I see it, I like it, I want it, I got it

[heather + charles]

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    «Ho sempre saputo che avevi un cuore» Heather alzò gli occhi al cielo, senza però fermarsi. «certo che ho un cuore; scientificamente, sarebbe difficile il contrario» Il sorriso malandrino di Raven si allargò, mentre dava all'amica una gomitata molto sentita. «Sai quel che intendo»
    Purtroppo lo sapeva.
    Non aveva mai nascosto il proprio disagio della presenza di una sala delle torture a Hogwarts (se quel che le aveva raccontato Bunny era vero, i suoi ricordi di Salem e di una scuola dove quindi non si punivano a quel modo gli studenti erano falsi... ma non per questo a Heather non parevano verosimili), tutti a scuola sapevano che aveva partecipato un anno prima al sit in improvvisato - nonostante la ragazza continuasse a nascondere la lettera scarlatta sul polso -, ma le dava comunque fastidio che in qualche modo, la sua indole accondiscendente verso un gruppo di (finti) ragazzini ribelli fosse uscita così palesemente a lezione di strategia. «ho solo giocato secondo il mio ruolo» diceva a tutti freddamente (e fiera della vittoria), ma anche dopo aver rivelato che faceva parte delle totally spies, i suoi compagni non avevano potuto fare a meno di notare come si era comportata durante tutto il gioco, arrivando quasi a tradire la propria posizione di spia solo per salvare comunque dei ribelli - e come si era impegnata strenuamente nel proprio ruolo, molto più di quanto ci si sarebbe aspettato se fosse stato solo per vincere. A Raven aveva confessato che, d'accordo o no con la resistenza, non se l'era sentita di mettere a rischio la vita di qualche ragazzino solo per vincere una gara, non certa al 100% che fosse davvero tutta una recita, e la Hawkins non aveva evitato da allora di prenderla in giro.
    In effetti, era una sorpresa anche per la Morrison aver messo da parte la sete di vittoria in cambio di un piccolo rischio. Era stato il tempo passato al ministero a farla slittare sempre di più lontana dagli ideali dei mangiamorte? Era stato l'anno sotto Van Lidova? Erano stati gli ospiti dell'AU? Era stato il morire, e il sentirsi ora ogni giorno una marionetta nelle mani di Seth, inconscia e spaventata che da un giorno all'altro sarebbe tornato a richiedere il prezzo del suo aiuto, era il desiderio di libertà, che sentiva di non avere più?
    «Ci vediamo dopo?» alzò lo sguardo dal pavimento, portandolo su Raven. Dal pavimento... da quando camminava senza guardare dritta avanti a sè come la regina che era?
    «certo - se non fai esplodere qualche calderone» Raven le fece la linguaccia, separandosi da Heather mentre lei andava verso l'aula di pozioni, e la Morrison durante la sua (rara) ora buca in dormitorio.
    Una volta dentro, si buttò sospirando melodrammatica sul divanetto nero.
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    il titolo è a caso? sì, ciao
     
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    «cristo jo, ma chi cazzo ha fumato in questa stanza? sembra silent hill» agitò una mano sopra di sé, arricciando il naso in un'espressione vagamente disgustata. Sul soffitto aleggiava una sottile nebbiolina grigiastra, tanto densa da offuscare quasi la vista. La cosa intelligente da fare sarebbe stata aprire la finestra, ma il Dumont aveva perso la voglia persino di vivere, figurarsi lasciare il letto per fare una cosa tanto faticosa come a l z a r si. Surreale.
    «tu?» spostò le iridi scure sulla sigaretta stretta tra l'indice e il medio della propria mano destra, fissandola per un paio di secondi senza capire.
    «ma pensa» non senza una certa confusione, optò per l'opzione più semplice il francese: si portò la cicca alle labbra, ed aspiro una boccata di fumo, soffiando poi verso l'alto.
    Forse c'era stato un momento della sua vita in cui si preoccupava realmente di cose come l'ordine, il buon senso, il rispetto delle regole - ma faticava persino a ricordarlo. Aveva smesso di dar considerazione al superfluo nell'istante in cui si era reso conto di quante cose importanti avesse finito per lasciarsi indietro, ed il risultato era stato più o meno quello: un ventenne ancora fra i banchi di scuola, forse un po' più assennato, ma di sicuro meno chic di quello che era stato un tempo. Poco male, fintantoché il suo orgoglio continuava a rassicurarlo sull'idea di possedere abbastanza classe di per sé da non doversi creare troppi scrupoli per sembrare migliore. Della vanità, d'altronde, il Dumont ne aveva fatto una difesa più che un difetto.
    Non era insicurezza celata dietro al sarcasmo la sua, ma assomigliava più ad un pesato calcolo tra pro e contro, in cui si contendevano le sue qualità peggiori versus quelle migliori. E che poteva fare, uno consapevole di avere meno pregi che soldi in tasca, se non cercare per lo meno di enfatizzare ciò che di buono aveva? Si trattava di sopravvivenza.
    In quello, per lo meno, era col tempo diventato un po' più bravo. Non che avesse perso la sua naturale predisposizione a finire nei guai, affatto, ma aveva dovuto tirarsene fuori talmente tanto spesso da aver acquisito oramai una certa esperienza in proposito. O magari, nella sfortuna, era solo stato una testa di cazzo fortunata. Nulla da escludere.
    «tanto di qualcosa dovevo pur morirci» spense quel che restava dell'ennesima sigaretta nel posacenere affianco a sé, rotolando su un fianco ed affondando la faccia sul cuscino per una manciata di secondi. E dire che non andava neanche così male in quei giorni.
    «che palle» perché? Perché no. Perché di qualcosa doveva comunque lamentarsi, o la giornata non poteva dirsi completa.
    Con uno sbuffo, si decise finalmente a tirarsi su, arrancando sino alla finestra per spalancarla. Evitò, come faceva sempre, di lasciar cadere lo sguardo sull'entrata della Stamberga sotto al Platano, voltandogli invece le spalle per posare gli occhi sul suo compagno di stanza. «goditi il circolo polare artico jimmy» sollevò una mano per salutarlo, avviandosi verso il corridoio del Dormitorio.
    «sempre jourdain»
    «cagacazzi».

    Non era fatto.
    Per lo meno, non più del solito, ma si era ormai abituato a girare per Hogwarts come fosse un fantasma. Rimpiangeva persino i tempi in cui doveva spacciarsi per Eméric, lì almeno non doveva seguire le lezioni e parlare con la gente più del necessario.
    Si diresse verso la Sala Comune senza avere realmente qualcosa da fare, più con l'idea di allontanarsi dalla sua stanza e fingere di avere ancora uno scopo. Tutti (chi), persino Phobos era convinto che frequentare quel maledetto ultimo anno di scuola e sostenere i MAGO fosse per lui una cosa di vitale importanza ma, in tutta onestà, Charles avrebbe preferito ritirarsi in montagna a fare l'eremita piuttosto che essere costretto a fare quella vita.
    Erano rimaste poche al Castello le persone che aveva davvero voglia di incontrare.
    «oh no, ti prego, Heather Morrison no» per fortuna, la bionda era una di quelle «hashtag ansia sociale» valutò l'idea di accomodarsi sul bracciolo del divanetto su cui era distesa, ma scelse invece di sederlesi sopra: in fondo, si volevano bene anche così.
    «sei stranamente comoda, adesso capisco perché tutti quanti ti stiano addosso» si lasciò scivolare al suo fianco, sulle labbra un piccolo sorrisino malizioso. «mi hanno detto che sei persino passata dalla parte dei buoni ultimamente. Sono gli ormoni da gravidanza, o siamo già alla meno pausa?»
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    Teneva gli occhi pigramente socchiusi, osservando non più che distrattamente la sala comune abbandonata alla semioscurità verdastra. Nessuno entrava, ancora meno uscivano... sembrava uno di quei giorni in cui tutti gli studenti serpeverde decidevano di avere lezioni o uscire a studiare al sole. I suoi fucking giorni preferiti. Era una ragazza da compagnia, Heather, quelle che si ricaricano a complimenti e sembrano non averne mai abbastanza di sorrisi, ma anche il gatto più amichevole ha bisogno di restare da solo con i propri pensieri di tanto in tanto - anche quando fastidiosi e confusi.
    Approfittando della solitudine, Heahter si guardò il polso tenendolo sollevato verso l'alto, e tolse dopo qualche secondo con calma il bracciale. Avvicinandosi la mano di nuovo al viso, osservò la L marchiata a fuoco sulla pelle chiara. C'erano giorni in cui pensava che fosse un motivo di vergogna (una macchia sul suo curriculum, come gli aveva ricordato Alister), altri in cui si chiedeva perchè non se ne vantasse di più, almeno quando era da sola con se stessa. Aveva cercato di sfidare il regime (nel modo sbagliato, glielo concedeva), ne era uscita viva; la seconda volta non era stata tanto fortunata.
    Il rumore della porta che si apriva, e coprì di nuovo rapida la lettera, spostando lo sguardo sul nuovo arrivato.
    «oh no, ti prego, Heather Morrison no» Emise un verso di lamentela stringendo gli occhi, come un bambino che non vuole essere svegliato dalla mamma (o vederla). Non si preoccupò minimamente di sistemarsi la gonna della divisa salita oltre la coscia, o la camicia non più rimboccata; Charles Dumont l'aveva vista decisamente (più svestita e) in stati peggiori. «sei uno stronzo» «hashtag ansia sociale»
    Di nuovo ad occhi aperti, la bionda non si spostò di un millimetro, guardandolo con aria di sfida mentre si avvicinava. «cosa? Non ti aspetterai mica che ti faccia spazio» si stiracchiò come un felino con fare soddisfatto, allungandosi per occupare ancora più posto «sei sparito per mesi senza un ciao, hai perso il diritto a questo divano. Ora è mio»
    Ma al Dumont importava? C e r t o c h e n o.
    Le si sedette sopra senza tante cerimonie, e seppur in cuor suo Heather avrebbe voluto scacciarlo malamente non potè che ridere d'istinto, un po' schiacciata, un po' soffocata, dal dolce peso di un ragazzo alto il doppio di lei e pesante probabilmente altrettanto. «SEI- UNA BESTIA!» cercò di spostarlo, ma senza provarci troppo; diciamo giusto per mettergli le mani sul sedere e addosso e fare il gesto di toglierlo.
    «sei stranamente comoda, adesso capisco perché tutti quanti ti stiano addosso» sbuffando divertita si spostò leggermente per cercare almeno di essere comoda. «che ti devo dire, mi piace stare sotto» gli pizzicò il sedere per fargli notare che iniziava a diventare pesante «e a te con l'italiano dove piace stare?» ma stavano insieme? Ma lei lo sapeva? Meh, non si è mai troppo molesti. «non sentirti obbligato a rispondere, ho i miei headcanon» charles uke ciao.
    Si mosse per farle posto quando capì quello che Charles stava cercando di fare, e anche se il divano era piccolo riuscirono a mettersi di profilo, i visi abbastanza vicini per respirarsi addosso, per sentire l'odore dello shampoo dell'altro (avrebbe dovuto chiedergli qual era), per obbligarli a guardarsi negli occhi, per rendere difficile ad Heather essere arrabbiata con lui per una storia vecchia di un anno. Stando vicini così, in quella posizione tranquilla, le ricordava com'era prima, come voleva che fosse sempre.
    Quando Heather era arrivata a Hogwarts non aveva niente. Col senno di poi sapeva fosse perchè non esisteva una famiglia da cui tornare, o amici da sentire, ma lì per lì era stato strano. Si era costruita un personaggio in Inghilterra senza permettersi di restare con le mani in mano o tergiversare, era entrata nel gruppo delle ragazze che le sembravano più popolari, aveva conosciuto i ragazzi che piacevano di più. Sarebbe una bugia dire che Chalres l'aveva colpita subito, che era stato un colpo di fulmine, che aveva capito sarebbe diventato l'amico di cui non sapeva di avere bisogno, ma ad un certo punto in ogni caso se n'era resta conto, e cheather era stata. Battutine, risate per cose stupide o meno stupide, sobri o (molto) meno sobri, mani addosso senza paura di superare un confine mai dato a voce.
    Era (ancora) difficile spiegargli quanto fosse stato terribile per lei perderlo, quando non era mai stata chiara su quanto fosse grata di averlo avuto. Averlo adesso.
    «mi hanno detto che sei persino passata dalla parte dei buoni ultimamente. Sono gli ormoni da gravidanza, o siamo già alla meno pausa?»
    Aggrottò le sopracciglia.
    «tanto per iniziare sono figli tuoi, stronzo, e si chiameranno heathcliff e charlotte» the north remember «quindi sgancia i soldi del mantenimento. Seconda cosa... i buoni?» si umettò le labbra, prendendo tempo, cercando di capire se aveva capito bene. Sorrideva ancora quando continuò dopo qualche secondo a parlare, ma lo fece con un sussuro (che poteva apparire sensuale data la vicinanza ma- insomma, quando Heather non cercava di esserlo?): «dumont, chi pensi che siano i buoni
    Ed era una domanda seria, e il semplicemente fatto che heather avesse pensato immediatamente ai ribelli della lezione (come voci narravano) la diceva lunga su cosa lei pensasse; voleva sapere lui da che parte stava, cosa ne pensava del governo in cui la Morrison stava passando lei sue giornate in previsione del post diploma? Sì. Per tradirlo? Mai.
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    Se c'era una cosa che gli era sempre piaciuta di Heather, sin dal primo giorno, era quel suo essere brutalmente schietta. Se avesse voluto, non le sarebbe risultato difficile mentire, fingersi compiacente o mostrarsi accondiscendente - ma con lui non lo era mai. Non nella maggior parte delle volte per lo meno, il che era più che sufficiente per un Charles disgraziatamente abituato alle stronzate di circostanza.
    A dispetto delle apparenze, aveva un ego fin troppo facile al lasciarsi ferire. Per questo aveva bisogno di risposte chiare, di parole dirette, perché nell'incertezza sceglieva sempre di credere che ogni cosa fosse a suo sfavore: ogni sguardo di troppo nell'incrociarsi per i corridoi, ogni frase pronunciata con tono non abbastanza entusiasta. Non era paranoico, solo che era cresciuto con l'idea che tutto il mondo potesse avercela con lui e, bisognava dirlo, lui non si era mai impegnato troppo perché non fosse così. Sapeva che in molti lì ad Hogwarts, l'anno prima, erano finiti in Sala Torture a causa sua. Sapeva di non esser stato precisamente gentile con tutti. Sapeva di non essere un modello di vita per nessuno. Insomma, per lo più erano paure legittime, ma ciò che maggiormente mal sopportava era il timore che quell'astio provenisse anche da quelli a cui voleva bene. Viveva nell'angoscia di scovare ancora del risentimento nell'atteggiamento oramai fraterno di Viktor, o nel rapporto oramai appianato con Perses.
    Con Heather, per lo meno, non aveva niente per cui struggersi: gli aveva già più che chiaramente ripetuto ciò che pensava di lui e delle sue recenti azioni, non gli aveva lasciato lo spazio per dedurre alcunché.
    E probabilmente era meglio così - anzi, lo era di sicuro, perché almeno non aveva bisogno di fingere con lei. La Serpeverde aveva visto il suo meglio e il suo peggio, e difficilmente avrebbe potuto fare qualcosa in grado di sconfinare all'idea che ormai doveva essersi fatta di lui. Nonostante tutto, però, era rimasta e, diciamocelo: lui non l'avrebbe fatto. Tendeva per lo più a sfuggire dalle situazioni sconvenienti, dalle persone sconvenienti e, sino a poco tempo prima, non avrebbe esitato un solo istante a voltare le spalle a chi si fosse mostrato anche solo un quarto più stupido di quanto non fosse stato egli stesso. Eppure, se tutti quanti avessero agito allo stesso modo, non c'era alcun dubbio sul fatto che già da tempo si sarebbe ritrovato solo o persino morto. Che Viktor lo avesse perdonato, che Heather fosse ancora disposta a parlargli, doveva pur significare qualcosa - e per lui aveva cominciato a significare tutto.
    «e a te con l'italiano dove piace stare?»
    «la prossima volta t'invito a controllare?» d'altronde perché mentire sulla sua relazione con Dante, se così poteva definirsi: non avevano mai chiarito dei limiti a riguardo, ma era ovvio che non fossero amici e basta. Invero, se anche così non fosse stato, Charles non era così bravo coi concetti di discrezione e buon senso, avrebbe egualmente spiattellato ogni dettaglio decisamente privato alla Morrison se questa glielo avesse chiesto. Aveva difficoltà a contenersi dallo straparlare già di base, figurarsi con Heather!!
    «tutta reference» aggiunse, senza neppure provare a nascondere un leggero sorriso. Era proprio lì che stava il punto: non c'era niente, non una sola cosa al mondo, per cui sarebbe valsa la pena rinunciare a quello. Alla complicità, al fatto che non fosse necessario definire le cose per dargli un valore, alla consapevolezza di poter contare l'uno sull'altro senza doverlo chiedere, perché entrambi sarebbero stati comunque troppo orgogliosi per farlo. Al fatto che le volesse bene, e che avrebbe un sacco voluto dirglielo o avere un modo per imprimerlo in quella testolina bionda affinché capisse fino a che punto, che anche se il più delle volte era un totale disastro gliene voleva davvero tanto.
    Invece disse soltanto «non li ho mai legalmente riconosciuti, voglio il test del dna» e si sistemò meglio sul divano, ignaro di quanto poco appropriata potesse apparire all'esterno la scarsa distanza rimasta fra loro. In fondo era pur sempre Heather, c'era poco di non concesso fra loro.
    «dumont, chi pensi che siano i buoni?»
    Poteva credere che stessero ancora scherzando, che non ci fosse un che di serio nella domanda della Morrison, ma non era così stupido. Ciononostante, pensò bene di mantenere lo stesso atteggiamento ironico che avevano mantenuto dal primo istante, sia perché aveva bisogno di capire dove la Serpeverde volesse andare a parare, e sia perché se c'era una cosa che aveva imparato era che non era mai bene mostrare i propri ideali controcorrente come se fosse lecito farlo, soprattutto non ad Hogwarts. Se aveva appreso la lezione? Ni, ma non avrebbe mai fatto niente per mettere in pericolo Heather di nuovo.
    «direi non io, né tanto meno tu» si posò l'indice sulle labbra, sollevando le iridi al soffitto come fosse impegnato in un ragionamento particolarmente complesso. Poi tornò a guardarla, restando in silenzio ancora un istante prima di decidersi ad allungare una mano ed afferrarle il braccio, per poi scostarle appena la manica della divisa a scoprire il polso, lì dove una 'L' spiccava ancora vivida sulla sua pelle. Vi puntò sopra l'indice, sfiorandola senza toccarla davvero.
    «ma sono abbastanza convinto che neanche questo lo sia» soffiò, tracciando il contorno della lettera con il polpastrello. Quindi la lasciò andare, tornando a posare le mani in grembo con la guancia premuta contro lo schienale del divano, come stessero parlando del tempo o dell'ultima partita di gobbiglie. «eppure io sono il tirocinante di Akelei Beaumont» decisamente il peggiore, ma tant'é «e tu siedi affianco alla scrivania di Alister Black, perciò direi che 'buono' è un concetto piuttosto relativo». Le spostò una ciocca di capelli chiari dal viso, rivolgendole un piccolo sorriso allusivo. «pensi di costruirti una brillante carriera al Ministero una volta conclusi i M.A.G.O?» non avrebbe mai basato il loro rapporto sulla risposta a quella domanda, ma inevitabilmente avrebbe dovuto significare qualcosa. Era troppo importante perché non fosse così.
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    «la prossima volta t'invito a controllare? tutta reference»
    «oh, dumont» con un sorriso quasi intenerito, Heather arricciò il naso. «se fossi stata interessata a del sesso scadente fatto da un francese, avrei chiesto a Jean Cloud di scoparmi» ma sì, Jean Cloude, il bartender (non abbastanza) carino dell'ultima festicciola a cui erano stati! Quello di cui si era decisamente già dimenticata la faccia, ma - ehi! - era sempre un buon momento per prendere in giro l'ego spropositato di Charles (lo faceva prima del suo tradimento, lo avrebbe fatto per sempre; Gli amici esistevano per quello, no?).
    «non li ho mai legalmente riconosciuti, voglio il test del dna» «mi stai dando della facile lei shockabasita!! e avrebbe continuato ribattendo che dovevano decisamente essere immaginari figli suoi, perchè pur essendo inesistenti erano una rottura di palle, ma il discorso già stava shiftando verso porti più seri. Lei sorrideva, lui sorrideva, ma all'occhio della bionda non passò inosservato il cambio d'atmosfera. Era lì, fra i respiri di cose non dette, il peso di quanto fosse davvero importante quel discorso.
    «direi non io, né tanto meno tu» ah, severo ma giusto. Si chiese, quando Charles distolse lo sguardo, se le avrebbe mentito, il Robespierre dei poveri, su quello che pensava davvero (non scappi da Hogwarts senza delle valide ragioni, e non riesci a vivere alla macchia per tanto tempo senza aiuti) o se sarebbe stato sincero per una cazzo di volta.
    Quando le prese il braccio si irrigì.
    Non era certa di avergli mai volontariamente mostrato a quel modo la lettera scarlatta. Si era lamentata con lui di quanto rovinasse la sua pelle diafana e altresì perfetta, di come fosse ingiusto lui non avesse dovuto subire la stessa marcazione, ma per quanto fosse (stata?) arrabbiata non aveva voluto affrontare il discorso in maniera seria, e temeva che mostrano la L - o i segni bianchi sulla schiena - ciò sarebbe successo. Temeva sarebbero uscite le torture esclusive a cui lei, Viktor, a cui gli amici del Dumont e del Kaufman erano stati costretti, che avrebbero dovuto discuterne, che lo avrebbe obbligato ad ammettere che non teneva abbastanza a loro, per questo se n'era andato (mentre, lei sperava, era solo stato un sedicenne innamorato e stupido)...
    «ma sono abbastanza convinto che neanche questo lo sia» No, neanche lei era abbastanza convinta quel tatuaggio magicalmente indelebile fosse del tutto buono.
    «eppure io sono il tirocinante di Akelei Beaumont, e tu siedi affianco alla scrivania di Alister Black, perciò direi che 'buono' è un concetto piuttosto relativo» "sedersi affianco alla scrivania di Alister Black" era decisamente un modo lusinghiero di descrivere il tirocinio della Morrison. A volte si sedeva sopra (la scrivania o alister black? ) ma non si illudeva l'uomo la vedesse abbastanza sua pari da pensarla al suo stesso livello, da pensarla al suo fianco. Era già tanto non l'avesse mandata via, se doveva essere sincera. Era già tanto lei non fosse scappata via, se doveva essere sincera. A volte pensava che l'idea di lavorare con un uomo bello e ambizioso la stesse accecando su come davvero questo uomo fosse nei suoi confronti.
    Aveva distolto lo sguardo portandolo al soffitto scuro anche lei, chiedendosi cosa volesse dire al ragazzo - no, non sapendo dove esattamente lei volesse portare quella conversazione (con Charles, raramente cercava di manipolare la discussione a quel modo, preferendo essere un po' disconnessi ma sinceri) - e ancora non aveva trovato le parole giuste, quando lui continuò: «pensi di costruirti una brillante carriera al Ministero una volta conclusi i M.A.G.O?»
    «il regime è potere» citò immediatamente, osservando la L. Non poteva dire di essere cresciuta con genitori che le dicevano nelle orecchie l'importanza del regime, ma poco importava: era moralmente combattuta, non stupida. Il regime era potere. «una brillante carriera al ministero permetterebbe di avere parte di questo potere, invece che subirlo»
    Ma non disse di .
    Qualche mese prima l'avrebbe fatto (forse non convinta al cento per cento già allora, ma l'avrebbe fatto), qualche mese prima sarebbe stato quasi facile immaginarsi al ministero. Non era d'accordo con la tortura? Benissimo: poteva scalare la vetta e diventare qualcuno che poteva dirlo, che poteva porre rimedio. Dopo essere morta- no, dopo aver combattuto contro Vasilov qualcosa era cambiato. Lei era cambiata.
    Aveva scoperto qualcosa fino a quel momento mai dato troppo per scontato (soprattutto post sit in): la gente poteva sovvertire un governo ingiusto.
    Non dall'interno, con anni di fatica e risultati non sicuri, ma dall'esterno, con sangue e spade.
    Sapeva dell'esercito di Amalie, e non ci era entrata, trovandolo una ragazza inutile. Ma forse... con più organizzazione...
    Sospirò, scacciando quei pensieri, riabbassando il braccio e portando lo sguardo di nuovo sul ragazzo. «tu cosa farai, Robespierre, se passerai i M.A.G.O?» eh, non si sa mai: bocciato una volta, bocciato sempre.
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