"è fatta!" la lettera, al momento ripiegata in malo modo ed infilata a forza nella tasca posteriore dei jeans, iniziava così. niente saluti, nessun come stai, nemmeno il più piccolo accenno di una normale conversazione tra un padre e un figlio dopo sei mesi a quasi ottomila chilometri di distanza. non che tai si fosse aspettato chissà quale caloroso incipit, intendiamoci; la vita del sedicenne era costruita sulla base di un unico pilastro impossibile da scalfire, le fondamenta che gli garantivano di non impazzire del tutto lungo la via: disappointed but not surprised, aspettative basse, punta sempre al peggio. un mantra quotidiano che fino alla data odierna non aveva mai mancato di trasformare in realtà. certo che anche per uno come lui, sempre pronto a raschiare il fondo, esisteva un limite. - il vecchio s'è beccato il coronavirus! «cavolo, mishka.. mi dispiace!» ecco, quella era la reazione giusta. sullivan aveva portato una mano alla bocca leggendo le suddette, scarse righe seduta accanto ad un tai-chi affatto sconvolto, premendogli la guancia calda sulla spalla ossuta; perché era assolutamente normale per lei offrire supporto morale al migliore amico che scopre di avere un parente malato. forse, se anche la famiglia del sedicenne fosse stata normale, ty avrebbe accettato il calore di quella preoccupazione di buon grado accigliendola come una borsa termica premuta sullo stomaco dolorante. ma in quell'accozzaglia cino-europea che era la dinastia Chen non c'era nulla che si potesse considerare anche solo lontanamente nella norma. «nah, è un arschloch... uno stronzo bigotto.» e immortale, veniva da aggiungere. come la regina Elisabetta in inghilterra, quella mummia cartaimpecorita del bisnonno Wu Chen aveva da sempre puntato a sotterrare figli e nipoti vari, osservandoli morire uno dopo l'altro con un ghigno da bastardo dipinto sul volto pieno di rughe. alla veneranda età di novantadue anni non accennava ancora a lasciare le cuoia, e ogni giorno che passava a respirare non faceva altro se non aumentare i sibili sinistri nel covo di vipere sangue del suo sangue. Ty sapeva, per esperienza diretta, che il vecchio li odiava tutti, nessuno escluso. e tutti odiavano lui, figli compresi, ma nessuno sembrava rendersi conto di come quel rancore malcelato fosse per lui una sorta di elisir di lunga vita. «non vedono l'ora che schiatti, così mettono finalmente le mani sull'eredità.» lì taichi si era stretto nelle spalle, e l'argomento bisnonno con la peste era stato definitivamente accantonato. ora si sentiva quel foglio pesare sul didietro, una presenza ingombrante che poco c'entrava con la salute del vecchiardo: a tuo padre non frega davvero un cazzo di te, troslos. sai che novità. emise un sospiro più forte del dovuto, il límore, beccando di conseguenza una gomitata nello stomaco da parte di sullivan; camminavano fianco a fianco da un tempo interminabile (ore? GIORNI???? impossibile quantificare), senza punti di riferimento ormai da un pezzo. immersi quasi completamente nel buio, ty era convinto fossero entrambi molto vicini alla fine, ma sapeva anche di doversi mostrare forte, per livy. «dici.. dici che stiamo per morire?????» nevermind. taichi poteva essere quello che organizzava le spedizioni nell'ignoto, ma era chiaramente la hawkins ad avere le palle tra i due - infatti gli stava un passo avanti, il ragazzino seminascosto alle sue spalle. «ssssssshhhHHHHHH! così spaventi i demoni!» onesta. «sai non-» un sussurro appena udibile quello del sedicenne, mentre senza successo tentava di guardarsi intorno nonostante le ombre che si rincorrevano sulle pareti di pietra «non credo che finirà bene questa volta, liv. ci siamo spinti troppo in fondo.» e chissà quali immonde creature nascondevano quei luoghi inesplorati, quale grottesco oblio spettava chiunque fosse stato tanto stupido da attraversare il confine. in nome di cosa, poi? qualche follower in più su instagram? LA GLORIA? no, ty, gli rispose una vocina da dentro, quel sè bambino incantato con il naso all'insù a guardare le stelle, per la scienza! - e sticazzi????? «non esiste un fondo, duraciok! questo è solo un piccolo passo per noi, ma un grande passo per l'umanità.» ochei «ti immagini se gli astronauti russi non si fossero mai spinti fino alla luna? se si fossero lasciati prendere dalla paura per l'ignoto?!» «ma non sono stati gli americani a-» «SSSSSSSHHHHHHHHHHHHHHH.» caso chiuso. fecero ancora qualche passo incerto, il silenzio rotto solo dal battito cardiaco impazzito di taichi e dal ticchettio sinistro proveniente dal muro al loro fianco, come uno stridio di zampette sulla pietra. al sedicenne mancava solo di vedersi sfrecciare davanti un toporagno, poi poteva tranquillamente farsi intern- «ohi voi due.» qualcosa gli calò sulla spalla e ty fece l'unica cosa che chiunque sano di mente avrebbe mai potuto fare in una situazione simile: «AAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHH» un grido acuto, stridulo, vagamente pterodattilesco, seguito a ruota dalle urla più gradevoli ma comunque terrorizzate di una sullivan hawkins che non perse tempo ad aggrapparglisi addosso violando tutte le regole del loro confuso rapporto - non che in quel momento all'altair fregasse qualcosa di veder invaso il suo spazio personale, sia chiaro. al contrario, ricambiò la stretta continuando a gridare con gli occhi chiusi, la schiena premuta contro la parete con tale forza da far pensare di volerci passare attraverso, le prime lacrime calde di paura a rotolare lungo le guance pallide nonostante l'eccessivo ed improvviso afflusso del sangue alla testa. il tutto - una scena davvero raccapricciante - mentre barrow skylinski li osservava con un sopracciglio sollevato, in attesa. «finito? haw- hawkins basta adesso.» sebbene potesse ancora essere considerato un gen z lui stesso, barry i giovani proprio non li capiva, figurarsi i nuovi membri della Erasmus Sqwad. quei due, ad esempio, lo confondevano per tutta una serie di ragioni, tra le quali il fatto che ancora non avevano smesso di gridare. premette una mano sulla bocca di ciascuno ovattando quel rumore stridulo con i propri palmi, un sospiro rassegnato soffiato tra i denti. «si può sapere cosa ci fate in giro a quest'ora? tra un po' scatta il coprifuoco, fareste meglio a tornare dai vostri compagni.» «mhajshmh!» barry gli tolse la mano dalla bocca e ty provò di nuovo «coprifuoco? LIVY MA ALLORA SIAMO STATI VIA PIU' DI VENTIQUATTRO ORE!!» «sapete che è ancora il sei febbraio, sì?» «ah.» meh, si erano persi nei corridoi della scuola per la bellezza di un'ora e quaranta minuti. «era una spedizione e ci hai spaventato.. pensavamo fossi un demone.» ty vide chiaramente gli occhi del corvonero sollevarsi al soffitto e fare quasi un giro completo nelle orbite, una preghiera sussurrata tra i denti. «magari. qui non ci sono demoni, se volete vederne uno dal vivo andate al BiDEt.» e satana muto. «beh allora direi che noi andiamo.» aveva già fatto un passo indietro, il limore, stretto nel suo giaccone con un berretto calcato così tanto sulla testa da intralciargli la visuale, quando sul volto pallido dello skylinski apparve un sorrisetto niente affatto caldo e conciliante, qualcosa di oscuro ereditato dalla madre: si capiva che rimuginavano qualcosa, i children of the beast, quando ti guardavano in quel modo, e ancor di più precipitava la situazione se la suddetta espressione appariva a tendere le labbra di akelei beaumont. «sai cosa, limore? credo proprio che aidan gallagher ti stia cercando. per un lavoretto, mi pare di aver capito.» quel lavoretto che sarebbe toccato a lui, se per puro culo non fosse incappato in un tizio ancora più pallido. e se c'era una cosa in cui barry eccelleva, era sbolognare le sue grane a poveri malcapitati ragazzini che non sapevano come dirgli di no. nessuna eccezione, taichi compreso. «no. no, dai, la torcia no.» e invece.
«lìmore, sei pronto?» «no?!?!???» come avrebbe potuto. «perfetto. e fai stare zitto quel fantasma.» eh, la faceva facile aidan! credeva forse non avesse già provato a liberarsi di AmaDeus? da quando aveva risposto alla telefonata di quella setta satanica in vermont la vita di taichi era cambiata radicalmente - perchè non bastavano gli attacchi di panico, l'ansia sociale, gli svenimenti improvvisi di fronte alle macchie di sugo rimaste sul tavolo della sala grande dopo pranzo, no! al sedicenne mancava giusto un fantasma stalker che appariva di tanto in tanto senza dare alcun preavviso e si metteva a suonare la nona di beethoven (male) con la tastiera elettrica; a volte, per cambiare repertorio, passava a brani anonimi di jazz con tanto di tromba. un incubo dal quale ty non sapeva come uscire, tant'è che aveva già chiesto consigli ad archibald liroy per una seduta spiritica. «MA NON MI ASCOLTA!» *squillo di tromba* «visto???????» *doppio squillo e pernacchia finale* scoraggiato, confuso come un lemming in cerca del suo precipizio, ty si mise al fianco di aidan notando con orrore e desolazione il capannello di gente già riunitosi nel corridoio: stavano tutti allineati come avvoltoi in attesa di spiluccare un po' di carne dalla sua carcassa in putrefazione. «ma li hai chiamati tu? ancora???» possibile che ogni volta dovesse finire allo stesso fucking modo? «[babbi's voice] assolutamente no. e mettiti vicino alle finestre che rifletti meglio la luce lunare.» a quel punto taichi limore, sedici anni compiuti da poco e un conto in sospeso con Duolingo, capì che gli rimaneva solo una cosa da fare. l'ultima mossa per evitare la solita walk of shame tra studenti che non vedevano l'ora di tirare il primo coppino al suo passaggio: a mali estremi, estremi rimedi. raccogliendo tutte le sue - esigue - forze, ty fece un respiro profondo lo fai per un bene superiore, tai. come il papà di A quiet place. però adesso non pensarci altrimenti ti metti a piangere di nuovo. e poi lo esalò: «SONO CINESE E HO IL CORONAVIRUS!»
game on bitches.
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