Preso dalla novità di quella nuova relazione e travolto da sentimenti mai provati, Gideon aveva fatto qualcosa di molto, molto sbagliato, un errore comune a molti giovani innamorati che, ignari di ciò che sarebbe potuto succedere dopo, si lasciavano andare ingenuamente, con serenità e senza riserve, tra le braccia della persona amata, donandogli anima, cuore e corpo. In quei mesi si era dato totalmente a Narah, buttandosi tra le sue braccia, come da un aeroplano senza un paracadute che potesse salvarlo dallo sfracellarsi al suolo. Adesso stava cadendo e, nonostante ne fosse del tutto consapevole, non riusciva a frenare quella discesa, poteva solo aspettare che finisse, e sperava accadesse presto. Attendeva solo di sentire il nulla assoluto, che avrebbe decretato la fine di quella sofferenza, una morte che avrebbe dovuto essere veloce. Il punto era che Gideon non aveva davvero mai pensato che potesse finire, non si era proprio mai posto il problema, non aveva analizzato la cosa, non aveva tirato una lista di pro e contro come era solito fare per tutto ed aveva sbagliato ad affidarsi alla cieca a qualcun'altro, aveva toppato ad affidare il proprio cuore a qualcuno che non fosse sè stesso senza avere un piano B d'emergenza, o anche un piano C o un piano D. Era giovane, era ingenuo, del tutto inesperto nelle materie che riguardavano il cuore e che non fossero l'anatomia. Era convinto di essere abbastanza sveglio da rendersi conto della propria situazione, abbastanza forte da cercare di sopravviverle ed andare avanti, ma nonostante i buoni propositi, non ci stava riuscendo benissimo. Qualsiasi cosa facesse, sia parlare con i compagni, fare i compiti, mangiare o allenarsi, il suo pensiero andava a lei, sempre, di continuo. Ed anche quando pensava di essersi distratto, per un po', il pensiero di Narah tornava a mandargli via il sorriso, a scacciare quella flebile luce che gli aveva sempre illuminato lo sguardo. E diventava schivo, trovava una scusa per stare da solo, isolandosi. I primi giorni di distacco da Narah erano trascorsi in maniera lenta, fredda ed intrisa di panico. Si alzava presto puntualmente e frequentava gli ambienti in cui sapeva l'avrebbe incontrata, solo per poterla vedere. Non si era nemmeno preoccupato di far guarire quelle ferite che gli deturpavano il volto, non si preoccupava più tanto del suo aspetto estetico, nè di come potesse apparire agli altri. Era evidente che stesse attraversando un momento difficile. Una lotta interiore non semplice. Si era ripromesso di lasciare i propri spazi, ma non aveva esitato a cercare il suo sguardo nei corridoi o nella Sala grande, per trovare quel contatto perso, riscoprire che forse, quella maledetta sera, era andata molto meglio di ciò che ricordava e che la sua mente aveva lavorato per produrre ricordi falsati e del tutto inesatti. Quando poi la vedeva, il suo cuore sussultava e gli veniva voglia di piangere di nuovo, in modo così palese che chiunque avrebbe potuto leggerglielo in volto. Diventava rosso ed era evidente che stesse trattenendo un gran pianto, in particolare quando si rendeva conto che lei non aveva alcuna voglia di vederlo, nè tanto meno di parlarci. Narah, straordinariamente ostinata, lo evitava, cambiava strada quando lo incrociava nei corridoi. Okay, aveva pensato che sarebbe potuta finire così? No. MAI. O meglio, lo aveva pensato ma realizzarlo era tutta un'altra cosa. Il fatto che avessero discusso per le sue bugie, bastava per tagliare ogni rapporto così da un giorno all'altro? Come quando tagli un foglio di carta con una forbice? Preciso preciso senza strappi o fastidiosi lembi di troppo di mezzo. Dalla mattina alla sera, dal bianco al nero in meno di ventiquattro ore. Non ci credeva che stesse andando davvero così, non riusciva a capacitarsi del fatto che Narah riuscisse a vivere benissimo senza averlo intorno e lui stesse soffrendo come fosse all'inferno. Non sapeva come lei stesse, ma di sicuro riusciva ad evitarlo alla grande e questo a lui bastava. Non voleva che lei soffrisse quanto soffriva lui, certo che no, mai. Ma non voleva soffrire nemmeno lui, ecco. Si era immaginato tutto, nei mesi passati? Era stato l'unico a provare quelle emozioni con lei? Non le mancavano i momenti con lui? E le loro chiacchierate? E i suoi abbracci? Le mancava almeno la metà o un quarto di quanto lei mancasse a lui? La notte riusciva a malapena a serrare le palpebre, quando lo faceva, rischiava di sprofondare nei ricordi che poi si trasformavano in veri e propri incubi dai quali riusciva a fuggire, svegliandosi all'improvviso e più volte durante la notte. Le braccia avvolte al cuscino come se temesse che questo potesse scappare, ed il pigiama bagnato di sudore, o erano lacrime? I borbottii dei suoi compagni di dormitorio mettevano in evidenza un fatto importante: stava diventando petulante per tutti, nessuno lo sopportava più e si sentiva davvero molto solo. Allora provava a smettere di fare versi, ingoiava i singhiozzi e si concentrava a fissare il soffitto drappeggiato del letto, nella speranza di crollare, in un modo o nell'altro.
Dopo una settimana in cui lui si era comportato in maniera molto strana, Perses aveva deciso che offrirgli silenzioso supporto non bastava più, ed aveva provato a chiedergli cosa fosse successo, proponendogli anche di rivelargli il segreto dei suoi capelli super fluenti per tirarlo su di morale. Gideon, che l'anno prima aveva mentito anche a lui presentandosi come Guinevre, e temendo di essere abbandonato anche dall'amico, non aveva certo potuto dirgli tutta la verità, ma si era aperto per metà con lui spiegandogli che "aveva tradito Narah, ma non con un'altra persona". Ecco, in maniera non troppo specifica aveva tentato di fargli capire quanto grave fosse la sua posizione. Quello che mi fa più male, però, è la sua indifferenza. Come ci riesce? Perchè io non ci riesco? Io sto morendo, davvero. Sto morendo. Era ciò che sentiva, non riusciva a descrivere in altro modo la mancanza d'aria che lo sorprendeva quando non se lo aspettava, costringendolo a stringersi le mani al petto per alleviare il dolore e sedersi in un angolo, da solo. Aveva mal di testa continui, gli occhi arrossati e gonfi e non riusciva a concentrarsi più sulle lezioni. Il dolore che sentiva dentro era totalizzante e richiedeva ogni sua energia e tutte le sue attenzioni. Magari anche lei sta male, ma ha i suoi motivi per stare lontana. Aveva scosso la testa, convinto che lui non stesse capendo la situazione. Forse era lui lo stupido (probabile), forse non era affatto empatico come credeva, ma non riusciva a mettersi nei panni di Narah, non riusciva a spiegarsi come potesse comportarsi così da un giorno all'altro. Stare lontano da me le fa meno male che starmi vicino. E' questo che non capisco, per me è il contrario. E sai, la invidio. Vorrei tanto riuscirci anche io. Vorrei essere io quello che cambia strada quando la vede, vorrei essere quello che riesce a farne a meno. Vorrei essere quello che tiene le redini del rapporto e decide quando soffrire e quando no. Ma forse è giusto così, me lo merito. Voglio solo capire come ci riesce, a evitarmi, a girare la faccia quando mi vede. Voglio solo capire, ma ho paura di scoprire che per lei non è stato lo stesso questi mesi, che non è stato importante.
Ed erano passati altri giorni, giornate tristi, sempre più fredde, durante le quali Gideon non aveva mai smesso di sperare che Narah cambiasse idea su di loro. Giornate in cui si era sentito debole, stupido, la parte fragile di quella coppia, che coppia non era più. Più i giorni passavano, più Gideon si domandava cosa avesse lui di sbagliato, perchè non riusciva a staccarsene come aveva fatto lei, evitandola? Perchè non riusciva a metterci una dannata pietra sopra come facevano tutti i suoi compagni alle loro prime delusioni d'amore? Due settimane, quindici giorni in cui si era voluto convincere di non essere lui quello sbagliato, ma che fosse lei la cattiva. Due settimane in cui si era ripetuto quanto lei fosse stronza a comportarsi così, ma al tempo stesso, con molta incoerenza, due settimane in cui aveva aspettato un segno da parte sua. Uno solo, sarebbe bastato per far crollare quel misero muro di carte che si era costruito intorno, ancora troppo debole per potersi definire una barriera. Perchè in fondo, sapeva che lei aveva del tutto ragione, sapeva di aver sbagliato tutto. Quasi aveva rischiato di non sperarci più quando, infilando il libro di pozioni in borsa, aveva toccato il foglio di carta con il dorso della mano. L'aveva tirato fuori ed aperto, leggendo velocemente le poche righe scritte. E poi la sua riserva di lacrime aveva dato dimostrazione di essere infinita e spregevole, per l'ennesima e patetica volta. Signor McPherson, il compito assegnato è troppo difficile per lei? Sobbalzò, alzando lo sguardo verso la cattedra e notando la professoressa Anjelika Queen ancora seduta, con in mano alcune pergamene e lo sguardo scettico e freddo a scrutarlo da capo a piedi. N-no. Si affrettò a dire, colto in flagrante perchè convinto di essere solo. Mi scusi. Racimolò le ultime cose sul banco e si affrettò ad uscire dall'aula. Si era asciugato le lacrime con il mantello ed era corso nella Sala comune dei Corvonero, riuscendo ad entrarci dopo quindici minuti buoni perchè troppo impanicato per rispondere all'indovinello all'ingresso. Non capiva più un accidente, in verità, e l'unica cosa che voleva fare era una doccia, cambiarsi i vestiti e sistemarsi per incontrare Narah quella sera. Aveva deluso sè stesso, perchè per essere sempre stato un tipo razionale, negli ultimi tempi si era comportato da vero idiota. Ma soprattutto, aveva deluso Narah, che aveva riposto in lui fiducia ed era stata tradita. Fu proprio mentre si sbrigava per spogliarsi ed entrare sotto la doccia, che si rese conto di una cosa...fondamentale. Da quando stava con Narah, era diventato instabile. Era diventato impulsivo, emotivo, debole. E se lui era instabile, impulsivo, emotivo e debole come poteva credere di poterla rendere felice? Ma la colpa era solo sua, era lui che si sentiva così quando ci pensava e non esisteva niente di più sbagliato, niente di più morboso e non salutare. Eclissava il suo raziocinio quando c'era di mezzo Narah, ogni logica andava a farsi fottere. Non avrebbe dovuto dare il tutto per tutto per lei, non avrebbe dovuto farlo per nessuno, in realtà. Rimase in doccia più di quanto ne avesse davvero bisogno, ragionando su questo nuovo pensiero e cercando di integrarlo dentro di sè. Avrebbe voluto farne tesoro, così che diventasse un insegnamento. Doveva andarci con i piedi di piombo, e non buttarsi, di nuovo, tra le sue braccia che magari lo avrebbero anche rifiutato. Doveva essere più razionale, meno sensibile. Doveva farlo per proteggersi e perchè...quello non era lui. Quel ragazzino spaventato, sofferente ed impulsivo non era lui, era un difetto che poteva correggere e lo avrebbe fatto. Con più calma, recuperò dei vestiti puliti dall'armadio. Indossò una camicia nera ed un jeans dello stesso colore. Si sistemò i capelli, asciugandoli morbidi e senza dargli troppe attenzioni, poi recuperò una felpa ed uscì per trovarsi in orario sulla torre di astronomia. Arrivato in cima alla torre, con il cuore che martellava nel petto, la cercò, trovandola ridosso di una parete. Incrociò le braccia al petto, con fare protettivo verso sè stesso, come se volesse porre una distanza tra loro due. Rimase in silenzio, senza dire una parola. Avrebbe voluto abbracciarla? Certo. Quello sempre. La guardò, rendendosi conto che il suo volto tenero e famigliare gli procurava non poche fitte all'altezza del torace, ma non gli diede peso. Non doveva farsi confondere. Ragionando su quanto fossero intimi i silenzi, lo ruppe per primo. Volevi vedermi, Narah?
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