Bu(r)ying the hatchet

elwyn x piz [2009]

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    «NON PUÒ FARLO!» sbottò, scandendo quelle parole senza riuscire a controllarne il tono – fin troppo alto per una conversazione con un docente e fin troppo debole per risultare credibile, al punto da rendere quell’affermazione più simile ad un’infantile supplica che alla risposta perentoria che aveva in mente. Dopotutto, il corvonero non era che un adolescente, costantemente diviso tra un moderato delirio di onnipotenza e le insicurezze che quell’età portava con sé, tra il martellante bisogno di sfogare la sua rabbia – che il Quidditch riusciva a placare quasi del tutto – e l’imbarazzante istinto di affondare la testa nel cuscino nella speranza che i problemi potessero risolversi da sé, tra un’auspicabile reazione da persona matura e una più plausibile crisi isterica, come quella in atto in quel preciso istante. Se ne stava in piedi – il respiro irregolare, gli abiti in disordine, il labbro spaccato, le braccia lungo il corpo e i pugni stretti al punto da mettere in evidenza le nocche chiare –, in attesa di sentirsi dire che tutto ciò che aveva appena ascoltato non era che uno scherzo. Non poteva essere altrimenti, giusto?
    Spostò lo sguardo sul ragazzo al suo fianco – certo di scorgere la stessa espressione incredula che aveva alterato i lineamenti del suo viso – per poi tornare a concentrarsi sull’uomo seduto davanti a sé e su quel ghigno che aveva preso il posto dell’aria di profonda rassegnazione con cui era solito accoglierli. Perché non era la prima volta che Elwyn Huxley e Morley Peetzah si ritrovavano insieme in quell’ufficio. Era una costante, inevitabile conseguenza dello spirito competitivo che accendeva l’animo di entrambi e ultima tappa di una routine ben consolidata nel corso degli anni. Iniziava sempre allo stesso modo: ogni mattina ad Hogwarts, al sorgere del sole, Elwyn si svegliava e sapeva che avrebbe dovuto colpire i bolidi più forte di Piz o sarebbe stato suo padre a colpire lui non sarebbe mai stato considerato all’altezza del rivale; ogni mattina ad Hogwarts, al sorgere del sole, Piz si svegliava e sapeva che avrebbe dovuto colpire i bolidi più forte di Elwyn o avrebbe subito l’onta di aver perso il confronto con un ragazzino più giovane; ogni mattina ad Hogwarts, al sorgere del sole, non importava che tu fossi Elwyn o Piz, l'importante era colpire più forte. O prendere un voto più alto. O rimorchiare più ragazze. O mangiare più muffin in un lasso di tempo talmente ridotto da doverli ingoiare per intero e sperare che il succo di zucca impedisse un soffocamento quasi certo. O vincere qualunque sfida che potesse appagare quelle creature stupide semplici. Iniziava sempre allo stesso modo, con uno sguardo a cercare il rivale tra la folla di studenti in Sala Comune, negli ambienti condivisi o tra i corridoi del castello, e talvolta non era neppure necessario; era sufficiente lasciarsi corrodere da quel tarlo che li accompagnava in ogni momento della giornata. Era una sorta di competizione sempre aperta, uno stimolo a superare i propri limiti e, insieme, un valido motivo per infrangere quelli imposti dal buon senso – perché come il corvonero aveva ripetutamente tentato di chiudere il compagno negli spogliatoi, quest’ultimo non aveva esitato a dar fuoco ai vestiti del minore per costringerlo a rientrare nel dormitorio completamente nudo classic Elwyn. Schermaglie che, insieme alle penitenze per le scommesse perse, ai tentativi di disarcionare l’altro durante gli incontri di Quidditch e alle immancabili scazzottate, avevano fatto guadagnare loro degli appuntamenti fissi all’interno di quell’ufficio.
    «Forse no, hai ragione, dovrei spedirvi direttamente in Sala Torture. Cosa preferireste?» aveva realmente concesso loro la possibilità di scegliere tra la sua proposta e ore di indicibili sofferenze, di violenze fisiche che neppure la magia avrebbe potuto curare e torture psicologiche delle quali avrebbero subito le conseguenze per il resto della loro vita? Perché la risposta era «La Sala Torture, ovvio!» senza doverci neppure riflettere. In una circostanza differente, Elwyn non avrebbe mai spinto per essere legato come un insaccato, appeso a testa in giù e martoriato fino a perdere i sensi, ma d’un tratto quella prospettiva aveva assunto dei contorni desiderabili. Perché non riusciva ancora a capacitarsi di ciò che lo aspettava e non poteva fare a meno di pensare che il professore non avesse alcuna autorità – no, non autorità; che non avesse alcun diritto! – di dare loro un simile ordine. Doveva esserci un modo per opporsi. Doveva esserci un cavillo a cui fare appello, e ancor prima un regolamento scolastico da consultare – voleva credere che persino i Mangiamorte, il cui passatempo preferito era quello di sventrare alunni con pretesti insignificanti, avessero un loro codice d’onore. Avrebbero dovuto sfogliare ogni tomo impolverato presente in biblioteca, parlare con i quadri del castello, chiedere ai fantasmi di Hogwarts di raccontare loro di simili precedenti, raccogliere consensi tra gli studenti in modo da far cambiare idea al docente prima di– «Avete 24 ore, da adesso.» troppo tardi. Ebbe giusto il tempo di assistere ad un rapido sventolio di bacchetta e osservare il fascio di luce dirigersi verso lui e Piz prima di scontrarsi contro quest’ultimo, mosso da una forza improvvisa che lo aveva attirato nella sua direzione. Portò le iridi chiare in quelle del compagno, scorgendo lo stesso velo di terrore che, era certo, avrebbe potuto ritrovare nelle proprie, per poi spostarle lentamente sulle loro mani, tentare di muovere il braccio e constatare con orrore che, ad ogni azione, ne seguiva una identica del grifondoro. Era un incubo, non poteva essere diversamente. Un incubo in cui avrebbero dovuto trascorrere ventiquattro ore insieme all'acerrimo rivale, vincolati da manette invisibili che collegavano i loro polsi destri – perché entrambi mancini e, per non penalizzare nessuno, il docente aveva pensato bene di metterli in imbarazzo difficoltà a partire da questioni semplici quanto «Come facciamo a camminare?!» –, e, come se non bastasse, avrebbero dovuto preparare due intrugli differenti: il Distillato della Pace che, a detta dell’uomo, avrebbe placato i loro caratteri irruenti e la Pozione Rigeneratrice, che avrebbe risvegliato entrambi se la prima bevanda li avesse fatti sprofondare in un sonno (quasi del tutto) irreversibile. «Ventiquattro ore. Quindi... dobbiamo... dormire... insieme?!» ew, eRaNo DuE rAgAzZi! Venne pervaso da una sensazione di panico tale da riuscire ad immaginare distintamente cosa avrebbero pensato i loro compagni di casata se li avessero visti rientrare insieme, in dormitorio, o a cos’avrebbe scritto il giornalino scolastico se la voce fosse arrivata alle orecchie sbagliate oppure, ancora, che fine avrebbero fatto tutte le ragazze che aveva intortato con qualche acrobazia sul campo di Quidditch. Iniziò a respirare a fatica, mentre cercava di evitare che gli inutili drammi da adolescente acuissero la crisi isterica in atto. «Quello dipende da voi.» in che senso? «Avete massimo ventiquattro ore prima che vi punisca sul serio. Ora andate.»
    Esaurite le ultime obiezioni, si diressero – con estrema difficoltà – verso la porta e, ancor prima di iniziare a bisticciare su chi dei due avrebbe dovuto varcare la soglia per primo, vennero schiantati dal docente fuori dall’aula. «È tutta colpa tua!» urlò, una volta rimessosi in piedi, picchiettando l’indice sul petto del ragazzo. «Se non fossi venuto ad allenarti – in un campo da Quidditch che avrebbe potuto accogliere due squadre, forse tre, senza alcun problema – quando non toccava a te farlo, non saremmo qui ora!» al contrario, sarebbero stati puniti per un altro motivo futile, ma dare a Piz la colpa del loro triste destino gli sembrava il minimo che potesse fare, dal momento che tirargli un pugno era fuori discussione (non voleva rischiare di prolungare quella punizione e trascorrere l’intero anno scolastico insieme al grifondoro, come due gemelli siamesi). «Almeno conosci le pozioni che ci ha assegnato?» chiese, pronto a replicare che anche lui era un esperto in quel campo e che non faceva altro che preparare distillati di quel genere, a tutte le ore giorno e persino ad occhi chiusi. In realtà quella materia non rientrava tra le preferite del corvonero; aveva l’impressione che si basasse su un meccanico ripetersi di tre passaggi: cercare gli ingredienti più disgustosi mai estratti dagli animali più repellenti presenti sulla faccia della terra; inserire i suddetti all’interno di un pentolone il cui contenuto emanava effluvi poco gradevoli e assumeva colorazioni a dir poco discutibili; mescolare e pregare di non tappezzare l’aula con quella melma o di non uccidere il compagno di esercitazione. Dettaglio trascurabile, quest’ultimo, se non fossero costretti a testare entrambi l’intruglio da loro realizzato. «Dobbiamo prepararle prima – del totale crollo mentale? Di accopparsi a vicenda? – di questa sera. Siamo d’accordo, giusto?»
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    PEETZAH
    Quando quella mattina aveva lasciato la Torre di Grifondoro pronto ad iniziare una nuova indimenticabile giornata al Castello - per lui in un modo o nell'altro erano sempre tutte indimenticabili giornate - Morley Peetzah non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivato a metà pomeriggio per ritrovarsi - di nuovo - in punizione insieme alla sua arcinemesi, alla spina nel fianco che in qualche modo sembrava non voler venire via per nessuna ragione, la rovina della sua reputazione Quidditchistica esistenza, Elwyn Huxley. Avrebbe dovuto aspettarselo, d'altronde era raro che passassero più di ventiquattro ore senza finire col compiere qualche scelta discutibile in relazione l'uno all'altro e, di conseguenza, finire anche in punizione ora per volontà di quel professore, ora di quell'altro. Erano (purtroppo) destinati a capitarsi quasi quotidianamente tra le scatole e, se il destino per tal giorno decideva di non intervenire, erano loro stessi a metterci lo zampino. Anche quando sembrava non esserci alcuna motivazione valida per farlo, se non puro e semplice dispetto, i ragazzi cercavano una scusa per sfidarsi, per gareggiare, per dimostrare chi dei due fosse il migliore. Non importava in cosa, importava solo primeggiare.
    Morley Peeztah era in competizione con un quindicenne.
    Liv continuava a ripetergli che quel perenne stato di confronto con il Corvonero non era più - già da un pezzo - semplice "stimolo a migliorare" come lui si ostinava a ripetere; lo facevano chiaramente perché erano due zucconi testardi e ancora immaturi e non sapevano cosa volesse dire la parola 'basta'. O 'lasciar perdere', o 'finirla di fare gli idioti patentati TM'. (Spoiler alert: non lo avrebbero imparato neppure dieci anni più tardi.)
    In realtà Liv incolpava anche la sua (inesistente!!11) manboycrush su Elwyn ma a quanto pareva lo faceva un po' tutta Hogwarts! Che shock. Morley avrebbe voluto dare fuoco al giornalino scolastico che aveva messo in giro certe voci e, perché no, anche a coloro che avevano contribuito ad alimentarle. Certo, negli ultimi anni aveva iniziato ad avere qualche dubbio riguardo le sue preferenze e si era accorto di passare più tempo del dovuto a fissare i suoi compagni di squadra negli spogliatoi, ma Huxley???!! EwWwWwWw.
    La soluzione di More a quel problema, dunque, rimaneva solo uno: vincere ogni loro stupida sfida o trasformarla in un'azzuffata qualora il fato beffardo lo avesse visto perdere, giusto per dimostrare che era effettivamente il migliore. Meglio finire in infermeria (o in punizione) piuttosto che accettare la sconfitta contro un ragazzino.
    Per quel giorno aveva scelto di testare le sue abilità di Battitore usando proprio il giovane Corvonero come bersaglio dei suoi Bolidi per il semplice gusto di farlo e, nel giro di poco tempo, i due si erano ritrovati in un groviglio di arti e divise che neppure le rispettive squadre erano riuscite a separare. Se le erano date di santa ragione e Morley doveva stringere i denti per non lasciarsi scappare, ad ogni respiro, dei minuscoli lamenti dovuti al dolore che si diramava dal fianco sinistro dove l'altro gli aveva assestato un pugno coi fiocchi: non gli avrebbe MAI dato la soddisfazione di vederlo soffrire, non per mano sua. Nella penombra di quell'ufficio, però, dopo una breve occhiata in direzione di Huxley, Morley ammirò i segni che lui stesso aveva lasciato sul corpo del minore e poté rilassarsi, notando che tuttosommato anche lui aveva picchiato duro. Erano soddisfazioni. Che cretino.
    Stava ancora guardando Elwyn quando questi supplicò - nel vano tentativo di opporsi alla volontà del professore - di non farlo, di non affibiargli qualsiasi punizione stesse prendendo forma nella sua mente, e così si ritrovò a guardarlo negli occhi chiari nel momento in cui si voltò nella sua direzione. Oh, eccome se poteva farlo, lo aveva già fatto innumerevoli volte proprio con loro due. Sembrava quasi che all'uomo piacesse la cosa e provasse grande divertimento nel punirli per i loro caratteri leggermente rissosi, mpf. Cercò di trasmettergli quel pensiero con un'espressione furente che forse poteva voler dire più "Se usciamo vivi da questa situazione ti uccido con le mie mani" ma chissà. Morley stava cercando con tutte le sue forse di non scagliarsi nuovamente contro il Corvonero e schienarlo sul pavimento di pietra. Se pensate che in quel momento stava addossando tutte le colpe al ragazzo, accusandolo di essersi trovato sul campo da Quidditch nel momento sbagliato e di aver rovinato i meravigliosi piani per quel giorno che Morley aveva fatto... beh, avete completamente ragione.
    Digrignando appena i denti perché infondo Peetzah era una BestiaTM, rivolse un ultimo sguardo al compagno di disavventure e poi provò ad impietosire lui stesso il professore. Era chiaro che Huxley non fosse bravo neppure in quello! Lui invece aveva ormai affinato una certa tecnica, visto che passava quasi più tempo negli uffici del corpo docenti che in campo, dannazione.
    «La prego, Prof.» Okay, come inizio andava abbastanza bene. Ora rimaneva solo da argomentare con motivazioni che facessero appello al (non esistente) buon senso dell'uomo. Di solito sapeva cosa dire con qualsiasi professore ma lui... meh. Era un osso duro. Avrebbe dovuto convincerlo saggiamente e... «Io ho -» una vita? Degli amici? Da studiare? Cose ancora non organizzate da fare ma che potevano comunque essere molto meglio di una punizione con Huxley??? «Il qUiDdItCH!1!11» esclamò infine, optando per la meno valida delle opzioni ma l'unica che contasse davvero per lui. Pessima scelta. Lo sapeva e lo poteva leggere chiaramente nell'espressione annoiata del professore. More era sicuro che Eli gli avrebbe perdonato l'assenza (infondo era uno di quelli che più si impegnava sul campo) anche se aveva dovuto sacrificare più volte del necessario gli allenamenti per scontare punizioni varie. Stava diventando quasi un'abitudine, negli ultimi anni, per via anche dei suoi pessimi voti.
    Nell'udire quel "forse no, hai ragione" per pochi, intensissimi, secondi Morley aveva sperato che le cose prendessero una piega diversa e che li lasciasse andare via, affibbiandogli magari un tema da scrivere o qualcosa del genere, senza costringerli a passare più tempo del dovuto l'uno in compagnia dell'altro - ma la speranza morì dopo poco.
    «La Sala Torture!»
    Glielo aveva chiesto davvero? Come se non sapesse già la risposta. Quell'uomo era Satana.
    Avrebbe quasi potuto ridere (ironicamente, ovvio.) del fatto che, per la prima volta da quando lo conosceva, lui e Huxley erano d'accordo su qualcosa!! Incredibile. Ma non lo fece perché duh, la situazione e tutto il resto, insomm. Fatto sta che avrebbe davvero preferito la sala torture alla punizione che l'uomo aveva in mente. Il Grifondoro cercò qualcosa da dire, di appellarsi a una motivazione che non fosse il Quidditch questa volta, letteralmente qualsiasi cosa avesse potuto salvarlo dall'inevitabile ma non fece in tempo: giusto qualche istante per registrare le parole dell'uomo e il fascio di luce diretto nella loro direzione, ed ecco che More si ritrovava a fissare, con occhi spalancati ed un'espressione di puro terrore, lo sguardo chiaro dell'altro studente.
    Erano poche le cose che riuscivano a spaventarlo davvero - hey era pur sempre un Grifondoro, dai - ma l'idea di dover rimanere ammanettato magicamente ad Elwyn per ventiquattro ore lo faceva sudare: temeva che a fine giornata lo avrebbe (finalmente) ucciso con le proprie mani e sarebbe stato spedito ad Azkaban per omicidio premeditato. Damn, era troppo giovane per finire in gattabuia!
    «Come facciamo a camminare?!»
    !! Come se quelli fossero i veri problemi, eh nanerottolo?? More non capiva proprio con quale criterio l'altro desse priorità alle cose.
    (Spoiler: avrebbe dovuto pensarci anche lui, effettivamente, ma solo uno dei due era un Corvonero, indovinate chi.)
    «Fidati, avrai problemi ben più grandi a cui pensare.» Lo minacciò neppure tanto velatamente, ma tenendo il tono di voce il più basso possibile: infondo erano diventati improvvisamente gemelli siamesi, non aveva bisogno di urlare per farsi sentire. E non voleva aggiungere più ore del necessario alla punizione! Quello era un vero e proprio incubo già così !!
    «Ventiquattro ore. Quindi... dobbiamo... dormire... insieme?!» Dannato Corvaccio, non c'era mica bisogno di dirlo con quel tono! Neppure Morley gioiva al pensiero di condividere il letto ma mica lo aveva detto ad alta voce...! Che comportazioni (cit.); chissà se magari poteva prendere a schiaffi Huxley usando la mano del Corvo stesso... mmh, idee interessanti iniziavano a prendere forma.
    «..cosa?» Era così perso nei suoi pensieri su come far sì che Huxley si picchiasse da solo - che cretino il Peetzah, parte due - che non aveva registrato le parole del professore fino a che non si era sentito strattonare leggermente dal quindicenne che voleva probabilmente allontanarsi da lì il prima possibile - come dargli torto in quel caso? Persino Morley non poteva obiettare. Ogni secondo che passava rischiavano di prolungare la tortura di ore, persino giorni.
    Dopo qualche istante di incertezza e di difficoltà, dove nessuno dei due sembrava intenzionato a voler fare la fine del gambero, fu nuovamente l'uomo a decidere per loro, scagliandoli (anzi, schiantandoli) fuori dall'aula. Morley finì con ben poca grazia direttamente sul suo rivale e, giusto per vendicarsi delle parole udite poco prima, si prese il suo dolce tempo prima di rialzarsi. Si odiavano ma persino uno come Huxley doveva capire che raramente avrebbe trovato altri Peetzah nel mondo MPFF il giusto erede non sarebbe nato prima di altri nove anni.
    Alla fine, quando ritenne di aver indugiato abbastanza, si rialzò da terra non senza qualche altra complicazione; quella storia dell'incantesimo lo stava già mandando fuori di testa. Come avrebbero fatto... a fare tante cose? Camminare era solo l'inizio. E se uno dei due fosse dovuto scappare improvvisamente in bagno?!?!? Ma io dico, non ci aveva pensato?!?!?!
    «Colpa mia?!» Come si permetteva di puntargli il dito contro di incolparlo? Mica si erano comprato il campo, i bronzo-blu! «Lo avevamo prenotato anche noi! Doppio allenamento tutti i giorni in vista della partita con i Tassorosso... ma cosa ne vuoi sapere tu, non sai nemmeno come si giochi davvero a Quidditch!» E, in una situazione normale dove normale stava per "non unito da magiche ed invisibili manette ad un'altra persona" avrebbe girato i tacchi e mimato il gesto di andarsene, salvo poi tornare sui suoi passi all'ultimo secondo perchè #draaama Ma non poteva farlo: si sarebbe comunque portato appresso il nanerottolo. E sì, poteva definirlo tale visto che aveva ben sette centimetri in più di lui, abbiamo fatto le dovute ricerche. Era consapevole di aver (letteralmente) scagliato il primo Bolide ma ammetterlo davanti ad Elwyn? Giammai. Era più bello vederlo perdere le staffe; un po' meno finire in punizione ma ormai il danno era fatto. More poteva solo sperare che Huxley si dimostrasse Corvonero fino alla fine e sapesse come preparare quelle due dannatissime pozioni. Lui non era neppure sicuro di dove fosse l'aula di Pozioni, figurarsi un po' se c'erano possibilità che conoscesse i due intrugli.
    «Che razza di domande sono...» ovvio che non avesse la minima idea di dove iniziare, durante i G.U.F.O. aveva passato l'esame solo grazie all'aiuto di Cora, e non scherzavo quando dicevo non sarebbe stato in grado neppure di puntare su una mappa del Castello l'esatta ubicazione dell'aula. Ma mica poteva dirglielo, giusto?! «Potrei prepararle ad occhi chiusi, ragazzino.»
    Chissà se veniva ereditato o se Peetzah ci era nato per pura sfiga con il gene della deficienza. Proprio non ci riusciva a non fare lo spaccone, ad ammettere che c'era qualcosa al mondo in cui fosse meno bravo di Elwyn.
    Alzò leggermente il viso con fare di superiorità, chiedendo «Invece tu come stai messo?» in direzione del Corvonero. Sperava che sapesse davvero qualcosa a riguardo, quanto meno dove reperire gli ingredienti... avevano una sorta di magazzino lì ad Hogwarts?! O il necessario appariva si banchi per pura magia?
    Aaaah, send help.
    Morley sentiva che sarebbe stata una punizione davvero. Molto. Lunga.
    Però sì, su una cosa erano effettivamente d'accordo: avrebbero dovuto riuscire nell'impresa prima che si facesse buio che i pettegoli di tutta Hogwarts venissero a conoscenza del loro piccolo (gigantesco) incidente. Non aveva voglia di passare il resto dell'anno a mettere a tacere altre stupidissime dicerie!!
    «Affare fatto.» Asserì e, se avesse avuto idea di come fare, avrebbe persino allungato la mano per sancire quel patto. Ma la dinamica di tutta quella storia gli sfuggiva ancora.
    «Ho solo una domanda...» due, in realtà, ma se avesse giocato bene le sue carte non avrebbe avuto la necessità di dover chiedere ad alta voce che gli venisse indicata la via per raggiungere l'aula, «Come te la cavi a camminare all'indietro?» E, prima ancora di ricevere una risposta, fece per incamminarsi in una direzione *molto generica* perchè chissà. Forse era la via giusta, forse no, lo scopriremo presto.
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    Elwyn Huxley era un ragazzo tollerante.
    Tollerava, ad esempio, l’esistenza di creature raccapriccianti e fastidiose – no, non Morley – che secondo il suo modesto parere da fifone non avevano alcuna utilità all’interno dell’ecosistema; lo faceva, il corvonero, perché saltare le lezioni di Cura delle Creature Magiche gli avrebbe fatto guadagnare un memorabile soggiorno in Sala Torture e perché mantenere un’espressione impassibile – e morire dentro, lentamente – sembrava l’unica, valida, alternativa all’urlare come una femminuccia, scappare al minimo segnale di pericolo e mettersi in imbarazzo davanti ai suoi coetanei.
    Tollerava talmente di buon grado il fatto che qualcuno potesse allungare la mano sul suo piatto e contaminare il cibo presente – o bere dal suo bicchiere – da lasciarsi pervadere da un improvviso istinto omicida moto di generosità e decidere di cedere quel pasto nella sua interezza; e se lo scellerato gesto veniva compiuto da amici, persone perfettamente a conoscenza della sacralità di quei momenti e del concetto di proprietà privata, l’Huxley si limitava ad intavolare una pacifica discussione in cui ci teneva a precisare che, se fosse successo un’altra volta, avrebbe amputato loro le mani.
    Tollerava i commenti negativi sul suo aspetto o sul suo modo di vestire, a patto che seguissero dei dubbi già sollevati dal battitore e venissero edulcorati per non ferire il suo orgoglio – «non sei tu, è il modello che non valorizza i tuoi muscoli» o «geniale l’abbinamento pois e righe, ma punterei su un semplice maglioncino azzurro per mettere in risalto gli occhi» rientravano nella sfera di risposte che lo avrebbero infinocchiato facilmente soddisfatto.
    Tollerava la presenza di Piz all’interno della scuola, purché si tenesse a debita distanza dal corvonero, non si mettesse in mostra durante una partita di Quidditch, non ci provasse con la stessa ragazza su cui l’Huxley aveva messo gli occhi, non si vantasse dei guizzanti muscoli di quelle braccia rubate all’agricoltura o dei suoi centimetri in più – in altezza anche perché il corvonero era un metamorphomagus e poteva compensare ogni disparità, colpa del fatto che il grifondoro fosse (più grande di un numero imprecisato di mesi e giorni) stato concimato nella notte dai suoi genitori –, non tentasse di superare il suo stupido incredibile record di dodici ciambelle ingurgitate in un minuto, non sparasse idiozie, non–
    Rettifica.
    Elwyn Huxley non era un ragazzo particolarmente tollerante, ma se qualcosa lo mandava in bestia, era proprio quello.
    «Cosa ne vuoi sapere tu, non sai nemmeno come si giochi davvero a Quidditch!»
    How dare you.
    Il corvonero era IL Quidditch.
    Ok, no, era troppo persino per lui. Ma come si permetteva, quel troll di montagna, a mettere in dubbio il suo talento naturale, la sua strabiliante capacità di memorizzare tutte le (inutili) statistiche relative a quello sport e la sua ammirevole dedizione agli allenamenti (cui era costretto a partecipare)? L’Huxley era cresciuto a pane e Quidditch – non letteralmente, certo, perché sebbene suo padre controllasse maniacalmente l’alimentazione dei figli, Elwyn era sempre riuscito a fare dell’amore per i dolci il suo atto di ribellione in perfetto stile Willy Wonka e adesso non posso smettere di immaginarlo con quel taglio. Era un astro nascente, un enfant prodige, il talento che avrebbe presto scalzato i mostri sacri di quello sport dal loro olimpo dorato. E il suo nome sarebbe stato scelto per i nascituri – che le madri gli avrebbero chiesto di baciare affinché trasmettesse loro un po’ delle sue capacità –, stampato su ogni genere di gadget e inciso su una targa commemorativa posta al di sotto della più grande statua mai costruita – lo stesso monumento presso cui un vecchio, raggrinzito, povero, rancoroso Piz si sarebbe recato ogni giorno della sua triste vita fino al momento in cui lo stesso Elwyn sarebbe andato lì, e dall’alto della sua clemenza gli avrebbe dato una pacca sulla schiena e sussurrato che «Non facevi così schifo, in fin dei conti.». Se era ciò che sognava ogni notte? Non sempre, rimaneva comunque un adolescente in piena crisi ormonale.
    E poi, Morley aveva dato un’occhiata ai suoi numeri? La sua precisione di tiro era pari al 75.8%. Settantacinquepuntootto. Sapeva cosa voleva dire? Elwyn vagamente, non era un asso in matematica Che la stragrande maggioranza dei suoi colpi andava a segno. E poco importava se gioirne equivaleva ad ammettere di riuscire a scagliare un bolide contro un suo coetaneo e mandarlo in infermeria perché, ehi, era esattamente quello il suo mestiere – non mirare per uccidere, sia chiaro, ma fare sufficientemente male all’avversario da impedirgli di continuare la partita, e magari saltare gran parte del campionato; doveva essere scritto da qualche parte nel manuale del Quidditch. E l’Huxley ci riusciva benissimo.
    Sgranò gli occhi, disegnò un ovale con la bocca e si trattenne dal portare una mano al petto come una drama queen appena ferita nell’orgoglio. «Io non saprei–» iniziò a farfugliare qualcosa, annebbiato dalla rabbia. «Tu– COME OSI!» urlò, dimentico del fatto che fossero ancora nei pressi dell’ufficio del professore. E gli avrebbe volentieri tirato un pugno sul grugno se non fosse stato strattonato in direzione dei sotterranei, senza avere la possibilità di batterlo sul tempo e strattonarlo a sua volta proporre una sfida per decidere chi dei due avrebbe dovuto guidare l’altro. Protestò, puntò i piedi per terra e sbuffò rumorosamente, mentre non poteva fare a meno di domandarsi per quale assurda ragione un anno da adolescente equivalesse a tre da adulto – un po’ come i cani, sì – e la sua arcinemesi avesse sviluppato una forza con cui il minore non poteva ancora competere.
    Ci voleva astuzia.
    E, strano a dirsi, lui era un corvonero.
    Diede un’occhiata in giro, accertandosi che quel tratto del corridoio fosse momentaneamente privo di studenti, e si gettò a terra, il corpo abbandonato al suolo come se fosse un sacco di patate. Voleva essere il grifondoro a condurre il gioco? Glielo avrebbe concesso. Tuttavia, non solo avrebbe dovuto trascinare quel peso morto fino all’Aula di Pozioni – nella speranza che non ci fossero scale lungo il tragitto –, ma poiché Elwyn non poteva mostrarsi succube del maggiore, era necessario qualche piccolo ritocco al suo piano. Sfruttò il potere da metamorfomagus e modificò le fattezze del suo viso in quelle di un anonimo adolescente, arricchendo la sua creazione con un vistoso livido poco al di sotto dell’occhio destro. Era pronto per la messinscena. «Non farmi del male, MORLEY PEETZAH!» se era fondamentale che sottolineasse il suo nome? Assolutamente sì, dal momento che aveva scelto di ignorare che il grifondoro fosse noto ai più, ad Hogwarts, per ingiustificati meriti sportivi e incomprensibili valutazioni estetiche. «No, fermo! AAAH!» un urletto, di tanto in tanto, per attirare l’attenzione di quanti più studenti possibili. Confidava nel fatto che la sua arcinemesi non avrebbe sopportato l’idea di essere visto come un barbaro che aveva appena picchiato un ragazzino per divergenze di opinioni, che si sarebbe arreso alla superiorità intellettuale del corvonero e che sarebbe stato lui a farsi guidare come se fosse al guinzaglio. «Ho solo detto che ELWYN HUXLEY è più bravo a Quidditch!» continuò, congratulandosi con se stesso per quelle doti recitative che aveva affinato nel corso degli anni. «E più bello!» non del tutto vero, ma perché non approfittarne per ribadire la sua supremazia su ogni fronte?
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    PEETZAH
    Morley Peetzah non era un ragazzo tollerante – semi cit.
    Non sapeva dove fosse di casa la pazienza, non conosceva la calma e, ancor più importante, non gli andavano a genio i Corvosecchia sbruffoni che si credevano campioni di Quidditch ma poi riuscivano a malapena a rimanere cavalcioni su una scopa per più di due secondi, tanto per fare un esempio. Erano tante le cose che per More erano difficili da digerire (i compiti di Pozioni, le lezioni che si accavallavano con gli allenamenti, le lezioni serali, le punizioni quando prendeva un brutto voto, la zuppa di fagioli per cena, e via dicendo) ma Elwyn era quasi (quasi) in cima alla lista. E più lo osservava, da una distanza disgraziatamente ravvicinata, più se ne convinceva: avrebbe volentieri preso a schiaffi quel visetto da bambino per spazzare via l'aria da fesso del minore, e senza pensarci due volte!!! Sul serio, quando c'era da alzare le mani, se la vittima dei suoi pugni e schiaffi era l'Huxley, More non doveva nemmeno pensare: agiva e basta. Gli venne dunque spontaneo alzare un braccio per schiaffeggiarlo – salvo poi ricordarsi che erano magicamente uniti per chissà quanto ancora (spoiler: tante ore.)
    Sbuffò aria da naso e denti, un cane rabbioso costretto ad agitarsi in una gabbia troppo stretta per lui. «È tutta colpa tua», il veleno nel tono di voce del Grifondoro era impossibile da non cogliere, ma non soddisfatto, strattonò comunque l'altro ragazzo per farlo muovere.
    Non era decisamente quello che Morley immaginava quando pensava a come doveva essere ritrovarsi legato a qualcuno: innanzitutto, Huxley non era mai (e dico M A I) la persona con cui si immaginava. No, cioè: ew. Secondo, solitamente era lui a decidere come e quanto a lungo legarsi. E girovagare nei corridoi della scuola alla ricerca dell'aula di pozioni non era di certo contemplato nei suoi scenari. Quindi sì, insomma: non c'entrava nulla con le sue fantasie e a Morley non piaceva quell'elemento.
    Ogni fibra del suo corpo gli implorava di allontanarsi da lì, prima di finire inevitabilmente (ancor più) nei casini: non riusciva a trattenersi quando Elwyn era nei paraggi, quello lì tirava fuori il peggio del Peetzah. Assottigliò lo sguardo, pensando a come liberarsi di quella spiacevole incombenza; era persino disposto a staccargli un braccio se fosse dovuto ricorrere a tanto, infondo ad Elwyn non servivano due arti superiori, non era mica il battitore eccezionale che tutti reputavano, tsk. Che se ne faceva di due braccia?
    «Io non saprei– Tu– COME OSI!» Un ghigno malefico spinse verso l'alto gli angoli della bocca, mentre Morley si gustava la scena di un Huxley frustrato e a corto di parole; l'espressione rabbiosa era quasi comica e per un attimo fece cadere quella – così simili – che lo stesso More aveva avuto fino a pochissimi secondi prima. Aaaah, una bella soddisfazione nel vedere che, ogni tanto, riusciva a fare male anche con le parole: beccati questa, Corvaccio. Fece per incrociare le braccia al petto, ricordandosi solo troppo tardi del fastidioso particolare. «sdfghjkkk» Keyboard smash, but make it versi incomprensibili rivolti in direzione dell'altro studente. «Non potevi farti gli affari tuoi e lasciarci il campo?» Lo ammonì, con l'ennesima strattonata. «Dovevi per forza fare il cazzone e rompere le scatole?» Come se Morley non avesse avuto la sua onesta dose di colpa, in tutta quella vicenda. Ma lo avrebbe mai ammesso? Certo... che no. «Sei proprio un babbe-» Le parole gli morirono in gola, quell'insulto lasciato a metà mentre il viso di Elwyn spariva a poco a poco sotto al suo sguardo (confusissimo e shockbasito) e lasciava spazio ai connotati sconosciuti di un anonimo studente che Morley non aveva mai visto. «Ma che -» Cosa stava facendo. No, no, no! Non c'era soddisfazione così!! «STAI BARANDO!» Inaccettabile!! INACCETTABILE!!! «Dov'è la tua faccia!!» Gli pizzicò una guancia, cercando di tirare il più forte possibile per togliere quella che, lo sapeva benissimo, non era una maschera. «RIVOGLIO IL TUO VISO!!» Ecco come nascevano i pettegolezzi sul loro conto, btw. «FAMMELO VEDERE!!!!!» Eh, okay.
    Gli urletti che il suo nemico giurato lanciava ogni tanto, nulla potevano in confronto alle grida isteriche di un Peetzah che si sentiva profondamente tradito: che gusto c'era a picchiare uno che non aveva la faccia di Elwyn Huxley??? Magari se lo scuoteva ancora un po' come una maraca, l'avrebbe sfinito abbastanza da costringerlo ad abbandonare la presa sul potere e tornare se stesso. Ma poi, More super confuso: «da quando sei- sei -» *Edward Cullen's voice* dillo, «IMBROGLIONE!» No, non quello, ma anche. Ma Morley lo sapeva già che Elwyn era un metamorfomago? No, io chiedo. O lo sta scoprendo così? Assurdo. «Inaccettabile!!» Era proprio fuori di sé, si sentiva preso in giro. L'Huxley si stava mostrando per ciò che era: (furbo) un vigliacco!!
    Le loro urla avevano inevitabilmente catturato l'attenzione di qualche studente di passaggio, che ora li osservava – chi confuso, chi divertito, chi preoccupato: Morley Peetzah stava davvero picchiando un altro studente? Il biondo riusciva a leggere quelle domande nelle espressioni incredule dei presenti, e sentì la rabbia crescere prepotente. «Non credetegli!» si rivolse direttamente alla piccola folla che si era riunita lì intorno. «Lui È Elwyn Huxley!!» Non l'avevano visto trasformarsi, certo, ma avrebbero dovuto capirlo!!! Voleva sperare che almeno una parte del corpo studentesco non fosse così imbecille da lasciarsi fregare da quella sceneggiata!! Qualcuno gli avrebbe sicuramente dato retta!! E poi, «solo Elwyn Huxley potrebbe dire certe cose riguardo Elwyn Huxley!!!» Nessuna persona sana di mente lo avrebbe definito mai "più bravo a Quidditch" e "più bello" del Peetzah!! Di nuovo rivolto verso il minore aggiunse: «sei proprio poco credibile, lasciatelo dire!» Ma come gli veniva in mente... il peggior attore di sempre!! BUUHHH!!
    «Sta mentendo!!! E male, tra le altre cose!!» Un'altra scrollata di spalle (per divertimento) prima di sbattere, furente, un piede a terra. Non aveva di certo la calma e la freddezza che, da lì ad una decina d'anni, avrebbe dimostrato di possedere sua sorella minore. Morley, al contrario di Joni, era esagerato e irrascibile, prono a sceneggiate del genere – specialmente quando sapeva di esser stato fregato e di essere solo una vittima delle circostanze. Prima la punizione, poi questa farsa: Huxley avrebbe dovuto reputarsi fortunato se More l'avesse fatto arrivare vivo ai G.U.F.O.
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    Se il corvonero avesse potuto evocare un violoncello, si sarebbe fermato al centro del corridoio – capo leggermente inclinato all’indietro, occhi chiusi, espressione beata – e avrebbe mosso l’archetto con l’unico scopo di sottolineare quanto suonassero melodiose le proteste di Morley. Non avrebbe mai immaginato di formulare un simile pensiero, ma avrebbe ascoltato volentieri la sua voce fastidiosa, tollerato la sua sgradita presenza, accettato persino quella vicinanza forzata se avesse continuato ad annaspare in quel modo. «Ma che -» e la confusione sul suo volto? Impagabile; seconda soltanto alla soddisfazione che l’Huxley provava nel sentire le nocche contro la mandibola del grifondoro. «da quando sei- sei -» più intelligente della sua arcinemesi? Da sempre, che domande, non aveva visto la toppa sulla sua uniforme? Era colpa del texano se, talvolta, gli capitava di perdere il lume della ragione. Senza contare che recitare a memoria le proprietà del pus di bubotubero – ammesso di conoscerle; e non era quello il caso – non gli avrebbe permesso di conquistare lo stesso numero di ragazze – esiguo, per la cronaca – che riusciva ad attirare dopo aver scatenato una rissa, sfoggiato con fierezza i segni di quello scontro e concluso con un intramontabile «dovresti vedere com’è ridotto l’altro» – dove con l’altro, neanche a dirlo, intendeva quasi sempre Morley. «- IMBROGLIONE!» ah, intendeva quello? Avrebbe voluto puntualizzare che non c’erano mai state regole, in quel gioco tra loro; non c’erano mai stati limiti perché nessuno dei due aveva sufficiente sale in zucca per porsene. Oppure, avrebbe potuto rivelare che, sebbene Piz non ne fosse a conoscenza, aveva già utilizzato quel potere per assumere le sembianze del rivale e mandare a monte i suoi tentativi di conquista, rimediargli qualche punizione o semplicemente rendergli la vita impossibile – doveva pur combattere la noia, in qualche modo –, ma decise di attendere il momento in cui quella consapevolezza lo avrebbe colpito come un treno in corsa – e il corvonero, a quel punto, avrebbe negato fino alla morte. «sei proprio poco credibile, lasciatelo dire!» eppure, la manciata di studenti attirati dal loro siparietto non sembrava dello stesso parere del grifondoro. Era chiaro che il metamorfomagus, oltre ad un intelletto sopraffino, possedesse doti recitative fuori dal comune; niente a che vedere con il fatto che il tentativo, da parte del texano, di strappargli via la faccia lo avesse fatto urlare di dolore e avesse reso il tutto decisamente più realistico.
    Inspirò a fondo, gonfiando il suo ego con quelle dolci proteste, e, a malincuore, si convinse ad interrompere lo spettacolo; non aveva voglia di attirare l’attenzione dei docenti e scoprire quale punizione potesse essere peggio del passare ventiquattro ore insieme a Morley. Si alzò di scatto, confidando nel fatto che anche il grifondoro volesse abbandonare al più presto quell’ala del castello e che non sarebbe rimasto piantato al suolo come un tronco, e iniziò a correre lontano dalla folla. «NON MI AVRAI MAI!» [estrazioni durante i raduni: unless] recitò la sua frase di chiusura – nonostante lo avesse quasi letteralmente addosso – e percorse una manciata di metri, fino ad imboccare un corridoio completamente deserto. «Quindi, dicevi? Ti piace il mio viso?» tornato, nel frattempo, al suo antico splendore. Portò le mani al petto, all’altezza del cuore, e sbatté le ciglia un paio di volte. «Capisco, sai?» e non perché ricambiasse quel sentimento, ma perché «come puoi resistere a tutto questo?» le braccia sproporzionate rispetto alle gambette da gallina, quell’aria da tossico o il taglio di capelli discutibile, per citare un paio di pregi. «Ma non è roba per te.» concluse, con una non richiesta pacca sulla spalla. «Quindi ricomponiti, abbiamo due pozioni a cui pensare.»
    Quando varcarono la soglia dell’aula, perdendo minuti preziosi nel decidere chi dovesse farlo per primo, partirono dalla ricerca di uno di quei manuali scolastici messi a disposizione degli studenti che ne erano sprovvisti. «Giusto per essere sicuri» non perché non sapesse neppure da dove cominciare, sia chiaro. Aprì il volume, fece scorrere il dito lungo l’indice e sfogliò le pagine ingiallite fino ad arrivare a quella sul Distillato della Pace. Poi, iniziò a leggere ad alta voce. «Riduce i livelli di stress e dona un senso di serenità. Pfff, io sono sereno» la fonte di stress era al suo fianco e non era stato certo il corvonero a richiedere di trascorrere del tempo insieme. «Una dose eccessiva infligge al bevitore un sonno pesante e qualche volta irreversibile. Non lo permetterebbe mai, andiamo» continuò, guardando Piz di sottecchi nella speranza di essere rassicurato dalla sua reazione. Sapeva, in cuor suo, che il docente aveva architettato il piano perfetto per liberarsi di due piccioni con una fava. Nessuno lo avrebbe accusato di aver chiesto loro di preparare due pozioni pericolose, fuori dall’orario scolastico e senza la sua diretta supervisione; i giornali avrebbero parlato soltanto di due ragazzini problematici e dell’ennesima sfida finita male. E del corvonero non sarebbe rimasto altro che una foto ingiallita; si augurava, almeno, che la sua famiglia scegliesse la migliore possibile, che i suoi amici parlassero bene di lui durante le interviste – «salutava sempre» «era un battitore eccellente, non come Piz», «una bellezza rara sfiorita nel pieno dei suoi anni», cose del genere – e che l’eventuale sonno eterno non fosse condiviso con la sua nemesi.
    «Ci serve un corno di unicorno» semplice, se non fosse stato «in polvere» si guardò attorno, soffermandosi sulle decine di anonimi barattoli che occupavano le pareti della stanza. «Sarà bianco, tipo... cocaina?»
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    Le cose non stavano andando proprio come Morley se l'era immaginate: tanto per cominciare, era ammanettato magicamente ad Elwyn Huxley e quello era già lontano anni luce dal genere di fantasie con cui il Grifondoro amava intrattenersi.
    Poi, come se non bastasse, quel farabutto di un corvaccio lo stava ridicolizzando davanti a tutti con quella scenata! Ma... come si permetteva!!! CON QUALE CORAGGIO!! Quanto meno, il pizzicotto con il quale aveva cercato di togliergli la faccia maschera era servito a qualcosa, strappando un gridolino poco virile al minore. Gongolò soddisfatto per qualche istante, More, gustandosi quella dolcissima scena.
    E stavo per scrivere che "gli piaceva far urlare Elwyn" ma non c'è modo di metterla per iscritto senza farla sembrare una frase equivoca, quindi la lascerò così.

    Col senno di poi, a mente lucida, ripensò che avrebbe dovuto puntare i piedi e godersi la scena di un Elwyn che cercava inutilmente di trascinarlo con sé nella corsa e che, invece, veniva sbalzato all'indietro e rimbalzava contro di lui com un pessimo yo-yo. Ma no, quell'immagine bellissima avrebbe vissuto solo nella mente del Peetzah perché, colto alla sprovvista, si lasciò trascinare nella folle corsa del Corvonero e, suo malgrado, si ritrovò a seguirlo verso uno dei corridoi meno affollati. Si ricordò di incaponirsi solo troppo tardi, quando ormai l'altro sembrava aver trovato il luogo perfetto per riprendere la loro perenne faida. «Quindi, dicevi? Ti piace il mio viso?» Era insopportabile. Era proprio... «Sei proprio...» Boh, qualcosa era. Era tante cose, così tante che Morley non sapeva da dove partire – quindi si limitò ad alzare un indice, cercando un insulto che non avesse già ripetuto nel corso degli anni. «un... babbeo!» Oh, cioè, nessuno l'aveva mai reputato un asso nella dialettica, che volete. E poi, infondo, esprimeva molto meglio il suo disappunto affidandosi a pugni e mazze rinforzate, lui! Era il genere di persona, Morley Peetzah, che aveva bisogno di riflettere (did he.) e di pensare alle cose che doveva dire, per poi rispondere a tono e per essere in qualche modo credibile – tutto tempo che perse, in quel frangente, a boccheggiare davanti all'espressione compiaciuta di un fastidiosissimo Huxley.
    «Te la faccio passare io la voglia di ridere, bestiola!» Per Godric, se voleva prenderlo a schiaffi per togliergli quel sorrisetto beffardo dalla faccia!!!!
    cApIsCo SaI gnegne
    MA CON CHI PENSAVA DI PARLARE!!
    «Tu... tu... tu non capisci niente!!!» Beh complimenti Morley. Fece per alzare una mano con l'intento di colpirlo, ma (Alice) Elwyn li fece spostare entrambi verso l'aula e Morley lo sapeva, lo sapeva, che non era solo con l'intento di portare a termine quella spiacevole punizione, ma soprattutto perché aveva paura di prendercele di nuovo!!! Elwyn Huxley lo temeva tantissimo!! LUI LO SAPEVA!!
    (Spoiler: non sapeva nulla)
    «Entro prima io!! Porta rispetto,» gli diede una spallata per farsi largo, «mocciosetto Duh, non poteva permettere che Elwyn fosse il primo in nulla, anche una cosa stupida come il varcare la soglia di una classe vuota.
    Rimane incerto chi dei due posò piede nell'aula per primo: probabilmente insieme, in un groviglio di corpi e braccia e gambe, informe al punto da sembrare una creatura mitologica metà ragazzi, metà deficienti.
    Ora.
    Non è che Morley non avesse pregi o lati positivi: era un ragazzino simpatico, era bravo in quel che faceva (il Quidditch, stop.), era un bravo figlio ed era anche un bravo fratello maggiore; era educato, riconosceva le figure adulte e portava loro il giusto rispetto, pur mantenendo comunque l'audacia (e irresponsabilità) tipica dell'adolescenza e dello stemma che aveva cucito all'altezza del petto. Il suo problema più grande era il non riflettere: l'agire impulsivamente senza pensare alle conseguenze, solo per la gloria di farlo e rischiare il tutto per tutto. Quando nei paraggi c'era Elwyn, ahimè, quel sentimento era triplicato: Morley sentiva lo spasmodico bisogno di dimostrarsi migliore del Corvonero, solo perché poteva; solo perché sapeva di esserlo. Quando si trattava di Elwyn, tutto il suo autocontrollo andava a quel paese e di lui rimanevano solo i difetti, ingigantiti in maniera esponenziale.

    Controvoglia, e non senza opporre un minimo di resistenza con l'intento (solito) di rendere la vita dell'Huxley un po' più difficile, Morley lo seguì agli armadietti dei libri di testo, annuendo poco convinto alle sue parole. «mh, mh. certo... certo.» nello sguardo azzurro c'era tutto lo scetticismo possibile, a far da supporto a quello già presente nella voce. «ammetti di non saperlo fare e basta» maledetti corvacci e il loro volersi sentire superiori a tutti!
    Anzi, no!! Maledetto Elwyn e il suo inconcepibile (e, diciamocelo, ridicolo.) bisogno di credersi superiore a Morley: era chiaro, lampante!!, che si stesse prendendo in giro da solo, dai, perché continuare. Illuso. Non l'aveva ancora capito che era tutta energia sprecata e che, fra i due, non c'era assolutamente competizione perché Morley era centocinquantamila volte meglio?!
    Ah, i giovani.
    Era anche noioso, per di più! E leggeva malissimo, cosa che More si preoccupò si sottolineare con un sonoro sbadiglio. «Saranno le ventiquattro ore più lunghe della mia vita.» Purché non fossero le ultime.
    Roteò gli occhi verso una nuova dimensione, posando poi lo sguardo di sbieco sul minore. «Pfff, io sono sereno» «mh mh.» sì, ci credeva tantissimo.
    «Una dose eccessiva infligge al bevitore un sonno pesante e qualche volta irreversibile.»
    Prima ancora di registrare le parole o di avere tempo di immagazzinarle davvero, il suo spirito di sopravvivenza gli venne incontro, portandolo ad annunciare, senza esitazione «la assaggi tu.» Per primo e, molto probabilmente, anche per ultimo: Morley non aveva alcunissima intenzione di avvicinare anche solo il naso all'intruglio che avrebbero combinato. Non si fidava minimamente.
    Anche Elwyn pareva dubbioso al riguardo. «Non lo permetterebbe mai, andiamo» «Ma sei proprio stupido... più stupido di quanto pensassi.» E, già di base, lo riteneva: stupidissimo, al pari di un Troll di Montagna per fare un paragone. Lo guardò (malissimo) arricciando il naso e chiudendo gli occhi. «Non mi stupirebbe così tanto se fosse quello l'obiettivo della punizione.» Farli fuori, in un modo o nell'altro, che fosse attraverso pozioni preparate malissimo o contando sulla loro propensione a prendersi a pugni ad ogni buona occasione: in entrambi i casi, il corpo docenti ne sarebbe uscito con le mani pulite.
    Cioè, insomma, era pur sempre Hogwarts, quindi davvero, Morley si poteva anche aspettare cose del genere dalla scuola; ma che Elwyn cercasse rassicurazioni e conforto in lui... oh no, si stava forse ribaltando il mondo?! «Smettila di guardarmi così, sei inquietante, basta.» Tentò di piazzare una mano sulla faccia dell'altro, senza schiaffeggiarlo, ma con il solo intento di farlo guardare altrove. «No, dico davvero. Assaggi prima tu.» Era meglio ripeterlo perché il piano del professore gli sembrava abbastanza infallibile visto e considerato i soggetti, e Morley non voleva rischiare di inalare o bere pozioni potenzialmente letali.
    Le premesse, dopotutto, non erano delle migliori: come diavolo era fatto un corno di Unicorco?
    Si ritrovò a domandare mentalmente, il Peetzah, mentre faceva vagare lo sguardo in giro per l'aula alla ricerca di... boh, qualcosa. Non aveva proprio idea di cosa cercare. Al «in polvere» annuì, come se quello cambiasse le cose: spoiler, non le cambiava.
    «Sarà bianco, tipo... cocaina?» lo sguardo azzurro tornò sul ragazzino al suo fianco, e le sopracciglia svettarono, incuriosite, verso la fronte. «Dunque sei anche esperto di sostanze illegali, eh Huxley.» Iniziò a passeggiare per l'aula, senza una meta, osservando gli scaffali di ingredienti e toccacciando un po' tutto quello che gli capitava sotto mano. «La cosa non mi stupisce. Dovrei denunciarti ai professori.» Così, magari, si sarebbe sbarazzato del problema una volta per tutte.
    Indicando un contenitore completamente a caso, poi, chiese: «è quello?» Oh, era polvere ed era bianca: l'aveva trovata, quindi il lavoro di Morley lì era finito.
    Senza attendere una risposta, strattonò Elwyn nella sua direzione, alzando il braccio legato magicamente a quello del ragazzino per raggiungere il barattolo (e sì, infastidire l'altro nel frattempo). Lo aprì, ma non si fidò di annusarne il contenuto: poteva essere (letale) qualsiasi cosa. «Tieni, annusa.» Quindi sì, fece per schiaffarlo sotto il naso del blubronzo, magari era polvere urticante!!!! E Morley si sarebbe sgansciato dalle risate.
    «Cos'altro serve... la valeriana?» Shock, si ricordava gli ingredienti?!?! Assolutamente no: aveva sbirciato oltre la spalla di Elwyn mentre questi leggeva come preparare un Distillato della Pace. «In effetti ti farebbe comodo, sai? Magari ti rilassi un pochino.» Oh, era un suggerimento sentito, il suo!!!
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    «Sei proprio...» approfittò di quella titubanza, lasciando Piz con l’indice sollevato e la mente intenta a scavare nello scarno repertorio di insulti inediti da rivolgere al corvonero. «… bello? Di nuovo? Ho afferrato, More» continuò, sicuro che quel diminutivo avrebbe irritato il grifondoro più dei dolci epiteti con cui amavano apostrofare l’altro. «Cioè, sei liberissimo di ripeterlo ancora, sia chiaro» non poteva certo impedirgli di unirsi alla nutrita folla di studenti convinti che non esistesse ragazzo più bello dell’Huxley, «ma te l’ho detto, non sei il mio tipo» e, più in generale, non riusciva a capire come il Peetzah potesse essere il tipo di qualcuno; ecco perché Elwyn aveva deciso di mettersi al servizio della comunità studentesca e sobbarcarsi il gravoso compito di dissuadere tutte le ragazze cui il grifondoro era interessato, raccontando storie – vagamente alterate – sul conto della sua nemesi e facendo rinsavire le povere vittime da quell’assurda infatuazione per il texano. «sai,» a quel punto, avrebbe voluto dirgli che non gradiva che il suo partner avesse più muscoli di lui, ma non poteva correre il rischio che una simile esternazione fosse scambiata per un complimento. «la disparità intellettiva,» mentì due volte, non soltanto perché amava illudersi di essere superiore a tutti, depositario di una conoscenza preclusa agli altri, ma perché quella punizione era una fulgida testimonianza del deficit di neuroni che aveva segnato la crescita di entrambi, in egual modo. «la barba,» e poco importava che, nel loro caso, fosse così rada da riuscire a contare i singoli peli sul volto e seguirne la crescita giorno per giorno; su una ragazza, a suo modo di vedere, avrebbe fatto la differenza. «il piccolo Morley» se avesse usato quell’aggettivo con cognizione di causa? Non era dato saperlo; ciò che contava era che la sua sola esistenza, tra le gambe di Morley, non era compatibile con i gusti di Elwyn.
    «un... babbeo!» tutto lì? Non considerava il grifondoro un vulcano di idee al pari dei figli di Priscilla, ma si era infiacchito a tal punto? Gli rivolse uno sguardo carico di delusione, e soltanto la spallata che il corvonero ricevette poco dopo lo distolse dal masochistico intento di suggerire degli insulti più adeguati, così da ravvivare il loro scambio di battute e riportarlo agli antichi splendori. Come se non bastasse, Piz inanellò una serie di comportamenti in grado di mettere a dura prova la – già scarsa – soglia di tolleranza dell'Huxley nei confronti del genere umano e, in particolar modo, dell’essere con cui era costretto a condividere quella giornata. In primo luogo, dunque, tentò di ignorare le ironiche risposte e il provocatorio sbadiglio con cui aveva accompagnato la sua lettura, trattenendosi dal colpirlo con il libro soltanto perché aveva disperatamente bisogno di quel manuale per mandare avanti la pozione e illudersi di poter notare gli eventuali tentativi di avvelenamento da parte dell’altro. In secondo luogo, non gradì il suo ostinarsi a fargli accapponare la pelle e sostenere la teoria che il docente volesse farli fuori con un unico, inattaccabile, pretesto. «Non ci credi davvero» insistette ancora, nella speranza di ottenere una qualunque, rassicurante, reazione. «altrimenti staresti facendo qualcosa per evitarlo» a parte infastidirlo costantemente e annunciargli che non avrebbe bevuto l’intruglio che avrebbero dovuto preparare – era un illuso se pensava davvero che il corvonero sarebbe stato l’unico a rischiare la vita. Per salvare la sua, per giunta! «e invece te ne stai impalato» punto tre, il suo inesistente apporto alla causa. Aveva avuto persino l’ardire di pronunciare un «ammetti di non saperlo fare e basta» che era tutta la verità e nient’altro che la verità, certo, ma, almeno, l’Huxley ci stava provando ad accorciare i tempi di quell’agonia condivisa. Lui, invece? «Saranno le ventiquattro ore più lunghe della mia vita.» ecco, appunto. «Potrebbero essere meno, se la piantassi di comportarti da zavorr–» si fermò di colpo, preso alla sprovvista dallo strattone del grifondoro. A quel punto, avrebbe potuto smettere di insultarlo e approfittare dello sprazzo di vitalità che aveva spinto il Peetzah a fare un giro all’interno dell’aula, ma non si sarebbe sentito completo se non avesse finito il suo discorso. «Se vuoi passare del tempo con me, non hai bisogno di questi pretesti. Puoi metterti in fila, come tutti gli altri» tutti chi? «e aspettare di essere rifiutato, ovviamente» ci tenne a sottolineare, ancora una volta, per scongiurare la possibilità che Morley fraintendesse le sue parole e si lanciasse in gesti raccapriccianti come andare in giro con una maglietta con il volto del corvonero o gli regalasse una torta con una dedica ambigua sui bolidi e il battere forte – che non gli avrebbe stampato sul viso solo perché sarebbe stato uno spreco imperdonabile di zuccheri. «E no che non faccio uso di droghe» alcol, quello sì «sono stupefacente di mio» si pentì di quella battuta non appena le parole uscirono dalla sua bocca, ma non potendo tornare indietro nel tempo, continuò a sproloquiare. «è che so come va il mondo, tu esci mai dalla torre?» fin troppo spesso, dal suo punto di vista.
    Impegnato, com'era, a stuzzicare il grifondoro, non ebbe la prontezza di evitare il barattolo che gli era stato accostato al naso, obbligandolo a respirarne il contenuto. Starnutì con forza e si assicurò di farlo sulla sua nemesi e contaminarla con qualunque cosa fosse appena entrata nei suoi polmoni. «Sei fuori di testa?» furioso, poggiò una mano contro il petto del compagno e tentò di spintonarlo, sebbene le manette che li univano non permettessero di raggiungere grandi distanze. «Potrebbe essere qualsiasi cosa!» avrebbe potuto deturpare il suo meraviglioso viso, modificare la sua voce profonda e sensuale, sgonfiare i suoi inviadibli muscoli, alterare la sua spumeggiante personalità, rubargli il talento di cui gli era stato fatto dono e tutto per colpa di quel troll che aveva davanti. Doveva fargliela pagare.
    «Ecco, lo sapevo, sento già un prurito ovunque» iniziò a grattarsi e sfruttò il suo potere per far comparire delle chiazze sul suo corpo, inclusi i pochi lembi di pelle visibili. Poi, sollevò nuovamente lo sguardo in direzione del grifondoro. «Hai sempre avuto delle macchie verdi sotto il collo?» scegliere un punto che il Peetzah non avrebbe potuto controllare, in modo da insinuare il dubbio che avesse la stessa reazione scatenatasi sul viso dell’Huxley? Fatto. Doveva soltanto costringerlo a bere qualcosa. «Nonononono» diede l'impressione di essersi appena accorto del cambiamento sulle sue mani e proseguì. «Questa è tutta colpa tua! Ora ci serve» finse di essere in preda al panico e iniziò ad aprire tutti gli armadietti presenti, a spostare barattoli e a leggere le etichette nella speranza di trovare qualcosa con cui farla pagare al rivale. «un antidoto, un qualcosa che–» continuò la messinscena, fino a stringere una boccetta a caso* e mostrarla al texano. «Tipo questo! C'è un bezoar dentro! E i bezoar curano tutto, si sa!» una delle poche cose che aveva imparato, nel corso degli anni, e confidava che anche il grifondoro ne fosse a conoscenza; in caso contrario, sperava venisse contagiato dal suo entusiasmo. «ma non ce n’è abbastanza per entrambi, immagino dovesse andare così» sollevò il finto antidoto, guardandosi bene dallo spostare le dita che coprivano l’etichetta, e continuò, sperando che il rivale abboccasse, gli strappasse quell’intruglio dalle mani e lo bevesse – lui lo avrebbe fatto, inutile dirlo. «Ultime parole? Vuoi che saluti qualcuno per te?»
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    * se vorrai fargliela bere, potrà essere qualsiasi cosa!
     
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    MORLEY
    you can't always be strong
    but you can always
    be BRAVE
    PEETZAH
    «Non ci credi davvero» con un braccio sul fianco in una misera imitazione di sua mamma quando lo rimproverava, Morley posò lo sguardo imperscrutabile sul minore. «altrimenti staresti facendo qualcosa per evitarlo» «mhhh» finse di doverci pensare su qualche istante, fiutando la paura di Elwyn. «magari questo era il mio piano sin dall'inizio.» lo sfidò, cercando di suonare convincente (anche e soprattutto a se stesso) «"se non posso"» averti «"ucciderti io, allora..."» allora cosa? Non è dato saperlo, Morley lasciò aperto il finale di quella frase, dando modo al minore di terminarla come preferiva: tutto, pur di godersi ancora un po' quell'espressione preoccupata sul viso di Elwyn.
    Durò poco, per sfortuna del battitore rosso-oro, perché pochi minuti dopo Huxley stava già cambiando discorso, forse per distrarre se stesso dalla possibile (orrenda) fine che avrebbero fatto quel giorno ― perché erano poche le cose certe al mondo, ma che Elwyn e Morley non riuscissero a mettere da parte l'animosità anche solo per il tempo necessario a collaborare e uscire da quella situazione era una di quelle. Una verità assoluta, uno dei principi fondamentali su cui si basava l'esistenza, uno dei pilastri della razza umana.
    «Se vuoi passare del tempo con me, non hai bisogno di questi pretesti. Puoi metterti in fila, come tutti gli altri» «tutti chi» «e aspettare di essere rifiutato, ovviamente» Era.... Era serio? Credeva veramente a quelle parole? Morley non riuscì a trattenere una risata, nell'immaginarsi un Elwyn Huxley davvero convinto di avere la fila di pretendenti ad aspettare, ansiosi, il proprio turno. La propria occasione.
    Cioè ― se parlava di gente desiderosa di dargli due pugni ben assestati, allora sì, aveva ragione, e vi dirò di più: Morley era il primo della fila.
    Ma in tutti gli altri casi... Un altro verso strozzata, una risata che non tentò nemmeno si nascondere, lasciò le labbra carnose del Grifondoro.
    «Huxley, ma ti senti quando parli?» finse di avere un conato si vomito, portando il dorso della mano a coprire le labbra. «Per. Favore Aveva già dovuto ascoltare il suo sproloquio di poco prima, non voleva esser costretto a doverselo subire di nuovo. «Non ci crede nessuno, Huxley. Dovresti accettarlo.» E per nessuno si intendeva: lui. Poteva cantarsela e suonarsela quanto voleva, ma la verità la sapevano entrambi. Gli rivolse un'ultima occhiata scettica, prima di cercare di colpirlo con uno scappellotto sul collo perché sì. «E questo è per il "piccolo Morley".» E non aggiunse un "se vuoi ti dimostro che ti sbagli" perché non voleva dare all'Huxley l'idea errata: infondo Morley si stava convincendo che tutto quel "buh, non sei il mio tipo, buhhh" era il modo del minore per nascondere la sua cotta nei confronti del Grifondoro: l'avrebbe capito, duh, come dargli torto.
    Quindi offrire di fargli vedere quanto non piccolo fosse "il Piccolo Morley" gli pareva un po' estremo. Non avrebbe abboccato alle sue (provocazioni) richieste moleste; avrebbe ignorato gli hint come un pro.
    «E no che non faccio uso di droghe, sono stupefacente di mio» Stava.
    Proprio.
    Esagerando.
    «Dovresti davvero smettere di dire stronzate, perché siamo nei sotterranei e non ci sono finestre da aprire per poterle far uscire.» e poi chiede a lui, A LUI!!!, se usciva mai dalla torre??????? Semmai tutto il contrario!!! Morley Peetzah passava tutto il suo tempo (sul campo da quidditch) ovunque fuorché nella torre Grifondoro: ci tornava solo a dormire ― forse.
    Per vendicarsi di quella diffamazione priva di fondamento, gli schiaffò il contenuto sconosciuto dell'ampolla sotto il naso, urlando improperi quando Elwyn gli starnutì addosso. «ma che faiii» e tentò di piazzargli una mano sulla faccia, per farlo girare in un'altra direzione, ma ormai il danno era fatto.
    «Potrebbe essere qualsiasi cosa!» ...era stato quello l'intento, ma grazie Elwyn per aver dimostrato ancora una volta di essere il Capitan Ovvio della situazione. Sorrise compiaciuto per esser riuscito nella propria missione, poi l'espressione mutò in una di disgusto quando il corvonero, nel tentativo di spintonarlo, posò le sue manacce piene di dita addosso a lui. «La smetti di toccacciarmi il petto, Huxley.» fece per schiaffeggiargli la mano, provando a scacciarla via. «Proprio quando iniziavo a credere alle tue parole...» giusto per la cronaca: non è vero. More era ancora convinto al 200% che Elwyn avesse una crush e, come se non bastasse, adesso era anche convinto che quello fosse tutto un piano dell'altro per ritrovarsi da solo con lui.
    Un incubo!
    Anche se il sorriso soddisfatto e compiaciuto di chi ha capito tutto (non aveva capito nulla) diceva tutt'altro. Un sorriso che si allargò quando Elwyn iniziò a lamentarsi del prurito... E che morì istantaneamente quando, sempre Elwyn, maledetto Elwyn, indicò le macchie verdi.
    Quali macchie verdi.
    «Quali macchie verdi???»
    Si tastò il collo, la mascella, la faccia, tutto. «Quali. Macchie.» era quasi un ringhio, il suo. «Colpa mia?? COLPA MIA???» Sì, colpa sua. Totalmente. Al mille per cento. «SEI TU CHE MI HAI STARNUTITO IN FACCIA!!! ANIMALE!!! MA CHE EDUCAZIONE TI HANNO IMPARTITO I TUOI GENITORI!!!!» Con quale coraggio addossava la colpa al Peetzah?! CON. QUALE. CORAGGIO.
    «Cosa cerchi, adesso» gli parlò sopra, mentre inerme muoveva il braccio trascinato dalla disperazione del minore. Stava ancora cercando di capacitarsi di quanto successo, non era pronto a processare altro. Tipo: «antitodo???? È VELENOSA???» Per tutte le Coppe del Quidditch, se quella polvere non li avesse uccisi prima, ci avrebbe pensato lui con le sue stesse mani a fare fuori l'Huxley!!!!!
    Per quanto si sforzasse di non perdere la sua aria cool e sicura, e il coraggio che definiva lui e i suoi concasati, non poteva negare di star iniziando a sudare freddo. «Tipo questo! C'è un bezoar dentro! E i bezoar curano tutto, si sa!» per Godric, quante possibilità c'erano che beccasse proprio qualcosa di fortemente contagioso??? (Onestamente? tante, essendo l'aula di pozioni di Hogwarts, ma era pur sempre di Morley Peetzah che parliamo, non sarebbe arrivato tanto facilmente a quella conclusione.)
    «ma non ce n’è abbastanza per entrambi,» cosa. «immagino dovesse andare così» cOSA. «Ultime parole? Vuoi che saluti qualcuno per te?» Non ebbe nemmeno bisogno di pensarci su: (stupido) ignorante com'era, afferrò la fiala e mandò giù il contenuto in un solo sorso. «immagino dovesse andare così,» lo scimmiottò, pulendosi le labbra e il mento dalla pozione che era scivolata mentre beveva con foga. In una qualsiasi altra situazione non si sarebbe mai fidato di Elwyn Huxley, non così ciecamente da accettare ad occhi chiusi un intruglio offerto dal rivale, ma in quel caso? STAVA MORENDO.
    Ne era certo!!! LO SENTIVA!!!!
    Si sentiva già male, la pelle a bruciare e la fronte imperlata di sudore e lo stomaco attorcigliato e gli prudeva tutto quando.
    (Che ne poteva sapere lui che quella era solo l'ipocondria che faceva una visitina.)
    Elwyn, dal canto suo, non aveva affatto una bella cera ― il suo viso era più smunto e pallido del solito, non un bello spettacolo. E quelle macchie verdi, poi??? Ovviamente Morley si era affrettato a rubargli l'antidoto dalle mani e a trangugiare il contenuto: mica era scemo (...beh)
    «Vuoi che saluti qual-» stava succedendo qualcosa.
    Cioè, qualcos'altro.
    Qualcosa di diverso da prima.
    «Huxley.» Un crampo lancinante allo stomaco lo costrinse a piegarsi in due, le mani strette all'addome, rischiando di portarsi dietro anche il braccio del Corvonero. «Elwyn stava morendo davvero?? STAVA??? MORENDO????? Si che stava per morire anche pochi istanti prima, MA ORA STAVA MORENDO DI PIÙ!!!!! Perché l'antidoto non iniziava a fare effetto??? PERCHÉ?????
    Lo sguardo azzurro, disperato, andò sul minore forse cercando supporto e rassicurazioni da parte di Elwyn, o forse per controllare se anche lui stesse un male cane ― ma tutto ciò che riuscì a vedere fu il proprio braccio, teso in direzione del corvonero, farsi sempre più pallido... E duro.
    Sembrava, ad occhio e croce, marmo.
    «che succ» ede, ma Morley non terminò la frase, divenuto ormai una statua di pietra.
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    Pozione randomizzata con questo sito.
    CITAZIONE
    Your skin begins to harden at an alarming rate. You are turned to stone for 1d4 hours.

    Dado: 1.

    Voglio proprio vedere Elwyn cosa fai per un'ora ammanettato ad un Piz di pietra.
     
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    Interagire con Morley Peetzah era sfiancante – più di un allenamento di Quidditch sotto la pioggia torrenziale, più delle sessioni di studio per recuperare il tempo perso tra una festa e un corteggiamento fallimentare, più della mattutina opera di sintesi di tutte le bugie che il metamorfomagus aveva raccontato nei giorni precedenti e che avrebbe dovuto abilmente portare avanti.
    Non gli era concesso decantare i propri inconfutabili pregi o fare sfoggio dell’innegabile simpatia che lo crendeva l’anima delle feste – anche in futuro lo sarebbe stato, ma per motivi differenti – senza rischiare di essere brutalmente malmenato con uno scappellotto.
    Non si poteva permettere una sana, inconsueta e giustificata sfuriata che quel grifone spelacchiato aveva l’ardire di accusarlo di avere piacere a «toccacciargli il petto» – e convivere poi con la (triste) conferma che (qualunque cosa il texano aggiungesse nei suoi bibitoni mattutini stesse facendo effetto e) fosse più muscoloso di lui? No, grazie, non ci teneva affatto.
    Non poteva tentare un innocente scherzo – come quello di somministrare una pozione totalmente casuale al compagno senza avere idea degli effetti né conoscere l’antidoto – che l’altro abbandonava il mondo dei vivi in un batter d’occhio.
    Stupido Morley.
    Non gli aveva neppure accordato il tempo di lasciarsi andare in una risata sguaiata, di sfogarsi dopo aver sottoposto ogni fibra del suo essere all’immane sforzo di restare serio e portare avanti la messinscena. Neanche un istante per assaporare la vittoria ed esibirsi in un balletto trionfale alla Fred Astaire; gli aveva lasciato giusto qualche briciola di fugace felicità, manifestata in un profondo e poco infantile «AH-AH, BECCA!», che rivolse all’americano subito dopo averlo visto bere la pozione. «Niente saluti, vorrei che dicessi: Elwyn» continuò, in risposta alla frase con cui la sua arcinemesi lo stava scimmiottando, ma venne interrotto dalle parole del compagno. «Huxley» chiuse gli occhi, il metamorfomagus, infastidito da quell’intoppo imprevisto. «Sta’ zitto, Morley, so come mi chiamo» riportò alla mente la scena cui aveva assistito poco prima – le mani del grifondoro a tastare ogni parte del corpo per assicurarsi di essere tutto intero e il tono di voce denso di rabbia e disperazione – e proseguì, improvvisamente rasserenato. «Dicevo. Ripeti con me: Elwyn Huxley è la persona più intelligente che conosca «Elwyn» in circostanze normali, si sarebbe alquanto insospettito – dal momento che, per Peetzah, lui era Huxley, corvaccio, bestiola, animale, mocciosetto, babbeo e un’altra serie di epiteti ad attestare tutto l’amore che provava nei confronti del minore – ma era stato lo stesso corvonero a dettare quelle esatte parole ed era troppo impegnato a gongolare per capire cosa stesse realmente accadendo. Sorrise, il mento verso l’alto, le braccia larghe come il Cristo Redentore sul Corcovado e il petto gonfio per il suo smisurato ego. «Continua» lo esortò, senza però ricevere alcuna risposta. Dopo qualche istante, aprì un occhio per cercare di capire se Piz si fosse ammutolito a causa dell’orgoglio – lo avrebbe compreso; piuttosto che pronunciare quella frase, l’Huxley avrebbe bevuto un’altra pozione a caso – e lo vide, piegato su se stesso dal dolore, il braccio allungato nella sua direzione e gli occhi chiari a chiedere disperatamente aiuto.
    Ciò che fece Elwyn, da quel momento in poi, combaciò alla perfezione con le fasi che gli psicologi avevano indicato come tappe comuni nell’elaborazione del lutto.

    1. Negazione e rifiuto
    [shock e stordimento per la morte, tentativo di negare la realtà]


    «Falla finita, non puoi battermi al mio stesso gioco» fingere sintomi che non aveva? Suvvia, un po’ di fantasia! Considerava quella del grifondoro una mente piuttosto semplice, certo, ma era sicuro che, se avesse oliato gli ingranaggi arrugginiti che la componevano, persino lui avrebbe potuto imbastire un piano d’azione degno di quel nome. Piano che si sarebbe rivelato comunque fallimentare, data la superiorità intellettiva dell’inglese, ma sarebbe stato un discorso a parte. «Non fa ridere, More» quale modo migliore per scuoterlo se non quello di fargli ribollire il sangue nelle vene e spingerlo a saltargli al collo? Era sicuro avrebbe funzionato – dopotutto, a parti inverse, avrebbe avuto la stessa reazione. «Andiamo, non abbiamo tempo da perdere» provò a dargli le spalle e strattonarlo nella direzione opposta, ma non riuscì a smuoverlo neppure di un millimetro. Puntò allora i piedi a terra, afferrando il braccio dell’altro con la mano libera dalle manette, e si profuse in uno sforzo che non portò ad alcun risultato se non quello di renderlo paonazzo.

    2. Rabbia
    [rivolta verso se stessi o, in molti casi, verso la stessa persona defunta]


    «Ok, facciamo finta sia tutto vero. Ah ah che spasso!» iniziò ad alterarsi, mentre cercava di ignorare l’agitazione che gli avvolgeva lo stomaco in una morsa. «E anche se fosse, per la cronaca, SAREBBE TUTTA COLPA TUA» sbottò, gesticolando e muovendosi entro il minuscolo raggio d’azione che aveva a disposizione per via dell’incantesimo. «TU hai bevuto la pozione» non gliel’aveva certo ficcata sotto il naso come aveva fatto quel bruto! Era stato il grifondoro a strappargliela di mano e mandarla giù, tutto di sua spontanea volontà. Poteva provarlo! Ok, beh, tecnicamente non c’era nessun testimone, ma se fosse stato accusato di omicidio, avrebbero potuto prelevare i suoi ricordi e sarebbe stato completamente scagionato! «TU hai tentato di uccidermi per primo» ma certo, aveva anche manifestato un comportamento violento poco prima del fattaccio, mentre Elwyn sarebbe apparso come lo studente preoccupato e vagamente ipocondriaco, intento a cercare un rimedio alle azioni del compagno. Poteva funzionare. «TU ci hai fatto finire in punizione» continuò la sua opera di auto-convincimento, ridendo, di tanto in tanto, come uno psicopatico e annuendo alle sue stesse affermazioni. «TU sei venuto qui, dall’America» e sarebbe andato oltre, risalendo fino al nefasto momento in cui si era rivelato lo spermatozoo vincente e aveva segnato così anche il destino dell’Huxley, ma la sua attenzione si spostò sulla folta barba rossiccia che iniziò a spuntare sul suo volto e ad aumentare rapidamente, ancora e ancora, fino a raggiungere le caviglie nel giro di pochi istanti. «Che… oh mio… il mio bellissimo viso…» piagnucolò, in preda al panico «ecco, anche questo è colpa tua!» erano mesi che tentava di far crescere i pochi peletti che la pubertà gli aveva concesso, ma la sua idea era orientata più verso il sembrare un adulto affascinante che un santone irlandese. Toccò quel corpo estraneo, accompagnando i movimenti frenetici con espressioni e versi di disappunto; poi, tentò di usare il suo potere per farla scomparire, ma comprese ben presto che si sarebbe trattato soltanto di una soluzione temporanea. Pochi istanti dopo, infatti, la barba era ancora lì, ispida e lunga quanto la lista dei suoi difetti.

    3. Negoziazione
    [tentativo di reagire all’impotenza cercando risposte o trovando soluzioni]


    «Ok, va bene» non andava affatto bene. «Ci sarà un modo per farla sparire…» iniziò a frugare nell’armadietto accanto al quale si era pietrificato il texano, domandandosi – nel leggere le incomprensibili etichette – se se la sentisse davvero di tentare la sorte e rischiare un epilogo peggiore. Spoiler: no. «Magari sul manuale c’è scritto qualcosa» manuale che distava da loro giusto di un paio di metri – poco, se solo si trascurava il fatto che fosse incatenato ad una statua inamovibile. «E sai cosa? Cerco qualcosa anche per te» avvolse la barba attorno al collo e si voltò verso Piz, parlandogli come se fosse ancora in carne e ossa e potesse rispondergli da un momento all’altro. «Non perché ti voglia aiutare, sia chiaro» magari lo stava ascoltando, non voleva si facesse strane idee sul fatto che si fosse rammollito e che sentisse già la sua mancanza. «Ma perché per qualcuno potresti sembrare un martire» in quel caso, ci sarebbero state veglie in suo onore, gli avrebbero intitolato uno spicchio dello stadio, avrebbero eretto una statua in eterna memoria – il che, per il corvonero, si sarebbe trasformato in un incubo senza fine, il suo personalissimo inferno in cui trascorrere gli anni scolastici rimasti. Non poteva certo permetterlo. «O potresti diventare un fantasma, perché non hai finito la tua missione di rovinarmi la vita. Non posso rischiare, capisci? Ok, preparati a ringraziarmi a dovere»

    *diversi minuti e imprecazioni dopo*

    4. Depressione
    [profondo dolore per la realtà e l’irrimediabilità della morte]


    «Siamo spacciati» se ne stava steso, ai piedi della statua in pietra – un braccio sollevato verso l’alto, vincolato al polso del compagno, e l’altro abbandonato lungo il corpo. «Cioè, tu lo sei già, io finirò in Sala Torture, verrò processato e vivrò come fenomeno da baraccone» andando di circo in circo, insieme alla donna barbuta. Aveva provato a lanciargli un incantesimo di levitazione, per avvicinarsi ai calderoni o portarlo dal docente, ma non era riuscito a schiodarlo da quella posizione. Gli aveva versato addosso un altro paio di boccette apparentemente innocue – tanto, più o meno morto non avrebbe fatto la differenza, a quel punto –, ma non c’era stata alcuna conseguenza. E si era convinto, infine, di non essere stato in grado di intervenire in tempo, rendendo la trasformazione del grifondoro ormai definitiva. «Pensavo sarei stato felice, sai» dopotutto, far fuori Piz era ciò che sognava da quando aveva incrociato quel brutto muso tra i corridoi di Hogwarts. Solo che per far fuori non intendeva mandarlo al creatore. Ferirlo? Certo. Farlo soffrire? Ovvio. Spezzargli il cuore ignorando il suo palese corteggiamento e, insieme, rovinandogli la piazza con tutte le ragazze cui il texano era interessato? Gli sembrava il minimo. Sbeffeggiarlo davanti all’intero stadio mentre lui veniva proclamato come il più promettente giocatore della storia del Quidditch? Indubbiamente. Tutto, ma non quello. Si sentiva come Willy Il Coyote una volta ucciso Beep Beep. «Non sono un mostro, è che…» aveva bisogno della sua nemesi per rendere tollerabili gli anni ad Hogwarts. «… ci sta la competizione, altrimenti sai che noia. E poi è colpa di mio padre, è lui che vuole che sia il migliore. Non che mi dispiaccia il Quidditch, sai che sono bravo, ma…» non era sicuro di averlo mai ammesso ad alta voce, figurarsi confidarlo a Morley. «… non è quello che voglio fare» aveva sempre sognato di andare in giro per il mondo, come sua madre, a cercare artefatti magici; ripercorrere le avventure che raccontava agli Huxley al suo rientro, scoprire oggetti misteriosi che gli altri avrebbero considerato banali cianfrusaglie, ma di cui lui avrebbe conosciuto la storia, il valore e i poteri. E si perse in quelle immagini, gli occhi puntati verso il soffitto, per un lasso di tempo che gli sembrò interminabile.

    5. Accettazione
    [si accetta l’accaduto, riappacificandosi con esso e con la realtà]


    «Sai cosa?» riprese il discorso, lasciando intendere che alla fine di quel breve (ma intenso) viaggio alla scoperta di se stesso fosse finalmente diventato una persona migliore. «Ti perdono.»
    15 y.o. - ravenclaw - IV - beater
    - problems with regulating emotions
    - impulsive behavior
    - unstable relationships
    Ma ha anche dei difetti
    ELWYN HUXLEY
     
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