So the carp went back home to the wolf

maple x aidan (sku)

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    « Chottoōkamino kooo » Yo lupacchiotto! Da quando era tornata le era presa questa voglia irrefrenabile di inserire il giapponese in qualunque conversazione. Si sentiva così cool ed exotic quando lo faceva, dimenticandosi completamente dell’accento estremamente occidentale ed inglese che in realtà aveva. Ma tanto, non ci stava nessuno che le avrebbe potuto correggere la pronuncia. Quell’accozzaglia di lettere era uscita fuori dalle sue labbra con estrema disinvoltura, come se Maple fosse nata per parlare il giapponese - e di sicuro la loro grammatica gli risultava più semplice di quella anglosassone, il che la dice lunga. Quindi aveva trascinato quella simil-frase che pareva richiamare un caminetto steso al tappeto #wat mentre con entusiasmo aveva mandato giù il bicchierino di tequila (100% babbana made in Mehiho). Ah se le era mancata. Per qualche assurdo motivo alla Mahoutokoro gli altri studenti andavano avanti a thè e sakè infiammabili, qualche volta – se era fortunata – le capitava di riuscire a metter mano su una sottomarcaspecie di birra (decisamente più dolce e dal contenitore rosa coniglietto playboy), ma la tequila – o la Guinness – quelle mai. Per non parlare della sua compagna d’avventure Mary, che nonostante le innumerevoli promesse di rimanere sempre al suo fianco, incollata ai suoi piedi - literally, fra caviglia e calzino – aveva deciso di abbandonarla. Quindi Maple aveva cercato per un’altra amica, una simile, anche un po’ più scura, meno verdognola color muffa all’ombra (eh?), sottile, robusta, malleabile, qualunque. Ma ‘sti giapponesi manco un orto avevano, quindi altro che ninnacanna su una delle Torri. In preda alla disperazione, provò perfino a scoprire se il wasabi avesse qualche effetto allucinogeno – e sì, la mandò in brodo di giuggiole, ma fu un’esperienza fin troppo dolorosa per essere ripetuta. Quindi i giapponesi, con i loro infusi e il loro pesce crudo, ci erano riusciti. I giapponesi erano riusciti a far disintossicare Maple Walsh. Poi però mamma e papà Walsh avevano deciso di ri-ri-ritornare in patria Twinings e tutto era tornato come prima.
    Il liquido era sceso prepotente giù per la gola, facendole strizzare prima un occhio, poi l’altro, poi la fronte (si può?) ed infine il mento. Insomma - Maple era tutto uno strizzo, bruttissima per chiunque fosse la sua audience. « GNNN » un gemito di dolore? Rimorso? Schifo? Neanche il limone le avevano portato, quei sudici de la Testa di Porco. Chissà cosa avevano pensato vedendola entrare, così minuta e bambinesca, con gli occhiali da sole nonostante fosse buio fuori e il bomber jacket del padre color verde petrolio, fin troppo grande per una della sua stazza.
    Non vedeva Aidan da così tanto che starsene seduti a un tavolino, una di fronte l’altro, aveva un ché di surreale. Sei tu? Sto sognando? Sono già troppo ubriaca? Avrebbe voluto fare tante di quelle domande, le sentiva stuzzicarle la lingua e fremere per esser poste. Ma nonostante il livello di confidenza che Maple aveva costruito con il Gallagher, sentiva come una barriera, come se certe cose fosse meglio non riportarle alla luce del sole. Se solo papà Walsh avesse saputo dell’esercito, di tutti gli amici che aveva perso, del circolare di opinioni che le metteva strane idee in testa, Maple sarebbe tornata di filato in Giappone, segregata in casa con un vecchio sensei come istruttore. Qualche volta pensò che l’avessero fatto di proposito, a trasferirsi proprio nel momento della guerra. Ma grazie a Merlino esistono i social (e le storie di Instagram) e c’era sempre qualcuno pronto a postare qualcosa a riguardo.
    Le ciocche biondastre raccolte in una coda di cavallo, il felpone color violetta, scarpe bianche più scollate che altro, Maple sembrava essere uscita di casa senza essersi guardata allo specchio, neanche di striscio. Da quando aveva cominciato a vivere da sola - sì ragazzi, è successo - si era lasciata un po’ andare. Non c’era Costantine a ricordarle quanto puzzasse, né la madre che le comprava vestiti carini e floreali per farla sembrare un po’ più donna. Neo-diplomata alla Mahoutocosa non si era ancora posta il problema di trovare un lavoro (#raccomandata). I genitori si erano probabilmente stancati di vederla in giro per i saloni di Villa Walsh in pigiama e – viste le bollette del Wi-Fi e gli scontrini sempre più lunghi del supermercato – devono aver pensato che pagarle l’affitto sarebbe stato più economico piuttosto che tenerla in casa. Si trovava quindi in quella fase di transizione, Maple: ma un lavoro, mi serve sul serio? Avrebbe voluto giocare a Quidditch per sempre, h24, ma andatelo a dire voi a dei politici d.o.c. che la figlia vuole fare l’atleta. Aveva passato per culo pura fortuna gli esami, eppure la madre spacciava Maple in giro come chissà che genio. “Ma’, ho corrotto i prof per avere una media dell’Accettabile” le avrebbe voluto ricordare qualche volta.
    Quindi era stressata. Casa nuova, niente lavoro, niente prospettive per il futuro. E più ci pensava più le veniva l’ansia, quindi si faceva un pit sul terrazzo e si ributtava sulla moquette a scarabocchiare con i colori rubati al fratello. « Ho portato una lista - aveva detto in direzione di Aidan, andando alla ricerca delle tasche del bomber jacket che aveva appoggiato sullo schienale della sedia. Tirò fuori un foglio di carta un po’ troppo stropicciato, stendendolo sul tavolino in legno in direzione dell’amico vicino la candela, così che si potesse leggere - di tutte le cose che non mi puoi chiedere » Mica scema, la Walsh. Erano appena 8 punti, giusto per esser sicuri che non le prendesse un attacco di tachicardia proprio il giorno della loro reunion. In stampatello:
    - quanto hai preso agli esami?
    - mi passi l’esame?
    - i giapponesi ce l’hanno piccolo?
    - e adesso? Che piani hai?
    - hai un lavoro?
    - posso fare un festino a casa tua?
    - e il fidanzatino???
    - offri tu?

    E mentre permetteva a Gallagher di leggere punto per punto ed assorbire ogni informazione (tbh si aspettava un vaffanculo), cercò arrogantemente lo sguardo del cameriere dall’altro lato del locale, mimando un sorriso forzato ed alzando appena l’indice per richiamare la sua attenzione. La tequila era servita da anti-antipasto, come garante per uscire almeno appena barcollante (#mapletrapqueenrimagirl). « Una Guinness bella fresh onegai shi masu » per favore.
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    Prese una sedia e la affiancò al tavolo di Aidan e Amika senza chiedere il permesso, la Darko, sedendosi fra loro come se quel posto le fosse appartenuto di diritto. Quel giorno, nei panni del caro amiko Gabe che le faceva visita ogni mese puntuale come (...perchè di fatto, lo era) un ciclo mestruale, l’elettrocineta aveva un’aria solenne e senza tempo. Una di quelle figure mitologiche che potevano apparire nel far west, o in un futuro distopico di apocalisse nucleare, e nessuno avrebbe battuto ciglio. D’altronde, era insito nell’indole JaneTM sapersi adattare a qualunque circostanza – o nel caso specifico, richiesta. Quando faticavi a scendere a compromessi con il tuo stesso corpo, non t’importava poi molto di sentirti a disagio con l’esterno, e Gabriel era troppo impegnato a combattere, e vincere e perdere, con se stesso, per preoccuparsi anche di un paio di sconosciuti.
    «non farlo» troppo menefreghista per lottare contro Fitz, aveva ceduto nell’indossare un completo giacca cravatta scuro; l’unico dettaglio che aveva insistito per aggiungere malgrado cozzasse con il resto, erano gli occhiali da sole (e bro dude homie, chi l’avrebbe mai detto che in quel della Testa di Porco avrebbe trovato un’altra socia che se ne sbatteva delle leggi della fisica e indossava lenti scure quando le andava: high five!). Insomma. Jane Gabriel Darko era in piena modalità Will Smith in men in black. Alzò il capo verso la ragazza, annuendo imperioso nella sua direzione. «prendi una tennent’s» serissimo, tolse infine gli occhiali per offrirle un’intensa occhiata cobalto. «so che non hai alcun motivo per fidarti di me, ma ho fatto un viaggio molto lungo per arrivare fin qui. per fermare questo» dramatic pause.
    Stare into the distance. «vengo dal futuro» ma non sono tuo figlio aidan, stay cool stay cool «sono dovuto tornare indietro per salvare il mondo» sguardo rivolto nuovamente sulla ragazza. «salva la ragazza con il bomber, salva il mondo» citò come un mantra, credendoci fino in fondo. «potresti non credermi, ma perchè correre il rischio fece spallucce, un braccio attorno allo schienale della sedia. «pensaci. no pressure, ma hai sulle spalle il futuro della Terra e di ogni suo abitante» le porse la mano per stringergliela, volgendo poi un cenno di saluto al Gallagher.
    «effetto farfalla» dopo aver tamburellato secco con l’indice sul tavolo, si alzò.
    E così com’era giunto, se ne andò.
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    Who cares about practice?
    Hmm, I don't give a shit
    gabedarko

    prompt del drama CIAO FATE I BUOONI!!
     
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    Passò la lingua sull’arcata superiore dei denti, sguardo fisso sullo schermo lampeggiante stretto nel palmo della mancina con una forza tale da creare orme liquide laddove i polpastrelli toccavano il LED.
    Beh.
    C’erano cose che non aveva messo in conto, Aidan, immaginando il suo ritorno in patria. Aveva previsto l’educata indifferenza dei suoi parenti (persino dal caro zio Percival, colui che a dieci anni gli aveva messo una pipa tra le labbra per insegnargli a fare l’uomo serio, fermamente convinto di valori vecchi e polverosi tanto quanto i suoi completi in velluto – dal taglio classico, anzi, perché era impensabile che i Maghi portassero roba disonorevole come i jeans, sia mai! – e che, di fronte a situazioni simili, tendeva a masticare l’aria e stringere le labbra in una linea severa, troppo stupido anche solo per formulare un principio d’insulto), gli sguardi curiosi dei suoi concasati, il senso di disagio che si prova nel balzare da un’era all’altra e ritrovarsi a dover imparare nuovamente a vivere [punto].
    Il resto lo aveva colpito in piena faccia senza che lui avesse potuto anche solo pensare di prepararsi psicologicamente. Il fatto che quella curiosità morbosa si fosse tramutata in nulla nel giro di una settimana, lasciando spazio a silenzi tesi di fronte a una situazione che andava ben oltre i limiti di comprensione di chi non l’aveva provata sulla propria pelle, ad esempio, era stato un risvolto inaspettato. Altrettanto inaspettata era stata la facilità con cui persino l’imbarazzo era sparito, e il mondo si era dimenticato di averlo perso per quasi due fottutissimi anni – mettendolo nella scomoda posizione di fingere che andasse tutto a gonfie vele, sorrisi tirati a dimostrare che infondo quel lasso di tempo era stato solo un brutto sogno e che tutto era come prima. Ma un cazzo, no che non lo era. Era cambiato il mondo, era cambiato lui; era partito spavaldo ed invincibile ed era tornato uno spettro, guardingo come una bestia e col fiato sospeso, casomai qualcuno si fosse reso conto della sua presenza. Non sapeva più cosa farsene, di quello che era stato – il che, casomai non fosse già ovvio, era un po’ un problema. Perché come ti approcci, di grazia, alle persone dal momento in cui smetti di essere chi credevano tu fossi? Ciao, lo so che praticamente nulla di me è come te lo ricordi ma non preoccuparti, di sicuro questo non avrà un effetto drastico sul nostro rapporto che porterà a un’inevitabile frattura e noi due smetteremo di parlarci per sempre?
    Trattenne l’aria nei polmoni abbastanza da sentire la testa girare, quindi la rilasciò in un lungo, lento sospiro e spinse l’iPhone nella tasca della giacca con più aggressività del necessario (cioè zero, inutile dirlo). Perché tra gli effetti collaterali della sua vacanza a Bodie, fra l’altro, non c’era solo quella crisi esistenziale a divorargli il fegato. Premette la nuca contro la parete fredda del locale, ignorando bellamente gli sguardi perplessi dei passanti (che, con tutta probabilità, lo stavano prendendo per matto, stretto in un vicolo buio a fissare il vuoto nel più totale silenzio – ma insomma, erano problemi suoi? i don’t think so), e imprecò a fior di labbra; quindi tirò fuori il dispositivo abbastanza da riuscire a passare il pollice sul tasto di blocco e rifiutare la chiamata, e finalmente voltò i tacchi così da poter raggiungere le porte sudicie della Testa di Porco.
    Perché ovviamente, in mancanza di una Torre d’Astronomia in cui potersi infilare e rischiare una cinquantina di metri di caduta libera in pieno mood fattanza, due anni di separazione richiedevano la seconda scelta migliore. Ingoiò i nervi, mano ancora stretta saldamente attorno al telefono improvvisatosi amuleto, e – «Chottoōkamino kooo» ah, beh.
    Aggrottò la fronte, voltando la testa prima da un lato, poi dall’altro prima di puntare un indice confuso contro se stesso. E vabbè: fece spallucce, prima di unire i palmi a mo’ di preghiera e abbassare il capo in un rispettoso cenno di saluto. «sashimi.» un’affermazione che avrebbe accompagnato con uno shit-eating grin, prima d’accomodarsi di fronte alla Walsh. Si prese qualche secondo per osservarla, dunque, incapace di trovare le parole adatte dopo tutto quel tempo, ansie e paure momentaneamente dimenticate – ché neanche ci sperava più, Aidan, in una cosa simile. L’aveva dato per scontato, ormai, che sarebbe morto in una città dimenticata da tutto e tutti. «ne è passato di te… okay?» e niente, fine del momento toccante. «non farlo» ma cosa. «okay.» Neanche ci provò, a capire che minchia stesse accadendo; dopotutto c’era ben altro di cui preoccuparsi, in quel momento – come ad esempio il fatto che fosse ancora tristemente sobrio. Bad timing, Gabriel. «uh-huh.» così, giusto per fingere di essere anche solo un soffio interessato a… tutto, nel dubbio; interruppe una seconda volta solo per sussurrare «cristo, ma ancora si dimenticano del limone?» a Maple prima di far scivolare una manciata di sale sul dorso della mano e buttarlo giù, seguito subito dopo dalla tequila scadente. Ooooooh boi, se non era stato uno sbaglio. Quasi comico, come l’espressione disgustata sul volto del Grifone imitasse quella dell’amica di pochi secondo prima. Scosse appena la testa, come per scrollarsi di dosso il sapore d’acqua sporca mista ad alcool puro, e «vengo dal futuro» fu lì, che Aidan.exe andò in crash. Perché, citando Morgan, «che succede.» L’ho già detto, che non era abbastanza sobrio for this shit? Perché non era abbastanza sobrio for this shit. Rigido come una scopa alzò rapido un braccio in aria per farsi notare dal primo cameriere sotto mano – quindi ordinò altri due – tre, quattro – shot («il limone. ricordati il limone), così, per sicurezza. Nel frattempo il tipello era sparito nel nulla, ma non era mai un brutto momento per lerciarsi oltre ogni limite umano. «haha la droka. quindi, dicevamo–» che… dicevano? Ah: «Ho portato una lista di tutte le cose che non mi puoi chiedere.» Inclinò la testa di lato, e se le buone maniere imparate in età infantile non l’avessero portato a tenere una postura perfetta anche in situazioni informali come quella, avrebbe rizzato la schiena. Batté le unghie contro il tavolino, braccia incrociate e collo allungato così da poter sbirciare meglio prima ancora che l’altra potesse piazzargli il foglio davanti; quindi si avvicinò uno dei bicchierini freschi di bancone – ma non senza inarcare un sopracciglio in direzione del barista nel notare il limone intero, posizionato su di un piattino palesemente usato, e il coltello con cui era stato pugnalato. Chissà se si trattava di una velata minaccia. «tutto qui?» spinse il coltello da burro (un.fucking.real) nel frutto, ritagliando una fetta da poter smezzare con la compagna di bevute, quindi fece scorrere lo sguardo sulla lista.
    - quanto hai preso agli esami?
    «devo mica ricordarti che io sono ancora fermo al sesto?» no, per dire.
    - i giapponesi ce l’hanno piccolo?
    E alzò lo sguardo, tradito. «quoque tu, brute?»
    - e adesso? Che piani hai?
    - hai un lavoro?

    «come se non lo sapessi, che il tuo piano consiste nel mangiarti Cheetos in mutande per il resto dei tuoi giorni.»
    - posso fare un festino a casa tua?
    Ma. «…quindi è un no?»
    - offri tu?
    E portò una mano sul petto, offeso. «per chi mi hai preso!» diede un calcio alla caviglia di Maple, la bocca spalancata in pieno disappunto. «avrei proposto di limonare uno dei camerieri. rude, ragazza.»
    E in ogni caso, non era mica l’unica ad avere argomenti off limits. Mandò giù il secondo shot, afferrando rapido il limone («morgana ladra, ma che cazzo è, acqua di fogna corretta?») così da poterlo stringere tra i denti. Dunque, dalla tasca posteriore dei jeans strappati, tirò fuori una Montblanc (e come poteva essere diversamente) con cui scarabocchiare sui lembi della carta. Abbandonò la buccia in uno dei bicchieri vuoti, quindi sistemò un piede sul sedile – alla faccia delle buone maniere – prima di buttar giù i suoi personalissimi bullet points:
    - ma nel 1919 c'era ancora il far west?
    - domande sul 1900 in generale
    - tassorosso sta vincendo il torneo?
    - hai figl hai dei nip domande sul futuro, perché dobbiamo pensare al presente
    - e il fidanzatino??



    - mi piace ancora tuo fratello btw
    - questa non è una domanda ma una richiesta d'aiuto
    - penso di essermi innamorato
    - (non di tuo fratello)
    - (forse anche di tuo fratello)

    Spinse infine il foglio in direzione di Maple, mani a ritrarsi come se avesse toccato il fuoco: «ho finito.» no thoughts head empty.
    18 - gryffindor - bad dog
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    In a person with shiny eyes
    And hair like a feather
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    «prendi una tennent’s» Maple aveva l’assoreta pronto sulla punta della lingua, ma tanta era la frustrazione per esser stata scambiata per una che beve tennent’s che non uscì nulla. «so che non hai alcun motivo per fidarti di me, ma ho fatto un viaggio molto lungo per arrivare fin qui. per fermare questo» t’appost? Per chissà quale motivo la mente della Walsh era passata dal giapponese al pugliese imbruttito in un battibaleno, tanto che per un momento pensò ai taralli e quasi si dimenticò dell’assurda conversazione in cui era stata invorticata.
    Che poi, con chi diavolo stava parlando? Probabilmente lo aveva già visto, ma quando hai un neurone e una memory card da 40 mega al posto dell’ippocampo non ci puoi fare nulla. I mean, non male il tipo but still. Quasi si intristì quando aleggiò via con l’eleganza di un millepiedi zoppo, ma il business (che?) doveva ingranare e sarebbe stato solo una distrazione.

    Tornando al lupacchiotto, quello shot di tequila era andato giù davvero con fatica ma, da brava ed incosciente Walsh quale era, mai si sarebbe rifiutata ad un secondo (o terzo) round. Doveva rimanere la party queen indiscussa, e le party queens non si ritirano mai.
    Più che altro perché avevano portato il limone, alla fine. Lo osservò in tutta la sua rotondeggiante e rugosa giallezza, assassinato da un coltello che – probabilmente – non vedeva spugnetta e sapone dal 1983. Altro che coronavirus, le condizioni igieniche del pub ti uccidevano istant. Un brivido di schifo le scivolò lungo la colonna vertebrale, non ci pensare Maple . Poi notò uno sputo avanzato di purè di patate sul bordo del piattino e avvertì la pelle d’oca in ogni millimetro del suo corpo. Sei ancora troppo sobria Maple, non ci pensare. Non era neanche una tipa schizzinosa – figurati – ma cominciò a pensare a come quel coltello potesse esser stato utilizzato prima di finire dentro quel limone, poi a da dove arrivasse quel limone, ma soprattutto a quanti anni avesse, quel limone. Ah, doveva bere.

    «devo mica ricordarti che io sono ancora fermo al sesto?» touchè.
    Per un istante si sentì anche intelligente, del tipo brah ho finito gli studi prima di te, poi si ricordò che in realtà aveva dovuto corrompere qualcuno per un accetabile e che, beh, non era proprio un fair game visto che il Gallagher aveva fatto un magico puff in un’altra epoca. Ma sono dettagli, Maple, a detta sua, restava più sveglia.
    «come se non lo sapessi, che il tuo piano consiste nel mangiarti Cheetos in mutande per il resto dei tuoi giorni.» Dio bòn (adesso è passata al Veneto), se l’aveva beccata. Sentiva quasi una pugnalata nell’anima, ad esser stata scoperta così, con semplicità e nonchalance da uno con cui non aveva avuto una conversazione da mesi. Banale, sgamata, prevedibile, Maple!
    Cerchi di essere cool e originale 24/7 e poi tutto svanisce. Voleva aprire la bocca per ribattere, per dirgli che in realtà non erano Cheetos (perché erano Americani e costavano troppo per via dei dazi) ma patatine Walkers o – quando li trovava nella frozen section – i mitici ed indibenticabili sausage rolls, ma Gallagher continuava a scorrere la lista impedendole di rispondere ad ogni suo commento.
    Mutò l’espressione offesa con un forzatissimo sorriso simil-omicida passivo-aggressivo a labbra chiuse, come per dire ”no, niente festini”, per poi avere un mezzo ripensamento al «avrei proposto di limonare uno dei camerieri», forse un festino se lo era guadagnato con quell’uscita.
    Per qualche motivo, Maple si era dimenticata cosa volesse dire uscire con Aidan. Aveva passato fin troppo tempo ad essere lei il party animal e ad uscire con individui dal dubbio senso del divertimento (n’evvero vi ama), costretta a dover proporre cose piuttosto che essere trascinata.

    Quasi, quasi, le uscì una lacrima di commozione nel vedere che la sua bitch was back e che potevano essere bitches insieme. «Mi sei mancato vecio» dopo un sonoro e fin troppo violento cincin, mandò giù il secondo shot ed annaspò in direzione di quella dubbia fetta di limone. Ennesima strizzatina di ogni muscolo facciale, ma che gusto c’era a pagare per il virus intestinale? (#teampoetidallerimecasuali).
    Voleva solo la sua Guinness, Maple. Perché quella doveva obbligatoriamente essere quella buona, quella vera. Nessuno oserebbe mai servire una fake Guinness, soprattutto lì. Alzò il braccio come faceva ai tempi di Hogwarts (ma quando?), sventolandola ancora una volta in direzione del cameriere e facendogli cenno di portare una Guinness anche per Aidan. Poco importava se non gli piaceva, l’avrebbe bevuta lei da bravo muratore quale era in caso fosse servito.
    - ma nel 1919 c’è ancora il far west? in realtà, avrebbe voluto chiederlo, sì
    - domande sul 1900 in generale «not so fair fra» lei, voleva sapere!!!!
    tassorosso sta vincendo il torneo? «TI. PREGO.»
    Gli occhi le si spalancarono neanche fosse sotto effetto di lsd, quello sì che era un colpo basso. Come puoi tenere Maple Walsh all’oscuro dei suoi pargoli. «almeno il quidditch - abbassò il foglio di carta per guardare l’amico, ma fece appena difficoltà a metterlo a fuoco, come se si fosse dimenticata di aver settato su manuale e continuasse disperatamente a girare l’obiettivo alla ricerca del punto focale. Si rassegnò, e guardò la chiazza rosa che identificava come il suo volto. (cominciamo bene) «devo sapere » sospirò con tono di voce Gollum misto tifoso romanista post derby. Tornò al pezzo di carta, avvicinandolo al volto per rimediare a quel problema del focus e leggere i punti successivi.
    -mi piace ancora tuo fratello btw
    PLOT TWIST
    Alzò lo sguardo, al diavolo il focus.
    Tratteneva il respiro, divertita e seccata allo stesso tempo. diamine Connor, piantala di provarci con tutti .
    In realtà, non le andava giù che il fratello rimorchiasse più di lei. Connor di qua, Connor di la, che figo Connor, quanto è artsy, so aes, mi dai il numero di tuo fratello, AH, perché nessuno chiedeva il suo di numero???
    Con uno scatto da marmotta, tornò a leggere il - questa non è una domanda ma una richiesta d’aiuto, quindi fissò ancora nel punto dove credeva ci fossero gli occhi di Gallagher, poi appoggiò il foglio sul tavolino lercio, tagliò (o ci provò) un’altra mezza fetta di limone per entrambi, e alzò il bicchierino come fanno nei film. alla salute tua mammt questa serata si fa interessaaaaante ondeggiò su sé stessa.
    Sale. Shot. Limone. Strizzatina. Riprese il foglio.
    -penso di essermi innamorato AAAAAAA Connor è un latin lover #fashinoWalsh -(non di tuo fratello) eh? -(forse anche di tuo fratello) ambè, okay.
    Un po’ appannata, ma ancora funzionante e consapevole, Maple ripiegò lentamente il foglio in due, appoggiandolo con cautela sul sudicio tavolino che li divideva mentre lanciava un’occhiata maliziosa in direzione di Gallagher. Some tea had just been spilled e la Walsh avvertiva le giuggiole cominciare a bollirle dentro.
    «I knew it» ma che minchia dici che non ne avevi idea. «guarda che comunque non si lava mai» Fra tutte le cose che poteva dire, probabilmente scelse la meno opportuna. Ma del resto, a che servono le sorelle? «Però se ti interessa anche lui è super peloso -» spostò il corpo verso l'amico, guardandosi intorno come per verificare che nessuno stesse ascoltando «- nel senso, lupopeloso». Quasi sussurrò, lanciandogli un occhiolino molto poco innocente ed allontanandosi nuovamente per far spazio al cameriere.
    La Guinness era arrivata.
    Sorrise maliziosa al tipo, consapevole di doverselo iniziare a lavorare per non dover metter mano al portafoglio più avanti nella serata. Ma lui ricambiò con uno sguardo apprensivo, quasi contrariato a dir la verità, voltandosi poi in direzione di Aidan e sorridendo a lui, prima di tornarsene dietro il bancone.
    Doveva aver perso il suo charm, Maple.
    «rimarrò zitella a vita» assoreta

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    Picchiettò sulla superficie appiccicosa del tavolino, labbra già arricciate per il cringe generale – insomma. C’erano cose su quel tovagliolo, ma il problema non era solamente derivato dagli occhietti curiosi di Maple che ne studiava i contenuti, purtroppo: «mi azzardo a fare una cosa molto pericolosa. Se vedi che sto soffocando, che tossisco sangue, che cado a terra in preda alle convulsioni e crepo, non chiamare aiuto.» e annuì fra sé e sé, espressione severa in volto. «sarebbe assolutamente colpa mia e me lo meriterei.» no, davvero. Trattenne il respiro per qualche secondo prima di rilasciarlo in un lungo, drammatico sospiro; quindi alzò un braccio tremante, una delle preghierine imparate (dai BDSM) a Bodie a fuoriuscirgli naturalmente in rapidi, quasi impercettibili movimenti delle labbra. Dunque, attirata l’attenzione del barista che, stranamente – come se avesse fiutato l’energia oscura – lo stava osservando apertamente per la prima volta da quando era entrato nel locale, pronunciò una frase che era una condanna a morte: «un margarita …classico.» Facile, no? Era solo un margarita. Un margarita! Quale cretino non era in grado di buttare un po’ di tequila, lime e liquore insieme e servirlo con un po’ di ghiaccio tritato. Ne aveva conosciuti, Aidan, di barman con la licenza puzza – affatto nuovo al dolce giuoco del coma etilico mancato, visto l’alquanto preoccupante numero di amiki poveri (o, almeno, poveri per i suoi standard di ricchezza imbarazzante) che aveva e che, di conseguenza, non potevano permettersi il pacchetto RSVP di un Hilton. Era persino sopravvissuto, miracolosamente o solo per sbaglio, all’accidental(ment)e (delizioso) mix di Bloody Mary e cocaina preparatogli da un tipo particolarmente creativo, insomma. Nessuno – [nessuno] fino a quel momento era riuscito a fallire al punto da rendere persino il margarita un’esperienza traumatica. Sempre pronto alle prime volte, congedò il ragazzo dall’aspetto tutt’altro che affidabile prima di tornare a concentrarsi sulla Walsh, mormorando un «non ce la facevo più a reggere il sapore della tequila liscia.» a mo’ di giustificazione. eh, minchia se faceva schifo.
    «TI. PREGO.»
    Oh no. «…hm?» e con la lentezza d’un ghepardo che si avvicina alla sua preda, allungò il collo così da poter leggere: ah. «no.» «almeno il quidditch - » e, citando indirettamente babbi, «assolutamente no.» giusto per far capire quanto non volesse toccare l’argomento Q word, prese l’ultimo bicchierino orfano e, sopracciglia inarcate, butto giù l’ennesimo shot di acqua sporca – anche se a quel punto non era più certo che Maple lo stesse anche solamente ascoltando. Ci aveva provato.
    «devo sapere»
    «sicuramente ci sono persone più predisposte a cui puoi chiedere – nella mia casa» e batté il polpastrello dell’indice contro il tavolo per enfatizzare. In un certo senso, quel posto orribile era un po’ come una seconda casa; così tanto che anche tra le mura povere del Testa di Porco aveva rischiato l’esilio. Vedi te il destino! «non si parla della coppa quidditch 2019/20. compresa quella fuori da hogwarts, che le montrose stanno facendo una stagione di merda.» sì, era ancora tasto dolente, e quindi? Se l’era evidentemente aspettato diverso, il ritorno in campo. Okay, forse il poco tempo passato ad allenarsi gli aveva fatto perdere l’elasticità, e riprendere in mano una scopa del ventunesimo secolo era stato traumatico per ben mezzo minuto dopo essere stato obbligato a volare sugli orrori fatti mezzi di trasporto quali erano le scope del 1900, così lente e mal calibrate che tanto valeva attaccare delle ali a un fottuto Apecar. E okay, forse avevano giocato male e forse non era stato abbastanza concentrato. E forse, forse, era giunto il momento di farsi un viaggetto dallo psichiatra e cominciare a prendere roba per cavalli, but still. Era stato deludente, e vagamente imbarazzante, e triste sotto ogni punto di vista. E si rifiutava. E basta.
    .

    ……
    No, basta un cazzo. «quella bestia infame di – oh mio dio, tu non hai idea.» sistemò una gamba sotto la coscia dell’altra, praticamente strappando il cocktail dalle mani del sort-of-cameriere che gli stava facendo gli occhi dolci senza manco rivolgergli mezzo sguardo. Priorities, m’dude. «quell’infimo bastardo. i could NOT believe it.» scosse la testa, beatamente ignaro del fatto che Maple non sapesse di chi, esattamente, stesse parlando. Typo mentale: mentre l’ubriacatura si avvicinava sentivo molta confusione il cielo si oscuri. «si è messo a tifare per la squadra avversaria – non era manco la squadra della sua casata d’appartenenza. secondo te l’ha fatto apposta per farmi deconcentrare? secondo me sì.» vodafone: gira tutto attorno a te. Neanche osò alzare il bicchiere (da whiskey, e già quello non era un buon segno) per studiare il liquido presentatogli, scegliendo più saggiamente di portare una manciata di sale sulla punta della lingua e prenderne un sorso fingendo di non notare la strana tonalità giallastra che aveva assunto. «immagina – cristo e fu così che ogni singolo tratto del suo volto si accartocciò oltre l’irriconoscibile. «immagina succhiare via l’anima a un tipo la sera e ritrovartelo a tifare per l’avversario il giorno dopo. da omicidio.»
    In tutto ciò Maple aveva detto cose. Quali cose? Ah. «hmmm connor peloso.» aggrottò la fronte, sguardo a saettare da una parte all’altra mentre i due neuroni ancora in funzione cercavano disperatamente di connettere the two dots. «connor…» neurone 1 «peloso…» neurone 2 «hmmm…» 1, 1, 1, 2, 1, 1, 1, 2 «ASP-DHDFERNFCMKCVOIUJ?»
    iiiiIIIIIIIO SONO AIDAN
    SONO UN RAGAZZO
    SONO UN LICANTROPO
    SONO SHOCKBASITO
    «MA IN CHe senso scusa.» se nel frattempo aveva attirato l’attenzione pure dei piccioni di passaggio? Probabile. «e io … non … sapevo nulla … quante possibilità perse ……. quanti connor nudi ho saltato – sì lo so che è tuo fratello ma ascolta è davvero greve.» vabbè. Ma cosa doveva farsene di quell’informazione, a quel punto. Non che fosse poi così tardi per fare l’ultimo disperato tentativo, però damn. «e poi – poi, cioè, stai cercando di dirmi che non hai provolato con mezzo giappone?» no perché ok il fidanzatino ma zitella? dai, un mister konnichiwa doveva pur esserci stato, a un certo punto. «che succede. chi si è sentito male.» #beh.
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    Gallagher parlava. Ne era certa Maple: stava dicendo qualcosa. Vedeva le sue labbra muoversi, avvertiva il tono della sua voce, ma il contenuto di tutta quella conversazione doveva esserselo persa. Guardava l’amico agitare il suo corpo lungo alla ricerca di una posizione confortevole, di una traiettoria per infilare quello stacco di coscia che si ritrovava sotto il tavolino traballante. Hai voluto la gamba da modella? Ti sta bene, mo vivi scomodo. «morgana se mi tiri un altro calcio ti raso a zero» disse, forse? Non ne era certa. Entrò in modalità Dora per analizzare il contenuto dei bicchierini sulla superficie del tavolo, sollevandone uno alla volta per scrutarlo in controluce. Certo, 2020 e usavano ancora quelle candele riciclate. Ma una lampadina no? Che tirchi. Aggrottò la fronte, cercando la concentrazione, per poi arrivare alla triste conclusione che sì, si erano già scolati giù tutto.
    Un ghigno di disgusto misto preoccupazione apparì sul suo volto. « secondo me ti ci fanno la pipì dentro » biascicò « non sanno neanche cosa è un margarita » Maple era entrata in quella fase in cui era decisamente brilla, ma non eccessivamente da star stesa in terra ansimante, incapace di intendere e di volere. Girava tutto tranne le ciribiricoccole. E se non girano ancora le ciribiricoccole, vuol dire che c’è ancora spazio. Appoggiò entrambi i gomiti sulla superficie di legno, sorreggendo per un istante la testa con entrambe le mani, tipo a dire uagliò fermete, ma no, poi spostò il peso solo sul gomito destro, si accasciò appena sull’avambraccio diventando un tutt’uno con il tavolo finché non si rassegnò: stava più comoda prima. In posizione eretta (non da princess ma da gobbo scaricatore di porto) agitò il braccio in direzione del cameriere. Fu in quel momento che l’assalì il dubbio amletico, la domanda primordiale paragonabile all’è nato prima l’uovo o la gallina che mandò in tilt ogni molla/ingegno/circuito della Walsh. « cosa bevo?? » sussurrò ad Aidan che, probabilmente, non aveva capito un monosillabo « odDIO COSA BEVO???? » un po’ più forte, ma con atteggiamento da ninja per non farsi scorgere dal cameriere (il quale avanzava con un passo così lento da permettere l’avvenimento di tutto ciò). Panico paura shot no e birra peggio che scendere di grado fa male bambini poi you regret it. « un… calcio? < mojito » sorriso check. Merlino, Morgana e Amleto. Maple li odiava i mojito. vabbè

    …..
    Ignorò la risposta sul quidditch, essere inutile e spregevole. A che servono gli amici se non a dirti i risultati del quidditch? Ma l’onda sulla quale si trovava Maple in quel momento era così fluida che non valeva la pena arrabbiarsi. Doveva concentrare le energie per rimanere con le chiappe sulla sedia e non scivolare giù, un’arrabbiatura le avrebbe offuscato l’obiettivo. « chi succhia cosa? » poche erano le parole che percepiva e che avevano senso nella sua mente. Lui parlava – grazie a dio, lei non era più capace in quel momento – ma per quanto i suoi quattro neuroni ancora vivi facessero di tutto per mettere insieme le informazioni, il risultato faticava ad arrivare. « bro aspè mi sono persa » già da un pezzo, in realtà. Sorseggiò il mix di ghiaccio bacardi e prezzemolo (no, non avevano la menta) per riprendersi (giustamente), tolse l’automatico per entrare in manuale e mise a fuoco. ‘Concentrazione, Wildcat’ si disse. « CHI DEVO SPEZZARE » alzò la voce, battendo il bicchiere con così tanta forza sul tavolino che ne fuoriuscì un po’ di liquido - meglio, pensò. Del resto, era già una laguna appiccicosa, un goccio in più poteva solo che idratare il legno. cosa? Tornando a noi, Maple avrebbe usato tutte le sue skills da strega incapace per trasfigurare l’individuo infame in una padella e fargli pentire a vita di averle offeso l'amico. Perché la percepiva, Maple, la profonda ferita che squarciava l’orgoglio del Gallagher. E il suo incantesimo sarebbe andato così male, sarebbe stato così unico ed imprevedibile, da diventare irreversibile, e l’infame sarebbe rimasto padella a vita.
    cosa?
    ladies and gentlemen, questo era il livello massimo di cattiveria che Maple Walsh poteva raggiungere in quel momento.
    « sono serissima gli faccio passare i cinque minuti più brutti della sua vita » fuoco e fiamme, Maple voleva dolore e sofferenza.
    Fast forward ignorò le parole sul fratello. Un uomo sì, con i peli, non aveva proprio voglia di discutere della peluria maschile, le sarebbe tornato su tutto quello che aveva bevuto e, a quel punto, nessuno si sarebbe gentilmente offerto di pagarle la serata (no perché sul serio era al green e tutto quell’alcool non poteva pagarlo). Fugotto? L’alternativa era fingere il coma etilico e farsi portar via su una broom-ambulanza (che) così da non dover sborsare uno scellino. *wink*
    « per chi mi hai presa » cercò di accennare un sorriso malizioso, ma uscì fuori un ghigno brutto e storto « provolo anche non volendo » sospirò, consapevole di essere la più figa del mondo (siamo tutti con te). Avvicinò il bicchiere alle labbra per dare un altro sorso, ma mancò la bocca e si sbrodolò appena. « AH NON SAI » si ringalluzzì all’improvviso, mettendo a fuoco giusto quel poco che serviva « questo Mochi. » pausa « bellissimo. » brodo di giuggiole « thailandese-americano super tropical che ti dico fermete - » accompagnò la frase mettendo entrambe le mani avanti, poi le sventolò all’aria « amò » sospirò « un sogno». Nella sua mente apparve questo simil-dio muscoloso e abbronzato che usciva sudato dopo una partita di quidditch, incazzato perché aveva perso – quindi, a parer di Maple, ancora più bello perché crudo. Un altro sospiro, le veniva da piangere dalla commozione al ricordo. « cioè lo avrei palpato ovunque » le si spezzava la voce mentre parlava, guardando un punto indefinito verso l’alto « TI GIURO » pendolò con il busto in direzione dell’amico « nome demmerda ok si ma i mochi sono buoni e lui non era da meno » *occhiolino ubriaco*
    E non riusciva a trovare le parole, o le forze, per continuare con la sua descrizione. Era tutto così bello nella sua mente, il suo Mochi, sudato, sul campo, che urlava, e colpiva la pluffa in quel modo così…ah, possente.
    Basta.


    GUCCI - GANG - GANG
    I AM
    FIJI WATER
    U ARE
    TOILET WATER, SKU SKU
    MAPLE WALSH
     
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