di fronte all'irresponsabilità di quel gesto. «Ti rendi conto che un fallo del genere durante la partita potrebbe portare a gravi conseguenze fisiche per te e gli avversarsi? O PEGGIO! *gasp* Possibile che il ragazzo non avesse pensato all'espulsione!! Costas,» e qui Turo avrebbe volentieri alzato un indice per rimproverarlo come sua mamma faceva sempre con lui, se non avesse avuto dolore letteralmente in ogni parte del corpo, «non puoi permetterti questi atteggiamenti in campo. Non sevuoiessereilmiovicecapitanoquestanno. Cosa?»
    Ecco, l'aveva detto.
    Non era così che aveva immaginato di farlo, ma quando mai le cose andavano come previsto, nella sua vita? (Mai.)
    E ora, con gli occhi spalancati, tratteneva il fiato in attesa di una risposta a quella domanda-non-domanda che aveva riversato sul compagno così, a bruciapelo.
    Per i regrets - che sarebbero arrivati, puntuali come al solito - c'era sempre (un altro post) tempo dopo, in quel momento gli interessava solo studiare la reazione del compagno e incrociare mentalmente le dita nella speranza di una risposta affermativa.
    Perché checché ne dicesse, e nonostante i comportamenti fallosi, Arturo aveva bisogno di un Costas accanto se voleva anche solo sperare di poter tenere testa alla propria squadra.
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    Costas era imprevedibile, a volte lo era fin troppo e le sue idee spesso erano delle vere e proprie follie; quindi sapeva bene che alzandosi sulla scopa e saltando poi sul ragazzo avrebbe fatto senza alcun dubbio una cazzata ma era troppo tardi per ripensarci. Non è vero! ma quella era l'unica idea che gli era passata per la testa e sul momento gli era sembrata davvero ottima soprattutto perchè avrebbe potuto abbracciare e palpare il capitano; non aveva avuto molte occasioni per farlo perchè il latino era molto restio col contatto fisico o almeno con lui (e poi ti domandi perché) ma non si risparmiava a farsi toccare e limonare da una certa Heather. Era stato molto molto stupido saltare da quell'altezza su Arturo ma si trattava di Costas e lui amava le cose stupide.
    Tenne stretto a sè il corpo del compagno perché quella sarebbe stata senza alcun dubbio l'ultima volta visto che dopo averlo maledetto non si sarebbe fatto più avvicinare, neanche per sbaglio.
    Non fece niente mentre cadevano verso il suolo, sapeva che sarebbe stato lo stesso capitano a fare in modo che nessuno dei si facesse male o almeno che non morissero.
    E,come aveva sperato il latino riuscì nell'impresa di non farli morire e diventò persino il suo cuscino; Costas si ritrovò sul suo corpo, cazzo era proprio come in uno dei suoi sogni erotici! Rimase fermo perchè chiaramente non siamo collaborativi al serpeverde piaceva quella situazione e stargli sopra, sempre; non poteva non approfittarne e quindi ammirare gli occhi chiari del latino, chiaramente incazzati ma sempre magnetici; non poteva fare a meno di soffermarsi con lo sguardo sulle labbra peccaminose, chissà che sapore avevano. Gli zigomi, uno leggermente arrossato, forse si era graffiato. Cazzo se aveva voglia di baciarlo. Ma si trattenne e si alzò leggermente, giusto per farlo sedere, ma neanche troppo comodamente e rimanendo praticamente a pochi centimetri da lui, tra le sue gambe.
    «Non ti meriti la mia preoccupazione dopo questa follia ma sei tutto intero?» Sorrise al compagno, in attesa della sua sfuriata. Annuì e si preparò alle imprecazioni che non tardarono ad arrivare. Lo accusò, giustamente, di essere scemo e di non aver pensato alle conseguenze, tra le tante altre cose. Peccato che non lo fece in spagnolo, forse perchè sapeva quanto questo lo eccitasse e voleva evitare mentre lo rimproverava per la cazzata appena fatta.
    «Ti rendi conto che un fallo del genere durante la partita potrebbe portare a gravi conseguenze fisiche per te e gli avversarsi? O PEGGIO! all'espulsione!! Costas,» Rimase a fissarlo mentre cercava di non ridere o di non saltargli ancora addosso per baciarlo, ma sapeva che nessuna delle due idee sarebbero state molto apprezzate al momento, era davvero infuriato.
    «Hai finito?» chiese in un momento di silenzio tra i due mentre si alzava e dava la mano al compagno per alzarsi insieme a lui. Aveva deciso di non metterlo ulteriormente in imbarazzo rimanendo in quella posizione anzi avrebbe solo peggiorato la situazione; era così incazzato che non sarebbe bastato uno dei suoi sguardi da cucciolo per calmarlo. Era in torto e doveva ammetterlo,in teoria ma sappiamo tutti che non lo avrebbe fatto completamente.
    «non puoi permetterti questi atteggiamenti in campo. Non sevuoiessereilmiovicecapitanoquestanno. Cosa?» Ah. Aveva terminato e alla grande. Lo voleva davvero come vice? Nonostante tutto sembrava fidarsi di lui almeno riguardo al quidditch. Non poteva che esserne contento, sarebbe stato un sogno per lui poter intraprendere la carriera da battitore professionista e quello rappresentava una piccola opportunità. Sapeva era anche consapevole che probabilmente non sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrebbe sbarcato il lunario come giocatore di quidditch; per il momento voleva ancora sperare.
    «Capitano» sorrise beffardo e rimase fermo a pochi passi da lui, non aveva nessuna intenzione di allontanarsi, sentiva quella scarica elettrica o forse stava per avere un ictus, chi lo sa.
    «Mi stai davvero chiedendo di diventare il tuo vice?» si morse le labbra mentre si perdeva nello sguardo azzurro e furioso, ma anche imbarazzato del compagno. Per la barba di Merlino se gli mandava in tilt il cervello e qualcos'altro sentiva gli ormoni impazzire.
    «Ci sto!» Il motherfucka si allontanò di qualche passo, leggermente dolorante per poi prendere di nuovo la scopa e la mazza, che credo siano leggermente a pezzi o almeno la prima.
    «e ora che ne dici di una bevanda calda? Mi si sta gelando il culo»
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