Spalancò la porta della propria stanza con una rabbia tale da poterla quasi scardinare, avanzando verso l'armadio per poterne tirar fuori lo zaino e raccattarvi dentro un po' di roba alla rinfusa. Non c'era un singolo muscolo che non gli facesse male, ed il graffio che aveva sulla guancia non aveva ancora smesso di sanguinare del tutto, facendogli stringere i denti per via del bruciore. Ma non gli importava. Non era il dolore il punto. Non lo era neanche la consapevolezza di aver perso contro i Tassorosso, perché in fondo del Quidditch non gli era mai importato un granché neppure prima e non lo era l'umiliazione della sconfitta proprio ad un soffio dal boccino. In fondo, non si trattava che di una stupida partita. Lo sapeva il Dumont, pur con il suo orgoglio da Serpeverde, ma evidentemente non era così anche per gli altri. Non lo era per Sersha, che come una furia aveva lasciato il campo senza dire una parola, non lo era per Costas, che per un attimo pareva persino aver perso i suoi soliti modi da cazzone, e certo non lo era per Anjelika Queen. E lo trovava assurdo Charles, non riusciva a capacitarsi di come potesse essere normale finire in Sala Torture per una stupida partita e fingere che fosse tutto a posto. Non ce la faceva, ed era così incazzato con quella maledetta scuola, con i suoi compagni che continuavano a preferire restare in silenzio piuttosto che sollevare la testa, con sé stesso per esserci cascato di nuovo. Non sarebbe dovuto tornare. Lo sapeva sin dall'inizio che era una pessima idea, ma l'aveva fatto comunque in nome di un futuro che, alla fine, non pensava neanche più di volere. Un tempo sì, forse, che le sue ambizioni l'avrebbero spinto ad impegnarsi sul serio per quel Tirocinio al Ministero, a prendere buoni vuoti ed a pensare ad una brillante carriera al pari di Aaron, o di Godric - ma non era più quella persona da tanto tempo ormai. Odiava le lezioni, odiava il suo ruolo al fianco della Beaumont, e odiava qualunque strada gli si prospettasse dopo Hogwarts. Gli sembrava tutto così ipocrita, così assurdo, ed era talmente incazzato che avrebbe potuto mollare tutto ancora una volta, mandare a 'fanculo la magia, gli studi, e tornare a casa. Solo che una casa Charles non ce l'aveva. Nella pratica forse sì, se pensava all'appartamento che aveva lasciato a Le Havre, alla stanza che Viktor aveva preparato per lui in casa propria, al letto in casa di Phobos o, nella peggiore delle ipotesi, alla sistemazione nel Quartier Generale, ma niente di tutto quello gli sembrava casa davvero. E aveva paura, a pensarci, che non si sarebbe sentito a casa mai più ed in nessun posto, e l'idea che alla fine il Castello fosse tutto ciò che gli rimaneva lo terrorizzava a morte. Per il momento, tuttavia, voleva solo andarsene. Lasciarsi alle spalle ogni cosa, spegnere il cervello e attendere che il suo corpo dolorante smettesse di ricordargli costantemente cosa fosse successo.
Non era al Lago Nero che era diretto. Aveva puntato dritto verso la Stamberga senza neanche accorgersene, il vento a sferzargli il viso e punzecchiargli il taglio sulla guancia, i manici dello zaino a gravargli sulle spalle come fossero stati ardenti. Si era precipitato lì come se rivedere quel posto avrebbe potuto, in qualche modo, dargli qualcosa di diverso a cui pensare - non sicuramente migliore, ma diverso. E forse una parte di sé, una piccolissima, aveva sperato di trovarci ancora Iden e Mortimer, di poter riprendere a incasinarsi la vita esattamente da dove aveva interrotto. Ma non lo scoprì mai. Si fermò ad un passo dall'ingresso, quasi che le sue gambe stessero cercando d'impedirgli di fare le stesse cazzate ancora e ancora. E aveva esitato, fissando la fossa ai piedi del Platano Picchiatore come ne fosse ammaliato, dovendo infine ricorrere ad un immenso sforzo di volontà per voltargli le spalle e riprendere a camminare, oramai più frastornato che nervoso. Ficcò le mani in tasca, prendendo a vagare senza una vera direzione sino a ritrovarsi alle sponde del Lago. Il capo chino, neanche si accorse della presenza di qualcun altro sino a che non sentì pronunciare il proprio nome. «Dumont, giusto?» si voltò ad osservarla, rivolgendole un lieve cenno di saluto. «Purtroppo così pare» si tolse il cappuccio, avvicinandosi a Nessie in silenzio. Era stata torturata anche lei dopo la partita, l'aveva sentita al suo fianco per tutto il tempo senza però avere mai il coraggio di guardarla, e adesso non aveva idea di come la Serpeverde potesse sentirsi a riguardo, se anche lei lo trovasse normale come tutti gli altri. Era abbastanza convinto di sì: veniva da Durmstrang, era per forza abituata a quel genere di cose. «Grazie» disse soltanto, afferrando la fiaschetta che gli stava porgendo e portandosela alle labbra senza premurarsi di sapere cosa fosse; alla fine, se era alcol, gli sarebbe andato bene comunque. «il rhum va sempre bene» commentò, lasciandosi scivolare sull'erba affianco alla compagna con un leggero sibilo di dolore tra le labbra. Ingollò un altro sorso, poi tornò la fiaschetta alla minore infilando nuovamente le mani nelle tasche. «Figurati» mormorò, piegando la testa prima d'un lato e poi dall'altro per dare un minimo di sollievo al torcicollo «lo capisco» e puntò lo sguardo verso il lago, restando a fissarlo in silenzio ancora per una manciata di secondi. «E'... tutto a posto?» si sforzò infine di dire, sentendosi comunque piuttosto sciocco nel farlo «la Queen ci è andata giù pesante» e non poté trattenere un sorriso ironico nel dirlo, piegando poi le labbra in una smorfia disgustata. «abbiamo disonorato la nostra Casata, era il minimo, non ti pare?» chiese quindi con tono provocatorio, sinceramente curioso d'ascoltare la risposta dell'altra.
| I'm so sick, infected with where I live, let me live without this. |
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