«sei una merda, cigei» curvò solo metà bocca verso Sersha, l’altra metà troppo gonfia perché potesse seguire comandi basilari quali sorridere. Alzò pigro un polso verso la bionda prefetta dei Serpeverde facendo tintinnare le catene, appiattendo la lingua sul palato per raccogliere sangue e saliva con cui inumidire la gola. Ai suoi tempi, quando ancora era quasi in corso con gli studi, i torturatori si limitavano ad usare armi e incantesimi: giocavano pulito, erano professionali – nulla a che vedere con i bruti assunti dalla nuova direzione. Ti legavano, ti picchiavano. Fine. Miravano a togliere ogni briciolo di dignità ed orgoglio; beffa a loro, il Knowles ne aveva rispettivamente troppo e troppo poco. L’infinito ed il nulla erano difficili da scalfire. Era sopravvissuto a Vasilov e Van Lidova, era sopravvissuto all’assassina scuola oltreoceano, ad un cazzo di virus, a diversi viaggi dimensionali, al far west; era sopravvissuto al CJ Knowles adolescente che aveva respirato e vomitato sangue per giorni ed anni, privo di una casa o di un’identità, al Rodere ed alle decine di famiglie che l’avevano sputato per strada come catarro: due stronzi legalizzati da Ministero e scuola ad abusare fisicamente di lui, erano acqua fresca in estate. «ero di fretta» biascicò, un occhio chiuso e l’altro solo semi aperto, mentre la Kavinsky si prendeva il proprio tempo per chinarsi e aprire i lucchetti che lo tenevano inchiodato al muro della Sala Torture. «resti comunque una merda» CJ finse di non notare come lo sguardo chiaro della bionda si soffermasse sulle contusioni valutandone l’entità con occhio critico; fosse mai che il suo ragazzo si montasse la testa credendo fosse preoccupata per lui. Dovette decretare anche lei fosse roba da amateur, perché schioccò la lingua sul palato e tornò ad appoggiare una spalla alla cornice della porta. «se la prossima volta non mi aspetti, ti lascio legato e vaffanculo» le sorrise, obbligando anche la parte di labbro contusa ad alzarsi. Tacito patto dei freaks quello di muoversi in branco, di finire nella merda insieme, di creare e zittire caos fianco contro fianco. Non si ostacolavano a vicenda; non era il genere d’amici che ti trattenevano da una spalla pur di non farti entrare in scena, erano quelli che ti spingevano e ci saltavano dentro. «come se tutto questo non ti eccitasse» poggiò i palmi sul - suo stesso sangue - pavimento alzandosi in piedi, sibilando fra i denti imprecazioni a madri che davvero avrebbero dovuto usare più anticoncezionali e meno droghe, saggiando la serietà delle ferite con un check up completo del proprio affilato corpo: quei piccoli bastardi si erano concentrati sul volto, lasciandolo tumefatto e – a giudicare dal pulsare costante – violaceo di lividi; un po’ di dolore alle costole, ma nulla di rotto o incrinato. Probabilmente. Difficile farci caso, di quei CJ lì. «a te no?» oh, come lo conosceva bene, Sersha Kavinsky. Abbassò lo sguardo cercando il viso solo apparentemente angelico della Serpeverde, occhi ghiaccio fuso resi due ammaccature sottili e ferine che esprimevano tutto eccetto buone intenzioni. «un po’» ammise, sempre onesto, annullando la distanza fra loro per prendergli le guance fra le mani. «dovremmo tornarci, qualche volta» commentò, come se si fossero ritrovati al concludersi di una festa in un locale particolarmente in di Londra, abbassando il tono di un’ottava mentre faceva scivolare il pollice sul labbro inferiore di Sersha. Guardò affascinato il proprio sangue macchiare la pelle avorio della bionda, il contrasto netto ma troppo familiare per suonare distorto e fuori dalle righe. Si chinò, ed ella si alzò sulle punte – non importava quanto Sersha lo odiasse per quello, CJ continuava a trovarlo fottutamente tenero ed esilarante – per raggiungerlo. Ad un soffio dalle sue labbra, dal suo respiro caldo sul mento e sulle ferite ancora fresche, il Knowles cambiò direzione leccando la traccia cremisi lasciata poco prima. E rideva ancora, quei rari momenti assurdi e felici, quando Sersha gli diede un ben assestato pugno alla bocca dello stomaco; rideva ancora quando lei strinse poi la presa sulla maglia, tirandolo verso di sé per prendersi - come sempre, come in ogni vita ed ogni Sersha - quello che voleva, premendo la bocca contro la sua fino a togliergli fiato e sangue da perdere. Sorrideva perfino quando lei, così com’era giunta, se ne andò tornando sui suoi passi come nulla fosse accaduto. Oh; CJ Knowles amava davvero più di quanto fosse concesso e sano, Sersha Kavinsky. Avrebbe potuto seguirla, ma perchè quando sapeva che se avesse voluto, in qualunque momento, l’avrebbe ritrovata sempre? Uscì dalla sala con calma sostenuta e ghigno a fior di labbra, dita già a tastare le tasche alla ricerca di una meritata sigaretta, e cravatta sghemba su una spalla. Stava attraversando i cortili per raggiungere l’aula di Erbologia (i tre dell’ake maria avevano papà per la roba, ma cj doveva ancora contare sulle amicizie costruite negli anni di celestibrownindornette e rave abusivi in sala comune; che poi il Milkobitch fosse anche suo zio, era un dettaglio a suo dire irrilevante) quando qualcosa lo colpì. Non qualcuno. Qualcosa. Un proiettile peloso si aggrappò alla sua gamba, le unghiette a graffiare la pelle mentre cercava materiale su cui far appiglio. «ma che cazzo?» quello fluorescente (così narrava la leggenda) di Perses Sinclair, a quanto pareva. Rispose al ah ochei del compagno arcuando un biondo sopracciglio, un palmo offerto al (un ghiretto?) perché vi potesse trovare rifugio. «ama più me di te» asserì, mentre Sleepy si accoccolava contro le lunghe falangi del Knowles. «scommetto che non sono il primo a dirtelo» c’era un che di bieco e amichevolmente minaccioso, nel sorriso di CJ. Non aggressivo, ma conteneva la promessa che per qualcun altro, lo era stato. Era intimidatorio per natura ed addestramento, il Knowles; lo stava solo prendendo per il culo, ma il Sinclair non gli dispiaceva - che era già un traguardo. Almeno non rompeva il cazzo, al contrario di molti altri suoi compagni. «non solo riferito a lui» specificò, indicando con il capo la bestiolina; chi diceva di non conoscere la storia dei Gides canon e di Nah plot twist, mentiva. «è mio ora» scherzava? Probabilmente. |