-
.Hunter non capiva. Non perché fosse stupido o perché non fosse dotato di raziocinio, semplicemente non riusciva a trovare un senso a quell’attività che era obbligato, come da programma, a svolgere.
All’inizio aveva pensato fosse uno scherzo del professor Barrow, un modo piuttosto discutibile per rompere il ghiaccio con gli alunni e per iniziare ad assottigliare quella barriera che separava il mondo degli adulti da quello dei giovani, per far credere loro che in quella classe, almeno per quell’ora, non ci fossero tabù.
Poi era arrivata la consapevolezza che quello non fosse un modo bizzarro per introdurre il programma che avrebbero dovuto svolgere durante l’anno e un senso di nausea aveva iniziato a farsi strada in lui. E disagio. E ribrezzo. E imbarazzo.
Si era sempre chiesto quale fosse il motivo dietro la scelta di quel metodo di insegnamento, cosa avesse pensato il Barrow, ammesso avesse pensato qualcosa prima di affidare loro l’esatta riproduzione di un apparato genitale di cui prendersi cura. Dove… dove voleva andare a parare? Si sentì quasi insultato, l’Oakes, quando fu costretto a scegliere quello pene punito. Si chiese come sarebbe stato se ancora non avesse fatto coming out, se avesse ancora avuto problemi con la sua identità sessuale, se non ci fosse stato un Viktor Dallaire a prenderlo per mano e guidarlo nella scoperta di se stesso. Si chiese cosa fosse esattamente quel qualcosa che avrebbero dovuto fare e, soprattutto, se il Preside fosse a conoscenza di quell’approccio alternativo all’educazione sessuale. Si pose anche la questione riguardante una possibile denuncia da parte del corpo studentesco in merito all’operato del professore e, soprattutto, se quest’ultimo provasse un piacere perverso nell’immaginare i propri studenti alle prese con il manichino. Se nella sua mente lui e i suoi compagni fossero raffigurati nell’atto della penetrazione, attiva o passiva, e se questo, in un modo del tutto opinabile lo eccitasse. Perché non era chiaro all’Oakes come sarebbe avvenuta la valutazione, se alla fine dell’anno avrebbero dovuto sedersi in cerchio e raccontare le loro mirabolanti avventure alla scoperta del sesso. Con un fantoccio mutilato.
Ogni volta che il pensiero sfiorava l’oggetto in questione, Hunter percepiva nitidamente la bile risalire su per l’esofago e lo stomaco stringersi quasi fosse un pugno per il disgusto. Merlino, secerneva liquidi!!! Aveva dovuto incantarlo affinché non macchiasse una volta al mese le sue cose! O giornalmente, perché veramente… E ok, Hunter voleva fare il Guaritore. Va bene, avrebbe dovuto fare gavetta e avrebbe assistito a scene ben peggiori, ma era il contesto scolastico a destabilizzarlo, a confonderlo.
Non era così che aveva amato Viktor in quei due mesi che avevano trascorso insieme prima dell’inizio della scuola. Non riteneva fosse quello il modo giusto per imparare a prendersi cura di qualcuno. Perché il francese non era né un fantoccio, né un manichino. Perché fare sesso con il Pirocineta non aveva il mero fine della scoperta. Perché tenere a lui andava oltre il tenere ben puliti i suoi genitali. Questo Hunter lo aveva dimostrato ampiamente quando aveva curato le sue ferite, una ad una, quando la sua pelle era cosparsa di piaghe e bolle dovute alle ustioni che quella stessa scuola gli aveva procurato.
Si era chiesto per lungo tempo se fosse solo lui a pensarla così, se fosse stato l’unico ad aspettarsi qualcosa di diverso da uno sfintere che espleta le sue funzioni giornaliere. Perché dubitava che il proprio partner si limitasse ad essere quello. Poi, però, c’era quella parte Corvonero che era ancora rimasta ben ancorata alla ragione, quella in grado di togliere Viktor dall’equazione e che provava a tenere separate le cose – in primis per non traumatizzarlo a vita –, quella che lo aveva portato a vedere la situazione da un punto di vista scientifico. Tuttavia, non potendo analizzare le malattie veneree e sessualmente trasmissibili, dubitava che la Scuola sarebbe stata felice di avere un resoconto completo di tutto ciò che fosse anche solo lontanamente associabile ai babbani. Se la licantropia era la forma magica dell’HIV – o ad essa poteva essere paragonata a livello di maledizione -, allora c’era ben poco da dire sull’argomento, dato che anche l’uso dei preservativi era sempre stato limitato al non voler procreare. Quindi, aveva preso la strada più impervia, ma anche quella che, da un certo punto di vista, lo riguardava di più.
“Serve che sia totalmente eretto e, secondo me, dovremmo ingrandire un po’ il diametro per ottenere dei risultati più visibili.” Si spostò di lato, osservando meglio l’organo sessuale del manichino, passando il metro al suo compagno di sventure – strano come la vita ti metta davanti a degli unexpected bonding moments – affinché anche lui ne prendesse le misure. “Dubito possano provare dolore, sono sempre degli oggetti.” Sistemò gli occhiali sul naso e sollevò lo sguardo sul Serpeverde, osservandone i movimenti e le espressioni, trovando conforto nello scorgere in lui la sua stessa voglia di farla finita. Se con l’esperimento o con la vita, non aveva importanza. “Hai controllato l’altro sia pulito?” Chiese ancora una volta, segnando i nuovi dati sul taccuino che aveva tra le dita e cercando, per quanto gli fosse possibile, di prender tempo.
Avevano già ampiamente studiato quali potessero essere le lesioni dovute a un intercorso vaginale non voluto e non protetto, quale fosse la soglia oltre la quale queste si manifestavano all’interno degli organi femminili e su come incidesse la forza, la preparazione della parete vaginale, la rottura o meno dell’imene e la lubrificazione naturale tipica della donna – non presente in tutti i casi - e come queste potessero variare in base all’età e all’utilizzo stesso dell’apparato. C’erano interi quaderni in cui era descritta con minuzia di particolari gli effetti dell’attrito a seguito dello sfregamento della nuda pelle o di quelli in cui era ridotto a causa della presenza del preservativo.
La sperimentazione, perché ormai era quello lo scopo cui era stato relegato il suo manichino, era arrivata fino a quel momento e Hunter, se non fosse stato per la scienza, probabilmente non se la sarebbe sentita. Non avrebbe costretto il suo nuovo e non voluto compagno di stanza a penetrare con forza lo sfintere anale del manichino del Dumont. Eppure aveva mosso la bacchetta e aveva visto il membro di finta pelle sfondare l’anello muscolare dell’altro.
Inutile dire che sentì una morsa serrargli lo stomaco quando costrinse l’oggetto a imprimere più forza sull’altro, a piegarlo al suo volere quasi fosse uno stupro. Si chiese questa era la rappresentazione grafica di ciò che era accaduto a Viktor anni prima, se quell’uomo lo avesse violato in quel modo, con quella studiata cattiveria e barbarie. Se…
Fu costretto a voltarsi e a raggiungere il primo cestino disponibile, vomitando ogni liquido che aveva in corpo, gli occhi ormai offuscati dalle lacrime.
“Sto bene, Charles. Sto bene.”
*
Interruppe l’incantesimo solo quando uno dei due manichini espletò le proprie funzioni vitali, rendendosi quasi immediatamente conto che la vittima aveva avuto difficoltà anche solo ad avere un accenno di erezione. Non era piacevole o, avendo preferito la dimensione alla lunghezza, “Potrebbe non aver raggiunto la prostata. Segnalo nella tabella.” Cercò di mantenere un minimo di contegno, le dita ancora leggermente tremanti che andavano ad analizzare la parte posteriore del manichino.
“Si notano degli arrossamenti sulla zona più esterna del gluteo che, man mano, diventano delle escoriazioni quasi nei pressi dello sfintere anale. Sono numerose e interessano tutta la zona attorno all’ano.” Separò con le dita guantate il muscolo, permettendo così al Serpeverde di scattare delle foto per la documentazione grafica. Scese con le dita fino all’ingresso del retto, infilando con delicatezza le falangi e allargandolo per permettere così l’inserimento di un dilatatore, stingendo appena le labbra quando sentì il fantoccio opporre una leggera resistenza. “Già a pochi millimetri dall’apertura, possiamo notare le prime lacerazioni dell’epidermide e la loro profondità. Credo alcune raggiungano o superino il quinto strato. Ci sono capillari rotti e, se fosse stato umano, avremmo avuto un’ingente perdita di sangue. In questi casi, quando l’olio di dittamo non può essere somministrato, ti ricordi come abbiamo detto di procedere nella somministrazione della cura? Noti qualcos’altro di particolare?”I am not a hero.
I am a scientist.Death Eater | Wolf | Ambitiousprelevi? // i panic at a lot of places besides the discoHunter
Oakes. -
.If you're a lost cause, I'm an overlooker.
bad guy
billie eilishluck pusher
finneaszero
imagine dragonscharles
dumontsheetpensieveaestheticheadphonesprelevi? // i panic at a lot of places besides the discoSPOILER (clicca per visualizzare)incanto lemuria ◆Formula: lemuria. scambia gli occhi del lemure con quelli del bersaglio umano, conferendo a quest'ultimo la visione notturna. Al contempo, il lemure viene destabilizzato dalle luci e dei colori tipici della vista umana, al punto da risultare completamente stordito. Per eseguire l'incantesimo, è necessario ruotare il polso nove volte: una sola volta di meno o una di più, e il mago si ritroverà ad emettere gli stessi gemiti sofferenti tipici di questi animali. Colore: bianco. VERBALE.Usato solitamente contro i lemuri. ©. -
.“Catetere.” Non riuscì a trattenersi, l’Oakes, troppo immerso in quel compito per poter tenere la bocca chiusa e lasciar correre. “Per evitare l’accumulo di germi e batteri, lo sforzo anti-peristaltico della parte terminale del retto e per tenere pulita la zona fino alla completa guarigione.” Ecco, per la cronaca. Non sarebbe stato Hunter se avesse lasciato la domanda priva di una risposta, se non avesse messo un punto, anche solo metaforico, a quel compito. Gli serviva per andare avanti, per provare a tornare a contatto con quella realtà che teneva lontana ogni volta che doveva interagire con quelle riproduzioni che gli facevano accapponare la pelle. Doveva alienarsi, l’Oakes, per riuscire a restare integro, per dividere ogni aspetto della sua vita e sistemarlo in compartimenti stagni, dove non ci sarebbe stata la benché minima possibilità di contaminazione.
Ci aveva provato, il Caposcuola, a ignorare il Dumont per tutta la durata della loro collaborazione. Ce l’aveva messa tutta: era riuscito a non alzare gli occhi ogni volta che il francese aveva di che lamentarsi, a cancellare dalla sua memoria ogni insulto o imprecazione in lingua e, grazie all’aver a che fare per la maggior parte del tempo con un Mehan Tryhard in procinto di mettere fine alla sua vita un momento sì e l’altro pure, era addirittura stato in grado di sopportare quel mood così allegro e travolgente. Si era morso la lingua tante di quelle volte che ormai aveva perso il conto122 per l’esattezzae lo aveva fatto solo per un unico, semplice, motivo: Viktor.
Hunter non voleva essere blasfemo, ma il solo modo per tollerare la presenza del Serpeverde, era pensare che Charles Dumont era per il pirocineta quello che Halley significava per lui. Fine. Non doveva badare a tutto il resto. Doveva concentrarsi solo sul fatto che fosse famiglia per quel ragazzo che era riuscito a fargli battere – un’unica volta – quel muscolo cardiaco che per anni era rimasto inanimato. Quindi, mosso da una serie di atti di altruismo che al momento sembrava non avessero fine, doveva cercare di non pensare a quanto in realtà il Dumont non fosse un irresponsabile. Ci provava, Hunter, ci provava davvero tanto ad essere gentile e a non dargli dello spreco di ossigeno per tutte le volte in cui aveva messo in pericolo quell’unica vita che diceva di voler proteggere. Non era stato Charles a curare le ustioni sul corpo dello Special, non era stato lui a prendersi cura di quella pelle martoriata, di quelle cicatrici che ricoprivano il 70% di Viktor, che lo avevano segnato lì dove l’occhio umano faticava a vedere. Come se non bastasse, come se essere la causa per cui Viktor aveva quasi trovato la morte a Hogwarts, il Serpeverde aveva partorito un’altra delle sue bellissime idee, facendo uscire il Dallaire dalla scuola, costringendolo a rompere il Coprifuoco e almeno un’altra ventina di regole che, se scoperto, lo avrebbero condannato inesorabilmente a un ultimo viaggio in Sala Torture, uno di quelli che non avrebbe avuto il privilegio di un ritorno. Lui, Charles Dumont, la stessa persona che lo aveva messo ripetutamente in pericolo, voleva proteggerlo. La stessa persona che, per ribellarsi alle Torture, aveva dato alla Queen carta bianca per far dei loro corpi quel che voleva, mentre usava una scorciatoia per salvarsi la pelle. La stessa persona che, ad Hunter, aveva regalato una cicatrice che gli attraversava il ventre da parte a parte e un biglietto gratuito per l’inferno, i cui demoni ancora lo inseguivano come Cerberi in attesa di banchettare col suo cadavere.
Il Serpeverde poteva anche guardarlo dall’alto verso il basso, poteva odiarlo, poteva prendersi gioco di lui, ma ad Hunter non importava. Non era a lui che doveva andare a genio, non era a lui che teneva particolarmente. Non era per lui che cercava di essere una persona migliore.
“Un ferrista non è mai inutile.” Rispose pacato, togliendo i guanti di lattice e sfilando gli occhiali per riporli nel taschino della camicia. Un po’, un pochino pochino, gli era grato dell’aiuto ricevuto qualche minuto prima e, se proprio doveva essere onesto, non si sarebbe mai aspettato un gesto così gentile dal francese. Dietro le sue parole, in realtà, si nascondeva dell’altro, qualcosa che Hunter non era ancora disposto a dire ad alta voce, perché non sapeva se il Dumont, in realtà, meritasse la sua considerazione. Perché per quanto potessero essere diversi, il Caposcuola non poteva negare l’importanza che l’altro avesse per Viktor. E tornava, ancora lui, tra i suoi pensieri. Perché solo pochi mesi prima Hunter aveva visto in quegli occhi lo stesso terrore e la stessa disperazione presenti nei suoi, quando lui e Halley erano scesi nei sotterranei, quando a fine scontro avevano tardato a far ritorno in superficie, quando avevano rischiato di essere tra i nomi incisi in Sala Grande, in quel freddo marmo che avrebbe fatto da lapide a delle tombe vuote. “Non sei inutile.” Concluse con un sospiro, cercando una mentina nella tracolla dello zaino prima di allontanarsi dal tavolo incriminato e spostarsi verso uno dei divanetti che erano apparsi nella Stanza delle necessità e facendo segno all’altro di seguirlo.
“El Secreto de Hunter y Carlos!” Scimmiottò portandosi una mano sugli occhi e stringendo appena le dita sulle palpebre, lasciando sfuggire una risata al pensiero che entrambi potessero iniziare a parlare in spagnolo da un momento all’altro – ancora non riusciva a comprendere bene il francese, ma a furia di seguire con il piro cineta le telenovelas stava iniziando a sentire el sangre caliente y el ritmo de la passion. “Ho il terrore possa essere sempre meno interessante rispetto ai segreti de Puente Viejo. Almeno per Viktor. Io non credo di poter reggere un altro episodio da sobrio. Davvero, come fa?”
Quello, c’era da dire, era il male minore. Spesso, quelle volte in cui aveva trascorso i pomeriggi con lui nella sua nuova casa, lo aveva sentito ridere di gusto davanti a delle serie animate talmente creepy e allucinanti che era arrivato a chiedersi, preoccupato, se fosse tutto a posto. E ok, no, non era niente a posto nelle loro vite ma… non credeva che dietro quella maschera imperscrutabile si nascondesse uno sfegatato amante di ogni cosa trash. O di orsacchiotti e coniglietti psycho!killer.
“Sai come sta? Non sono riuscito a scrivergli negli ultimi giorni.”Domandò con gli occhi fissi sul soffitto, il pensiero che correva verso Londra, in quella casa troppo grande e vuota. “A volte ho paura si dimentichi di prendersi cura di se stesso, troppo assorbito dal Conservatorio e dal violino per pensare ad altro… O forse sono io a preoccuparmi inutilmente ma…” ma non ce la faceva a non pensare che potesse aver bisogno di lui e che fosse troppo lontano per arrivare in tempo, qualsiasi fosse la necessità dell’altro. Che potesse accadere qualcosa e non essere lì per impedirlo. Si sentiva come quando Halley non era nel suo raggio d’azione e le sue paure iniziavano a insinuarsi in lui, ad avvelenare la realtà, a dipingere tutto nero. Aveva anche messo in conto che Viktor potesse rifarsi una nuova vita e che Hunter non fosse invitato a farvi parte. “…ma non ci riesco.” Spostò lo sguardo sulle proprie dita intrecciate, analizzando con fin troppa attenzione la pellicina attorno al pollice, chiedendosi se fosse il caso di continuare o restare zitto, di lasciar cadere il discorso e andare avanti, di cambiare argomento e parlare d’altro.
“Hai mai la sensazione, quando stai con qualcuno, di star camminando su dei gusci d’uovo? Che basta un solo passo falso per distruggere tutto?” Perché era esattamente così che Hunter si sentiva.I am not a hero.
I am a scientist.Death Eater | Wolf | Ambitiousprelevi? // i panic at a lot of places besides the discoHunter
Oakes
Edited by Messier_43 - 18/12/2019, 11:44.