Set fire to the rain

Nessie x Dante

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    Non mi sentivo bene da ... Anni, da quando l'unica persona nel mondo che non sembrasse terribilmente sbagliata era finita sotto sette metri di terriccio ,tra i ghiacci della Scandinavia, che poi, mio padre, neppure voleva starci lì, si era trasferito per amore di mia madre , amore a senso unico , ne ero quasi certa, e con la sua morte tutto aveva preso una piega più merdosa del solito. Era un dolore, quello, che non potevo dimenticare, qualcosa con cui non potevo scendere a patti ma con cui, purtroppo, avevo semplicemente imparato a convivere. La mancanza di un arto, ecco a cosa l'avrei associato se avessi dovuto descrivere quella sensazione a qualcun altro che non vivesse nella mia testa, dove sin troppi mostri e ombre ne avevano fatto una casa, incubi terribili i miei che mi facevano contorcere nel letto ogni notte, memorie delle torture subite a Durmstrang, cose che avrei voluto solo cancellare, che sopprimevo sotto la calma piatta della mia faccia da schiaffi durante la veglia ma che venivano a tormentarmi durante la notte facendomi risvegliare con la fronte imperlata di sudore e le mani a torcere le lenzuola ruvide del mio letto. Le stesse mani che ora, ficcate nel cappotto lungo e scuro, cercavano il pacchetto di sigarette maltrattato e umidiccio che mi portavo dietro. Avrei dovuto davvero smetterla: di fumare, di bere come se il fegato non fosse neppure il mio, avrei dovuto smetterla eppure quelle piccole dipendenze parevano essere l'unica cosa su cui avessi davvero potere decisionale, perchè quando il mondo correva troppo veloce, quando il mondo mi aveva lasciata indietro e torturata mentre tentavo di raccogliere i cocci di una vita che aveva perso ogni senso, quelle piccole dipendenze erano rimaste immobili , ferme ad aspettarmi esattamente dove le avevo lasciate, ogni volta, come la prima volta.
    Le dita della mancina, libere dalla sigaretta nella destra, andarono a tirare via la sciarpa verde argento dal collo, le temperature non erano certo clementi ma , abituata alla Svezia, il vento che sferzava le gote arrossate pareva solamente una leggera brezza. Gli occhi chiari andarono a catturare il più possibile della piccola cittadina di Hogsmeade, curiosi di scoprire quel nuovo luogo, mentre le gambe snelle fasciate con un paio di jeans scuri e strappati sulle ginocchia, andavano a passo svelto, cadenzato , esattamente come quello di un militare, vecchia abitudine di Durmstrang che non ero riuscita a togliermi e che mi rimandava addosso tutta la mia inadeguatezza
    << Pensarci non serve >> mi sussurrai tra le labbra sottili, individuando il primo locale disponibile e spingendone l'uscio, accolta da un piacevole tepore che mi diede l'agio di sfilare il cappotto, trovando posto esattamente sullo sgabello alla mia destra, di fronte al bancone
    << Un Whiskey incendiario >> ordinai secca, cercando di tirare su gli angoli della bocca in un mezzo sorriso che avrebbe dovuto sostituire la mancata cortesia verbale e quell'accento così duro che rendeva qualsiasi frase un'ordine
    << Sta ferma Saule>> impartii poi allo spiritello blu che aveva appena deciso di cominciare a svolazzare ostinatamente di fronte al mio naso alla ricerca di attenzioni
    << Per piacere>> sospirai alla creaturina che pareva essere sin troppo attiva quel giorno e che ora si era messa ad annoiare con il suo cinguettio un povero ragazzo al tavolo posto dietro la mia schiena
    << Saule!>> continuai stizzita, visibilmente stizzita, tanto che la creatura tornò mogia a svolazzare sul bancone
    << Mi dispiace, è tutto nuovo per lei, credo sia questo >> sfiatai verso il ragazzo con poca convinzione sperando solo di non dovermi trovare a prenderlo a pugni in faccia perchè si sarebbe rivelato uno stronzo dei soliti.

     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Era depresso.
    Fucking depresso. Immensamente depresso. Voleva solo morire.

    Il mood del giorno non era esattamente dei migliori, poggiato con la guancia contro il tavolo del locale a domandarsi cosa avesse fatto di male nella sua vita precedente per non meritare un attimo, un misero momento di gioia. Sentiva ancora la necessità di sbattere violentemente la testa contro il muro, svenire e vedere la Madonna dargli una pacca sulla spalla, consolatoria, mentre un Gesù altrettanto rassegnato scuoteva il capo in segno di diniego. Era fantasioso, nel suo modo di vedere la vita; solo, in quel momento, avrebbe voluto che le cose non fossero tanto amare. Perché la torta che aveva di fronte era dolce, così come i tre chili di zucchero che aveva versato dentro la tazza di tè ormai freddo, dimenticato proprio accanto al piattino sbeccato agli angoli. Avrebbe potuto affogare i dispiaceri di un cuore spezzato nell’alcol, ma il pensiero di ripetere l’esperienza – così da dover per forza ricordare quello stupido viso sorridente del Dumont – era più che sufficiente per impedirgli di commettere nuovamente lo stesso errore.
    Perché era sicuro, certo al cento per cento, che se le sue labbra avessero toccato una qualsiasi bevanda alcolica, si sarebbe ritrovato per strada a piangere e cercare Charles per chiedergli il perché lo avesse lasciando come un imbecille nel divano della Stanza delle Necessità, settimane prima.
    Aveva comunque un minimo di amor proprio e, sebbene l’idea di domandare il motivo dietro la fuga tattica dell’ex Serpeverde fosse più che giustificata, non aveva mosso un muscolo da quella posizione.

    Per ore.

    Si era solo crogiolato nella solitudine, mescolando distrattamente e tenendo la guancia poggiata sul palmo aperto, lo sguardo socchiuso e rassegnato. Era così patetico che, se non avesse avuto tutto quel malumore in corpo, si sarebbe tirato una sberla da solo; era logico che il francese, così come Ryan, non lo vedessero così come lui vedeva loro. Se con l’Allen era stata una causa persa sin dal principio – per via del caratteraccio dell’altro e per la mancanza di tatto per i suoi sentimenti -, Charles era stata una speranza che, con il tempo, aveva imparato ad apprezzare e voler bene. Per poi ritrovarsi, ancora una volta, a raccogliere i pezzi del proprio cuore sul pavimento, incapace di dare la colpa all’altro, ma piuttosto a se stesso.
    Era lui il bug, sempre; era quello che complicava le cose, che metteva i sentimenti piuttosto che lasciar correre e godersi le sensazioni. Che si affezionava subito e che era incapace di far male ad una mosca, anche se questa continuava a ronzargli attorno per ore. Aveva una capacità innata nell’attrarre casi clinici e persone che, a conti fatti, avevano più problemi che capelli; eppure, nonostante questo, desiderava il loro bene a discapito di se stesso. Era frustrante ed avrebbe voluto che quella parte di sé, quel Dante ancorato al buon senso e all’altruismo incondizionato, sparisse per lasciare il posto ad uno più egoista.

    La verità era che non ci sarebbe mai riuscito e che per questo, alla fine, era condannato ad essere il Golden meno interessante della cerchia; a nessuno di loro, nemmeno a Godric, aveva sentito spendere una parola riguardo la morte di Jack. Questo la diceva lunga su quanto le loro convinzioni fossero diametralmente opposte; da Ribelle, a malapena tollerava l’aria a respirarsi nella casa dell’Osborne, i sorrisi plastici di Fake, il disinteresse di Ryan e l’aria innocente di Ryu. Tuttavia, provava per loro un affetto che non avrebbe trovato giustificazione, se non ne fatto che fosse uno stupido testa di cazzo.

    Come in quel momento.
    Una persona normale, con tutti i problemi di sorta che avevano costellato una giornata di merda, avrebbe quasi sicuramente inveito contro la giovane bionda seduta dietro di sé, pregandola di prendere quello stupido coso azzurro e ficcarselo su per il culo.
    Ma lui era un Dante ed era, fondamentalmente, incapace di essere meschino, persino con una sconosciuta; si era limitato dunque ad alzare gli occhi blu verso quella creatura che aveva intuito si chiamasse “Saule”, sospirando mestamente dal naso.
    Alla fine, si era deciso persino a sollevarsi dalla posizione scomoda in cui si era accoccolato, sentendo un preoccupante crack fargli scattare la schiena; da quanto tempo era poggiato al tavolo? Aveva perso il conto delle ore.
    … doveva davvero trovarsi un lavoro.

    Era stata la voce della bionda a fargli voltare il capo, il «Mi dispiace, è tutto nuovo per lei, credo sia questo» a fargli alzare impercettibilmente un angolo delle labbra verso l’altro, comprensivo. Era evidente dall’accento della ragazza che non fosse inglese; forse nordica? Decisamente non di quelle parti. Non credeva di averla mai vista prima di quel momento, ma non voleva affidarsi troppo alla propria memoria: avrebbe potuto essere persino una sua compagna ad Hogwarts e lui, da introverso qual era, avrebbe fatto di tutto per evitare il minimo contatto con lei.

    «Non fa niente» si era schiarito la voce, continuando a prestare attenzione allo spiritello, adesso impegnato a svolazzare mogio sul bancone poco distante «non mi dava fastidio» qualsiasi cosa fosse.
    Come se quella chiacchierata avesse nuovamente collegato le sinapsi, si era accorto di aver mescolato il tè senza nemmeno prenderne un sorso. Aveva storto le labbra in una smorfia infastidita, ma preferendo deviare l'attenzione sulla giovane, piuttosto che darsi ancora una volta dello stupido.

    «Cosa sarebbe?» forza Dante. Fare conversazione era l’unico modo per uscire da quel tunnel fatto di tè freddi e lacrime salate.
    Cry. Forgive. Learn. Move on. Let your tears water the seeds of your future happiness.
    Dante Renzo
    Rinaldi
    19 y.o.
    Golden
    Ex-Gryffindor
    Depressed
     
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