notwithstanding bad timing

ft. copmunks

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    Sentiva di aver fatto una cazzata, ad esser tornato a Londra. Insomma: la Polynesia era bellissima, e sarebbe rimasto volentieri lì per tutta la vita. Niente lavoro deprimente, niente problemi con il capo, nessun family drama e soprattutto nessun rischio di morire a giorni alterni. Il problema era uno solo: non si chiamava serena van der woodsen. Ispirandosi alle scelte prese nella serie dal personaggio, anche Connor aveva deciso di farsi un bel viaggio lontano da tutto e tutti per far pace con se stesso e prendersi il tempo necessario per riflettere.
    Ma, invece che prolungare il suo periodo sabbatico all'infinito, il ragazzo alla fine era stato costretto a tornare alla vita reale, visto che ricco non era mai stato ed a un certo punto aveva finito i fondi per quella vacanza. E così, invece che tornare in una New York dove due (o tre, a seconda della stagione) boni si battevano per lui e in cui il più grosso drama erano i gossip che il suo fidanzato/non/fidanzato pubblicava su un blog online, a lui era toccato tornare a londra: lavoro triste, casa ancora di più, insomma 'na merda.
    I primi giorni aveva semplicemente tirato avanti, facendo il minimo indispensabile fuori dal proprio letto: alzarsi, prepararsi per andare a lavoro, andare a lavoro, tornare a casa, mangiare il minimo indispensabile per sopravvivere, rimettersi a letto, e ricominciare da capo il giorno seguente. Un esperto in materia, ma anche una normale persona dotata di cervello funzionante, avrebbe definito la sua condizione con il nome di depressione, ma a lui piaceva più considerarla come "blocco nel passato": non vedeva l'ora di tornare a dormire perchè solo lì poteva sognare di esser di nuovo in Polynesia. Al caldo, lontano dai problemi e dalle preoccupazioni, occupato solo a dipingere, prendere il sole e nuotare: che schifo essere povero, avrebbe voluto rimanere lì per sempre.
    Aveva persino passato il Natale sotto le coperte, limitandosi a mandare un messaggio di auguri agli amici e fare una breve telefonata a Maple: non più di dieci minuti, altrimenti correva il rischio che la sorella si accorgesse delle sue condizioni. Poi però, a lavoro, era successa una cosa: aveva incontrato Scott. Non vedeva il ragazzo più o meno dalla festa ad hogwarts dove i morti erano tornati vivi, e tra i morti era compresa anche la sorella del Chipmunks. Il Walsh sapeva di esser stato davvero pessimo, con Scott: prima l'aveva invitato ad uscire e quando, nemmeno un'ora dopo, sua sorella era morta, non aveva avuto il coraggio neppure di consolarlo o provare a chiamarlo per accertarsi di come stava, preferendo lasciarlo nelle mani delle persone che lo conoscevano molto meglio di lui, e avevano decisamente più diritto di stargli vicino in un momento simile. Non poteva saperlo, Connor, che anche lui aveva perso un fratello quel giorno. Poi però Erin era tornata in vita, ed allora il Walsh aveva preferito lasciar loro tempo da passare insieme e non intromettersi: cosa facevano due o tre settimane d'attesa in più, del resto? Facevano, perchè poco dopo era arrivata la chiamata dal Giappone: era partito subito per raggiungere la sua famiglia, e star vicino a suo padre durante la malattia. Oh, non l'avesse mai fatto: il signor Walsh era guarito dopo poco, ma nell'apice della malattia aveva confessato la verità™ al figlio, ed al resto della famiglia.
    Ed era così che Connor Walsh era finito in Polynesia.
    E così, dopo tre mesi e mezzo in paradiso, alla fine gli era toccato tornare a casa.
    E lì, seduto ad uno dei tavoli dei tre manici di scopa, attendeva l'arrivo di Scott Chipmunks, dopo che il giorno prima, così dal nulla, aveva avuto la brillante idea di far riferimento all'invito che gli aveva fatto mesi prima. "Shar, non verrà mai" un po' gli dispiaceva per tutti i messaggi che l'amica si stava beccando, ma del resto lui le aveva fatto da consulente psicologico un sacco di volte quindi era arrivato il momento per l'amica di ricambiare il favore "che faccio????? ho finito tutte le patatine ma mi vergogno a chiederne altre alla cameriera" anche perchè aveva l'impressione che lo stesse guardando male da quando era entrato? O forse non era più abituato a relazionarsi con le persone, stava diventando paranoico.
    "tanto la dignità l'hai seppellita ieri, quando hai invitato scott ad uscire dopo mesi di silenzio radio" Severa ma giusta.
    ‹‹Mi potrebbe portare altre due patatine?›› Chissà se Scott sarebbe mai arrivato.
    O se, nella remota eventualità del suo arrivo, avrebbe trovato Connor ancora lì e vivo: lo sguardo glaciale che gli aveva rivolto la cameriera fece davvero rabbrividire il Walsh, e temere per la sua incolumità.
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    Scott Chipmunks era un combattente, un sopravvissuto. Da quando era nato, sia in quel tempo che in quello di Noah Hamilton-Baudelaire, aveva preso parte a più battaglie di quante non volesse ricordare – nonostante nemmeno lo conoscesse, il sé del futuro, aveva compreso che solo la mera esistenza nell’altra linea temporale era una continua sfida contro il tempo: non aveva bisogno di diari di viaggio, per sapere che anche da lì ne era uscito superstite e con più cicatrici che anni –; che fossero guerriglie di grande portata o non così semplici lotte familiari, per il diciannovenne non poteva fare alcuna differenza.
    Aveva preso parte ad un movimento rivoltoso interno ad Hogwarts, era stato torturato per ore e ore senza mai piegarsi, aveva combattuto contro un sistema ancora più corrotto rispetto a quello che serviva come avvocato – memore, senza dubbio, del vano tentativo di un adolescente iperattivo e solo che per trovare un posto tra gli esclusi aveva cercato la Resistenza: a posteri poteva affermare di condividere la decisione di chicchessia, quando gli aveva detto che non era ancora il posto per lui; il suo era stato il capriccio di chi non voleva ribellarsi al sistema, ma solo a se stesso ed alla propria famiglia.
    Aveva pianto, ed aveva urlato, e quando persino sua sorella l’aveva abbandonato aveva rasentato il suolo con la propria già scarsa voglia di vivere; chiunque lo avesse visto in quel periodo avrebbe potuto sostenere che oramai oscillava soltanto tra apatia e depressione, lasciando che disturbi d’umore e di condotta alimentassero un pre-esistente ADHD. Ma l’aveva superato. Non aveva mai davvero gettato la spugna, non poteva. Forse anni prima l’avrebbe fatto, ma sarebbe stato uno Scott senza Maeve e Dakota, senza quelle sorelle che erano piombate in casa sua direttamente dal Far West, senza Mehan o i 404 – uno Scott, senza nessuno che gli avesse dato una possibilità.
    Buon Dio, era sopravvissuto – e ad onor del vero, ancora sopravviveva – alle lezioni di Jericho Karma Lowell senza farsi uccidere dalla ragazza.
    Poteva davvero tutto, il Chipmunks.
    «non posso.» o quasi, insomma. Teneva lo sguardo fisso sull’insegna, la mascella così serrata da essere riuscito a provocarsi un mal di denti assurdo. «sì che puoi» «ti dico di no.» vibrava come un diapason, con Erin al suo fianco che cercava di (farlo smettere di tremare? anche) tranquillizzarlo massaggiandogli dolce il braccio. «no senti, io me ne vado» «scOTT» la delicatezza della gemella si tramutò in meno di un istante in violenza; la presa sul suo braccio si fece ferma, tanto da impedirgli di muoversi d’un passo. O meglio: per quanto non fosse un pompato amante dell’esercizio fisico, era indubbio che a livello di robustezza Scott sovrastava la ragazza ed avrebbe potuto con più o meno difficoltà divincolarsi dalla tenaglia ch’ella era diventata, ma emotivamente parlando non avrebbe potuto spostarsi di un millimetro da lì. «ormai sei qui» discutibile. Al momento, non si trovava davvero davanti ai Tre Manici di Scopa, quanto più in un universo distante e astratto, in cui tutte le forme avevano i contorni sfocati, poco nitidi. Stava per svenire? Forse. «non avrei dovuto dire di sì» e, anche qui, si potrebbe contestare l’affermazione. Quello del giovane mago quando aveva incrociato Connor per i corridoi del Ministero non era stato un vero e proprio assenso, quanto più un verso incomprensibile all’essere umano, accompagnato da un sorriso al limite della nevrosi e da una successiva e repentina fuga nel proprio ufficio. Ma, ad interpretazione, quello era –un in pieno stile Scott Noah Chipmunks. «perché l’ho fatto?» retorico, ma non per la Aguilera. «perché lo volevi, quindi ora muoviti e vai «vieni con me?» silenzio. Abbassò lo sguardo, trovando negli occhi di Erin non solo il proprio stesso colore a ricambiarlo, quanto la confusione che anch’egli aveva provato nel momento esatto in cui le parole avevano lasciato in un supplicante sussurro le proprie labbra. Aveva sempre, sempre bisogno che lei ci fosse, in ogni momento della propria esistenza – e dopo quel che era successo, dopo averla persa, ancora di più. Ma forse, in quel determinato contesto, era un po’ strano. «devo… tornare a lavoro ??? non posso ???» non aveva modo di replicare: oltre ad essere severo ma giusto, le aveva già fatto perdere mezz’ora lì fuori in attesa che si decidesse a muovere il deretano.
    «ok, mh, allora… vado » salutò la sorella, osservandola avvicinarsi da Madama Piediburro ed aspettando che entrasse per fare la sua mossa. Ovverosia: «no non ce la faccio ciao» detto tra sé e sé, ma probabilmente non abbastanza. «TI VEDO, SCOTT. ENTRA.» affacciata alla vetrina del locale, la ragazza lo osservava con un enorme spatola in mano: più minacciosa di quanto non avrebbe mai dovuto essere una Erin.

    Una volta entrato, naturalmente si pentì ancora di più. Gli bastò vederlo, per ricordarsi del motivo per il quale non avrebbe mai dovuto farlo. Un perché tremendamente infantile, un sentimento per il quale si sentiva così stupido da voler imputare a quell’idiozia ogni freno inibitore; un qualcosa che uno come lui provava in maniera tanto involontaria quanto pressante. Una rabbia che il diciannovenne aveva imparato come placare, nascondendola sotto strati d’ansia ed insicurezza – ma c’era.
    Irresponsabilmente, irragionevolmente, per Connor Walsh c’era. Ma perché? Ragionandoci, soprattutto in quel preciso istante, non avrebbe saputo trovare una risposta valida a quell’interrogativo; inconsciamente, tuttavia, sapeva benissimo quale fosse tal motivo.
    Lo aveva abbandonato quando più ne avrebbe avuto bisogno.
    Stupido ed infantile, per l’appunto: in primo luogo, in quel periodo non aveva voluto che nessuno gli si avvicinasse troppo, meno del solito; poi, tutto sommato, cos’era Scott per il legionario? Assolutamente nulla, ecco cosa. Che avrebbe dovuto pretendere che facesse?
    «e-eeeehi» anche meno, Scott. Anche meno. Si schiarì la voce, sorridendo – nuovamente isterico, sia chiaro – al compagno di missione mentre cercava di non andare in crisi nell’avvicinarsi alla sedia. «posso sedermi?» sottotesto: ti prego dimmi di no così posso fuggire ed andare a morire ti prego.
    Beh che, tanto, oramai era lì. Non attese davvero risposta e prese posto davanti a lui, facendo più sforzi del dovuto per incrociare il suo sguardo - non perché non volesse, quanto più perché sentiva d’esser diventato così paonazzo da poter cuocere una bistecca sulla sua faccia. «come… come va?»
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    Più stava seduto lì ad abbuffarsi di patatine, più riusciva a pensare a una sola cosa: perchè diamine l'aveva fatto.
    Si doveva esser proprio scemi per invitare ad uscire una persona dopo mesi di completo silenzio, dopo esser sparito proprio quando, forse, il walsh avrebbe potuto far qualcosa per aiutarlo. Perchè Scott Chipmunks, quella notte di mesi prima, aveva perso una sorella.
    E cosa aveva fatto, Connor? Niente
    Incapace di affrontare di petto i problemi, preferiva piuttosto far finta non esistessero e lasciar che il tempo sistemasse le cose.
    Un perfetto idiota
    Ma non era fuggito per non rischiare di incontrare scott a lavoro, connor. Cioè anche - diciamo che come aveva lasciato le cose in sospeso non aiutava di certo - ma il motivo principale era stato per non fare i conti con la sua famiglia. Tutta la sua famiglia: maple e i coniugi walsh potevano anche esser tornati in giappone, ma stiles e nicole erano lì a londra.
    Ed adesso che era tornato non aveva la minima idea di come fare a parlarci, di come affrontare l'argomento. Ma: un problema alla volta. Scott era un primo passo, no??? Del resto aveva fatto la sua parte (no) chiedendogli di vedersi ai tre manici di scopa. Perchè si dai, chi non tirava in ballo inviti fatti in una situazione precaria in cui stavano chiaramente per morire - e molti erano morti sul serio - dopo un incommentabile periodo di silenzio radio, come niente fosse?? Connor, ecco chi: il play it cool era il suo mantra di vita, anche quando dentro si sentiva sprofondare.
    Non che, in ogni caso, si aspettasse che il ragazzo davvero si presentasse, e lo dimostravano lo scambio di messaggi tra lui e sharyn (in cui lei gli ricordava - come se ne avesse avuto il bisogno - quanto fosse stato scemo, e lui non poteva far altro che concordare) ed il fatto che si fosse mangiato ben due ciotole di patatine. Era già pronto ad alzarsi ed andarsene, Connor, anzi voleva alzarsi ed andarsene così da avere un po' meno la coscienza sporca - la situazione sarebbe rimasta comunque "fuga in Polynesia > dare buca ad un uscita", ma sarebbe stato sempre un po' meno grave di "fuga in Polynesia > precious human being too pure for this world" - e invece.
    «e-eeeehi» ma perchè scott era così una brava persona. e perchè connor non poteva essersi comportato da perfetto idiota con un'altra persona altrettanto idiota??? E invece no, aveva scelto l'unica (unica!) persona decente in quel ministero, pieno di gente da valori altamente discutibili e tendenze da psycho. ‹‹..hEY!›› e più scott sorrideva, più connor si sentiva una vera merda. «posso sedermi?» e chiedeva pure??? chiedeva pure!! Maple poteva pure esser in giappone, con chilometri di distanza ed un oceano a dividerli, ma mai come in quel momento il ragazzo riusciva a sentire nella sua testa i commenti che la sorella avrebbe fatto se fosse stata presente. Anzi, quasi quasi sentiva anche il dolore per le gomitate che, senza dubbio, gli avrebbe dato per il suo comportamento. ‹‹certo!›› abbastanza preso dal panico, iniziò a pulire con la mano il tavolo per spazzar via le briciole di patatine e poi prese la ciotola (ovviamente vuota) e la allungò alla povera barista che stava passando proprio in quel momento vicino a loro tavolo ‹‹questa era già qui›› ‹ma se me l'hai chiesto cinqu..-›› ‹‹-..ma ce ne puoi portare una piena??? per favore›› tentò, con un subdolo movimento di testa, di far capire alla ragazza che non era più solo! e che non voleva far la figura di quello disperato che nell'attesa si era finito due pacchetti di pringles. Stranamente, lei sembrò captare il messaggio, e non aggiunse altro: connor era piuttosto certo volesse ancora ucciderlo, ma perlomeno l'avrebbe graziato non facendolo davanti a scott.
    A quel punto riportò l'attenzione su scott e «come… come va?» meh: aveva vissuto tempi migliori ‹‹..bene, credo?? Mi sto riabituando al clima di Londra›› perchè, in caso non fossero bastati solo i suoi problemi e le sue pare esistenziali, a togliergli ancor più la voglia di vivere ci aveva pensato anche il tempo: era passato da un giorno all'altro dallo stare in spiaggia ad abbronzarsi a doversi coprire con due maglioni + cappotto ed a vedere il sole solo in foto. ‹‹tu invece, come stai??›› e avrebbe potuto fermarsi lì, sapete: una normale e tranquilla conversazione tra due persone che non si vedevano da un po'.
    O avrebbe potuto toccare un altro argomento sicuro, chiedendogli ad esempio come andava il lavoro.
    Ma no, dato che oramai un piede nella fossa ce l'aveva già, tanto valeva buttarci anche l'altro. ‹‹ho incrociato tua sorella oggi›› era stato ad hogwarts per andare a fare il controllo di routine a different lodge ‹‹era...in ritardo, credo? correva, non penso nemmeno mi abbia visto›› se non fosse sparita in un secondo oltre l'angolo, senza dubbio connor si sarebbe fermato a salutarla ‹‹quindi... sta bene, vero?›› Nonostante ciò che era successo: perchè, nonostante le rassicurazioni di isaac, avere un'altra conferma aiutava ‹‹i...tornati, stanno bene?›› anche se sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto parlare davvero con stiles, e non continuare ad accertarsi delle sue condizioni di salute attraverso altre persone.
    Se non in qualità di fratello, glielo doveva comunque in quanto amico. Già detto quanto fosse incapace di affrontare i problemi, soprattutto quelli creati per colpa sua e della sua tendenza a lasciar le cose in sospeso???? Ecco, già esser lì con scott era un enorme passo avanti.
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    A volte si chiedeva cosa l’avesse colpito di Connor Walsh, quando l’aveva intravisto per la prima volta in assoluto durante il tirocinio al Ministero – e quelle successive, tanto a Londra quanto al castello. Così – senza un vero e preciso motivo, nonché in momenti totalmente casuali della propria vita: poteva succedere prima di assopirsi, tenendolo sveglio più di quanto fosse giusto o lecito fare, costringendolo a rigirarsi più volte sotto le coperte per costringersi a dormire; poteva capitare durante il colloquio con un cliente tedioso, rendendo imbarazzante il confronto ma più piacevole quello strazio. O, perché no?, ritrovandoselo davanti dopo mesi di silenzio stampa, entrambi comodamente seduti ad un tavolo de I Tre Manici di Scopa con più ansia a separarli che non ossigeno da respirare. Non che fosse in qualche modo stupito o contrariato da quell’attrazione, e se si ritrovava a domandarselo – gli occhi verdi fissi contro un muro o persi nello sguardo del diretto interessato, non faceva molta differenza se non per l’imbarazzo a tingere di rosso le goti del minore –, non era perché non gli piacesse l’idea; era soltanto, sinceramente, curioso. Confuso, spesso e volentieri: aveva imparato ad essere razionale nel corso degli anni, e riflettendoci sopra quando andava in blackout per colpa del legionario sapeva di aver impostato l’asticella dei propri standard troppo in alto, rispetto a ciò che poteva realmente ottenere.
    Connor, era troppo più in là di quel che uno Scott Noah Chipmunks poteva raggiungere. Così tanto, che lo scemare dell’insistenza di quei pensieri nel corso degli ultimi mesi gli aveva donato fitte di terribilmente dolorosa serenità. Se n’era andato lontano senza mai dirgli nulla – perché mai avrebbe dovuto?, giustamente –, sparendo dai radar del giovane magiavvocato quel tanto che era bastato a farlo disilludere: un po’, mai abbastanza; di certo quanto sufficiente per rendersi conto fosse tutto principalmente nella propria testa. Non che ne fosse felice, sia chiaro, ma forse era giusto così.
    Era quell’essere al di là dei propri canoni, che l’aveva colpito. Era stata la camminata disinvolta per i corridoi tra un ufficio e l’altro della sede governativa, ed il sorriso che caldo e naturale affiorava sulle labbra quando si ritrovava ad Hogwarts – che fosse per i controlli al Different Lodge, o per assistere un professore per qualche lezione. Era stata quella dolcezza, insita in ogni movimento dell’ex Corvonero – quella pacatezza, quella genuinità.
    Giusto?
    Sì, ma no. Certamente Scott aveva notato da subito tanti piccoli dettagli del moro, ma c’era stato un momento preciso in cui lo aveva condannato a sognarselo la notte: quando aveva fatto irruzione nell’ufficio del suo tutore, in un evidente attacco d’ansia e disagio. Si era reso più concreto, meno ideale; tangibile, laddove inizialmente aveva sempre avuto l’aspetto di un idolo irraggiungibile per un mero adolescente.
    Era un disagiato – ma sicuramente meno sfigato del Chipmunks, più cool, e senz’ombra di dubbio molto più capace a mascherare questo suo aspetto. Dovette abbassare la testa e grattarsi il sopracciglio nervosamente, quando il Walsh prese a gesticolare per far notare alla cameriera la sua presenza, per nascondere appena in parte il sorrisetto divertito a far capolino sulla bocca; era stato così carino, che non gli sembrava davvero il caso di scoppiargli a ridere isterico in faccia. Senza contare che l’occhiata della donna lo avrebbe messo in seria soggezione, casomai avesse incontrato il proprio: meglio evitare.
    E poi era ancora “arrabbiato” con l’altro: doveva quantomeno fingere un certo contegno e non far prevalere la propria inadeguatezza sociale. «..bene, credo? mi sto riabituando al clima di londra» annuì solenne, le iridi grigio-verdi a trovare particolarmente affascinanti tutte le patatine della ciotola: ce n’era una a forma di… patata?
    Sono patat-ine, Scott.
    Ah già. «mh-m» fortuna che c’erano i suoi pensieri sconnessi, a distrarlo. Non avrebbe saputo davvero cosa rispondere, se non un dove sei stato? che non aveva intenzione di pronunciare. Si strinse nelle spalle innocentemente, quando gli venne rigirata la domanda. «bene, alla fine ci siamo diplomati a settembre» mormorò, addentando una pringles e rischiando di morirne ucciso: in che senso non poteva mandarla giù praticamente intera senza il pericolo di venirne soffocato? Doveva mangiare o doveva parlare? Dov’era Erin, perché ancora non poneva fine alle sue sofferenze? «… e langdon mi ha subito preso nel suo team.» ponderò se tentare di nuovo la sorte, ma alla fine decise di attendere che tornasse la cameriera per chiedere aiuto qualcosa da bere – sperando che, almeno quello, non attentasse alla sua vita. O forse sperando l’esatto contrario. «ho anche un mio ufficio.» arcuò le sopracciglia castane, cercando fugace gli occhi dell’altro; non c’era bisogno di dirgli fosse uno sgabuzzino in cui era stato relegato a mettere al proprio posto tutte le scartoffie per fare gavetta. Voleva darsi un tono.
    Senza, certo, pensare che anche Connor lavorava al Ministero e presto o tardi avrebbe scoperto il suo inganno.
    Con la stessa involontaria facilità con cui aveva trovato il cioccolato negli occhi del Walsh, distolse la propria attenzione dal ragazzo, trovando più emozionante fissarsi sulle dita intrecciate delle proprie mani sul legno del tavolo. «sicuramente era in ritardo» piegò un angolo delle labbra, un mezzo sorriso spontaneo ogni qualvolta si parlasse della sorella – almeno, quando si parlava di lei in determinate occasioni. Ad esempio, quando capitava il suo nome in una conversazione con Mehan si attivava l’istinto da fratello maggiore (che non era, tra l’altro: erano gemelli, ma nessuno aveva mai capito chi fosse il più grande; nemmeno quella gioia) in protezione della ragazza; amava il Tryhard come fosse di famiglia, assolutamente ed indiscutibilmente, ma era la sua Erin, capite?
    Oppure, quando si andava a parare laddove era certo volesse finire l’altro. Un discorso che capitava sempre troppo spesso, e di cui Scott aveva sempre meno voglia di parlare. «quindi… sta bene, vero? i… tornati, stanno bene?» quel sono morti che premeva tra i denti stretti tra loro, lo tenne per sé. Lo ingoiò come bile amara, un antidolorifico acido e scaduto che tutto faceva meno che alleviare la sofferenza. «stanno… bene, sì» umettò le labbra, alzando di poco il capo. Non gli disse che temeva mai sarebbero più stati davvero bene; non glielo disse, di tutte le volte che Erin aveva difficoltà a svegliarsi andava nel panico fino a quando non riprendeva conoscenza. Non gli disse alcunché, perché non era certo che avrebbe potuto capire – e se l’avesse potuto fare, non voleva ammorbarlo dei propri patemi. «non è facile, ma vanno avanti.» più morbido, tanto Scott quanto la propria espressione: quella era l’unica verità che potesse dargli davvero.
    «scusa se te lo chiedo…» il cambio di argomento fu quasi immediato: voleva parlare il meno possibile di quanto accaduto a giugno, ed a luglio e di tutte le conseguenze che quegli episodi avevano avuto nelle loro vite. E poi, aveva bisogno di sapere. «ma perché» mi hai invitato qui? Perché non ti sei fatto vivo per mesi? Perché non mi hai mai detto nulla? Perché - «te ne sei andato?» lo soffiò quasi fosse un’unica parola, già pentendosi di aver aperto bocca.
    Onestamente, quel che avrebbe davvero voluto domandargli era perché fossero lì. O perché non si stesse zitto: era lui l’ospite, doveva lasciar parlare l’altro. «sì insomma, con tutto quello che è successo, io…» ti ho un po’ odiato? Vero, ma non del tutto: «ero preoccupato.»
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    Se avesse potuto, il ragazzo avrebbe inviato un "è arrivato ORA CHE FACCIO??" come sos a sharyn, dato che la prospettiva che scott si presentasse sul serio non era stata davvero presa in considerazione, nè da lui nè dalla winston. Ma ovviamente non poteva mica mettersi a usare il telefono in quel momento, era una mossa da persone maleducate e connor stava tentando di riguadagnare tutti i punti persi sparendo da un giorno all'altro, quindi non poteva permetterselo. E così l'unica cosa che gli restava era immaginare cosa shar avrebbe risposto alle sue richiese d'aiuto, e trattenere l'istinto di afferrare il telefono, lasciandolo a faccia in giù sul tavolo: grazie a dio lo aveva impostato su silenzioso dal lontano 2010 (#cos) quindi scott non si sarebbe mai accorto dei tremila messaggi che gli stavano arrivando in quel momento. Connor invece, seppur non potendoli vedere o sentire, sapeva che stavano arrivando: era passato dall'inviarle un messaggio al secondo allo sparire all'improvviso, di sicuro si stava chiedendo il perchè!! O forse - cosa molto più probabile, ma non diciamolo al walsh - l'amica aveva tirato un sospiro di sollievo, felice finalmente di essersi liberata dai suoi petulanti messaggi.
    «bene, alla fine ci siamo diplomati a settembre» ogni tanto - troppo spesso - dimenticava che scott aveva la stessa età di sua sorella: forse perchè l'aveva conosciuto al ministero, e solo più tardi aveva scoperto che era ancora un tirocinante, forse perchè quando lo vedeva sembrava sempre così serio e... responsabile? già adulto, ben diverso da una maple o, a dirla tutta, persino da un connor qualche anno prima (ma chi vogliamo prendere in giro, anche ora) «… e langdon mi ha subito preso nel suo team.» ‹‹cavolo, complimenti!›› ovviamente l'aveva immaginato ma.. aveva dato per scontato fosse ancora in prova?? di solito ti tenevano in prova per un po', o almeno, questo era quello che avevano detto a connor non appena aveva messo piede al ministero. Forse però le cose erano un po' diverse facendo già da prima il tirocinio «ho anche un mio ufficio.» ???? Non fraintendetelo: era davvero felice per scott e il fatto di avere già un ufficio tutto suo era la prova concreta della sua bravura, ma cavolo! ora era proprio il solo a non avere un ufficio proprio. Lavorava da quanto lì dentro... tre anni??? Okay, le sue prestazioni non erano proprio il massimo e vabbè forse prendeva sempre un po' i propri compiti sotto gamba, ma tre anni!!! Gli sarebbe bastato anche uno sgabuzzino o.. che so, un vecchio bagno non più in uso: voleva solo una stanza per sè dove starsene in pace senza beccarsi costantemente le urla del suo capo e dove poter cazzeggiare in tranquillità.
    Forse è proprio per questo che non te lo danno, idiota
    Meh, forse.
    Comunque ‹‹questa è una notizia che merita un brindisi!›› cavolo: se l'ufficio l'avesse guadagnato lui si sarebbe scolato direttamente tutto il bar. E fece per alzare il bicchiere ma.. ah no, non avevano i bicchieri ‹‹...tra poco›› anche perchè era certo la cameriera sarebbe ripassata dopo un sacco, vista la quantità spropositata di patatine che connor aveva mangiato nell'attesa, preso dal nervosismo.
    E poi ecco che l'argomento si spostò su cose che forse il walsh non avrebbe voluto affrontare, ma che hey! guardate un po' che genio che era, proprio da lui era uscito fuori il discorso! Ma non poteva stare zitto?? O magari parlarne un po' più in là, dopo aver conversato di cose normali?? E invece no, piuttosto che argomenti "sicuri" come.. che so, il meteo o il campionato scolastico di quidditch, la sua bocca aveva parlato senza connettersi con il cervello e così erano arrivati lì. «stanno… bene, sì» ma sì connor, vagli a fare domande sulla sorella morta e poi risorta: mi sembra il top per un primo (kind of: non poteva davvero definirlo tale) appuntamento. «non è facile, ma vanno avanti.» e scott era pure così educato e gentile da rispondergli: un po' lo odiava, sapete? Si sarebbe sentito molto di più a posto con la sua coscienza se fosse stato.. uno stronzo, o anche solo un minimo scortese. E invece no, era uno /scott/.
    «scusa se te lo chiedo…» ...ma a te che cazzo te ne frega?? Un po' se lo aspettava, un po' ci sperava: del resto se l'era cercata «ma perché te ne sei andato?» ah
    Era in circostanze come queste, che il cervello di connor riusciva a pensare ad una sola cosa: scappa. Funzionava semplicemente così: non appena c'era un problema, o una situazione che non voleva affrontare, o una domanda alla quale sarebbe stato difficile rispondere, il primo istinto del ragazzo era quello di andarsene.
    Ma era scott: sarebbe stato un vero cretino, se fosse fuggito di nuovo. Soprattutto perchè.. «sì insomma, con tutto quello che è successo, io…ero preoccupato.»
    Capite?
    Si era presentato lì ai tre manici di scopa, quando connor aveva dato per scontato non l'avrebbe mai fatto.
    Aveva risposto alla sua domanda su erin, quando avrebbe tranquillamente potuto mandarlo a quel paese o far finta di nulla e passare oltre.
    Si era preoccupato per lui e per la sua sparizione improvvisa, e diamine connor si sentì ancora più uno schifo per non avergli detto nulla prima di partire.
    Che fino a quel momento, non aveva mai immaginato che a scott sarebbe potuto importare.
    ‹‹è stata una cosa decisa all'ultimo minuto›› non ci aveva nemmeno riflettuto su: aveva fatto le valigie ed era partito per il posto più esotico a cui aveva pensato ‹‹io...›› avevo bisogno di andarmene e non pensare ‹‹..mi serviva del tempo›› non aveva ancora detto a nessuno il perchè, e a chiunque altro gliel'aveva chiesto, aveva rifilato la solita scusa del "volevo del tempo per dipingere blablabla avevo bisogno di staccare dal lavoro blablabla sapete che il mare in polynesia è davvero bellissimo???"
    Ma.. c'era un grande ma: non se la sentiva di fare lo stesso con scott. Non ce la faceva, capite? Più lo guardava negli occhi più sentiva che meritava la verità, e non una scusa come le altre.
    E poi non l'aveva ancora mai detto ad alta voce: era tempo di iniziare a far pratica.
    Tutto d'un fiato? Tutto d'un fiato ‹‹ho saputo che mio padre non è in realtà mio padre, mia sorella lo è solo per metà, ho altri due fratelli a londra con cui non ho ancora trovato il coraggio di parlare e...›› che altro? ‹‹..se fossi rimasto a lavoro avrei rischiato di impazzire›› Diamine se si sentiva meglio! Era come se una parte di tutto il peso che l'aveva schiacciato per mesi fosse svanita nel nulla. ‹‹... è la prima volta che lo dico ad alta voce›› forse doveva iniziare a farlo più spesso? non era stato poi così tragico come aveva pensato ‹‹non pensavo sarebbe stato così.. liberatorio››
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    «questa è una notizia che merita un brindisi!»
    Scott Chipmunks, e si chiese anche lui come fosse possibile fare tutto quanto insieme, deglutì abbassando il capo e soffocando una risatina isterica dietro un colpo di tosse: ne fuoriuscì una specie di grugnito acuto, ma confidava Connor non se ne fosse accorto. O che, nel caso contrario, avesse attribuito quel suono astruso ad un maiale qualsiasi di passaggio, ed anche abbastanza intonato da raggiungere ottave che ai normali suini non appartenevano. E sì, confidava ci fosse un maiale ai Tre Manici di Scopa: non erano troppo lontani dalla Testa di Porco, in fin dei conti; ci stava. «ma no, che brindisi, figurati» e sorrise, nascondendo dietro la piega sulle labbra il fatto che ne sarebbe, letteralmente, morto. Ed era maledettamente serio: sarebbe potuto fuggire da quel tavolo per molto meno, tipo per il fatto di esistere in quel preciso istante dello spazio e del tempo – come avrebbe detto una saggia elettrocineta solo qualche mese più avanti, alle prese con una frattura dimensionale abitata da funghi malvagi e con due cowboy al suo seguito –; l’idea che il Walsh potesse bere alla sua salute non lo terrorizzava, ma lo metteva abbastanza a disagio da fargli decidere che, infine, fosse giunto il momento di togliere il disturbo per quel giorno. Non gli sembrava il caso lo facesse, anche se a conti fatti nessuno se li sarebbe filati di striscio, soprattutto perché si stava congratulando per lui per una cosa non così vera. Aveva uno sgabuzzino, non un vero ufficio, ed era comunque il più sfigato del team di Langdon. Non esisteva un solo universo nel quale il dire quella stronzata fosse stata una buona idea.
    Fortuna che non avessero, comunque, alcun calice da alzare in suo onore.
    Ed anche che il legionario fosse abbastanza inopportuno da lasciar cadere il discorso su argomenti che probabilmente nessuno dei due avrebbe voluto affrontare in quel frangente. Di sicuro, almeno, Scott non voleva parlare di giugno – o di come stesse Erin, o di quanto fosse stato male lui, o di tutto ciò che poteva riguardare quella storia.
    Per quanto, egoisticamente e stupidamente, potesse aver odiato il Walsh per essersene andato senza pensare di avvisare un perfetto estraneo qual era l’avvocato per il maggiore, pensare a lui non era mai equivalso al tornare a quella terribile notte. Aveva, anzi, sempre significato l’esatto opposto: rintanarsi nei ricordi, vaghi e confusi, in cui lo aveva visto lo distraeva – perlopiù, da se stesso. Non era certo del come, o del quando fosse accaduto, ma aveva fatto della cotta nutrita per il moro una specie di stato cuscinetto, a metà tra la propria stabilità mentale e la rabbia cieca, la depressione, l’odio per sé e per tutti quelli che, come lui, non avevano potuto fare nulla per cambiare le cose, fino a quando queste non erano cambiate da sole. Rimbalzava sull’idea che si era fatto del ragazzo con grazia e leggerezza, tornando ad uno status quo socialmente accettabile, ogni volta che ne aveva bisogno.
    Connor non era nessuno per Scott, così come Scott non era nessuno per Connor. Ma quel sorriso imbarazzato che aveva intravisto nell’ufficio al Ministero, quegli occhi caldi, erano tutto ciò che non erano loro – e che probabilmente non sarebbero mai stati, ma tanto il diciannovenne si sarebbe accontentato anche di avere un amico nella persona seduta di fronte a sé.
    La voglia di sotterrarsi era ancora tanta, ma quando avevano affrontato quell’argomento aveva creduto si fosse attenuata. La figura di merda, a quel punto, era tutta dello scomparso; non glielo avrebbe fatto notare, sarebbe stato un colpo basso, ma in cuor suo era vagamente più sollevato.
    «è stata una cosa decisa all'ultimo minuto. io… mi serviva del tempo» Scott si grattò sovrappensiero il sopracciglio chiaro, chinando lo sguardo sulla ciotola di patatine al centro del tavolo; cercò di schiarirsi la voce, ma grattò più del dovuto contro le pareti della gola e si rese conto che non sapeva davvero come rispondere. Aveva posto la domanda senza averci davvero pensato su, e non si era aspettato niente come replica dall’altro, ma sebbene gli sembrasse d’essere in una conversazione senza vie d’uscita non si pentiva d’averlo chiesto. In fin dei conti non era partita da lui la richiesta di vedersi, e ci stava che avesse i suoi… dubbi, se tali poteva definirli. Insomma: prima lo invitava a prendere un caffè, e poi spariva nell’etere; aveva il diritto di chiedergli perché lo avesse appeso in un modo tanto rude, ma non aveva pretese da parte sua. «mh, capisco...» sussurrò sincero; magari non capiva completamente le sue intenzioni, ma capiva la voglia e la necessità di andarsene. Avrebbe voluto poterlo fare anche lui, più volte di quante Connor potesse immaginare. In più, aveva sempre sofferto quell’esperienza sotto il suo unico punto di vista, per il semplice fatto che il proprio dolore non gli aveva permesso di considerare quello degli altri; poi, però, si era reso conto di non avergli mai chiesto, per esempio, quale fosse stata la sua Erin. Dio, non voleva tirargliela, ma… erano morti in così tanti, quel giorno; che ne poteva sapere, il Chipmunks, di chi avesse visto morire lui?
    Alzò gli occhi, trovando quelli scuri ad osservarlo, e fece per aprire bocca – e dire qualcosa di stupido, tipo “cosa ne pensi della teoria del complotto per la quale sia Micheal Jackson che Elvis Presley sarebbero ancora vivi, a fare la bella vita in qualche isola del Pacifico?” senza un vero motivo se non l’ansia a picchiettargli sulla spalla come la vecchia amica qual era – salvo poi lasciarla dischiusa ma senza far uscire un fiato. «ho saputo che mio padre non è in realtà mio padre, mia sorella lo è solo per metà, ho altri due fratelli a londra con cui non ho ancora trovato il coraggio di parlare e… se fossi rimasto a lavoro avrei rischiato di impazzire» a quel punto, conscio che fosse il suo turno di sentirsi una merda calpestata – sì, sempre a caso, che poteva farci –, strinse le labbra tra loro. Si trattenne così tanto dalla tentazione di voltarsi e chiedergli se stesse parlando con lui, o se fosse arrivata, non so, Sharyn, e avesse intenzione di dire la rivelazione della sua vita a lei. Ma lo stava fissando così intensamente che dubitava si fosse rivolto a qualcun altro.
    «io…» non so come rispondere? «… è la prima volta che lo dico ad alta voce, non pensavo sarebbe stato così liberatorio» ah, pure!
    Non si stava affatto pentendo di essersi presentato ai Tre Manici di Scopa, era sinceramente felice di essere stato il… prete della sua confessione? Ma… non aveva Ave Maria da dargli, o roba simile. O meglio, li avrebbe avuti – non le preghiere, eh –, ma avrebbe implicato spiattellargli il fatto di venire dal futuro e tutta la tragedia che quel dato di fatto portasse con sé. Lo capiva, lo capiva così maledettamente bene, ma non poteva dirgli il perché: in fin dei conti, essere stato adottato non era la stessa cosa di scoprire che tua madre tradiva tuo padre (credeva? faceva ipotesi, era il suo lavoro) e che hai altri fratelli e quella che hai lo è solo in parte.
    «… cavolo» che arguzia, Scott. Chissà come aveva fatto a diventare avvocato: se lo chiedeva spesso. «non… so davvero cosa dire.» si avvicinò un po’ di più al tavolo, i gomiti poggiati sul bordo di legno e le braccia strette al petto. «hai fatto bene ad andartene. cioè, spero sia servito a qualcosa?» non sapeva parlare. «voglio dire… come stai?» che, alla fine, era l’unica cosa gli interessasse della faccenda. «sei tornato per questo, quindi? per parlare ai tuoi fratelli?» comprensibile; e allora perché aveva chiaramente sentito il cuore palpitare un po’ più veloce?
    Perché magari è tornato solo per quello, Noah.
    Avrebbe davvero dovuto chiedergli perché fossero lì, eh sì.
    Ma non lo fece. «sono felice» ma di cosa? Eh boh, però sorrise. «cioè, sì, che ti sia liberato… dev’essere stato un bel peso, non posso davvero immaginare.» eh sì, perché invece vedere Lydia e Jay tutti i giorni (quest’ultimo un po’ di meno, solo quando decideva di non andare a spasso per le dimensioni o per il tempo) e non dire loro di essere i loro figli, invece, per lui ed Erin era un picnic. Ma quella, era un’altra storia.
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    «non… so davvero cosa dire.» o mio dio, l'aveva messo in imbarazzo. Non aveva dato a scott nemmeno il tempo di sedersi ed ecco che gli aveva riversato addosso i suoi problemi: era un idiota. L'avrebbe compreso, se il Chipmunks avesse deciso di alzarsi ed andar via, magari inventando una scusa su due piedi come "uh mia sorella mi ha inviato un sos, devo andare" o "ma oggi è giovedì? damn ero davvero convinto fosse venerdì, scusami ho un impegno improrogabile devo andare!!" perchè.. beh, se si fosse trovato al suo posto probabilmente avrebbe usato quelle esatte parole per scappar via di lì. Ma fortunatamente il mondo non era abitato solo da idioti persone il cui primo istinto era quello di fuggire come lui, e connor apprezzò davvero tanto il coraggio del chipmunks a rimanere fermo sul posto, anche perchè, con le ordinazioni non ancora prese - era ormai evidente che la cameriera si stesse vendicando nei confronti di connor, dilatando quel tempo d'attesa all'infinito - non sarebbe nemmeno stato poi così imbarazzante alzarsi ed andar via. Ed effettivamente non avrebbe dovuto stupirlo poi così tanto, il fatto che il ragazzo fosse rimasto: già il semplice essersi presentato dimostrava quanto scott chipmunks fosse una persona con gusti discutibili di buon cuore. O semplicemente ben educata, ma connor ce l'aveva già con i suoi genitori per così tante altre cose, in quel periodo, da non potersi permettere di avercela con loro anche per non avergli insegnato a comportarsi a dovere con le persone, quindi di quest'ultimo particolare preferiva addossarsene tutta la colpa. «hai fatto bene ad andartene. cioè, spero sia servito a qualcosa?» alzò leggermente le spalle, un gesto che da solo poteva bastare per esprimere lo stato d'animo del ragazzo: meh (e non il tryhard). E dovette mordersi l'interno del labbro, per spostare l'attenzione sulla ferita che si era fatto e che, ne era certo, il giorno successivo avrebbe bruciato da morire bevendo il suo amato succo all'ace: tutto, pur di impedire a se stesso di uscirsene con qualcosa come "sì, per abbronzarmi e sbronzarmi" o "ad imparare la hula! con tanto di gonnellino di foglie, come in lilo e stitch". Non che credesse davvero scott lo ritenesse una persona con dignità - ahimè, quella l'aveva persa tempo prima - ma ritenne giusto comunque provare a mantenere una parvenza di serietà. Del resto erano seduti in un locale, mica davanti ad un cantiere a fissar piccioni con sin: lì si che sarebbe stato più complicato. «sei tornato per questo, quindi? per parlare ai tuoi fratelli?» no
    Non sarebbe stato poi così difficile, mostrare una versione migliore di quello che era: dire che sì, aveva fatto le valigie perchè il desiderio di entrare in contatto con quel pezzo della sua famiglia mancante, di cui era stato ignaro per una vita intera, e di cui non era più un grado di sopportare l'assenza. Sarebbe potuto passare per adulto responsabile, una persona matura, ma connor poteva avere tanti (troppi) difetti, ma non era mai stato un bugiardo. E maturo, anche se con ventun anni di vita alle spalle, un diploma e tutti e quattro i denti del giudizio già spuntati, non lo era mai diventato ‹‹...avevo finito i soldi›› riusciva a sentirla chiarissima in testa, la voce di sharyn: connor walsh, sei proprio una bestia. Tentò di salvare la situazione con una risata, che un orecchio più attendo - aka: quello di maple - avrebbe captato come falzISSIMA come simona qual era, ma per chiunque altro sarebbe potuta passare come naturale. Poi il tono divenne più serio, un ‹‹vorrei prima parlarne con maple, ma non so come›› e no, non solo perchè un discorso con la sorella avrebbe comportato il doversi spostare dall'altra parte del mondo: era proprio il coraggio di dirglielo, che al ragazzo mancava. E, anche se non così bene - del resto chi era connor walsh per scott chipmunks? nessuno - sapeva quanto per scott fosse importante il legame con sua sorella, ed era stato spettatore impotente del momento in cui l'aveva persa: il dolore che doveva aver provato per la morte di erin non era certo comparabile a quello, nemmeno lontanamente, ma in parte... poteva capirlo, no? In fin dei conti la paura di base era sempre la stessa: perdere una sorella per sempre.
    «sono felice» ed il walsh non lo era mai stato davvero, da quando aveva messo di nuovo piede in Inghilterra, ma quel sorriso sul volto del magiavvocato fece subito sentir meglio anche lui ‹‹già.. mi sento meno schiacciato›› certo, gli restava ancora da trovare il coraggio per dire a sua sorella e soprattutto a stiles e nicole - come l'avrebbero presa loro? già la reazione di maple era un mistero, e con lei era stato dal momento in cui era nata, figuriamoci quella degli altri due fratelli - ma quello di dire ad alta voce quelle parole era già stato un primo passo. Al come affrontare la sua famiglia ci avrebbe pensato dopo: del resto aveva la medaglia d'oro in procrastinazione. ‹‹grazie per non esser scappato›› cosa? cosa. Damn, ma l'aveva detto ad alta voce?? Non gli restava altro da fare che play it cool ‹‹..ordINIAMO?›› .. scappa scott, non è ancora troppo tardi.

    ‹‹ora ho una scrivania vera›› grande abbastanza da poggiarci tutti e due i gomiti, un sogno. L’arrivo di Nicky al ministero era stato una vera e propria benedizione, per il walsh: ora che erano in due, il capo poteva distribuire la sua frustrazione contro la vita nei confronti di due anime e non una sola. E grazie alla winston, connor aveva finalmente qualcuno con cui lamentarsi della vita lavoro e con cui poteva perdersi a disegnare tranquillamente, senza la paura che potesse far la spia ‹‹e mia sorella è quella ad inviarmi le foto di viaggio, adesso›› assurdo pensare come un anno prima fosse stato lui ad inviarle spiagge cristalline e tramonti mozzafiato, ed ora eccoli lì a parti invertite. Avevano passato tutte le vacanze estive insieme in giro per il mondo, sfruttando i soldi dei signori walsh - eh, i pregi di ascoltare i consigli della sorella e provare a sistemare i rapporti con i genitori: viaggi gratis per comprarsi il suo perdono - e vedendo posti bellissimi, e l’unico momento negativo era stato quello in cui connor aveva dovuto mettersi in viaggio per tornare a casa. Ma, a differenza di un anno prima, l’aveva fatto con uno spirito diverso: non era più soffocato dalla paura di perder una parte della sua famiglia e di non esser ben accettato da quella che di lui non sapeva ancora nulla, ma al contrario adesso aveva due fratelli in più con cui condividere il peso della vita. ‹‹e mi stai dicendo tutto questo perché...?›› ma come! ‹‹e io che pensavo fossimo amici›› evidentemente in un anno una cosa non era cambiata affatto: la cameriera dei tre manici lo odiava ancora. Perché poi??? Ce l’aveva ancora per le patatine?????? Che puntualmente chiedeva senza vergogna ogni singola volta che andava li?????? A giudicare dallo sguardo glaciale che le rivolse . ‹‹...okay non parlo più›› avrebbe finito la sua burrobirra in silenzio anche se, ne era certissimo, ci fosse un contratto morale a vincolare i baristi ad ascoltare i clienti al bancone ed il loro daily drama ‹‹a patto che...›› okay, lo avrebbe cacciato: glielo vedeva proprio scritto in faccia, e lui stesso sapeva di star sfidando la sorte ‹‹..qualche patatina come aperitivo?? .. o qualche oliva, due taralli, dai qualcosa›› oh, i geni walsh erano quelli del resto: era sveglio quindi aveva fame
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    ho scritto questo post tra una camomilla alla melatonina ed una lezione di statistica, non so davvero
     
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