In my blood

Narah × Gideon

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    A dispetto delle sue speranze, la notte in cui era scappata da Gid neanche un singolo minuto non aveva chiuso occhio. Aveva rivissuto quella serata mille volte nella sua testa, eppure essa non si era fatta meno gravosa né le provocava meno sofferenza.
    Gideon le aveva mentito, aveva taciuto per mesi riguardo il segreto che Narah aveva custodito tanto gelosamente, in attesa del momento giusto; la dannata consapevolezza che lui le avesse tolto, in qualche modo, l’occasione di esporgli i fatti dal suo punto di vista e con delle giustificazioni, la faceva morire di vergogna. Era anche arrabbiata, perché aveva creduto che lui non le avrebbe mai occultato qualcosa di così importante.
    Ma più di tutti aveva quel peso, quella sofferenza al cuore che era rimasta lì anche la mattina successiva, quando si era svegliata con un paio di profonde occhiaie e la sensazione di aver perso la serenità di quel periodo. Senza Gideon stava una merda, ma adesso lo sarebbe stata anche se l’avesse visto. Era… complicato spiegare come si sentiva: come se nulla sarebbe più stato come prima, come se avesse sfiorato la felicità con un dito e non l’avesse raggiunta per una stupida caduta, come se chi amava più al mondo le avesse scoccato una freccia dritta al petto e l’avesse centrata in pieno.
    Aveva paura di quello che sentiva, della voglia di cercare Gid e di quella di rifuggirlo, e nella sua divisa di Altair aveva tremato sapendo che l’avrebbe incrociato per i corridoi e che forse l’avrebbe trovata di proposito, data la loro consuetudine di salutarsi al mattino… fino al giorno prima. Cristo, era terrorizzata al pensiero di constatare coi suoi occhi che il loro rapporto si fosse incrinato, o peggio ancora distrutto; sapeva di avere il coltello dalla parte del manico e questo la faceva stare male. Aveva paura di sbagliare. Aveva paura di fare qualcosa e soffrire come aveva fatto meno di sei ore prima. Avrebbe voluto solo fuggire e nascondersi, da Gideon, da se stessa e dalla scelta che sapeva toccasse a lei.
    E l’aveva fatto, di fuggire: appena aveva intravisto la figura del Corvonero, il suo cuore era impazzito, la sua mente pure, ma l’unico risultato era stato quello di girare i tacchi e andare dalla parte opposta, stavolta incurante di chi l’avrebbe presa per pazza.
    Voleva scusarsi con lui, chiarire, tentare di risolvere, ma c’era qualcosa che le avrebbe impedito di farlo per molto tempo: la sua parte più istintiva, quella abituata a difendersi dalle prese in giro, dallo scherno e dalle occhiate maligne, quello che la spingeva a sottrarsi da qualunque cosa potesse distruggerla, che si era attivata nel momento meno adatto.
    Era la verità. Gideon avrebbe potuto distruggerla fin troppo facilmente – aveva già rischiato di farlo – e Narah ne aveva paura.

    Dopo la prima settimana di totale distanza da Gideon, Nah aveva capito che, effettivamente, la lontananza da lui era capace di danneggiarla più di Gid stesso.
    Non dormiva più, le occhiaie la facevano sembrare uno zombie, e aveva costantemente il petto contratto al punto da trovare difficile respirare. Gid le mancava come l’aria, la sua voce, la sua mano che stringeva ogni giorno, il sorriso contagioso, i baci, il rossore sulle guance, e quando ci pensava – sempre – le veniva da piangere. Aveva bisogno da lui, fremeva per esserle di nuovo vicina, come un girasole che seguiva sempre il suo sole. Perché non riusciva ad avvicinarsi, perché doveva continuare a far soffrire entrambi in quel modo?

    Dopo una settimana e mezzo, Narah aveva i nervi a fior di pelle e si sentiva terribilmente instabile. Dieci giorni, dieci lontani da Gid. Se le avessero sottratto cibo e acqua per dieci giorni sarebbe stata meglio, e non era neppure un’ipotesi così lontana dalla realtà visto che mangiava a malapena. Si sentiva sul punto di impazzire a ogni tic toc di orologio, alla consapevolezza che neanche quel giorno l’aveva passato con Gid. Senza di lui nulla aveva senso, per Narah.
    Aveva iniziato a riflettere. Scappava e ne soffriva, scappava e ne soffriva, solo perché non aveva idea di come reagire se gli avesse parlato. Era incoerente, e stava male sapendo che Gid credeva stesse lontana da lui perché non voleva più averci nulla a che fare; del resto neppure lei sapeva quali fossero le sue vere intenzioni... prima di capire che l’unica intenzione che valesse la pena di scegliere era una: tornare da lui. Il resto – il Lilum, Guinevre che si era rivelata essere Gid, le cose non dette – non aveva importanza.
    Era stata stupida a non arrivarci prima: non importava se Gideon le aveva mentito, lei lo conosceva, era certa che non le avrebbe mai fatto del male intenzionalmente. Doveva essersi sentito in trappola, proprio come lei, e proprio come aveva avuto paura di rovinare tutto se si fosse esposto. Narah non si era comportata meglio. E la questione della sorella, di cui prendeva le ipotetiche sembianze? Dio, era… era stata così stupida e così impaurita che aveva finito per far soffrire entrambi, non gli aveva offerto un appoggio riguardo la storia di Guinevre, non aveva… riflettuto davvero. L’aveva lasciato solo. Come aveva potuto??? Gid non si meritava questo, mai.
    E lei non voleva più disperarsi dal dolore, né provocarne a Gid. Avrebbero parlato, una volta per tutte.

    Era stato facile divenire invisibile, attendere che Gid si allontanasse dalla sua borsa e infilare un foglio al suo interno. L’aveva sistemato fuori da tutti i libri ed era quindi l’unico, candido foglio di pergamena isolato cosicché lui ci facesse sicuramente caso. Narah vi aveva vergato sopra poche parole: un posto, una data con un orario e il suo nome in basso a destra, senza specificare altro. Non sarebbe stata preparata psicologicamente a dirglielo di persona: se l’avesse visto, non avrebbe retto e sarebbe scoppiata a piangere rimanendo con un nulla di fatto. Era stanca di comportarsi come una bambina terrorizzata. Voleva reagire in maniera differente rispetto a come aveva fatto per quattordici giorni.
    L’unica cosa che le era rimasto da fare era aspettare, in piedi nella Torre di Astronomia, a osservare con l’agitazione a stringerle la bocca dello stomaco il cielo farsi sempre più scuro, man mano che ci si avviava verso sera. Gideon sarebbe andato da lei? Conoscendolo, la risposta era sì. L’avrebbe odiata? L’avrebbe visto sciupato? Credeva che Nah lo disprezzasse, adesso? Nonostante tutto, Narah si sentiva quasi rinata sapendo che di lì a poco l’avrebbe rivisto. Ogni secondo che passava lontana da lui la logorava.
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    Preso dalla novità di quella nuova relazione e travolto da sentimenti mai provati, Gideon aveva fatto qualcosa di molto, molto sbagliato, un errore comune a molti giovani innamorati che, ignari di ciò che sarebbe potuto succedere dopo, si lasciavano andare ingenuamente, con serenità e senza riserve, tra le braccia della persona amata, donandogli anima, cuore e corpo. In quei mesi si era dato totalmente a Narah, buttandosi tra le sue braccia, come da un aeroplano senza un paracadute che potesse salvarlo dallo sfracellarsi al suolo. Adesso stava cadendo e, nonostante ne fosse del tutto consapevole, non riusciva a frenare quella discesa, poteva solo aspettare che finisse, e sperava accadesse presto.
    Attendeva solo di sentire il nulla assoluto, che avrebbe decretato la fine di quella sofferenza, una morte che avrebbe dovuto essere veloce.
    Il punto era che Gideon non aveva davvero mai pensato che potesse finire, non si era proprio mai posto il problema, non aveva analizzato la cosa, non aveva tirato una lista di pro e contro come era solito fare per tutto ed aveva sbagliato ad affidarsi alla cieca a qualcun'altro, aveva toppato ad affidare il proprio cuore a qualcuno che non fosse sè stesso senza avere un piano B d'emergenza, o anche un piano C o un piano D. Era giovane, era ingenuo, del tutto inesperto nelle materie che riguardavano il cuore e che non fossero l'anatomia. Era convinto di essere abbastanza sveglio da rendersi conto della propria situazione, abbastanza forte da cercare di sopravviverle ed andare avanti, ma nonostante i buoni propositi, non ci stava riuscendo benissimo. Qualsiasi cosa facesse, sia parlare con i compagni, fare i compiti, mangiare o allenarsi, il suo pensiero andava a lei, sempre, di continuo. Ed anche quando pensava di essersi distratto, per un po', il pensiero di Narah tornava a mandargli via il sorriso, a scacciare quella flebile luce che gli aveva sempre illuminato lo sguardo. E diventava schivo, trovava una scusa per stare da solo, isolandosi.
    I primi giorni di distacco da Narah erano trascorsi in maniera lenta, fredda ed intrisa di panico. Si alzava presto puntualmente e frequentava gli ambienti in cui sapeva l'avrebbe incontrata, solo per poterla vedere. Non si era nemmeno preoccupato di far guarire quelle ferite che gli deturpavano il volto, non si preoccupava più tanto del suo aspetto estetico, nè di come potesse apparire agli altri. Era evidente che stesse attraversando un momento difficile. Una lotta interiore non semplice.
    Si era ripromesso di lasciare i propri spazi, ma non aveva esitato a cercare il suo sguardo nei corridoi o nella Sala grande, per trovare quel contatto perso, riscoprire che forse, quella maledetta sera, era andata molto meglio di ciò che ricordava e che la sua mente aveva lavorato per produrre ricordi falsati e del tutto inesatti.
    Quando poi la vedeva, il suo cuore sussultava e gli veniva voglia di piangere di nuovo, in modo così palese che chiunque avrebbe potuto leggerglielo in volto. Diventava rosso ed era evidente che stesse trattenendo un gran pianto, in particolare quando si rendeva conto che lei non aveva alcuna voglia di vederlo, nè tanto meno di parlarci.
    Narah, straordinariamente ostinata, lo evitava, cambiava strada quando lo incrociava nei corridoi.
    Okay, aveva pensato che sarebbe potuta finire così? No. MAI. O meglio, lo aveva pensato ma realizzarlo era tutta un'altra cosa. Il fatto che avessero discusso per le sue bugie, bastava per tagliare ogni rapporto così da un giorno all'altro?
    Come quando tagli un foglio di carta con una forbice? Preciso preciso senza strappi o fastidiosi lembi di troppo di mezzo. Dalla mattina alla sera, dal bianco al nero in meno di ventiquattro ore.
    Non ci credeva che stesse andando davvero così, non riusciva a capacitarsi del fatto che Narah riuscisse a vivere benissimo senza averlo intorno e lui stesse soffrendo come fosse all'inferno. Non sapeva come lei stesse, ma di sicuro riusciva ad evitarlo alla grande e questo a lui bastava. Non voleva che lei soffrisse quanto soffriva lui, certo che no, mai. Ma non voleva soffrire nemmeno lui, ecco. Si era immaginato tutto, nei mesi passati? Era stato l'unico a provare quelle emozioni con lei? Non le mancavano i momenti con lui? E le loro chiacchierate? E i suoi abbracci? Le mancava almeno la metà o un quarto di quanto lei mancasse a lui?
    La notte riusciva a malapena a serrare le palpebre, quando lo faceva, rischiava di sprofondare nei ricordi che poi si trasformavano in veri e propri incubi dai quali riusciva a fuggire, svegliandosi all'improvviso e più volte durante la notte. Le braccia avvolte al cuscino come se temesse che questo potesse scappare, ed il pigiama bagnato di sudore, o erano lacrime? I borbottii dei suoi compagni di dormitorio mettevano in evidenza un fatto importante: stava diventando petulante per tutti, nessuno lo sopportava più e si sentiva davvero molto solo. Allora provava a smettere di fare versi, ingoiava i singhiozzi e si concentrava a fissare il soffitto drappeggiato del letto, nella speranza di crollare, in un modo o nell'altro.

    Dopo una settimana in cui lui si era comportato in maniera molto strana, Perses aveva deciso che offrirgli silenzioso supporto non bastava più, ed aveva provato a chiedergli cosa fosse successo, proponendogli anche di rivelargli il segreto dei suoi capelli super fluenti per tirarlo su di morale. Gideon, che l'anno prima aveva mentito anche a lui presentandosi come Guinevre, e temendo di essere abbandonato anche dall'amico, non aveva certo potuto dirgli tutta la verità, ma si era aperto per metà con lui spiegandogli che "aveva tradito Narah, ma non con un'altra persona". Ecco, in maniera non troppo specifica aveva tentato di fargli capire quanto grave fosse la sua posizione. Quello che mi fa più male, però, è la sua indifferenza. Come ci riesce? Perchè io non ci riesco? Io sto morendo, davvero. Sto morendo. Era ciò che sentiva, non riusciva a descrivere in altro modo la mancanza d'aria che lo sorprendeva quando non se lo aspettava, costringendolo a stringersi le mani al petto per alleviare il dolore e sedersi in un angolo, da solo. Aveva mal di testa continui, gli occhi arrossati e gonfi e non riusciva a concentrarsi più sulle lezioni. Il dolore che sentiva dentro era totalizzante e richiedeva ogni sua energia e tutte le sue attenzioni.
    Magari anche lei sta male, ma ha i suoi motivi per stare lontana.
    Aveva scosso la testa, convinto che lui non stesse capendo la situazione. Forse era lui lo stupido (probabile), forse non era affatto empatico come credeva, ma non riusciva a mettersi nei panni di Narah, non riusciva a spiegarsi come potesse comportarsi così da un giorno all'altro.
    Stare lontano da me le fa meno male che starmi vicino. E' questo che non capisco, per me è il contrario. E sai, la invidio. Vorrei tanto riuscirci anche io. Vorrei essere io quello che cambia strada quando la vede, vorrei essere quello che riesce a farne a meno. Vorrei essere quello che tiene le redini del rapporto e decide quando soffrire e quando no. Ma forse è giusto così, me lo merito. Voglio solo capire come ci riesce, a evitarmi, a girare la faccia quando mi vede. Voglio solo capire, ma ho paura di scoprire che per lei non è stato lo stesso questi mesi, che non è stato importante.

    Ed erano passati altri giorni, giornate tristi, sempre più fredde, durante le quali Gideon non aveva mai smesso di sperare che Narah cambiasse idea su di loro. Giornate in cui si era sentito debole, stupido, la parte fragile di quella coppia, che coppia non era più. Più i giorni passavano, più Gideon si domandava cosa avesse lui di sbagliato, perchè non riusciva a staccarsene come aveva fatto lei, evitandola? Perchè non riusciva a metterci una dannata pietra sopra come facevano tutti i suoi compagni alle loro prime delusioni d'amore?
    Due settimane, quindici giorni in cui si era voluto convincere di non essere lui quello sbagliato, ma che fosse lei la cattiva.
    Due settimane in cui si era ripetuto quanto lei fosse stronza a comportarsi così, ma al tempo stesso, con molta incoerenza, due settimane in cui aveva aspettato un segno da parte sua. Uno solo, sarebbe bastato per far crollare quel misero muro di carte che si era costruito intorno, ancora troppo debole per potersi definire una barriera. Perchè in fondo, sapeva che lei aveva del tutto ragione, sapeva di aver sbagliato tutto.
    Quasi aveva rischiato di non sperarci più quando, infilando il libro di pozioni in borsa, aveva toccato il foglio di carta con il dorso della mano. L'aveva tirato fuori ed aperto, leggendo velocemente le poche righe scritte. E poi la sua riserva di lacrime aveva dato dimostrazione di essere infinita e spregevole, per l'ennesima e patetica volta.
    Signor McPherson, il compito assegnato è troppo difficile per lei?
    Sobbalzò, alzando lo sguardo verso la cattedra e notando la professoressa Anjelika Queen ancora seduta, con in mano alcune pergamene e lo sguardo scettico e freddo a scrutarlo da capo a piedi.
    N-no. Si affrettò a dire, colto in flagrante perchè convinto di essere solo. Mi scusi. Racimolò le ultime cose sul banco e si affrettò ad uscire dall'aula.
    Si era asciugato le lacrime con il mantello ed era corso nella Sala comune dei Corvonero, riuscendo ad entrarci dopo quindici minuti buoni perchè troppo impanicato per rispondere all'indovinello all'ingresso. Non capiva più un accidente, in verità, e l'unica cosa che voleva fare era una doccia, cambiarsi i vestiti e sistemarsi per incontrare Narah quella sera. Aveva deluso sè stesso, perchè per essere sempre stato un tipo razionale, negli ultimi tempi si era comportato da vero idiota. Ma soprattutto, aveva deluso Narah, che aveva riposto in lui fiducia ed era stata tradita. Fu proprio mentre si sbrigava per spogliarsi ed entrare sotto la doccia, che si rese conto di una cosa...fondamentale. Da quando stava con Narah, era diventato instabile.
    Era diventato impulsivo, emotivo, debole.
    E se lui era instabile, impulsivo, emotivo e debole come poteva credere di poterla rendere felice?
    Ma la colpa era solo sua, era lui che si sentiva così quando ci pensava e non esisteva niente di più sbagliato, niente di più morboso e non salutare. Eclissava il suo raziocinio quando c'era di mezzo Narah, ogni logica andava a farsi fottere.
    Non avrebbe dovuto dare il tutto per tutto per lei, non avrebbe dovuto farlo per nessuno, in realtà.
    Rimase in doccia più di quanto ne avesse davvero bisogno, ragionando su questo nuovo pensiero e cercando di integrarlo dentro di sè. Avrebbe voluto farne tesoro, così che diventasse un insegnamento. Doveva andarci con i piedi di piombo, e non buttarsi, di nuovo, tra le sue braccia che magari lo avrebbero anche rifiutato. Doveva essere più razionale, meno sensibile. Doveva farlo per proteggersi e perchè...quello non era lui. Quel ragazzino spaventato, sofferente ed impulsivo non era lui, era un difetto che poteva correggere e lo avrebbe fatto. Con più calma, recuperò dei vestiti puliti dall'armadio. Indossò una camicia nera ed un jeans dello stesso colore. Si sistemò i capelli, asciugandoli morbidi e senza dargli troppe attenzioni, poi recuperò una felpa ed uscì per trovarsi in orario sulla torre di astronomia.
    Arrivato in cima alla torre, con il cuore che martellava nel petto, la cercò, trovandola ridosso di una parete. Incrociò le braccia al petto, con fare protettivo verso sè stesso, come se volesse porre una distanza tra loro due. Rimase in silenzio, senza dire una parola. Avrebbe voluto abbracciarla? Certo. Quello sempre. La guardò, rendendosi conto che il suo volto tenero e famigliare gli procurava non poche fitte all'altezza del torace, ma non gli diede peso. Non doveva farsi confondere. Ragionando su quanto fossero intimi i silenzi, lo ruppe per primo. Volevi vedermi, Narah?
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    Narah aspettava e aspettava, il cuore che pareva volerle prepotentemente uscire dal petto. Sentiva le tempie martellare dalla mancanza di sonno, quasi a volerla punire del modo stupido in cui si era comportata con Gideon per due lunghissime, estenuanti settimane. Mi dispiace. Strizzò le palpebre, prendendo dei respiri profondi per sciogliere il nodo alla gola, scacciare la voglia di piangere.
    Era una tortura, quell’attesa incerta in cui Nah credeva, ma non era sicura, che il ragazzo si sarebbe presentato. Se non fosse andato? Se adesso la odiasse e non volesse avere nulla a che fare con lei? Certo, avrebbe provato a fargli cambiare idea fino all’ultimo… ma alla fine non avrebbe potuto che accusare le conseguenze dei suoi comportamenti.
    Eppure, eppure. Eppure, la sua mente la sottoponeva a un’ulteriore tortura, come se non lo avesse fatto abbastanza negli ultimi quindici giorni: pensava a tutti i momenti passati con Gideon, Narah, e ancora una volta realizzava quanto senza Gideon non sarebbe riuscita a vivere o, se ci fosse riuscita, non essendo più la stessa, perdendo una parte di sé, la più bella; Gideon era dolcezza, era felicità, era casa, non poteva perderlo.
    In quei minuti di attesa si odiò profondamente, Nah, per aver consentito all’insicurezza e l’inesperienza di offuscarla, al dolore e la vergogna di farle perdere l’orientamento, ma soprattutto impedirle di pensare all’eventualità di perdere la fiducia e la stima di Gideon. Perché sì, in fondo la possibilità che lui non la volesse più vedere c’era e Narah sapeva che, a essere onesta, se lo sarebbe meritato. Perché non aveva riflettuto su quella possibilità? Semplice: se avesse immaginato una realtà senza Gid, come stava facendo proprio in quel momento, la devastazione sarebbe stata tale da farle mandare a quel paese tutto, le inibizioni, le sue paure più recondite, per farla correre da lui. E non si era sentita ancora pronta, forse perché aveva atteso un’improvvisa sicurezza che non era mai arrivata.
    Anzi, era arrivata, ed era quella sicurezza che l’aveva portata a voler vedere Gideon.
    Pensava a quel giorno nella serra, stavolta in maniera diversa dalle altre, valutando come sarebbe stato se non l’avesse incontrato, se lui non l’avesse vista piangere, se lei fosse scappata impedendogli di consolarla e dimostrarle che animo sensibile avesse. Come sarebbe stata la sua vita, senza Gid? Non lo sapeva, ma con Gideon tutto era migliore e non capiva perché si fosse comportata da idiota per due settimane, lei e le sue dannate paure di qualcosa che non esisteva.
    Anche i ricordi di Guinevre avevano assunto una sfumatura diversa, piena di imbarazzo ripensando a tutti gli outfit improponibili in cui lei- lui l’aveva vista. Gideon non era stato onesto con lei, lei non lo era stata con lui, ma era una questione passata in secondo piano: rischiava di buttare all’aria la loro relazione, solo per l’incapacità di prendere una decisione per timore di fare casini. Sarebbe stato come scoprire un tesoro e subito dopo seppellirlo. Una pazzia. E Narah poteva fare azioni da idiota, ogni tanto, ma pazza non la era. solo di lui #diabete
    Era assurdo come, col senno di poi, riuscisse a vedere in Guinevre tutti i comportamenti di Gideon; e non le provocava rabbia o delusione, solo… un sorriso. Un sorriso un po’ triste, perché sapeva a chi sarebbe potuto appartenere l’aspetto della biondina.
    Ripensava a quel pomeriggio al Wicked Park, all’incertezza nel leggere nello sguardo dell’altro la stessa esigenza di essere più vicini, più intimi, al loro primo bacio che ne era conseguito, all’immensa emozione che Gideon le provocava solo al pensiero. Ripensava ai giorni passati a casa sua, quell’estate, a com’era stato bello dormire abbracciati, carezzargli la guancia mentre lui dormiva, ascoltare i suoi respiri lenti e delicati. Ripensava alle mani di Gideon che la esploravano, delicate e bramose, alle sue labbra che le davano piacere, i suoi occhi che la ispezionavano come se fosse stata un fiore di cristallo, ai loro corpi nudi.
    Pensava a come si sentiva completa con lui, e come senza di lui le risultava difficile persino respirare.
    Infine, un rumore di passi interruppe il suo silenzio denso di ansia e attesa; il panico le serpeggiò sottopelle e, quando si girò, divenne incredibilmente complicato trattenere le lacrime che le resero lo sguardo lucido. Era stressata, senza energie, stanca – stanca di scappare da lui, e per non aver riposato decentemente –, logorata dall’incertezza e dalla mancanza di lui. Ma non appena incrociò il suo viso, così vicino e lontano assieme, le sembrò di essere tornata a respirare dopo due settimane di apnea. Il cuore prese a battere più forte, tormentato ma forte, di nuovo vivo. Si sentì… leggermente meglio. Allora era ancora disposto ad ascoltarla! Trattenne le lacrime, per ora, addolorata di vederlo stanco e in una posizione difensiva. Lo conosceva troppo bene per non immaginare quanto fosse stato male, e quello stesso male l’aveva vissuto sulla propria pelle, con la variante che lui non sapeva cosa le passasse per la testa. Era stata… davvero disprezzabile.
    Non riuscì a staccargli gli occhi di dosso. Oh, aveva bisogno di un suo abbraccio, di toccarlo, stringerlo tra le sue braccia. Soffocò quell’impellente sensazione, e ingoiò le lacrime ancora un po’ al suono della sua voce. Erano state così insopportabilmente fredde e distaccate, quelle parole, strane e sbagliate se provenienti da lui. Riusciva solo a pensare che non avevano veri contatti da troppo tempo e lo voleva, in ogni modo possibile.
    Aveva sbagliato, doveva rimediare, o almeno provarci. Senza scappare.
    Socchiuse le labbra in un sospiro sofferente. «Sì...» Sapeva cosa dire. Solo… doveva riflettere sul come. Si riavviò i capelli, nervosa, consapevole di apparire un disastro nella sua felpa verde scuro e dei semplicissimi pantaloni neri aderenti. Non voleva sbagliare tutto di nuovo. «Mi… dispiace.» Non abbassò lo sguardo, nonostante l’istinto fosse forte. Voleva osservarlo bene, imprimerselo nella mente se lui avesse deciso che era troppo tardi. «Mi dispiace di averti evitato tanto a lungo. Sono state delle settimane orribili e ogni giorno…» Non piangere, non piangere. «Avrei voluto correre da te, non c’è stato un secondo in cui non ti abbia pensato.»
    Come sempre, non era stata capace di tenere a bada le lacrime; quasi le veniva da ridere per il suo essere un’incorreggibile piagnucolona, seppur la sua voce suonasse proprio come si sentiva dentro: stremata. Dalla lontananza da lui, dai conflitti della sua mente. Si strofinò gli occhi, puntando poi lo sguardo sulle proprie scarpe. «Ma non era… facile. Tu sei l’unico di cui io mi fidi con tutta me stessa, Gid, e dopo quello che è successo mi sono… mi sono sentita malissimo, non sapevo cosa pensare, c’erano troppe cose su cui dovevo riflettere, perché lo sai che devo riflettere su tutto per tenere a bada i miei timori. Sono scappata, ho avuto paura. Mi dispiace.» Si interruppe, un sorriso sardonico sulle labbra, rivolto a se stessa e al disastro che era.
    «Sono stata solo io e nessun altro per tutta la mia vita. Mia madre si è dimenticata della mia esistenza...» Soffocò un singhiozzo. «Sono stata presa in giro, e questo mi ha fatto isolare sempre di più. Fino a quando sei arrivato tu. Non sono abituata a queste situazioni con gli altri, e che proprio tu, tra tutti, mi avessi mentito è stato terribile.»
    Si morse forte il labbro, alzando nuovamente gli occhi su di lui. Era bellissimo, come sempre. «Mi spiace averci messo così tanto. Non ho saputo reagire, ero paralizzata. Non sapevo cosa fare. Ma vorrei tu sapessi che capisco per come hai agito. Era… era solo una bugia e io ho mentito per lo stesso motivo. Entrambi abbiamo delle colp-»
    Fino a quel momento si era stretta le mani tra loro, per tenersi a freno, non cedere alla tentazione di cercare un calore, un conforto, un rifugio che non si meritava e che forse Gideon, comprensibilmente, non voleva più darle; tuttavia, quando la voce le si incrinò e non seppe più tirare fuori le parole, si sentì così persa che fu istintivo percorrere con lunghe falcate lo spazio che li divideva, tremando nell’averlo così vicino, il petto di lui contro cui si era poggiata tante volte ora di fronte al proprio viso. Si fermò in un ultimo istante di lucidità, prima di lasciarsi definitivamente andare: portò le mani, minuscole rispetto alle sue, a stringergli i fianchi in una specie di abbraccio, abbastanza da trasmettergli il suo bisogno di sentirlo vicino ma abbastanza piano da permettergli di allontanarsi, se avesse voluto. Non importava che le braccia incrociate di lui la stessero ostacolando, voleva solo sentirlo, averlo vicino, colmare quel vuoto che la sua assenza aveva lasciato. Strofinò la punta del naso sul tessuto della sua felpa, inspirando il suo profumo con rapidità, nel caso Gideon avesse deciso di allontanarla.
    «Mi sei mancato da impazzire,» parlò veloce, sempre per il timore che Gid la volesse allontanare. «Vorrei riprovare insieme a te, senza più segreti stavolta. Non ho mai avuto intenzione di lasciarti, ti amo. Ne valiamo la pena mille volte.» Serrò gli occhi, ancora testardamente contro di lui e il cuore in subbuglio, ora in silenzio attendendo che Gid facesse… qualunque cosa. Allontanarla, rifiutarla, restare immobile, arrabbiarsi. Sapeva che se lo meritava.

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    Sembrava passata una vita da quando aveva udito la sua voce l'ultima volta. Non esagerava, sul serio, una vita. Non per questo, però, essa gli era meno familiare, conosceva a memoria l'inclinazione delicata del suo tono, ogni sfumatura di esso, l'insicurezza che trapelava da ogni sillaba che sembrava faticare a buttare fuori. L'ascoltò in silenzio, studiandone i movimenti e la voce come fosse un investigatore, uno psichiatra criminale o qualcosa di simile, tratteggiando il profilo di una persona davvero pentita, dispiaciuta, quasi logorata quanto lui. E...non poteva davvero crederci, sebbene le sue parole ed i suoi atteggiamenti gli sembravano fin troppo credibili, sebbene sapesse che Narah non era la bugiarda della coppia. Faticava a credere a quel pentimento che sapeva reale, perchè... come poteva davvero essere così? Davvero stava tornando da lui? Lo stava perdonando? Forse davvero non ci sperava più, e se ne rendeva conto solo adesso, mentre la guardava spiegarsi.
    Aveva passato giornate intere a struggersi nella sua assenza tanto quasi da far diventare questa una fedele amica ed adesso si sentiva amareggiato, confuso.
    Se si fermava ad immaginare l'infanzia di Narah, non faticava a realizzare quanto difficile fosse stato per lei capire di essere stata tradita, in un certo senso. Magari persino presa in giro, ma davvero, come aveva potuto credere che lui volesse ferirla volontariamente o che potesse essersi divertito nel farlo? Si morse il labbro, forte, abbassò lo sguardo al pavimento. Credere di averla riportata nella fase triste della sua vita lo faceva sentire malissimo. E poteva capire anche che le ci fosse voluto un po' per metabolizzare la cosa e capire che lui non avrebbe mai avuto l'intenzione di ferirla volontariamente. Capiva, capiva tutto. E gli dispiaceva ma...sentiva che qualcosa era cambiato, lo percepiva dentro di sè e ne era spaventato. Non era Narah la causa principale, questa risiedeva dentro di sè, nel modo in cui lui aveva sofferto quelle due settimane, come aveva fatto soffrire lei e nel modo in cui si era comportato tutti quei mesi. Sentiva di aver sbagliato più di qualcosa e non solo mentendole, aveva sbagliato il modo di vedere la loro relazione ed era certo di questo. Narah si fermò dal parlare solo per corrergli incontro ed abbracciarlo, prendendolo in contropiede. Sentì il nodo alla gola sciogliersi ogni secondo di più, mentre istintivamente portava le braccia ad avvolgerle la schiena in un abbraccio caldo ma un po' trattenuto. Quanto diavolo gli era mancata?! Strinse la presa per paura di vederla dissolversi tra le sue braccia, sparire come accadeva negli incubi ricorrenti che avevano affollato le sue ultime quattordici notti. Il calore del suo corpo contribuì a sciogliere parte delle sue insicurezze, e sospirò. Gli era mancata anche lei, eppure qualcosa lo frenava dall'aprirsi e parlare. Abbassò il volto sui suoi capelli per inspirarne il profumo, ad occhi chiusi. Depositò un bacio sulla sua testa e con le mani salì ad accarezzarle il viso, per sollevarglielo e guardarla negli occhi. Stentò a lungo, prima di aprire bocca e dire qualcosa, fermandosi ad osservare la sfumatura dorata dei suoi occhi scuri. In quelli di Gideon, Nah avrebbe potuto leggere incertezza, paura, e...una buona dose di sonno accumulato. Io non ti prenderei mai in giro, non volevo farti rivivere brutte situazioni e...non sarei mai voluto esserne la causa e, purtroppo lo sono stato. Le accarezzò il viso con i pollici, trattenendosi dal lasciarsi andare ad un bacio profondo. Ma... e si trattenne un attimo, prima di continuare. Sembrava ricercare le parole giuste e semplici per dire qualcosa di estremamente complicato. Corrugò le sopracciglia, mentre a spingerlo a parlare non fu l'istinto, nemmeno la ragione, ma la paura. Ho pensato molto questi giorni. Ho avuto davvero brutti pensieri. Io...non sono più sicuro che questo rapporto sia salutare per noi, stavamo bene, prima... Prima quando? Da amici, intendeva da amici ma non riusciva a pronunciare quella parola perchè non intendeva che avrebbero fatto bene a tornare amici. Sarebbe stato impossibile cancellare quegli ultimi mesi insieme, o fingere che non fossero esistiti. Solo credeva che avrebbero dovuto cambiare qualcosa nel loro rapporto, era necessario. Il petto doleva ad ogni sillaba, ma sentiva di doverle esporre quel pensiero. Poi tutto si è complicato, io... io non mi riconosco più Nah...non ero così prima. Non aveva nemmeno lui chiaro in mente cosa volesse dire, ma il pensiero di non baciarla mai più era terribile da sopportare. Il pensiero che lei non fosse sua lo feriva. E si domandava quanto l'esserne ferito fosse giusto e quanto fosse invece...patologico. Si sentiva malato e sperava di guarire.
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    Non avrebbe mai saputo descrivere il sollievo, misto al pentimento e alla felicità, che la assalì quando sentì le braccia di Gideon stringerla per abbracciarla e non respingerla. Sospirò di colpo, sentendosi svuotata dalle paure e i timori che l’avevano animata per giorni e soprattutto in quel momento; eppure era consapevole del fatto che tutto era lungi dall’essere risolto, lo leggeva negli occhi del suo ragazzo – se “suo” era ancora, ma… preferiva non pensarci –. Furono un attimo di pace per lei, per il suo cuore, il bacio di Gid sulla testa e le sue mani grandi ad accarezzarle il viso, gesti quotidiani che le erano mancati da morire. E di cui non avrebbe MAI più deciso di farne a meno. «Lo so.» Gideon non avrebbe mai voluto ferirla, ne era certa. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco; rimpiangeva solo di non essersene rammentata prima. Sollevò il volto verso di lui, arrossendo, non resistette e portò a sua volta le dita a sfiorare con gentilezza la sua guancia. Si perse a contemplarlo, in silenzio, in attesa. Avrebbe voluto far finta che non fosse colpa sua, se adesso i suoi occhi non erano solo dolci e timidi, ma adombrati da un’evidente sofferenza. Le faceva così male che avrebbe voluto massaggiarsi il petto, e vedere se sarebbe servito ad alleviare il dolore.
    Era in attesa delle parole che sarebbero arrivate da parte di Gideon: quella era l’espressione che aveva quando doveva esprimere qualcosa di complicato, e Narah gli aveva sempre lasciato lo spazio e il tempo per trovare le frasi giuste. Sfruttò il lasso di tempo per carezzargli il viso come non aveva fatto per troppo. Sperava solo di non aver inflitto un danno irreparabile al loro rapporto.
    Va bene, ciò che Gid le disse dopo le fece male – in parte perché credeva fermamente fosse anche colpa sua –; va bene, le sue insicurezze scalpitavano per emergere e farle mandare a quel paese la calma; va bene, ebbe il terrore che quella discussione avrebbe potuto portare alla fine del loro rapporto. Ma non importava, Nah non avrebbe più fatto gli stessi sbagli, non avrebbe lasciato che la paura governasse su tutto il resto. L’aveva già fatto e aveva l’intenzione di non lasciare che riaccadesse.
    Lo conosceva, e fu solo per questo che riuscì a comprendere ciò che Gideon le aveva detto. Gid era incerto, tormentato e, pensò Nah, forse non sapeva neanche lui cosa volesse davvero.
    Quando finì di parlare, Narah seguì l’istinto e il desiderio di toccarlo ancora. Si sporse sulle punte, facendo combaciare le labbra con quelle di lui, piano e delicatamente. Si sentiva come se Gid avesse potuto crollare da un momento all’altro… e anche lei. Però la sua priorità era farlo stare meglio, dopo avrebbero parlato. Gli afferrò le guance tra le mani. «Adesso ti rilasso un po’, va bene?» lo avvisò, prima di fare leva sul proprio potere per infondergli una sensazione di calma, e smise solo quando vide effettivamente il suo sguardo farsi meno cupo.
    Abbassò le mani, allontanandosi di appena un passo di lui. Se c’era una cosa che aveva imparato, dopo anni e anni passati da sola, era ascoltare. Lo aveva ascoltato attentamente, e aveva colto quanto Gideon fosse turbato. Voleva provare ad aiutarlo, qualsiasi sarebbe stata la conseguenza, senza dar retta all’egoismo. Non era mai stata egoista, quindi perché iniziare proprio quel giorno? «Forse non era salutare perché ci stavamo mentendo,» gli suggerì, alcuna prepotenza nella voce. Afferrò la sua mano, carezzandogli il polso col pollice, bisognosa di stargli vicino, perché poteva essere l’ultima volta che intrecciava le loro dita e non se la sarebbe fatta scappare.
    «Se c’è qualcosa che non va lo gestiremo insieme, te lo prometto. L’importante è che tu stia bene.» Non voleva procurargli altro male, come quello che gli leggeva nello sguardo. Si sentiva orribile. Poi gli rivolse un’occhiata schietta, nonostante potesse chiaramente avvertire le labbra tremare nell’atto di socchiudersi e prendere un bel respiro. «Intendi lasciarmi?» Pregava per un no, ma in un certo senso voleva soltanto che Gideon rispondesse sinceramente. Aveva capito che a Gid non andava bene quello che stava diventando, o se non altro il modo in cui si comportava… e se proprio non sarebbe bastato collaborare insieme per farlo e l’unica soluzione era lasciarsi, per il bene di Gid l’avrebbe accettato. Quasi di buon grado. Distrutta, ma di buon grado.
    Ma prima di arrivare a quel punto, voleva fargli capire che potevano farcela ancora insieme, ci avrebbero lavorato su con tutta la tranquillità del mondo.
    «Posso capire che dopo quello che ho combinato io non ti dia un senso di sicurezza, Gid, ma ti amo e non mi comporterò più in modo da ferirti. Mai. Possiamo risolverlo, cercare l’equilibrio di cui abbiamo bisogno per stare bene. Non… non ci corre dietro nessuno.» Sorrise leggermente, esposta, vulnerabile e fin troppo sincera, mentre gli stringeva più forte la mano. Voleva trasmettergli la fiducia che aveva ritrovato nel loro rapporto nel ripensare a quanto si amavano e a tutti i loro momenti più belli, che sarebbero cambiati – solo in positivo – per farlo stare bene e stare bene insieme. Come gli aveva detto, ne valevano la pena mille volte. «Cosa vorresti fare, Gid? Lo faremo.»
    Onestamente si sentiva morire dentro, ma insomma. Se Gideon fosse stato bene, qualunque fosse la sua decisione, sarebbe andata bene.

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    Aveva la sensazione che Narah potesse capirlo. Dubitava che fosse perchè aveva spiegato bene il proprio pensiero, mettendola nella favorevole posizione di poterlo capire. Era più probabile che lei, conoscendolo, avesse preso le sue parole scarse e confuse e le avesse elaborate per arrivare al punto. Inoltre, era anche una ragazza intelligente (e telepate, bè). Non si oppose quando lei, sulle punte, provò a baciarlo. Lo voleva anche lui, nonostante le parole confuse di poco prima avessero dato un'idea diversa. Sollevò le mani al suo viso, accarezzandolo piano con le dita mentre lei lasciava ci un bacio. Aveva davvero bisogno di un po' di lucidità, una tregua dai pensieri contrastanti e dettati dal terrore. E per questo, lasciò che lei lo rilassasse, anche se non aveva idea di come questo potesse avvenire. I misteriosi poteri degli special, probabile. Fu istintivo portare le mani intorno ai suoi polsi, non per fermarla, ma perchè non sapeva cosa aspettarsi e questo lo faceva sentire più sicuro. Chiuse gli occhi e, incredibile ma vero, le mani di Narah furono come un'iniezione di valium. Tutti i pensieri negativi sembrarono sparire o perdere di importanza, mentre quelli positivi vennero rispolverati, portati alla luce. Il volto stanco si rilassò lentamente, facendo persino sparire quelle rughe di espressione perenni che aveva avuto durante quel periodo.
    Prese un respiro, sentendosi diverso. Serrò la presa delle mani intorno ai polsi di lei ma non tanto da farle male, e quando ebbe finito allentò la stretta. Avevano sempre avuto un bel rapporto, loro due. Ed aver iniziato a frequentarsi non era stato uno sbaglio, non aveva rovinato la relazione, semplicemente aveva fatto sì che si evolvesse. I rapporti, di per sè, non sono mai un errore, sono le persone che scelgono di portarli in una direzione piuttosto che un'altra, e loro avevano sbagliato, ma il loro rapporto valeva la pena. Come ci riesci? Non voleva davvero una risposta ma doveva ringraziarla sul serio. Riaprì gli occhi, più tranquillo di quanto non fosse mai stato in quelle due settimane di agonia. Non voglio lasciarti. Chiarì, onde evitare equivoci o lasciare cose dette a metà. Ma ho paura del futuro, perchè è incerto. Io mi sono sempre affidato alla logica, più che alle sensazioni. Ma nel nostro rapporto non c'è niente di logico e spesso mi sento perso. La guardò teneramente, sperando che potesse capire il suo discorso anche se forse non aveva davvero molto senso. Erano giovani, alle prime esperienze con i loro sentimenti ed era quasi matematico avere delle difficoltà, cambiare, risolvere, andare avanti. Non era niente di insuperabile.
    Ho paura che la prossima volta potrei spezzarmi davvero. Ho paura di spezzarti. E...non puoi certo garantirmi che non ci sarà una prossima volta, come non posso farlo io. Magari si sarebbe comportato da stronzo senza volerlo ancora una volta, l'avrebbe ferita a morte davvero. Non poteva nemmeno garantirle che non le avrebbe più fatto del male, perchè avrebbe potuto tradire quella promessa anche senza volerlo, come era già accaduto. La strinse di più a sè, incapace di allontanarla. Sapeva che non potevano separarsi, non perchè fosse difficile ma perchè non era giusto che accadesse. Si amavano, quindi dovevano mettercela tutta per sistemare le cose. Lui doveva impegnarsi più di lei, senza dubbio era quello messo nella posizione peggiore.
    Credo che l'unica opzione sia rischiare. Ma ti posso promettere una cosa: non ti mentirò più, e davvero. Questa volta davvero, te lo prometto. Ma devi farlo anche tu.
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    Aveva fatto un guaio, ma se non altro poteva cercare di risolverlo, pensò, mentre cercava di infondere a Gideon la calma necessaria per fargli distendere i nervi – e farlo dormire la notte. Quelle occhiaie non le piacevano proprio –. Voleva prendesse la decisione migliore per sé, qualsiasi fosse stata, anche se a discapito di Narah.
    Certo, un monaco vietnamita non la era ancora e poteva affermare che stava morendo dentro dall’ansia ogni millisecondo che passava, però ecco, già che il suo viso si fosse disteso e che non paresse troppo stanco la faceva stare meglio. Non rispose alla sua domanda evidentemente retorica – era una Special e aveva frequentato le lezioni di controllo dei poteri, qualcosina sapeva farlo – e… non ebbe la forza di farlo neppure alla sua affermazione successiva, non in maniera sensata. «Ah. Grazie.» Poté finalmente smettere di fingere che non fosse stata terrorizzata dal quesito e sospirò, svuotandosi di quel peso enorme al petto che la stava tirando verso il baratro della mera desolazione. Si poggiò a lui per godersi il sollievo del momento, giusto un po’. Aveva sperato che Gideon le rispondesse così, ma non ne aveva avuta la minima certezza. D’altronde lo aveva ferito, ne era consapevole.
    E lo ascoltò, come sempre, perché amava ascoltarlo e tentare di consolarlo, o risolvere insieme un problema all’apparenza insormontabile. Tutto quello, lui che le parlava, abbracciati l’uno all’altro, la sensazione di essere protetta e a casa, le era mancato davvero troppo. Secondo Gid non c’era niente di logico nella loro relazione, e aveva in assoluto ragione. Lo comprendeva, lo sentiva anche lei, e se proprio voleva cercare una prova di ciò bastava vedere come si era comportata in quelle due secondi. Illogicamente. Lo guardò, con la speranza che lui leggesse nel suo sguardo quanto lei stessa si ritrovasse in quella descrizione; ma credeva che in fondo lo sapesse già. Erano entrambi alla loro prima relazione, sarebbe stato assurdo se prima o poi non avessero inciampato… ma ci si poteva sempre riprendere prima di perdere l’equilibrio. Si meravigliò di quanto la pelle di Gideon fosse liscia sotto le sue dita, carezzandogli il collo con delicatezza. Un’altra cosa irrazionale era che Narah si sorprendeva sempre delle emozioni che la sua vicinanza le provocava, e soprattutto di poterlo toccare.
    Capiva anche la sua paura, tanto quanto tutto il resto. «Correremo il rischio.» Dopo una riflessione durata ore, non si sarebbe più tirata indietro in quel modo, né sarebbe sparita di punto in bianco. Forse Gid non ne aveva la certezza, ma lei sì. Qualsiasi cosa sarebbe successa, non sarebbe fuggita. E si lasciò stringere, stringendolo a propria volta, la guancia posata sul suo petto da cui poteva avvertire i battiti del suo cuore. Avrebbe cercato di non ferirlo mai più, quel cuore, prendendosene cura con l’amore che provava. Era buffo, come in certi casi l’amore potesse scatenare reazioni assurde come quella che aveva avuto lei, che parevano dimostrare tutt’altro. Davvero, che idiota. Non avrebbe commesso lo stesso errore un’altra volta, e questo significava niente bugie.
    Si allontanò dello spazio sufficiente per reclinare la testa e osservare Gideon, una sorta di solennità nell’espressione seria. «Lo prometto anch’io. Basta bugie. Andrà tutto bene.» No, non ne voleva proprio più sapere di menzogne o verità nascoste. Aveva sempre odiato mentire, era sempre stata cristallina in tutto, un libro aperto, e non voleva tornare a mentire, per nessuna ragione al mondo. Su quello, nonostante il suo carattere tendenzialmente incerto, era inflessibile. Gli sfiorò una guancia, dolcemente. Dio, alla fine si era risolto molto meglio di quanto credesse. «Sono arrivata qui con la sensazione che mi avresti mollato,» gli confessò piano. Niente bugie, no?? «Ma sono felice di andarmene con te. Andiamo via, qui fa freddo.» Gli lasciò un altro bacio leggero sulle labbra, pensando a quanto fosse stata vicina a perderlo, e lo tirò con sé dalla scalinata per lasciare la Torre di Astronomia. Decisamente più felice, adesso. «Amore ti vedo sciupato, mangi abbastanza ultimamente??» #wat

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