I wish i was more than this walking tragedy

[aidan + arci]

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    «che cosa faresti, se avesse tutto il tempo e tutti i soldi che vuoi?»
    Arci non si era neanche voltato, prendendo un'altra carta dal mazzo di tarocchi sulla scrivania e osservandola distrattamente. «Comprerei una polisucco, pagherei un mercenario per farlo andare in fanculonia o dov'è a prelevare un pelo del petto di Damian Icesprite, e lo userei per passare una notte di fuoco con la Queen»
    «No, intendo... della tua vita»
    Solo a quel punto, il ragazzo si era girato lentamente verso Jeremy, coricato sulla pancia con le gambe all'aria sul lettino. Fra la posizione e il giornale colorato fra le mani, sembrava una quattordicenne pronta a scoprire quale Jonas Brothers sposerà (Joe; avevano fatto insieme quel test qualche minuto prima) «Che-... cazzo, amico»
    «Una tipa qui dice di seguire i propri sogni e cose così. Per trovare la tua passione, per poi poterne trarre profitto, secondo lei devi chiederti che cosa faresti se avessi soldi e tempo» Arci aveva fatto spallucce, tornando a guardare le sue carte. «Confermo: polisucco. Mercenario. Queen.»
    Facile, no?
    Eppure erano passate ore, giorni, e la domanda che si era scrollato di dosso tanto facilmente di fronte all'amico gli era rimasta in realtà
    appiccicata addosso, come salsedine sulla pelle anche dopo che sei scappato dal mare mosso. Aveva provato a dirsi che era una cazzata, che non doveva rispondere alle domande di una "giornalista" di una rivista per ragazzine, se non era per scoprire a chi assomigliava di più fra Gabriella, Taylor e Sharpey (Sharpey), ma sembrava una di quelle cose più facile a dirsi che a farsi. Non pensare all'elefante rosa, Arci! E zac, elefanti rosa ovunque.
    Con sguardo distratto Archibald osservava fuori dalla vetrata senza davvero guardare gli studenti di Hogwarts che più sotto si divertivano fra una lezione e l'altra, e ripensava a quella maledetta domanda, e cercava una maledetta risposta.
    Tecnicamente, Arci aveva soldi (anche se non aveva ancora messo mano sull'eredità Baudelaire), e tecnicamente aveva tempo: sì, aveva non uno ma due lavori, però trovava sempre momenti da passare con gli amici o dedicarsi alla sua piccola Chevie (il suo pick up; certo che aveva un nome, mica era un barbaro). Gli piaceva lavorare a Hogwarts, e gli piaceva lavorare in panetteria. Cosa voleva di più?
    Con una risata un po' isterica era arrivato infine alla conclusione che non trovasse una risposta seria alla domanda del giornalino di Jeremy perchè già stava vivendo la vita che avrebbe vissuto con tutti i soldi e tutto il tempo che voleva
    e la cosa lo terrorizzava.
    Quella era la sua vita? Il massimo che avrebbe mai avuto? Era arrivato in cima, e da lì non poteva che scendere?
    Non era infelice, non davvero: dopo aver sperimentato l'esperienza Bodie si gustava più che mai i minuti passati con gli amici, si godeva le comodità del ventunesimo secolo, eppure... eppure.
    «forse voglio semplicemente di più. tu no?»
    Sbuffò rumorosamente dal naso.
    Qualche mese prima aveva quasi riso in faccia ad Aidan, quando gli aveva detto di volere di più (da lui, da loro), e anche chiedendo in che senso, non erano riusciti davvero ad arrivare ad una conclusione sul cosa quel di più dovesse essere. Ad Arci bastava poco, per essere felice, bastava sapere che non sarebbe stato ignorato (nel bene o nel male), che potesse contare su Aidan se avesse avuto bisogno di lui... ora ripensava alla sua domanda, e ci leggeva dell'altro.
    «Non vorresti di meglio? non senti di meritare – non so, di più?»
    Iniziò a camminare avanti e indietro per il piccolo ufficio.
    Cosa avrebbe fatto con soldi e tempo?
    Cosa poteva fare, avendo sia l'uno che l'altro?
    Un Arci sedicenne avrebbe avuto la risposta pronta; non una risposta perfetta, ovviamente, nè troppo lungimirante (anche perchè convinto che sarebbe morto entro i vent'anni), ma qualcosa su cui lavorare, qualcosa che un odierno Archibald poteva usare come base per levigarla in quello che gli serviva. Era stato ambizioso, un tempo. Lavorava da Magie Sinister per imparare di più sulla magia arcana, vendeva oggetti babbani ai suoi compagni purosangue spacciandoli per artefatti per avere soldi totalmente propri. Sapeva cosa voleva: voleva di più di quello che aveva. Di quello che era. Voleva essere di più dell'orfano che passava da una famiglia all'altra senza mai lasciare un segno. Aveva partecipato volontario ad una missione contro dei ribelli, solo per farsi notare. Non per salvare qualcuno, come per Brecon, non per stare al fianco di persone care; l'aveva fatto solo per se stesso.
    Cos'era successo a quel ragazzo impulsivo? Cos'avrebbe fatto lui ora?
    Si fermò.
    Avrebbe unito l'utile al dilettevole, e non si sarebbe preoccupato delle conseguenze vivendo alla giornata.

    Pensava sarebbe stato più difficile trovarlo - invece a quanto pareva aveva memorizzato istintivamente il suo orario e quali corridoi frequentava. Creepy? Meh, si sarebbe posto il problema più tardi.
    «Ehi, Gallagher» accelerando lo superò, mettendosi poi davanti a lui per camminare all'indietro, così che si potessero guardare pur mentre Aidan continuava il suo viaggio verso la prossima lezione; ogni tanto il Leroy guardava di non star travolgendo nessuno, ma era un corridoio piuttosto deserto, a quell'ora. Per sicurezza agitò comunque il braccio lungo il fianco, muovendo la bacchetta in un muto muffliato. «hai da fare questo weekend?»

    Possiamo dire che Arci era emozionato come un bambino?
    Arci era emozionato come un bambino.
    Si guardava in giro entusiasta, fremendo sul posto all'idea di star per provare tutte le nuove giostre del Wicked Park - anzi, tutte le giostre e basta.
    Esilio nel 1919 a parte, Arci si era reso conto di essersi perso da ragazzino un'importantissima parte di vita per il proprio sviluppo: i parchi a tema. Non è che non gli piacessero, semplicemente non aveva mai avuto l'occasione di andarci, e non l'aveva fatto: semplice così. Con i Cata le loro giornate base (ai tempi di hogwarts ma, why not, anche adesso) erano più composte da spinelli e alcol di nascosto, gite nei boschi, giri infiniti sul pick up o pigiama party nella prima casa disponibile, mentre per quanto riguardava appuntamenti romantici... eh, non ne aveva mai avuti di veri in posti veri, con uno dei due che paga il biglietto del cinema o la cena... insomma, i luna park mancavano alla sua lista di cose da fare prima di morire. Ora, vedendo oltre l'ingresso le enormi giostre e lo schiamazzare divertito dei bambini, si chiese come avesse potuto perdersi quell'emozione.
    C'era poi l'eccitazione data dall'ugualmente importante parte del pomeriggio.
    Si sistemò gli occhiali, sentendone tutto il peso addosso (geez, com'era tutto in alta definizione), e quasi desiderò darsi da solo una pacca sulla spalla. Sapeva quanto Aidan ci tenesse al segreto riguardo i corsi extra curricolari che Arci teneva per lui (wink wink), e si era attrezzato di conseguenza: occhiali, mascherina nera decorata da vero otaku, cappello nero; i vestiti erano i suoi classici e scuri, idem gli anfibi, ma era piuttosto certo di essere comunque anonimo il giusto e irriconoscibile se qualche studente di hogwarts l'avesse visto col Gallagher. Dai, aveva gli occhiali! Se funzionava per clark kent, funzionava per lui. Il Travestimento aggiungeva pepe alla situazione, e se le cose fossero andate male (???) aveva pronte nello zaino due parrucche (...che, ok, non vedeva l'ora di usare inventandosi un problema).
    Quanto era bello avere non solo un appuntamento, ma un appuntamento in segreto in uno dei posti più frequentati della Londra magica?? Bellissimo.
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    ???
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    he kissed him like this was a fight with their lives on the line, like his world stopped and started with his mouth -------------------------------------



    Quindi, nonostante la frase su pinterest sia "i wish i was" come da titolo di molte canzoni, in raltà sarebbe i wish i were. Giusto? Forse. Ma lascio i was perchè arci è una capra come beh e nicky tutta papà
     
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    Aidan Kenneth Gallagher, ripetente per obbligo e non per scelta, prefetto Grifondoro grazie a una faccia da culo degna della considerazione degli Academy Awards, nonché povero illuso dell’anno, si pentiva di molte cose.
    Innanzitutto: l’aver drizzato il collo al richiamo dell’altro, occhi giada a cercare il volto famigliare quasi all’istante – e per quanto avesse tentato inutilmente di auto giustificare un simile istinto da cane addomesticato con scuse poco plausibili, la triste verità era una: pentimento numero due, ovvero l’aver sviluppato un debole per Archibald fucking Leroy fucking Baudelaire. Sì, sì. Lo so. Buuuuu. Avete ragione.
    Proseguiamo. Tre: l’aver rallentato il passo con tutta l’intenzione di fermarsi. Non l’aveva fatto, ovviamente – anzi, aveva puntato lo sguardo su di un paragrafo a caso del libro di Storia della Magia, fingendo di capirci qualcosa (quattro: aver prestato attenzione solo al rumore prodotto dai tacchi dell’ex Serpe, col battito cardiaco che aumentava man mano che l’eco diminuiva e il suo profumo lo circondava) mentre Arci gli danzava attorno come il cigno nero di Tchaikovsky. Gli piaceva credere di non essere così disperato in… altri contesti (solo parzialmente vero: numero cinque, l’aver raggiunto, contro il suo stesso volere, lo status di scolaretta innamorata che di solito gli faceva venire il vomito), ma alas: la situazione era tragica. No, lo era sul serio.
    Picture this: un giorno qualunque ti ritrovi a contare le stelle negli occhi di una persona. Una persona che, logicamente, non dovrebbe piacerti, figuriamoci farti arrivare a poggiare lo zigomo sulla sua spalla e sospirare, e ridere come un matto, e mormorare: ho bevuto troppo, perché non puoi dirlo che si tratta solo di un cataclisma dovuto a un’improvvisa, imbarazzante infatuazione.
    Quello dopo sei dietro a un banco a fissare gli stessi occhi, e a ricordare le stesse stelle – la morbidezza delle labbra, il calore dei palmi contro la tua pelle, e oh cazzo distogli lo sguardo prima che pure i muri si rendano conto di ciò che sta accadendo.
    Quello dopo ancora aggiusti con fare disinvolto la cravatta giallorossa, guance rosee rese neutre dalla luce fioca della lampada da tavola e il cuore a batterti in gola mentre, seduto accanto a uno studente ignaro di tutto, cerchi di non pensare al fatto che neanche cinque minuti prima, laddove il professor Archibald Leroy-Baudelaire, assistente di Arti Oscure, sta sistemando il quadro caduto a terra, c’eri proprio te – con la sua lingua nella tua gola e le tue mani a sbottonare il colletto della sua camicia.
    Un secondo d’esitazione in meno, e vi avrebbe beccati.
    Come la chiami, una situazione simile? Tragica.
    … okay, forse era anche un po’ divertente. Lo sarebbe stata ancora di più se a quel punto della sua vita Aidan non avesse preferito la morte a uno scandalo sessuale che l’avrebbe portato all’espulsione. Eh, cos’era in grado di fare, rimanere indietro di due anni dopo essere stato dato per morto! Quasi riusciva nell’intento di rendere responsabili.
    Ma comunque. Pentimento numero sei, sette, otto, a un certo punto si perde anche il conto: «hai da fare questo weekend?» l’aver anche solamente ascoltato. Perché? Perché. Avrebbe potuto lanciare il tomo per aria e portare i palmi a coprire le orecchie – sbattere la testa contro una delle colonne così da svenire prima. Da quando faceva cose da principiante come stare a sentire le persone? Da quel momento, a quanto pare. Nove, dieci, whatever: l’essersi fermato a pensare cosa, esattamente, stesse succedendo.
    Archibald Leroy-Baudelaire e Aidan Gallagher, dopotutto, erano sempre accaduti. Accidentalmente finiti nella stessa scuola e negli stessi anni. Accidentalmente capitati a coprirsi le spalle (o a esporle ulteriormente al pericolo, in base ai punti di vista) a vicenda. Accidentalmente trascinati nella stessa linea temporale. Accidentalmente portati a cercare l’uno conforto nell’altro.
    Quello rompeva un po’ la routine. Gli aveva mai chiesto d’uscire? Aidan aveva mai chiesto di uscire a lui? Aveva aperto la bocca per chiedere chi si sarebbe aggiunto a loro, perché scopavano da due anni, pardon my french!, e gli sembrava francamente strano che si fosse deciso proprio a quel punto di presentarsi alla sua porta col bouquet di rose. E l’aveva chiusa, perché insomma, non gli importava sul serio.
    Giusto?
    Giusto.
    Giusto! «ah», aveva invece mormorato, sorrisetto sornione a marcare l’ironia della domanda che stava per porgergli, così da ricordare all’altro quanto questa fosse ironica, perché Aidan stava scherzando, e non gli interessavano certe informazioni. C’erano forse dubbi a riguardo? «è forse un appuntamento, professore?»
    Ovvio che no. Ovvio che non fosse – «scop(r)iamolo.» hm. Pentimento numero infinito: «cosa?» stare al suo gioco.

    E vabbè. Insomma.
    «cosa.» pentimento oltre l’infinito: farsi trascinare dalla curiosità morbosa fino al Wicked Park.
    Sul serio? Sul serio.
    «esattamente cosa c’entro io in tutto ciò.» perché non l’aveva capito, inutile dire.
    E scusatelo, se il suo genere di scenario ideale somigliava più a un ristorante coi soffitti stuccati e meno a giostre logorate. Se sapeva più di Dom Pérignon e meno del misto di terra e polvere che stava assaporando in quel momento. Non che si fosse aspettato nulla di simile da Archibald, con la sua paga da insegnante e un’attività di famiglia dal dubbio successo (e un’eredità da capogiro, ma di quest’ultima il Gallagher non sapeva nulla: e amen). Motivo per cui, probabilmente, nel sopracitato scenario al suo fianco si trovava l’ereditiere di una famiglia nobile inglese e non Archibald – quest’ultimo relegato al ruolo di amante occasionale. Eh, che dire, aveva priorità.
    «non so se te ne rendi conto, tra l’altro, ma stai attirando più attenzione così di quanto tu non lo faccia normalmente.» affatto sospetto, con quella mascherina da COVID-19 e i vestiti da spia segreta in un parco pieno di bambini urlanti.
    Passò la lingua sull’arcata superiore, studiando l’altro con lo stesso evidente disgusto di un Enzo Miccio alle prese con l’ennesimo caso umano (cosa che, incidentalmente, era anche il cucciolo d’uomo alla destra del Gallagher – chi l’avrebbe mai detto). Quindi gli afferrò il polso, tirandolo fino al primo stralcio d’ombra a loro disposizione; meno ovvio, a quel punto, l’indice a percorrere la mandibola del Leroy-Baudelaire e poi su, fino al lobo, così da sfilare parte della maschera: «rilassati, spider-man.» Sorriso divertito, il suo; fece per sfilare anche gli occhiali, mano già a metà del viaggio quando, ripensandoci, si rese conto della loro importanza. Non gli restava altro che sospirare. «odio il fatto che tu sia così attraente.» Una dura verità. E vabbè, per quanto gli riguardava la giornata poteva anche finire lì, infrattati da qualche parte a festeggiare il glorioso ritorno dei santi occhiali da vista, ma suppose di poter aspettare ancora un po’ prima di cestinare quell’uscita. Un passo per volta, and all that? Indietreggiò di qualche passo, mani a scivolare nelle tasche del cappotto in montone (in piena primavera, sì: ci mancava che nevicasse, fottuto riscaldamento globale). «tua l’idea, tuo il piano. che si fa, mister leroy?» e scrollò le spalle, rivolgendo nuovamente lo sguardo all’entrata del Wicked Park. «da qualche parte c’è un carretto con dello zucchero filato affatto male.» e fece schioccare la lingua contro il palato, prima di aggiungere «ma l’ho provato da strafatto, quindi non credo d’essere una fonte attendibile.»
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    18 y.o.
    19 y.o.
    aidan-gallagher
    I might not be the one for u but u aint bout to have no boo cause I know we be so complicated But we be so smitten, its crazy 🎯
     
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    Sapete in cos'era bravo Arci? Godersi le piccole gioie della vita. Non aveva un gran piano per il futuro, o idea di come (dove?) investire i soldi che stava guadagnando, ma - ma - sapeva perfettamente come apprezzare, togliendo lo sguardo dalle giostre e portandolo sul ragazzo al suo fianco, l'espressione drammatica che si era dipinta sul viso del Gallagher. Che dire, c'è chi avrebbe preferito vedere il quasi diciannovenne scodinzolare come un cagnolino di fronte al parco, e chi si divertiva a vederlo spiazzato e quasi offeso dal luogo scelto.
    «cosa. esattamente cosa c’entro io in tutto ciò» Arci sorrise soddisfatto (ok, Aidan non poteva vedere le sue labbra, ma poteva notare dagli occhi il momento di ilarità dell'altro), e allungando una mano lo cinse per il fianco. Una normale coppietta al luna park.
    «So che il concetto divertimento ti è estraneo, signor mi-masturbo-con-poesie-e-romanzi-tristi-di-gente-morta» doveva precisare che in realtà gli mancavano i pomeriggi passati ad ascoltarlo leggere suddetta gente morta? nah; era certo che se non fosse stato per la voce del Gallagher e portali in vita, li avrebbe trovati dei piagnistei noiosissimi. Con un gesto plateale indicò davanti a loro «Ma pare che nel secolo corrente questo sia il posto più eccitante di Hogsmeade» A Diagon Alley e a Londra avevano altro, ma lì ci si doveva accontentare. Piccola pausa dubbiosa, sguardo verso il basso «Dopo quello nei nei tuoi pantaloni, s'intende» Certe persone hanno passato troppo tempo con Shia nel Far West, and it shows.
    Divertito si lasciò trascinare via da Aidan («non hai resistito nemmeno dieci minuti prima di saltarmi addosso?»), lo sguardo solo sul ragazzo invece che su una possibile meta senza neanche chiedersi dove lo stesse portando, un naufrago che si fida della sua sirena senza se e senza forse.
    Non era il tipo da rifiutare l'essere sbattuto contro un muro - fosse mai. C'era un non so che di sensuale - qualcosa di nuovo - nel lasciare ad Aidan il comando, nelle dita che ancora gli stringevano il polso e che poi andavano a posarsi sulla guancia del Leroy con più calma del dovuto, a sfilare l'elastico della mascherina dall'orecchio... il respiro tiepido dell'altro ora sulle propria labbra - dopo aver chinato leggermente la testa verso di lui...
    Arci aveva sempre pensato, prima che il Gallagher entrasse nella sua vita, che fosse la cosa più eccitante possibile la grande differenza d'altezza fra sè e i suoi flirt. Un kink quasi necessario, il suo, che ragazzino era fiorito in altezza dal giorno alla notte, e che si era ritrovato improvvisamente almeno una spanna sopra tutti; ricordava quando aveva avuto (secoli prima) una cotta per la ragazzina francese cieca, e si immaginava prenderla a spalle per non perderla - perdersi - nella folla, ricordava i pomeriggi con Thad a prenderlo in giro per le sue gambine corte, e il senso di potere a bloccarlo facilmente, e ricordava come con Tiffany non fosse per lei sufficiente alzarsi in punta dei piedi e fosse sempre Arci quello obbligato a chinarsi, sempre e comunque, se voleva baciarla.
    Prima di Aidan non aveva valuto appieno il potenziale di qualcuno che ti può mettere con le spalle al muro; il potenziale di labbra pronte e quasi all'altezza giusta senza bisogno di fare quel miglio in più. Forse era colpa dell'alta definizione degli occhiali; sicuramente.
    «rilassati, spider-man.» Forse Arci neanche si sarebbe accorto di aver lo sguardo incantato sulla bocca dell'altro, se questo non avesse detto così. «nerd.» lo rimbeccò usando un tono di voce basso e decisamente troppo roco, come se al posto di quell'insulto ("insulto"... descrizione) avesse chiesto di spogliarlo, ma l'altro continuava a sorridere. Arci si chiese se non fosse lui il nerd ad aver capito la citazione (non c'era un bacio simile fra la tipella rossa e spiderman? Lei che le toglieva la maschera solo per un limone?), ma ecco che Aidan aveva già continuato: «odio il fatto che tu sia così attraente.» e contro il suo sospiro, Archibald rise. Non da spezzare il momento, ma non ce ne fu bisogno: prima che il Leroy potesse sporsi per un bacio veloce (o meno veloce), Aidan si era già allontanato.
    Prendendo un grosso respiro (ah beh in effetti senza mascherina respirava anche meglio ihih) Arci cercò di rimettere a posto i pensieri, dirsi che poteva togliere quella stupida giacca da vippino ad Aidan per vedere cosa ci fosse sotto più tardi, che ci sarebbe stato tempo dopo per passare le mani fra i suoi capelli o a stringergli la carne fino ad avere il suo odore sulle dita per ore. «tua l’idea, tuo il piano. che si fa, mister leroy?»
    Seguì lo sguardo dell'altro, e iniziando a camminare insieme verso l'entrata lo fiancheggiò, indicando il parco. «Ci fingiamo esseri umani normali che non sono stati costretti a vivere due anni nel Far West»
    «da qualche parte c’è un carretto con dello zucchero filato affatto male. ma l’ho provato da strafatto, quindi non credo d’essere una fonte attendibile.»
    «Ah lo guardò solo di bieco, una mano prontamente infilata in tasca per abitudine. «Ci sei già stato?» per qualche motivo - stupido, evidentemente - aveva dato per scontato che sarebbe stata una prima volta anche per il Gallagher; non era un tipo da parchi divertimento, andiamo! E pensando alla gente con cui girava, neanche loro lo erano.
    ...giusto?
    un po' dolorosamente, Arci si ricordò che non sapeva niente di lui. Sapeva il colore del suo pelo quando si trasformava, la posizione dei tatuaggi, che non fosse in grado di dire grazie o scusa a parole, ma non ricordava quanti fratelli avesse, quali fossero i loro nomi, cosa volesse fare dopo il diploma. Non erano amici ai tempi della scuola (avevano almeno mai parlato quando Arci era uno studente, se non per insultarsi o flirtare fra i denti stretti?), non erano i tipi di persona da confessarsi segreti indicibili fra le coperte dopo il sesso-... anche perchè - scioccante! - Aidan non era quasi mai rimasto a letto con lui, dopo essersi scopato Arci. Neanche a Bodie, dove non aveva di meglio dove andare o di meglio da fare.
    Il Leroy distolse seccamente lo sguardo, i pensieri andati dove avrebbe preferito non andassero. Voleva tirare fuori il discorso in quel momento stesso, chiedergli spiegazioni, conoscere le sue ragioni; conoscerlo e basta - ma voleva sentire le risposte? Aveva detto ad Aidan che gli andava bene non sapere cosa lo avesse fatto scattare così ad ottobre, che poteva aspettare, ma aveva parlato l'eccitazione del momento, la gioia di sapere che all'altro importava. Sembrava sufficiente, a giugno. «Hai dei posti preferiti?» Dove ti nascondevi da bambino quando non ne potevi più delle grida degli adulti? Cosa ti fa paura? Che oggetti ti porteresti su un'isola deserta? Qual è la prima cosa che noti in una persona? Hai mai pensato di non essere abbastanza? Perchè ci hai tagliati fuori dalla tua vita per settimane? «...Nel parco, ovviamente» scrollò le spalle «...O nella vita - fai tu» ah ah i'm like dropping hints that I want to know you better « » basta, erano davvero solo hints.
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    «cosa mi stai chiedendo, esattamente.» passò la lingua sull’arcata superiore, tenendo bassa la testa così da poter mascherare il sorriso divertito dietro a una cascata di ciocche brune. Semplice gentilezza, la sua: casomai si fosse poi sentito più in difficoltà di quanto (palesemente) era già, il povero cuore. «vuoi sapere se in quasi diciannove anni di vita io abbia mai visitato un parco divertimenti,» to which he’d reply: era ricco, non morto. «o se io abbia mai avuto un appuntamento in un parco divertimenti.» e soffiò una risata fra i denti – un tentativo come un altro di far passare la domanda per casuale ma neanche troppo. che la voleva davvero, la sua dannata risposta. Si era trascinato fino a quel parchetto baciato da Satana (nel peggiore dei sensi possibile: le costruzioni architettoniche, il pubblico che lo frequentava, Blanco l’infermiere che aveva fatto breccia nel suo cuore su quello stesso terreno e che era poi sparito nel vento senza lasciar recapito o traccia) solo per capire cosa esattamente avesse in mente Archibald – che, insomma, era un po’ mission impossible, a essere onesti; svariate ricerche provavano: poca roba – e non era intenzionato ad andarsene senza scoprirlo.
    Probabilmente poteva aspettare ancora un po’, in ogni caso. O almeno tentò di convincersi che quella fosse la ragione per cui, seguita la breve pausa pregna di silenzio statico, scrollò le spalle, mano a scacciare invisibili pensieri prima d’aggiungere: «sì in entrambi i casi; ti sorprenderà sapere che anche io ho avuto quindici anni.» Il suo, a essere onesti, era il morboso interesse di chi vuole mettere la mano in una scatola chiusa, pur sapendo che in essa potrebbero trovarsi dei vermi. Perché temeva il meritato rifiuto che, da un momento all’altro, si aspettava di vedere nello sguardo di Archibald prima ancora di sentirlo: un’espressione chiusa, un basta così, non ce la faccio più che aveva provato a strappargli in ogni modo nei mesi – anni, ma preferiva non pensarci – che avevano passato insieme. «uno dei peggiori appuntamenti che io abbia mai avuto, per giunta.» nonché uno dei pochissimi. Mai stato il ragazzo da cenetta a lume di candela; erano il genere di cose che preferiva lasciare ai sogni ad occhi aperti, ché nella realtà aveva sempre preferito un approccio più pratico. Non che le sue precedenti fiamme fossero riuscite a durare anche solo mezzo quarto del tempo di Arci; un’altra cosa che preferiva buttare nel suo personalissimo box d’archiviazione ricordi [redacted]. Arrestò il passo il tempo necessario per farsi sorpassare, quindi infilò la mano nello spiraglio formatosi tra il braccio e il fianco dell’altro, privo d’espressione mentre aggiustava la presa così da potergli cingere il bicipite, poi il passo in modo da seguire il suo ritmo. Ma diciamolo un sentito sti cazzi, di tanto in tanto: in tempi migliori lo avrebbe afferrato per il colletto della giacca nel bel mezzo del corridoio in ora di punta. Se non gli era permesso accollarsi ironicamente a mesi alterni dov’era il gusto. «grazie del war flashback, professore.» Anche se, precisiamo: sti cazzi al quadrato, ché manco si ricordava più che nome avesse il povero cristo che aveva ben pensato di trascinare un Aidan Gallagher nello stesso parchetto in cui normalmente si spaccava d’erba nelle gite a Hogsmeade. Sperava unicamente di distogliere l’attenzione di Archibald dalla domanda che lui stesso gli aveva posto (maleducato, pure), no biggie. Tirò il gomito verso di sé così da indicargli con un cenno del volto lo stand con la suddetta macchina per lo zucchero filato; quindi, senza neanche preoccuparsi di pronunciare un gioviale pago io (perché era Archibald, suvvia; si sarebbe probabilmente accertato prima che Aidan non fosse intenzionato a sborsare quattrini per lui, piuttosto che litigarsi la cassa – e come fargliene una colpa: di certo da buttare ne aveva più il Grifondoro, con il suo appartamento ben piazzato comprato a diciott’anni, di quanti ne avesse lui), pescò il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. «Hai dei posti preferiti?» e – uau. aggrottò la fronte, labbra accartocciate mentre ritirava la testa in un’attraente imitazione di Maurizio Costanzo. Lento, seguì con le iridi giada il profilo dell’altro fino a incontrare i suoi occhi, incredulo. Ma che gli aveva preso. «...Nel parco, ovviamente» ah, ovviamente. Passò disinvolto la carta di credito al tipello dietro al bancone, mormorando piccole aggiunte all’ordine in risposta alla sua confusione. Non era colpa sua se il genere d’acquisti che faceva richiedevano generalmente somme di denaro che di gran lunga superavano il minimo indispensabile per il pagamento via POS e, di conseguenza, difficilmente si portava dietro monete spaiate: sue him. «m-hm.» che, in perché cazzo mi stai facendo questo language, significava “continua”. «...O nella vita - fai tu» che era, inutile dire, un po’ come girare il coltello nella piaga. Ritirò la mano dal braccio dell’altro, quindi distribuì equamente dolci e bevande di troppo. «una domanda dalle mille risposte.» e strappò un ciuffo di zucchero, portandolo alla bocca e masticando contemplativo prima di continuare: «in base a ciò che vuoi sentirmi dire.» Nella vita, quindi? «la mia frase fatta preferita, casomai t’interessasse, è ovunque tu sia buttata lì con lo stesso tono fintamente casual usato da Arci, e che lui stesso aveva messo in pratica pochi attimi prima. Non erano loro due, se non conversavano come se stessero bilanciando uova sulla testa. C’era della verità – ovvia agli occhi del Gallagher, forse meno per Archibald –, in ogni caso. Se la sua presenza, come quella del resto della sua simpatica famigliola acquisita (shh, Gwen, shhh), era riuscita ad alleviargli il far west che non era far west probabilmente era perché a house is not a home, when there's no one there to hold you tight. Una triste, sofferta realizzazione. Scelse d’omettere, certo, quest’ultima parte. «se vuoi un luogo: il giardino della mia casa d’infanzia in primavera, quando germogliano i fiori.» e basta così. Abbastanza personale da sembrare intimo, ma tagliò ogni possibile intervento con un semplice «mentre qui – beh, suppongo la casa stregata.» quale miglior posto per limonare in santa pace, d’altronde. «stiamo giocando a twenty questions?» no, ma continuava a non interessargli. «perché in tal caso, tocca a me: quante persone hai baciato?» e, sorriso innocente in volto, mormorò «a hogsmeade o nella vita: fai tu» prima di scoperchiare il caffè stretto nel palmo e soffiare sul liquido caldo.
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    «vuoi sapere se in quasi diciannove anni di vita io abbia mai visitato un parco divertimenti, o se io abbia mai avuto un appuntamento in un parco divertimenti» Arci voltò lo sguardo per osservarlo di sottecchi, e se Aidan stava sogghignando, beh, chi era Arci per non ricambiare il sorriso in modo divertito (e vagamente soddisfatto)? Quindi era un appuntamento, mh?
    «
    Quando iniziò a parlare, Arci sbuffò una risata. Aidan quindicenne era un Aidan che già ricordava di aver conosciuto: il Leroy faceva il settimo anno, e dall'alto del suo essere un diplomando si sentiva re del mondo; neanche allora avrebbe pensato due volte prima di ridere del Gallagher all'idea di lui con una persona speciale al suo fianco al Wicked in mezzo a bambini urlanti. Lui! Mr. mi-vesto-con-cose-inguardabili-perchè-FaShIoN!! e tutta la notte Champagne e Don Chisciotte. Il fatto che fosse più piccolo (e volesse farselo) non significava che non lo vedesse come un clichè camminante.
    «uno dei peggiori appuntamenti che io abbia mai avuto, per giunta.» «Chiunque fosse non ha vinto il pupazzo più grande dal tiro al bersaglio per te?» Già stava ridacchiando, scuotendo la testa «Posso provarci-» si era voltato per guardarlo con fare canzonatore, ma quando facendolo si accorse che Aidan si era aggrappato a lui, la pausa fra le parole si fece di qualche istante troppo lunga, espressione stupita. Non che fosse imbarazzato dal contatto fisico in pubblico, fosse mai (lui e Jeremy avevano praticamente pomiciato in pubblico solo per fare photobomber nel video di un influencer e finire sul suo blog), ma da parte di Aidan ne era- sorpreso. Ancora: un limone duro contro il muro non l'avrebbe stupito più di tanto, ma andare a braccetto non faceva parte dei gesti teneri e carini che il Gallagher evitava come la peste? Non un tipo da coccole dopo il sesso, Aidan, o da bacio del buongiornissimo, abbracci inaspettati o qualsiasi altra cosa che non fosse in qualche modo sensuale. Era sempre il primo, a Bodie, a sedersi sulle gambe del maggiore a Bodie tracciando con le dita disegni sulla sua coscia? . Gli aveva mai preso la mano solo per il gusto di farlo mentre gli leggeva ad alta voce? No. «-io. se vuoi» distogliendo lo sguardo, cercò di far finta che il gesto non lo avesse toccato più di tanto, ma era difficile non notare il sorriso storto sulle sue labbra. Che dire, follettini e follettine: pensava sarebbe stato il primo a prenderlo per mano ed era quasi emozionante quel cambio di programma. «È un clichè che ho sempre voluto provare; vediamo se la forza dell'amore vince anche su quello»
    Arrivati al carretto dello zucchero filato fece per togliersi dalla spallina lo zaino per recuperare i soldi (attento a non far sfilare all'altro il braccio dal proprio), ma prima di riuscire a prenderli Aidan aveva già pagato. Per entrambi.
    Il Gallagher neanche si accorse del suo sguardo confuso, nè Arci si premurò di chiedere a voce spiegazioni: o Arci aveva un'idea molto stereotipata degli appuntamenti, o Aidan davvero aveva deciso che il loro lo fosse.
    No big deal: era stato il Leroy ad invitarlo nel posto delle coppiette (ma in un terreno comunque abbastanza neutro da non finire nè nei guai con la scuola, nè obbligarli a parlare di sentimenti), a lui stava benissimo.
    «una domanda dalle mille risposte.» prese il cibo che gli veniva offerto, un po' scocciato che questo avesse obbligato aidan a staccarsi da lui. Gli piaceva il contatto fisico in ogni sua forma, sentirsi vicini a quel modo quando era più che conscio di non essere in grado, come altri, di usare le parole per avere lo stesso risultato emotivo. «la mia frase fatta preferita, casomai t’interessasse, è ovunque tu sia
    Scoppiò a ridere rovesciandosi quasi addosso la cola che stava bevendo (era il proprietario di un fucking bistrot: non avrebbe preso caffè o tè ad un carretto dello zucchero filato; il suo palato si era fatto delicato). Eh, se solo non avesse saputo quanto fosse falsa la battuta del Gallagher (bodie california 1919) avrebbe anche potuto emozionarsi. «Già lo sapevo» Prima che Aidan potesse spostarsi o spostarlo senza rovesciare il cibo, Arci si chinò leggermente per scoccargli un rapidissimo bacio sul bordo del labbro. «Per questo so che entro sta sera amerai questo parco: diventerà il luogo del peggiore e migliore appuntamento allo stesso tempo» cosa? Stava sottolineando che ormai !!! fosse !!! un appuntamento !!! ??? sì. Casomai ad Aidan fosse (ancora) sfuggito... e poi era bello ripeterlo, ok? A 20 anni compiuti finalmente poteva di averne avuto almeno avuto uno.
    «se vuoi un luogo: il giardino della mia casa d’infanzia in primavera, quando germogliano i fiori.» E aveva mille cose da commentare Arci? Certo: intanto, perchè Aidan Gallagher più di un essere umano sembrava sempre una cazzo di bacheca pinterest? E poi, la casa d'infanzia era la stessa dov'era cresciuto, la stessa dalla quale era quasi scappato mesi prima, quando Arci era andato a recuperarlo col pick up? Ma non ebbe tempo di chiederlo: «mentre qui – beh, suppongo la casa stregata.» Aw, ci si sentiva a suo agio perchè era anche lui una bestia? ♥ Arci annuì; non era mai stato in quella giostra, ma idealmente immaginava sarebbe stata anche la sua preferita, senza la claustrofobia a fargli visita. «stiamo giocando a twenty questions? perché in tal caso, tocca a me»
    «Mh?» il suo luogo preferito? Beh sicuramente- «quante persone hai baciato? a hogsmeade o nella vita: fai tu»
    Oh boy.
    Arci rallentò leggermente il passo, non tanto perchè stupito dalla domanda che usciva dal nulla, quanto perchè- doveva pensarci, ok? Non era una domanda così semplice. «Abbastanza» Riprese la normale andatura, recuperando Aidan. «Abbastanza da non sapertelo dire» arricciò il naso «Sarà un vero shock per te, ma sono il tipo di persona che non si fa problemi a esprimersi fisicamente- ero il tipo di persona. Sono? Vabbè» scrollò le spalle. Non era il momento di psicanalizzare i suoi tentativi di conversazione con il Gallagher. «Ai tempi di Hogwarts e delle gita a Hgsmeade ero un po' una puttana. Unisci un adolescente incasinato al bisogno di sentirsi notato, e avrai me sedicenne» pausa. «Purtroppo non ho mai baciato la Queen» ancora. «Ma, se conta, le ho palpato le tette» pure davanti a suo marito; era stato a TANTO così dal threesome da sogno!!!! «E... ricordi la ex guardiacaccia, Pearl? Forse la mia miglior conquista» sorrideva, ma non era più tanto allegro al ricordare quell'episodio. Pearl gli aveva dato il contentino di un bacio la stessa notte che Tiffany lo aveva rifiutato (perchè dire lasciato, sembrava stupido: non era mai stati davvero cosa), e in un certo senso quella sera, quel rifiuto, aveva segnato Arci e il suo abbandonare ogni possibilità di relazioni serie; non ne valevano la pena, se ti facevano sentire così.
    Si chiese se fosse il caso di dirlo ad Aidan, dimostrare che si fidava di lui e che voleva davvero conoscerlo e farsi conoscere, ma decise che non solo era imbarazzante, ma anche probabilmente stupido agli occhi del Gallagher, e il suo giudizio era l'ultima cosa che gli serviva. "Le volte che ho provato a costruire qualcosa con le persone che mi piacevano - Tiffany, Thad... persino con le mie famiglie adottive o meno adottive - ho sempre ricevuto porte in faccia; forse è per questo che non ti so dire cosa voglio da noi; non voglio avere un'altra cazzo di delusione, ma lasciare che vada come debba andare senza etichette".
    «Quindi tocca a me» si schiarì la voce, osservandolo di bieco senza smettere di camminare ma avvicinandosi leggermente a lui in modo che le loro braccia si toccassero di nuovo, quasi spalla contro spalla. Tornò a guardare avanti a sè, portando la cannuccia alle labbra. Domande personali ne aveva in quantità, ma uno sguardo rapido alla gente intorno a loro gli disse che non era ancora il momento di chiedergli qualcosa sulla licantropia, o di troppo invasivo sulla famiglia «A che età hai fatto il primo tatuaggio? Significa qualcosa?»
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    E, per la sorpresa di nessuno, il caffè sapeva d’acqua sporca.
    Arricciò le labbra, suo malgrado comunicando il disgusto evidente a circa ogni persona nei paraggi, sguardo offeso a posarsi sul liquido scuro. Non che si fosse aspettato un french press di Society, ma insomma. Giusto per non ammettere sconfitta (anche per una cosa così stupida? certo.) riprese a soffiare dentro al bicchiere in carta, beandosi quantomeno del profumo familiare. Era talmente occupato col suo piccolo, breve dramma personale da rendersi conto con un certo ritardo dell’improvvisa – nonché apprezzata, neanche troppo segretamente – dimostrazione d’affetto da parte del maggiore; così domestico, come gesto, da mandarlo totalmente in tilt. Perché da quando erano diventati la coppietta che passava la giornata libera ad annoiarsi in un parco per bimbi iperattivi e a darsi i bacini casti?
    «Per questo so che entro sta sera amerai questo parco: diventerà il luogo del peggiore e migliore appuntamento allo stesso tempo.»
    Da quel momento, chiaramente. Neanche il tempo di metabolizzare ciò che era appena accaduto, che la bestia tentava di confonderlo ancora di più. Aggrottò la fronte, ma non disse niente; di certo non era intenzionato a mostrargli quanto quelle poche parole fossero state in grado di turbarlo. Batté le ciglia, forzando un po’ di calma placida nell’espressione, e di nuovo strappò pezzi di zucchero filato (porzioni piccole, ovvio, perché non era un animale) con cui tenere occupata la bocca.
    «Sarà un vero shock per te, ma sono il tipo di persona che non si fa problemi a esprimersi fisicamente» e chi l’avrebbe mai detto! Annuì con la testa, movimenti lenti accompagnati da occhi divenuti enormi per il troppo finto sbigottimento – una recita completa. Scelse deliberatamente d’ignorare il tentativo di autocorrezione di Arci, perché continuava a non comprendere cosa stesse accadendo. Stava cercando di rassicurarlo? O era (la paranoia di) Aidan a leggere troppo tra le righe? Chissà – lui, nel dubbio, attese che l’ultimo filamento di zucchero si sciogliesse contro la sua lingua prima di buttare giù un altro sorso di caffè. Se così poteva definirsi.
    «Ai tempi di Hogwarts e delle gite a Hogsmeade ero un po' una puttana. Unisci un adolescente incasinato al bisogno di sentirsi notato, e avrai me sedicenne.» Labbro inferiore sporto in avanti, e «aw.»
    Quindi si lasciò andare a una risata, spostando il bicchiere tra le dita rese appiccicose dallo zucchero per passare l’altra tra le ciocche scure. «professore.» Diede una leggera spallata ad Arci, sopracciglio inarcato: «me lo ricordo.»
    Ah, i tristi tempi della sua quanto-più-possibile-repressa cotta nei confronti di un Leroy-Baudelaire che semplicemente lo voleva morto. Interessante, davvero, come a lungo andare i ruoli si fossero invertiti prima di raggiungere lo strano, statico equilibrio del presente.
    Tutte quelle lagne, a Bodie, quando alla fine erano pari. Ma guarda te.
    «Purtroppo non ho mai baciato la Queen» e perché mai avrebbe dovuto.
    «perché mai avresti–»
    «ma, se conta, le ho palpato le tette.»
    Ah, quale deliziosa immagine.
    Masticò l’aria, cercando di trovare un modo per rispondere a quell’affermazione; quindi alla fine optò per un «…okay?» perché in quale altro modo puoi reagire a una cosa simile. La professoressa Anjelika Queen? Con un Archibald Leroy adolescente che la usava come pallina antistress? Il suo cervello, già di per sé in modalità shut down causa insonnia, non poteva chiaramente reggere un danno psichico così forte; cercò alla svelta di pensare ad altro prima di sentire l’ultimo neurone implodere.
    «E... ricordi la ex guardiacaccia, Pearl? Forse la mia miglior conquista»
    «m-hm, okay.» O Archibald lo stava prendendo per il culo di brutto, o agli adulti di Hogwarts piaceva un po’ troppo toccare il bambino di Lele. Figurativo e non.
    «Quindi tocca a me» E niente, cambio di conversazione. Un bene, perché non era certo di voler sapere di ulteriori avventure col corpo docenti. Ingoiò la curiosità provocata da quei pochi attimi di silenzio, dall’espressione illeggibile sul volto dell’altro; e di tutta risposta scrollò le spalle, attendendo pazientemente la sua domanda.
    «A che età hai fatto il primo tatuaggio? Significa qualcosa?» difficile, a quel punto, mascherare l’irrigidimento dei muscoli – tesi come corde di un violino per una domanda apparentemente innocua. Non era nemmeno la delicatezza dell’argomento a bloccarlo, quanto la più totale incapacità di mostrarsi vulnerabile di fronte a… virtualmente ogni persona, figuriamoci in un ambiente pubblico come quello.
    Soffiò aria tra i denti, sorriso palesemente finto a curvare le labbra rosee. Suppose di poter fare un’eccezione – perché non aveva più nulla da nascondere, con il ragazzo al suo fianco. Lasciò il bicchiere fumante sul primo ripiano a sua disposizione; poi, lento e cauto, si avvicinò quel poco necessario per poter eliminare la distanza tra loro due. Allora alzò il polso destro, liberando il braccio dal tessuto caramello così da mettere in mostra la pelle macchiata d’inchiostro nero, il post tenebras lux messo in risalto tra le piccole cicatrici che ricoprivano buona parte della zona visibile.
    «diciamo che – che avevo bevuto più del necessario» che, per un ragazzino di quattordici anni incompiuti, equivaleva a più del sorso rubato dal calice di un adulto distratto, ma questo se lo tenne per sé. Non uno dei suoi momenti migliori.
    «ed è semplicemente successo. Volevo coprire, uh.» inclinò appena la testa, risata vuota a riempire il silenzio. «volevo coprire cicatrici di una ferita passata.» e ridusse la voce a un sussurro, iridi smeraldo a cercare segni di realizzazione in quelli nocciola del maggiore: «una che mi è quasi costata la vita.» perché non era certo di voler parlare apertamente della faccenda con una decina di persone nei paraggi; allusione it is.
    «non ho… memoria, di quella sera, ma posso dirti per certo di non averlo fatto legalmente – come ogni altro mio tatuaggio, del resto.» Scontato, considerato il fatto che i suoi diciotto anni li aveva festeggiati nel 1919. «gli altri li ho fatti nel giro di pochi mesi – non tutti, ma molti.» E roteò il braccio, espose appena le clavicole tirando il colletto della maglietta, tracciò figure nascoste con i polpastrelli. «Un capriccio. Molte delle cicatrici scompaiono dopo qualche ora; altre ci mettono giorni. Altre ancora, beh, rimangono.» E le pozioni, gli incantesimi, le pennellate di correttore e fondotinta aiutavano – ma si trattava pur sempre di soluzioni temporanee.
    Lasciò cadere il braccio, a quel punto, e indietreggiò di un passo per spezzare in modo definitivo il momento. Il compatimento gli faceva venire la nausea; l’ultima cosa di cui aveva bisogno, in quel momento, era ritrovarlo nello sguardo di Archibald.
    Dunque. Il riassunto: shit happens.
    «okay.» e, come se niente fosse, picchiettò ripetutamente il mento con l’indice. «cosa ci vedi in me?»
    E, di nuovo, scrollò le spalle come se gli avesse appena chiesto quale fosse il suo colore preferito.
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    ......quattro mesi......
    sì timing is off ma cos'è la realtà dopotutto
     
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    Avrebbe voluto non trovare così divertente l'evidente disgusto di Aidan verso il caffè di quel luogo - nascosto decisamente meno bene di quanto l'altro pensasse, visto che continuava a fare smorfie (ovviamente dovute alla bevanda della morte, a che altro sennò?) - ma ripensandoci... no, era felice di poter assistere a ciò, e Arci ridacchiò fra sè e sè, chiedendosi quanto avrebbe rischiato di essere morso se gli avesse tolto il bicchiere dalle mani promettendo a fine giornata un vero caffè al B&B... ma tornando a noi
    «professore.» Arci prese un grosso respiro. Dio, odiava - e adorava - quando Aidan lo chiamava così in pubblico, con quell'intonazione diversa da come chiamava Eugene o qualsiasi altro insegnate. Lo faceva chiaramente apposta «me lo ricordo.» Sorrise. Nè era fiero nè si vergognava dei propri anni scolastici, ma gli faceva in qualche modo piacere sapere che il Gallagher si ricordasse di lui. Doveva ammettere di non avere un'immagine chiara di Aidan prima del proprio settimo anno (era un ragazzino all'epoca), e anche lì, era stato giusto uno svago passeggero; prima della scoperta che fosse un lupo mannaro non ricordava di averlo trovato più di divertente da punzecchiare (metaforicamente e non).
    Quando Aidan alzò lo polso, Arci non fece una faccia dispiaciuta, non si portò una mano al petto disperato, non chiese perchè al ragazzo; non l'aveva mai fatto, le altre volte che aveva notato le cicatrici di sfuggita. Non avrebbe iniziato adesso, se il Gallagher non gli avesse detto di essere pronto a parlarne. E poi, per quanto non sapeva, potevano essere dovute alla tortura, o alla trasformazione in lupo.
    «Volevo coprire, uh. volevo coprire cicatrici di una ferita passata. una che mi è quasi costata la vita.»
    Si morse l'interno della guancia, contraendo la mascella. Non era l'idea in sè del suicidio a disturbarlo, quanto lo scoprire che Aidan ci si fosse pericolosamente avvicinato. Cicatrici? Comprensibili; Arci era poco empatico, forse, ma non abbastanza stupido da credere che un adolescente purosangue orfano e licantropo dovesse avere qualche complesso. Ma il suicidio? Aggiungeva non poco al minestrone. Per prima cosa, perchè era Aidan, e non voleva pensare all'eventualità che sarebbe potuto non essere lì, e per seconda- beh, era egocentrico, il Leroy, e sentire parlare così il ragazzo gli ricordò quando era stato lui dall'altra parte, quando aveva fatto preoccupare i suoi amici per cose simili. Aveva sempre minimizzato gli abbracci di Jeremy e le botte di Bells quando gli scoprivano una cicatrice, o quando era tornato dalla missione ministeriale dalla quale sarebbe non potuto tornare affatto a sedici anni, credendoli sciocchi a tenerci tanto che ne uscisse vivo; era strano rendersi conto dai propri sentimenti alla scoperta di Aidan, quanto fosse dovuto essere doloroso per i cata tempo prima. Era decisamente felice che non lo avessero visto a Bodie una delle tante volte in cui era crollato.
    «Molte delle cicatrici scompaiono dopo qualche ora; altre ci mettono giorni. Altre ancora, beh, rimangono.»
    Alzò gli occhi al cielo, espirando dal naso «Gallagher-» riabbassò lo sguardo. "/Quanto/ ricordi del me sedicenne? Quanto credi che le cicatrici che porto siano dalle torture, o da battaglie contro il resto del mondo, mentre in verità combattevo solo contro me stesso?"
    Invece che parlare, fece una cosa molto più stupida: alzò la mano per prendere il braccio dell'altro e tenerlo fermo, e posò un bacio sul tatuaggio, lasciando poi la presa.
    «Se mai ti andrà di dirmi di più» Guardandosi in giro verso la fiera come se nulla fosse individuò la casa stregata, tirando leggermente il braccio a cui ancora Aidan era attaccato per decidere la direzione. «Ascolterò. Dico sul serio.»
    Aveva altri commenti sulla punta della lingua, ma, occhi ancora a vagare altrove, ci mise un po' a decidersi di continuare- raccontare, un po' troppo finchè il momento, semplicemente, passò. Sentiva di aver perso l'occasione di aprirsi col ragazzo, ma d'altra parte, chi gli diceva che al Gallagher sarebbe importato? Erano lì, erano felici, non serviva che gli desse informazioni non richieste per- cosa poi? Far girare il discorso su di lui? Genitori adottivi glielo avevano detto tante volte, da ragazzino e adolescente, che si faceva del male solo per cercare attenzione, chi era lui per dire che non era vero? Serviva davvero condividere certi dettagli, certi episodi, se non richiesti? Al Gallagher probabilmente neanche interessavano, avrebbe pensato che lo diceva per incentrare il discorso su di lui e sminuire i problemi del grifo. Arci non aveva provato a uccidersi - ci era forse arrivato vicino, ma mai totalmente volontariamente... circa. Giusto? Giusto.
    "...Magari un altro giorno."
    «cosa ci vedi in me?»
    Gli lanciò uno sguardo di sottecchi, sorpreso. Non che si aspettasse qualcosa sull'autolesionismo, ma dopo i not-so-fun-fact chiesti fin'ora era un quesito strano. "E poi credo di essere IO l'egocentrico."
    Cosa ci vedeva in lui? Che domanda- difficile. E non solo trovare la risposta in sè, ma proprio capire cosa gli stesse chiedendo davvero. Ho già detto che Arci non era bravo con le parole, sì? A metterle insieme per sè, ma neanche a comprendere appieno quelle altrui. «mi chiedi di descriverti» ah, non sarebbe stato molto lusinghiero «O di dirti perchè voglia passare del tempo insieme?»
    il sorrisetto di Aidan rispondeva da sè «entrambe»
    «Ok» Rallentò il passò, per un paio di secondi, guardando l'altro come soppesandolo, studiando da capo a piedi quel gran mistero che era il grifondoro di fianco a lui. How do I begin to explain Aidan Gallagher? «Per una descrizione del tuo aspetto dovrei risponderti più tardi dopo uno studio più approfondito» ghignò «Per il resto... penso che se il Cappello Parlante ti smistasse di nuovo, finiresti in serpeverde: sei ambizioso, determinato, astuto. Mi piace che tu sappia tante cose, anche se questo fa di te un enorme cagacazzo» si strinse nelle spalle - per minimizzare quello che stava per dire esattamente come aveva fatto Aidan nel porre la domanda. «A volte mi fai sentire di merda» portò gli occhi altrove. «... più spesso, mi-» Senza guardarlo, si passò una mano fra i capelli. «-rendi felice? Per qualcosa che fai, o qualche cazzata che dici- o hai detto.» sbuffò una risata fra sè e sè, ripensando a quando avevano discusso a Bodie sul fatto se Proust o meno sarebbe stato un influencer nel 2020 o uno sfigato qualsiasi «Non serve neanche tu sia fisicamente presente per alterare il mio umore» Accennò un sorriso, voltando lo sguardo su di lui. «Mi fai sentire vivo» roteò gli occhi, tornando a guardare la strada, quasi aspettandosi già di sapere cosa l'altro gli avrebbe detto in risposta. Ma che cazzo vuol dire? Sei serio? Ma in che senso. Questa l'hai copiata da una fanfiction? "/Bitch, I might have/". «"Gngngn non ha senso"- Fanculo. non tutti hanno un vocabolario fornito come quello di Shakespeare» cosa? se voleva dire forbito* ma arianna ha typato e se ne accorge adesso? Sì, ma tanto anche arci è ignorante quindi CI STA. «Ho solo detto quello che penso senza doverci stare a rimuginare troppo. Se vuoi cose più interessanti, ti scrivo una lettera di raccomandazione; nota che mi verranno in mente anche più insulti»
    Indicò con la testa la famosa casa stregata, ora quasi vicino a loro «Vuoi entrare? E no, non conta come mia domanda per il gioco. Per quella...» si preparò a tirare fuori i soldi per il biglietto. Si era detto nessuna domanda troppo personale finchè c'era gente «cosa manca da spuntare alla tua lista di cose da fare prima di morire?» se aveva pensato di rigirare la domanda sul "cosa ci vedi in me"? Certo!! Ma, I mean, facciata o meno era un Archibald Leroy: non era certo di essere pronto a sentire la risposta.
    O che si sarebbe fidato di questa. Paranoico? Check. Cauto? Check.
    Prima di arrivare alla biglietteria, si fermò.
    «Chiunque fosse non ha vinto il pupazzo più grande dal tiro al bersaglio per te? Posso provarci io. se vuoi. È un clichè che ho sempre voluto provare»
    «...beh» non il pg. Indicò con la testa un'altra giostra. «Anche quello mi tenta. Cosa preferisci?» Potevano fare giochi anche con il tiro al bersaglio; ogni lattina stesa un segreto scemo? Domande che avessero numeri come risposte e tirare giù i relativi bersagli? Niente di tutto ciò perchè alla casa stregata avrebbero avuto privacy e voleva chiedere della sua famiglia, della sua sparizione a bodie, delle sue cicatrici?
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    «Per una descrizione del tuo aspetto dovrei risponderti più tardi dopo uno studio più approfondito»
    E neanche ci provò, Aidan, a trattenersi dal roteare gli occhi fino a tendere i nervi – il solito gentiluomo. Fece per afferrare nuovamente la bevanda lasciata al suo destino, ancora fumante e pericolante, ma lasciò scivolare il braccio al fianco prima che le dita potessero sfiorarla. Era in ogni caso destinata a fare un viaggio di sola andata nelle fognature inglesi; non era colpa sua, d’altronde, se era cresciuto a forza di french press e Costa Rica Peaberry e la sua idea di caffè per poveri era Starbucks.
    «Per il resto... penso che se il Cappello Parlante ti smistasse di nuovo, finiresti in serpeverde: sei ambizioso, determinato, astuto. Mi piace che tu sappia tante cose, anche se questo fa di te un enorme cagacazzo»
    Aggrottò la fronte, a quel punto; disinteressato alla scelta simpatica di termini utilizzati, del tutto a suo agio nel suo ruolo di spina nel fianco. Avrebbe potuto rinfacciargli le innumerevoli volte in cui si era ritrovato a seguire lezioni apparentemente prive di una fine sulla Delicata Arte della Divinazione, ma, di nuovo, era infondo grato di essere riuscito a trarre qualcosa di positivo dalla sua educazione purosangue – un bagaglio di conoscenze che nei momenti peggiori lo avevano consolato come una coperta intrisa dei profumi di casa. Senza contare che provocare fastidio al maggiore era ancora uno dei suoi sport preferiti, a distanza di anni dagli scherzi maldestri che era solito fargli quando era ancora un Serpeverde dal temperamento scottante.
    No, il problema non era evidentemente l’offesa: «dio santo, Archibald.» Poco più di un sussurro, il suo; le venature quasi preoccupate nel tono di voce accompagnate da un’espressione incredula. «sei diventato un vero adulto professore di Hogwarts.» cioè, ma nel senso che lo stava smistando? A un appuntamento clandestino?
    Si chiese, brevemente, quanto avrebbe dovuto aspettare prima di essere costretto a vederlo solo lontano dalle mura di Hogwarts, nelle poche mattine libere che potevano permettersi, perché il Leroy-Baudelaire si spegneva dopo le 21 precise. Non era pronto al pensionamento prematuro.
    «A volte mi fai sentire di merda... più spesso, mi- rendi felice?»
    Quindi puntò l’indice contro il suo stesso petto, una risata strozzata a fuoriuscirgli come unica risposta. Quella, più di ogni altra cosa, era un’affermazione strana e difficile da digerire – perché Aidan Gallagher aveva da tempo fatto pace con la convinzione di non poter essere l’isola felice di qualcuno. Con sé portava sempre una certa distruzione, il Grifondoro: le braccia quasi timidamente tese verso facce amiche, che poi ritirava subito, conscio che su quel po’ di buono che era capace di tirar fuori avrebbe buttato benzina e fuoco dopo poco tempo. C’erano persone fatte per amare e ricevere amore in cambio, e chi era predisposto alla solitudine; Aidan era convinto di appartenere alla seconda categoria, incapace di appartenere a luoghi o persone o situazioni. Una naturale volatilità che non era certo di odiare, ma che Archibald si ostinava fastidiosamente a fargli mettere in dubbio. Fece schioccare la lingua contro il palato, incapace di accompagnare quelle confessioni a cuore aperto con parole gentili che, ne era certo, meritava – quantomeno ci stava provando, a combattere contro la sua stessa indole; la stessa che gli aveva fatto spezzare lo strano equilibrio tra lui e Arci più e più volte.
    Schiarì la gola, stranamente sensibile. Un gatto minacciato da attenzioni a lui sconosciute.
    «Vuoi entrare?»
    Solo allora osò posare nuovamente lo sguardo sul Leroy-Baudelaire, sorriso mellifluo ad anticipare una frase che gli morì in bocca: «E no, non conta come mia domanda per il gioco.»
    Stavolta rise genuinamente, i polpastrelli a premere di nuovo contro la carta del caffè, ora appena raffreddato.
    «sto diventando mica prevedibile, professore?»
    E rivolse lo stesso sorriso smagliante a uno dei lavoratori sottopagati del luna park, che neanche provò ad avvicinarsi per dirgli di non annaffiare le piante con l’acqua sporca del bicchierone; scelta saggia.
    «cose da fare prima di morire – vediamo.» e arricciò le labbra, sinceramente divertito dalla domanda. Scelta peculiare, considerando chi fosse il suo interlocutore; un ragazzino privilegiato la cui unica mancanza, fino a quel momento, era stata la necessità di dover sognare le cose. Che poi i soldi e lo status non fossero in grado di curare ferite che mai si sarebbero pienamente cicatrizzate era un discorso diverso; uno che non era di certo disposto a fare in un momento simile, quando tutto ciò a cui voleva pensare era il sapore di zucchero filato sciolto sulla lingua di Archibald.
    «in effetti qualcosa c’è.» e inclinò lateralmente il volto, l’incurvatura delle labbra ora più stretta, provocatoria. «ho sempre – giuro – voluto infrattarmi in una casa stregata con un professore con cui ho una liaison segreta.»
    E non attese veramente una risposta, la mancina a tirare già il polso dell’altro in direzione della casa.
    taken
    alone
    18 y.o.
    19 y.o.
    aidan-gallagher
    I might not be the one for u but u aint bout to have no boo cause I know we be so complicated But we be so smitten, its crazy 🎯


    avrei potuto rispondere a una role libera qualunque ma we deserve a soft epilogue, my love !!
    kinda
     
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7 replies since 31/3/2020, 11:45   399 views
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