do i regret this? yes.

[ft. jane @spacobot]

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    si moriva fottutamente di freddo, ma c'era abituato.
    tutti loro, god bless them, ci erano abituati.
    per questo euge aveva sistemato con cura il proprio giaccone sulle spalle minute di jane, un solo brivido a scuotere il corpo nella gelida notte di novembre. bastava la presenza dei suoi migliori amici in quell'occasione insieme propizia e infausta a scaldarlo piu di quanto sarebbe riuscito a fare qualunque indumento. il fatto, poi, che si fosse già scolato da solo mezza bottiglia di vodka aiutava parecchio.
    «eli, ore?» «le 2 e 58, bello. mancano due minuti.» sufficienti per un altro sorso.
    aveva dato a ciascuno una bottiglia, come da tradizione, con la sola differenza che quella della sorella conteneva succo di frutta al posto del whiskey proclamato dall'etichetta, un raggio di responsabilità nella nebbia che quella notte in particolare riusciva sempre a far montare nel serpeverde. era stata Jade a suggerirgli di non offrire superalcolici ad una minorenne durante una veglia notturna al cimitero, e il Jackson l'aveva ovviamente amata anche per quello: Jaden Beech si prendeva cura di lui, come i casta avevano fatto sin dal primo anno ad Hogwarts, come delilah era stata in grado di fare sin dalla loro nascita. come continuava a fare, quando di tanto in tanto euge sognava la gemella e in quei sogni lei riusciva sempre a sistemare tutto.
    «le 3.» i rintocchi della campana alle loro spalle parvero sottolineare le due parole pronunciate da rea, lo sguardo di tutti fisso sulla lapide in granito che l'ormai ventottenne si era premurato di pulire poco prima dalle foglie secche trasportate dal vento. «auguri Jacksons.» e nel sollevare la bottiglia la Hamilton incrociò lo sguardo del ragazzo e lì vi rimase, elijah e nate al seguito. cristo, amava jade e Uran, avrebbe dato la vita per loro e run e gemes e al e tutti quegli altri stronzi che continuavano a ficcarsi nei guai, ma era a quei tre che sentiva di dovere tutto. quattro, contando la sorella morta che non aveva mai mancato di fargli sapere quanto fossero stupidi i suoi amichetti. sarebbe morto senza di loro, e ben prima di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.
    «cento di questi giorni, lardina.» rivolse la bottiglia verso la tomba, prima di portarsela alle labbra e bere un ulteriore sorso freddo e bollente insieme, mentre altrettanto facevano i rimanenti castafratti rabbrividendo nell'impalpabile cono di luce offerto dalla luna quasi piena. chiunque altro avrebbe forse rifiutato di presenziare a tale rito dopo quasi tre anni, ma non loro. loro mai. «tieni, sis. non si può festeggiare davvero questo compleanno bevendo solo succo.» era una Jackson, dopo tutto. fece a cambio di bottiglia con Jane, stringendo tra le dita quella piena di succo mentre con la mano libera cercava l'accendino nella tasca dei jeans. «e sono ventotto. insomma, chi immaginava di arrivarci vivo..» di sicuro non i casta, e euge tanto meno. fece scattare l'accendino avvicinando la fiammella a quell'unica candelina posta da nate sul muffin gigante al cioccolato che erin aveva preparato per l'occasione, resa ancora più grande e luminosa dal buio quasi solido che li circondava.
    «si vede che doveva andare così, giusto?» lui vivo, lei morta. lui con un figlio, lei morta. un'ingiustizia, certo, alla quale in tempi non sospetti eugene aveva pensato di porre rimedio andando a cacciarsi in situazioni dalle quali non credeva di uscire ancora respirando, ma per cui del non avrebbe voluto vederlo piangersi addosso. e non voleva farlo, il Jackson, tranne forse in quei momenti di debolezza e raccoglimento in un cimitero la notte del loro compleanno dove tutto era permesso. soffiò sulla candelina spegnendola all'istante, le braccia di nate e elijah subito avvolte attorno alla schiena, il calore della mano di rea sul fianco appena percepibile ma incredibilmente presente, il sorriso appena accennato di Jane a fare da contorno. era confusa, e euge la capiva. non era facile calarsi nei panni di un fratello che aveva da poco scoperto essere tale, privata di quei ricordi che avevano fatto di loro tre una famiglia, prima che tutto andasse in merda. ma ci stava provando, l'unica cosa che per il serpeverde contasse qualcosa.
    «grazie raga, vi si ama sempre. per concludere in bellezza la serata credo porterò la mia sorellina a conoscere spaco.» elijah: *giggle hysterically* «non fare quella faccia eli, la riporto a casa sana e salva ok???» jane: *meme della scimmietta* «perché ho come l'impressione che sarà lei a dover riportare a casa sano te, Jackson?» «Ooohh, ma perché mi conosci troppo bene, rearea!» e non contento si mosse rapido come una faina (elisa: triggered) piazzandole un bacio in fronte, lesto a ritirarsi prima che la Hamilton decidesse di spaccargli il paio di occhiali che non aveva indosso, mossa da un istinto naturale e irrefrenabile. «get in loser!» avvolse le spalle di Jane con un braccio, riprendendosi la bottiglia mezza vuota di vodka così che la ragazzina non fosse tentata di mandarne giù ancora - badger. - «we're going to the spaco bot!»
    tutta la notte?

    «-COCA E MIGNOTTE!»
    urlato tutto d'un fiato, con il cuore che batteva a mille nel petto e la maglia zuppa di sudore nonostante la benedizione dei cinque gradi notturni, assumeva quasi un altro significato. più che un saluto, quello classico che spaco scambiava ormai da anni con i suoi clienti preferiti - euge e run -, suonava nello specifico come una formula magica da usare solo nelle condizioni più critiche; e, a guardare bene in faccia eugene e Jane, sembrava essere una di quelle. «Jackson, testa di cazzo, vuoi buttarmi giù la porta? ce li hai i soldi per ripagarla, pezzente?» buon vecchio spaco. ok, aveva sbattuto la porta d'ingresso leggermente più forte del dovuto, dopo aver lanciato dentro Jane (letterale: afferrata per il giaccone e spinta all'interno del locale fatiscente senza troppi complimenti) ed essersi catapultato a sua volta nella breve anticamera che separava i gradini esterni dalla sala principale e dal bancone. era dovuto ricorrere ad estremi rimedi, il serpeverde, dal momento che il gorilla a guardia del minimarket dal quale erano da poco usciti correndo con tre scatole di cereali sottobraccio e un set completo di coltelli da bistecca li stava inseguendo per dark street da almeno dieci minuti.
    «euuu certo che si! sono un professore ora, ricordi?» ed ecco perché spaco preferì inarcare un bianco e folto sopracciglio anziché rispondergli. lo sapevano tutti, anche i sassi, che a Hogwarts si faceva la fame. «ok, forse questo non gioca a mio favore, brutto stronzo, ma ehi!, ho anche ereditato gli sghei paterni e aperto una yogurteria!» solo a quel punto spaco finalmente sorrise, uno spettacolo indecente al quale capitava di assistere di rado - per fortuna -, e solo quando si parlava di soldi. «perfetto per saldare il tuo debito, inutile buco di culo sul gomito» al che eugene si sciolse tutto come un gelatino lasciato al sole.
    annuì con solennità stringendo a sé una (giustamente) riluttante jane, le labbra premute una contro l'altra e distese in un sorriso colmo di affetto e orgoglio, quasi spaco gli avesse detto che lo amava come un figlio; cosa che, nella mente del Jackson, avveniva continuamente. «aaaww, non è un vecchio bastardo adorabile? questo, jane, è spaco. uno di famiglia, praticamente. e lei è jane, era mio fratello una volta, ora è mia sorella.» non faceva una piega, tant'é che un tizio ubriaco mezzo accasciato sul tavolino alle loro spalle trovò la forza per sollevare la testa e chiedere con voce impastata ma carica di sincero interesse «trans?»
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    Inadeguata. Jane Gabriel Darko, accartocciata dentro una giacca più grande di lei di diverse taglie, si sentiva inadeguata ai piedi della lapide di una donna, di sua sorella, di cui aveva dimenticato tutto. Doveva essere la sensazione che provavano i sopravvissuti ad un incidente quando ad altre persone veniva comunicato che i loro familiari non ce l’avessero fatta: estraneità, disagio. Senso di colpa, sia per loro che per Jane, che quel volto sulla tomba di Delilah Jackson sentiva di doverlo conoscere. Vibrava in ogni vena della Darko, risuonando di raccomandazioni mai del tutto scordate, eppure sfuggente. Effimero. Si sentiva di troppo, con la sua bottiglia di succo sotto marca fra le mani, in un evento che avrebbe dovuto essere anche suo, ma del quale era stata privata.
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    Dondolò nervosa da un piede all’altro, evitando di incrociare gli occhi di Eugene o uno qualunque dei suoi amici. Era stata, con il sorriso sardonico consuetudine Darko, lusingata di poter partecipare alla celebrazione, ma non aveva immaginato che… che sarebbe stato così intimo - così fastidioso, come non poter fare a meno di togliere la crosta da una ferita appena rimarginata. Mi dispiace, avrebbe voluto dire a Euge; Cristo, se mi dispiace avrebbe voluto poter dire a Delilah. Troppo tardi. Neanche c’era andata, al suo funerale. Aveva registrato l’informazione con una scrollata di spalle, cinicamente conscia che la morte fosse una tappa di cui nessuno poteva evitare il traguardo. Sua sorella. Quella che l’aveva rammendato e redarguito, abbracciato e spinto in piscina senza braccioli. Quella che era rimasta, quando Euge se n’era andato ad Hogwarts; quella che si era sempre presa cura di lui – che l’aveva cercato, e non l’aveva trovato, ed era morta prima di trovarlo perché non sapeva cosa cercare. Jane era sempre stata lì, sotto gli occhi di tutti. Bagnò la gola con l’ACE per tenersi occupata, umettando poi le labbra ed arricciando il naso al forte sapore di arancia. «tieni, sis. non si può festeggiare davvero questo compleanno bevendo solo succo.» Spontaneo. Genuino. Naturale, Eugene, in quel sis a sporcare le labbra in un sorriso, offrendole la sua bottiglia come un segreto. Sis. Suonava bene, no? Gli sorrise, perché cos’altro avrebbe potuto fare?, stringendo grata l’alcolico fra le dita. «grazie...» un’occhiata alla lapide, il cuore stretto in un battito mancato. I got you. «bro.» una spallata, la gola stretta in un nodo e la lingua ruvida contro il palato. Fergie avrebbe saputo, istantaneo come il suono dopo un tuono, quale fosse il suo compito: assicurarsi che il Jackson maggiore non finisse (troppe volte) in galera, coprirgli le spalle come avrebbe fatto Del. Jane non poteva saperlo, ma...in qualche modo, riusciva a sentirlo, come una risata a riecheggiare nella calotta cranica. Percepiva il peso - uno di quei pesi buoni, che facevano sospirare e alzare gli occhi al cielo - della responsabilità di far parte di una famiglia.
    Sis. Bro. «è vero che vi picchiava?» bisbigliò agli amici del fratello, una punta di orgoglio a dipingere il tono basso e cospiratorio della Darko. Mi sarebbe piaciuta un sacco, pensò; poi si corresse: mi è sempre, piaciuta un sacco.
    Come avrebbe potuto essere altrimenti. «grazie raga, vi si ama sempre. per concludere in bellezza la serata credo porterò la mia sorellina a conoscere spaco.»
    e questa, ragazzi, è la storia di come Jane Gabriel Darko prese il coronavirus.
    «yay?» interrogativo legittimo.

    «COCA E MIGNOTTE!»
    ma confermato. «yaaaay!» ammirata, la Darko, mentre sotto il braccio di Euge si destreggiavano fra bidoni della spazzatura che fungevano da clienti, because y’all trash tavoli e soggetti che sembravano appena usciti da Sanremo 2020. Praticamente l’aveva portata nel nucleo del ThisAgio - casa. Inspirò l’odore di cose morte (e persone che avrebbero dovuto esserlo) come una Marylin Monroe alla prima sniffata di Chanel n5 della giornata, stringendo le braccia al petto per fasciarsi di quell’olezzo e portarne un fresco ricordo a casa. La sua opera (ricordiamolo sempre: antologia della specie, how did our life come to this; titolo sempre in costruzione, problemi?) aveva bisogno di quelle nozioni. Così affascinata da essersi dimenticata di essere in debito d’ossigeno, cosa che la costrinse a perdere l’equilibrio sul posto come un Lele a Ferragosto, ed a cercare appoggio su un cane.
    «tre zellini a palpata, ragazzina»
    okay, forse non era un cane. «eaula che caro, c’è la crisi» raggiunse infine il bancone, dove saltellò con la quasi certezza che la mancanza del metro di distanza dal barista, le avrebbe assicurato ebola ed epatite: yes. «aaaww, non è un vecchio bastardo adorabile? questo, jane, è spaco. uno di famiglia, praticamente. e lei è jane, era mio fratello una volta, ora è mia sorella.» Uno di famiglia? BELLISSIMO. Avrebbe voluto dire ad Euge che anche lei voleva bene a tutti i casi umani, che erano le sue persone preferite, ma non era certa di come l’avrebbe presa il caso umano in questione. Si limitò a salutare l’uomo (vecchio? Giovane? Cosa? Difficile dirlo) con un cenno della mano. «trans?» «genderfluid» corresse, stringendosi nelle spalle. «ehi senta, ma qual è il tasso di mortalità all’interno del suo locale?» mancanza di norme igieniche! Di controllo qualità! TRIGGER. «come hai scoperto questo posto? Vieni qui spesso?» domandò al fratello, prendendo la fotocamera appesa al collo per fare qualche scatto al locale, ed armandosi con l’immancabile taccuino per prendere appunti. Serissima, puntò un dito oltre le spalle dell’uomo indicando gli alcolici sugli scaffali; abbassò il tono di un’ottava. «il solito» perché aveva sempre sognato di dirlo. Diede poi una gomitata ad Euge, perché...beh, non aveva un solito. MA DA QUEL GIORNO LO AVREBBE AVUTO! #life goals «dai ordinami qualcosa» un sorriso a metà, riflesso distorto di quello di Euge. «bro»
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    «ehi senta, ma qual è il tasso di mortalità all’interno del suo locale?» domanda interessante, quella. non aveva mai pensato a quanto lo SpacoBot andasse contro le basilari norme igienico-sanitarie imposte dalla legge, nonostante nel corso degli ultimi dieci anni avesse passato più tempo li dentro che altrove. faceva parte della natura del Jackson, quel minimizzare le cose per altri importanti (come, non so, la sopravvivenza), dando la precedenza ai rapporti umani. non vedeva gli scarafaggi che banchettavano sul pavimento perché troppo impegnato a farsi amorevolmente insultare da Spaco, era diventati immune all'alezzo degli avventori in via di decomposizione a furia di mandare giù shottini di benzina incendiaria mentre run faceva ballare a chiunque non fosse svenuto la coreografia di Single Lady. Un pezzo del suo cuore si trovava tra quelle mura luride (quasi letteralmente: ci aveva davvero sputato sangue, tra una scazzottata e l'altra) e non l'avrebbe mai scambiato per niente di più pulito.
    ma era comunque curioso di sentire la risposta.. soprattutto perché sapeva che non ce ne sarebbe stata una.
    «ragazzina, l'unico tasso che conosco è quello che s'è fatto il nido nel magazzino. potrebbe essere morto, se ti va di controllare la porta è quella.» fu lesto il professore a poggiare una mano sul braccio di jane, scuotendo rapidamente la testa da una parte all'altra con tanto di occhi sgranati: sapeva quanto potesse essere accattivante quell'invito (????), ma non era ancora pronta per il magazzino. «magari la prossima volta, eh!» piegò il capo in direzione della sorella, sussurrandole all'orecchio un premuroso «dopo un richiamo di antitetanica, l'antirabbica e la vaccinazione contro la malaria.» attirando jane a sé con il braccio. ci era già passato, Eugene (lotta con il suddetto tasso idrofobo compresa) e sebbene i geni jackson fossero evidenti e scorressero forti nella sorella, aveva ancora tante cose da mostrarle e insegnarle, prima di vedere la vera morte in faccia. «stasera siamo qui per festeggiare, brutto bastardo!» epiteto comune che nella loro lingua esprimeva affetto e familiarità, per quanto Spaco continuasse a negare entrambi a suon di grugniti e sputi catarrosi sul pavimento. «è il mio compleanno.» dal fondo del locale giunse un debole 'auguri, stronzo', mentre euge faceva magicamente apparire un cappellino a punta di cartone con tanto di elastico; non aveva usato nessun incantesimo, semplicemente ne teneva una ventina a portata di mano piegati nella tasca interna della giacca. non sapevi mai quando potevano tornare utili. lo mise in testa a Spaco ignorando volutamente l'espressione deadpan dell'uomo (misto tricheco), preferendo svaccarsi sul bancone lercio con la testa appoggiata al palmo della mano. «mi rakk prendi solo il mio lato migliore!» come poteva resistere vedendo jane imbracciare la macchina fotografica???? ormai era parte integrante del locale, il jackson, era giusto apparisse anche lui nelle fotografie! «che poi ci facciamo la brochure doveva spogliarsi almeno un po'?
    «come hai scoperto questo posto? Vieni qui spesso?» forse no. «direi per necessità. avevo... quanti, 19 anni, Spaco? » l'altro grugnì prima di sputacchiare su un bicchiere per lucidarlo «magari dopo ne usiamo uno di plastica. comunque, stavo scappando da questi tizi, no? non rifiuto mai una bella rissa, ma sei contro uno mi sembrava più morte che divertimento, così.. » si strinse nelle spalle, l'ex pavor, nella mente l'immagine di sé stesso con un sorriso sguaiato sulle labbra spaccate, la parola di scherno che aveva fatto traboccare il vaso e troppe bacchette puntate contro. dio quanto gli mancavano quei tempi d'oro. «mi sono infilato qui dentro e Spaco mi ha coperto il culo.» semplice, naturale. come fosse stato destino. sorrise nuovamente, emozionato all'idea di avere ancora qualcuno cui raccontare la storia intensa della sua vita (a chiunque altro aveva già rotto k coglioni a sufficienza, per non parlare di chi come i Casta certe avventure le avevano vissute in prima persona): troppo presto per uran élite beech-Jackson, ma dategli un paio d'anni. «dai ordinami qualcosa, bro» o mai.
    voleva farlo sciogliere come burro al sole?
    sbrodolare come un qualunque avventore dello spacobot???
    beh, ci stava riuscendo.
    «AAAWW, COLPITO E AFFONDATO!» il suo kuowe, ma «è anche il nome del mio shottino preferito!» battè entrambe le mani sul bancone, facendo tremare gli spiccioli falsi lasciati lì sopra da qualcuno ere addietro (di solito chi tentava di fregare spaco con galeoni fasulli finiva direttamente nel magazzino) allungando poi il busto in avanti così da recuperare di persona due bicchierini di cartone da caffé, come quelli delle macchinette. «non ha ancora gli anticorpi necessari per usare i bicchieri che lavi con il detersivo speciale, Spaco.» diamo tempo al tempo, jane è ancora giovane! «prima devi dargli fuoco... allo shottino non a lui. e indicò il propietario del locale, fortunatamente intento a riempire i contenitori con qualche mistica brodaglia da versata direttamente da una bottiglia senza etichetta. «usiamo il mio accendino, a Spaco stanno sul cazzo quelli che usano la bacchetta.» ed ecco perchè ai poracci la sequestrava quando entravano.
    ma euge non era un poraccio - in senso stretto -, era un vip.
    «poi quando la fiamma si spegne... giù tutto d'un fiato!» eh ma se non era un fratello modello (in tutti i sensi, JADE HAI VISTO CHE MI STO ALLENANDO NON HO QUASI PIU LA PANCETTA??)

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    «ragazzina, l'unico tasso che conosco è quello che s'è fatto il nido nel magazzino. potrebbe essere morto, se ti va di controllare la porta è quella.» VABBè. Jane Darko spalancò gli occhi, un luccichio malizioso nelle iridi turchesi mentre allungava il collo verso la porta in questione. «subit-» fece per saltare giù dallo sgabello e seguire, contro ogni logica e amor proprio, il caldo consiglio del proprietario del locale, ma la mano di Euge sul braccio e la testa a scuotersi la bloccarono sul posto. «magari la prossima volta, eh!» what a boomer. Lo osservò una manciata di secondi tra l’offeso e l’oltraggiato – come poteva privarla di quell’esperienza? - ma concluse che se Eugene Jackson le suggeriva di non fare qualcosa, probabilmente c’era un dannato buon motivo, perché se aveva il coraggio di poggiare la bocca su bicchieri che non venivano lavati dall’ante guerra, quel diniego doveva pur significare qualcosa. Si sentì se possibile ancor più affascinata dalla Porta, a cui rivolse un’occhiata languida e bramosa. «dopo un richiamo di antitetanica, l'antirabbica e la vaccinazione contro la malaria.» «la prossima volta.» ed era una promessa, quella a cercare conferma negli occhi altrettanto chiari del Jackson. Una promessa che suo malgrado le curvò le labbra verso l’alto in uno di quei sorrisi che raramente offriva al pubblico, troppo vulnerabili e fragili perché potessero affrontare il mondo crudele all’infuori della sua testa. Perchè ci sarebbe stata una prossima volta, e per chi, come Jane, non era abituato a pensare al futuro – o a credere di averne uno – o a mantenere dei rapporti costanti con le persone, era un traguardo ammirevole. «stasera siamo qui per festeggiare, brutto bastardo! è il mio compleanno. » e la colpì di nuovo quella calda stilettata alla gola, che celò rapida in un altro scatto di un intenso rapporto sessuale fra blatte. Non era il genere di persona che tendeva ad auto commiserarsi, o a lamentarsi in generale, ma trovava...assurdo che qualcuno volesse passare il proprio compleanno con lei. Si trattava di una tappa fondamentale, un anno in più da scolpire sulla lapide nel costante avvicinarsi alla morte, e nessuno prima d’allora aveva volontariamente passato un giorno così speciale con lei. Non dubitava che anche potendo scegliere Nah e Fitz l’avrebbero fatto, ma era...diverso. Al contrario delle grl pwr, Eugene Jackson aveva tutta una sua vita di cui lei non faceva ancora realmente parte, eppure aveva scelto la sua compagnia con naturalezza. Come fosse stato ovvio.
    Non lo era, ma non gliel’avrebbe detto: certe cose dovevano rimanere sottintese, ne andava della sua reputazione.
    Allungò una mano per sistemare il cappello sulla testa di Spaco, ritraendola prima che potesse morderla e attaccarle il COVID19, sorridendo dietro l’obiettivo mentre immortalava quel momento. Due scatti rapidi ed in sequenza; sventolò le pellicole perché si asciugassero, passando una polaroid al proprietario del locale e tenendone una per sé, che rapida fece guizzare dentro lo zaino. Le piaceva collezionare momenti altrui. «potrebbe essere la tua ultima foto. Uran la vorrebbe» giustificò pur non avendone bisogno, pur mentendo perché entrambi sapevano fosse per lei e non per suo nipote, stringendosi nelle spalle. «direi per necessità. avevo... quanti, 19 anni, Spaco? » Cercò di fare il calcolo mentale di quanti anni prima fossero, ma una decade prima aveva deciso che la matematica non facesse per lei, ed in quel momento rimase coerente alle sue convinzioni: un po’ di tempo, concluse fra sé. «stavo scappando da questi tizi, no? non rifiuto mai una bella rissa, ma sei contro uno mi sembrava più morte che divertimento, così.. » L’attenzione di Jane era divisa fra il racconto del mago e la saliva di Spaco a fungere da anti calcare sul bordo del bicchiere. Un fenomeno affascinante di cui non sapeva di aver bisogno, ma che riempì un vuoto nella sua anima. «mi sono infilato qui dentro e Spaco mi ha coperto il culo.» Una storia breve che racchiudeva la natura di Eugene Jackson. «non sono un tipo da risse» confessò, distogliendo a fatica gli occhi dalla macchia rosata sullo straccio usato da Spaco per (sporcare ulteriormente) asciugare il bancone. «almeno, non da partecipare» riportò lo sguardo sul Jackson, non propriamente certa del perché glielo stesse dicendo. «più botteghino che azione» diluì un ghigno facendo ancora spallucce, incerta se esserne delusa o fiera. Non sapeva se stesse mettendo le mani avanti facendo notare di non essere Fergie, o se cercasse punti fedeltà per cui esserlo. Quando fu il momento di ordinare, Jane Darko iniziò – nella maniera morbosa ed affascinante di un cacciatore di fantasmi che avesse paura del buio ma continuasse ad amare il mistero – ad avere timore. In parte sollevata quando Euge prese un bicchierino di cartone, ed in parte «prima devi dargli fuoco... allo shottino non a lui» confusa. «ma non prende fuoco anche il bicchiere?» non che gli dispiacesse vantare incendio doloso sulla propria fedina penale, ma se doveva commettere un crimine preferiva fosse intenzionale. Questione di principio. «usiamo il mio accendino, a Spaco stanno sul cazzo quelli che usano la bacchetta.» Lanciò una bieca occhiata complice al barista, sorridendo sghemba all’espressione cruda dell’uomo. «anche a me» e azzardò perfino un pugno verso Spaco perché vi picchiasse le nocche; quando non si aggiunse, decise di sfidare la sorte ed allungarsi oltre il bancone per prendersi da sé il fist bump che meritava. «senza offesa» uno sfarfallio di ciglia corvine verso il Jackson. «ma è effettivamente seccante» non voleva avere la magia dei maghi, Jane – non era invidia quella negli occhi celesti – ma anche lei faticava a sopportarla. Era...troppa. Era potenzialmente troppa, e quella consapevolezza aveva reso per anni maghi e streghe avidi e arroganti. Osservò preoccupata il bicchiere posato sul bancone, labbro inferiore stretto fra i denti. Si fidava di Eugene? no più di quanto avrebbe sospettato di potersi fidare. E poi dai, era il suo compleanno. «insieme?» Almeno se fossero morti, non sarebbe stata sola.
    Attese che il fratello accendesse gli shottini. Deglutì offrendo il proprio bicchiere perché Euge vi soffiasse come aveva fatto sulla candelina poco prima, e - bevve. Bevve sul serio, e tutto d’un fiato, e quell’indefinito bruciore alcolico sapeva di libertà e mattoni a irrobustire un ponte già in piedi ma ancora delicato. «wo-ho» grugnì, arricciando il naso e prendendosi una pausa di riflessione per premere la manica della felpa sopra la bocca. «colpito e affondato» confermò, gracchiando un sorriso. «dovremmo fare il gioco delle cento domande» distratta nel proporlo, ma concentrata nel prendere già taccuino e penna con il quale prendere appunti. Non sapeva nulla di - Fergie - Eugene. «però invertito. Tipo, io ti chiedo “ho mai rotto qualcosa?” e te devi rispondere se secondo te io ho mai rotto qualcosa – se non lo sai, vale aggiungere headcanon sul cosa ed il come, altrimenti dov’è il divertimento» roteò il tappo della penna togliendo e rimettendo la punta. «se indoviniamo, beviamo» DRINKING GAME CON IL SUO BRO! Ma avrebbe tenuto il trigger per sé – sempre questione di reputazione. «inizio io, facile: preferisco tv o youtube?»
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    grazie persona su wattpad per le domande, e ho estratto a caso con random.org
     
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    «non sono un tipo da risse»
    anche in tempi non sospetti, euge non si era mai considerato in buon esempio come fratello maggiore; mai un buon esempio in generale.
    e non era un problema, quello, perché aveva sempre avuto delilah. non importava che avessero la stessa età e già a otto anni la superasse di quindici centimetri, era a quella ragazzina sempre accigliata (letteralmente: monosopracciglio ♡) che un più giovane e occhialuto eugene jackson guardava pendendo dalle labbra di lei; danette era il faro che seguiva per ritrovare la strada di casa quando si smarrita, non soltanto in senso figurato. ed era inevitabile che Fergie seguisse la stessa luce, pur essendo solo un bambino.
    non era euge l'esempio da seguire, non lo era mai stato.
    ma jane non poteva essere fergie, non più - e nessuno dei due poteva farsi guidare da delilah, non più.
    non era stato certo, il jackson, di potersi adattare a questa nuova prospettiva di vita perché come avrebbe potuto senza di lei?, finché si era reso conto che il tempo aveva continuato a scorrere comunque; tutto era andato avanti, a volte così veloce da far perdere il conto dei giorni. e non si era forse ritrovato a stringere di nuovo Fergie tra le braccia? cresciuto e criminale da una parte, con quella faccia da stronzetto impertinente che era marchio di fabbrica dei jackson; cresciuta e cambiata dall'altra, con quel sorriso inaffidabile che per quanto impossibile apparteneva ancora alla sua famiglia.
    nessuno dei due era come ricordava suo fratello, un ragazzino di undici anni pronto a dargli del coglione alla prima occasione utile, che rifiutava di andare a dormire senza euge a raccontargli l'ennesima storia dell'orrore. jane non poteva più essere quel fergie, ma come sorella, come parte della sua vita, andava benissimo.
    «ho perso il filo del discorso» e questo è il motivo per cui rob non deve più scrivere dopo cena: diventa confusionaria, biascica le parole (soprattutto se a tavola appare magicamente un buon vino bianco), si lascia distrarre dalla televisione accesa; non è più in grado di elaborare un'idea senza il sostegno della luce diurna, e il prologo di cui sopra ne è una prova. anche euge ne era uscito confuso, troppe considerazioni in una volta, ma al serpeverde perdersi non era mai dispiaciuto davvero. «scommetti anche? sulle risse, dico» se jane aveva atteso una reazione diversa - disappunto, magari - allora si era fatta del fratello un'idea sbagliata. non era quel tipo di persona, eugene jackson; quel tipo di amico, quel tipo di fratello. non pretendeva nulla dalle persone che amava, se non per loro stesse. della darko gli sarebbe andato a genio tutto, persino una vita da astemia: sarebbe stato un colpo al cuore, ma l'avrebbe accettato. «perché se è così so dove portarti la prossima volta»
    quale adulto badger con un figlio non ha mai proposto alla sorella adolescente di assistere ad un incontro di lotta clandestina, dopotutto.
    quindi era chiaro: eugene non puntava ad essere un buon esempio (troppa responsabilità, troppo ooc), ma non per questo si sentiva pronto a lasciare che Jane provasse il brivido di beccarsi la salmonella - non ancora; un passo alla volta, come per il magazzino. scartó abilmente il bicchiere sudicio che spaco stava lavando riuscendo ad afferrare due contenitori di cartone ancora intonsi (un termine sicuramente eccessivo per descrivere un qualunque oggetto o persona all'interno del locale), già riempiti fino all'orlo. «ma non prende fuoco anche il bicchiere?» quanti ricordi.
    annuì con fare solenne, il jackson, spingendo uno dei bicchierini di fronte alla sorella, lo zippo nella mancina. «è questo il bello, ragazzina. una volta nate ha quasi incendiato il locale» lo disse con fare sognante, le iridi azzurrissime un po' offuscate da alcol e nostalgia. aveva imparato a mettere da parte la tristezza, il ventottenne, soprattutto in occasioni come quelle - a del non sarebbe piaciuto. «non dirlo a me» quando si parlava di magia, eugene jackson non aveva dubbi: se poteva evitare di usarla, tanto meglio. non gli era mai servita granché nel sobborgo di periferia nel quale era cresciuto, lì dove gambe veloci, nocche ossute e armi da fuoco gli avevano sempre garantito la sopravvivenza; si era dimostrata necessaria in certe occasioni di vita o di morte, ma di fronte ad una minima possibilità di scelta euge sceglieva sempre la via più sporca. quella più umana. che poi dimmi dove sta il gusto se ad almeno un nemico non spacchi la testa a martellate!
    quando arrivò il momento di mandare giù lo shottino tutto d'un fiato, euge ci aggiunse anche un paio di lacrime: racchiudevano orgoglio, affetto e un'innegabile anima sentimentale. cosa che il Jackson era sempre, too fucking emotional, anche quando le emozioni in questione non riguardavano amore e pensieri felici; non aveva mai imparato a contenerle, come un bambino. «cristo santissimo» per quanto fosse abituato al peggiore alcol in circolazione e l'acquaragia venduta da Spaco fosse ormai parte integrante del suo organismo, il professore ebbe comunque un brivido - occhi chiusi e mano sul petto: @betta, sto morendo? «cosa c'entra quel fricchettone, questa roba è buona perché me la distillo da solo» nel caso qualcuno avesse ancora dubbi. «un vero miracolo, Spaco» che la maggior parte dei clienti abituali (euge compreso) fossero ancora vivi.
    «dovremmo fare il gioco delle cento domande» già alla parola gioco, prima ancora di sentire tutto il resto, le orecchie di eugene si drizzarono; persino lo sguardo cristallino si fece più lucido, attento. nell'improbabile range costituito dai pg di rob (che andava da jay-chiusura-totale a eddie-ti-ho-mai-raccontato-di-quella-volta-che-ho-preso-l'herpes), il jackson sostava allegramente un po' oltre la metà di questa linea immaginaria, pericolosamente vicino al limite moonarie senza però sfiorarlo. non aveva problemi a parlare di sé, persino quando in ballo c'erano particolari imbarazzanti che chiunque altro avrebbe preferito mantenere segreti, ma aveva comunque i suoi argomenti tabù.
    non lo mettevano di malumore, non provava tristezza o vergogna: eugene jackson si incazzava - una cosa davvero brutta da vedere.
    ma amava i giochi, soprattutto se era ubriaco: quello della bottiglia, obbligo o verità.. il gioco della bottiglia. soprattutto il gioco della bottiglia, per qualche strano motivo. «se indoviniamo, beviamo. inizio io, facile: preferisco tv o youtube?» ed era davvero una domanda facile: euge era preparato - si sentiva preparato, almeno per quanto riguardava la versione mini-me penedotata della ragazzina che un quel momento lo osservava con enormi occhi azzurri sgranati. almeno quello, nonostante tutto, non era cambiato. «decisamente youtube» annuì solenne, sporgendosi oltre il bancone per afferrare direttamente una bottiglia (già aperta, ma arrivati ad una certa ora della notte un po' di rischio era d'obbligo), ignorando il grugnito carico di disappunto proveniente da Spaco. «a sette anni avevi una fissa per i video di gente che si spaccava facendo cose assurde tipo lanciarsi con i carrelli della spesa giù da una collina. passavi ore così, a ridere fino alle lacrime se un idiota sbatteva le parti basse contro un palo» ricordava bene, il ventott'enne, che la signora jackson era stata preoccupata per una manciata di secondi, poi aveva pensato alle due bestie con cui viveva da tredici anni ed era giunta la rassegnazione.
    «personalmente ho sempre trovato il tuo precoce interesse molto relatable» con una stretta di spalle riempì nuovamente i due bicchierini di cartone preparandosi a mandar giù un altro shottino, in attesa di verdetto. «inizio facile anche io: quale è stato il mio primo soprannome?» che poi nel dubbio si beve lo stesso, dai.

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    «decisamente youtube» e la naturalezza con cui Eugene Jackson rispose alla domanda, senza neanche doverci pensare, la prese in contro piede. Lo osservò palpebre socchiuse, studiandolo di sottecchi mentre le raccontava memorie che avrebbero dovuto essere ricordi suoi, ed invece non suonavano neanche come deja-vu. Un sorriso appena accennato prese forma sulle labbra sottili della Darko, divertito ed al contempo… asciutto. Non plastico, Jane era da sempre - da che ricordasse - genuina e onesta, ma c’era qualcosa...qualcosa che le risuonava male, nelle ossa ed i muscoli, in quanto detto dal Jackson: perché Jane era ancora, quella persona; era ancora quella che si perdeva a guardare video stupidi su youtube e rideva da sola ogni qual volta qualcuno si facesse male. Quella consapevolezza la lasciò interdetta un paio di secondi, perché pur sapendo che la risposta fosse corretta, la motivazione data da Euge non riguardava lei, riguardava Fergie; al contempo, era quasi lusingata dal sapere di essere rimasta coerente – come si soleva dire, il lupo perdeva il pelo ma non il vizio. «vero. Lo trovo più sincero rispetto alla televisione. più reale» battè le palpebre un paio di volte e si strinse nelle spalle, sguardo alzato timidamente verso il docente di arti oscure. «e tutto materiale per la mia opera» scosse il taccuino di fronte all’uomo, un ghigno orgoglioso a fior di bocca. Fra tutti i modi in cui amava (perdere tempo) impegnare il proprio tempo libero, i casi umani racchiusi nel Taccuino erano indubbiamente la sua cosa preferita: un giorno, quel libro le sarebbe valso fama e denaro, nonché gratitudine da parte di tutti coloro che come lei non potevano farsi a meno di porsi delle domande. Difficile trovare risposte nelle pagine fittamente scribacchiate della Darko, ma d’altronde, non era quello il suo obiettivo: voleva mostrare un percorso, studiare i temi comuni, non risolvere un problema. Quello lo lasciava ad altri – troppa responsabilità. «senza contare che tutto il “best of” della tv, lo trovo anche su yt, mentre il contrario non funziona» era anche terribilmente pragmatica e pigra, c’era da dirlo. Con orrore e ammirazione in egual misura, osservò il cartoncino dal quale avrebbe dovuto bere lo shottino, già pronta a salmonella e coviddi; un sospiro dopo, e l’aveva mandato giù. Scosse il capo come un cane dal pelo bagnato, aspirando secca fra i denti per riabituare la bocca a sentire i sapori. «inizio facile anche io: quale è stato il mio primo soprannome?» Che...domanda particolare. Jane lo osservò, lo studiò, mordicchiando pensosa il labbro superiore. Dubitava che in età pre adolescente fosse così; qualunque fosse il suo soprannome, non doveva essere stato nulla di lusinghiero. Tamburellò con l’indice sulla coscia, valutando opzioni innocue come nerd, cicciobello e er genio, ma alla fine tentò la sorte con un azzardato «sfigato?» divertito, ed inteso come battuta – d’altronde, non poteva realmente sapere la risposta corretta – ma anche come tentativo. «non dai i vibes da cool kids» si strinse nelle spalle, bocca dischiusa e sopracciglia arcuate, senza neanche rendersi razionalmente conto di aver appena mimato una delle classic espressioni Eugene Jackson. Blood is thicker than water, uh? «probabilmente te l’ha dato qualcuno che neanche conoscevi, e ti è rimasto appiccicato addosso per anni» fanfiction material. Attese il racconto che era certa sarebbe arrivato insieme alla correzione della risposta, guardando non senza timore il contenitore di e. coli poggiato sul bancone. Toccava a lei? Toccava a lei. «secondo te quante volte ho fatto after?» dramatic pause, prima di rendersi conto che Euge non avesse l’età per quella terminologia giovane. Decise di andargli incontro con tono conciliante e gentile, esattamente come faceva con i vecchi che attaccavano bottone quando ne incrociavi accidentalmente lo sguardo – più pericolosi degli allenatori di pokèmon nel videogioco. «”after” significa non dormire la notte» fosse mai che la prendesse per troppo giovane e si riferisse alla fanfiction degli one direction di wattpad.
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    eugene daddy jackson // is that powdered sugar or cocaine on my sleeve?

    «vero. Lo trovo più sincero rispetto alla televisione. più reale» musica per le orecchie di euge; soprattutto perché l'aver indovinato significava bere. avrebbe bevuto in ogni caso, probabilmente, ma così acquistava tutto un altro gusto - se l'era meritato. «bellah!» si versò due dita di benza nel bicchiere di cartone, andando a sfiorare con questo il contenitore posato di fronte alla sorella «alla salute!» non la loro, di sicuro. e giù tutto d'un fiato, come euge faceva ogni dannata cosa.
    senza pensare.
    «ugh. ti dirò, dopo il quarto o quinto shottino comincia a diventare bevibile» soprattutto perché bruciava per intero le papille gustative e scorticava la trachea. scosso da brividi veri che solo il veleno illegale prodotto da Spaco con il sudore della fronte (che si spera sia solo un modo di dire) poteva provocare, il professore si dondolò leggermente all'indietro, approfittando della posizione per sbirciare il quadernino di Jane con un accenno affilato di sorriso «cos'è, un romanzo di fantascienza? quelle robe distopiche sulla fine del mondo? se mai deciderai di scrivere una biografia fammelo sapere, ho un sacco di storie da raccontarti» ma davvero un sacco. più di quanto non fosse normale aver vissuto per un ragazzo di appena ventotto anni, una vita quella del Jackson che non si era mai adattata bene al dolce far niente.
    era quasi certo Jane non avrebbe risposto entrando nei dettagli, così si limitò ad osservarla per un po' mentre svuotava il suo bicchiere e rabbrividiva nello stesso modo, mai così simili come in quel preciso momento; dopotutto, il Fergie che ricordava euge, impresso nella sua memoria tanto nitido da far male, era solo un bambino. inaspettatamente, contro ogni previsione, jane darko sembrava più sua sorella di quanto Ferguson non aveva mai fatto, ancora troppo piccolo per imitare involontariamente i movimenti del maggiore, quel suo modo accattivante di sorridere, il languore accentuato da un breve battito di ciglia. avrebbe voluto dirglielo, l'ex pavor, ma non lo fece. perché avrebbe dovuto spiegarle come mai l'ultima volta che aveva visto Fergie era solo un bambino, cosa lo aveva spinto a sparire per anni senza farsi più sentire, tra le mani solo il ricordo sfocato di due occhi verde acqua e ginocchia sbucciate. non voleva rovinare tutto, Eugene, non quella sera almeno - per mandare in vacca le cose c'è sempre tempo, si sa.
    «sfigato? non dai i vibes da cool kids» non appena Jane terminò la frase, nel locale avvenne qualcosa che le leggende narravano non succedesse dal lontano 1986: Spaco rise. non una risatina allegra, amichevole, ma un rauco latrato reso ruvido da anni di sigari di contrabbando, tifo spasmodico agli incontri clandestini tra galli, e il classico catarro che per antonomasia intasava le vie respiratorie dei vecchi; un suono terrificante e allo stesso tempo colmo di fascino, unico. «un po' meno, Spaco. un po' meno» euge, che di solito si offendeva solo per cose molto gravi, tipo quando jade alludeva con una battutina alle sue maniglie dell'amore, strinse con vigore a sé la bottiglia di benza, unica vera consolazione «ma pensa te oh» e quello stronzo giù a ridere accasciato dietro al bancone, con le teste dei pochi clienti presenti al Bot - quelli che nel frattempo non erano svenuti sui tavoli o direttamente sul pavimento - ora sollevate nella loro direzione. «clive» un cliente abituale, che li fissava con sguardo vacuo e la bavetta sul mento «se ti azzardi a ridere vengo li e te ne do di santa ragione» e quello muto; soprattutto perché era già bello che in coma etilico.
    «quindi, dicevo» schiarí la gola, il Jackson, tornando a voltarsi verso la sorella (ma Spaco ancora stava ridendo? you son of a bitch), il mento sollevato con orgoglio «ero molto cool. solo che la gente a prima vista non lo capiva, ok? » mettiamo subito le cose in chiaro: i bulli lo rincorrevano per menarlo e rubargli i soldi della merenda, con quegli occhiali tondi e spessi che chiedevano solo di essere rotti, il nasino all'insù che implorava di essere rotto con un bel calcio o un pugno ben assestato; ci rimanevano male, cosi male, quando quel tredicenne rachitico che era si fermava a guardarli, sorriso pronto sulle labbra, e mostrava loro il coltello che Lardina gli aveva (prestato) regalato e insegnato ad usare. magari le prendeva lo stesso, ma quelli qualcosa ci rimettevano, sempre. «comunque si, mi davano anche dello sfigato, ma il primo è stato Quattrocchi» semplice, raffinato, di grande effetto. con un sospiro che non sembrava affatto di rassegnazione, quanto piuttosto di nostalgia, Eugene infilò la mano libera in tasca tirandone fuori il portafogli, aprendo lo stesso per mostrare a Jane il mazzetto di foto formato tessera conservate all'interno: soldi nemmeno l'ombra, tanto per dire.
    «guarda qua, che meraviglia» puntò l'indice contro la foto™, in cui avrà avuto si e no dieci anni, gli occhiali con la montatura tonda e i capelli da svitato: incredibile pensare che quello sgorbietto fosse stato in grado di evolversi nel giovane uomo che ora le stava di fronte, ma il sorrisetto era rimasto lo stesso, inesorabilmente da schiaffi.
    le lasciò direttamente il portafogli sul bancone, così che Jane potesse dare un'occhiata anche alle altre foto se avesse voluto (i casta in piena pre pubertà con rea in disparte che li schifava, i casta diciottenni e più fighi con rea in disparte che li schifava, run e jade abbracciate a cavallo di tjade, uran a un anno con i baffi disegnati a pennarello, euge e william adolescenti strafatti a scrivere il proprio nome nella neve con la pipì, eccetera), entrambi i bicchierini di nuovo pieni «bevi lo stesso, hai quasi indovinato» poi, come per un ripensamento dettato dall'essere l'unico adulto badger nel raggio di chilometri, le sussurrò all'orecchio «quando non ce la fai più dimmelo, che scappiamo» cosa. dai non aveva mica pensato che avrebbero pagato davvero, e dove siamo????? «secondo te quante volte ho fatto after?» un secondo, due, tr- «”after” significa non dormire la notte» piccola. bestia.
    «quanti anni pensi che abbia, ragazzina? » Euge davvero shockbasito; con tanto di mano premuta sul cuore e testa reclinata all'indietro, inalazione profonda e offesissima [insert adesivo di freme here] «sono un millennial, ok? non un vecchio decrepito» e giustamente indicò Spaco con un cenno della testa, ricevendo in cambio un unto dito medio. anche se tutto sommato il Jackson un po' vecchio si sentiva: sin da ragazzino aveva sostenuto di voler andarsene con il botto prima di diventare davvero adulto, e non è che non ci avesse provato eh; e adesso eccolo li, a ventotto anni con un figlio piccolo e troppe persone che non gli avrebbero perdonato una prematura dipartita (soprattutto run e gemes, per ovvi motivi). era destinato a crescere, Eugene Jackson, e anche se non l'avrebbe mai ammesso la cosa lo terrorizzava a morte. «va bene, allora.. direi una decina? compresa questa notte ovviamente» una rapida occhiata all'orologio appeso alla parete, che segnava già le cinque del mattino «non hai l'aria di una a cui piace perdere tempo dormendo» ma così, a pelle eh.
    si sporse in avanti per riempire nuovamente entrambi i bicchierini, ancora un volta iridi grigio azzurre rivolte all'orologio; magari era pure brillo, ma non aveva dimenticato la regola fondamentale: riportare Jane al suo dormitorio prima della sveglia mattutina. non che questo servisse davvero alla special per riposarsi, ma era meglio per entrambi se nessun elfo domestico li avesse beccati a rientrare dopo l'orario stabilito e fosse andato a fare la spia con Mitchell - probabile che l'idea andasse meno a euge che a Jane. «preparati che dobbiamo correre» solo un sussurro soffiato tra i denti, mentre richiedeva la bottiglia di benza e se la infilava disinvolto sotto l'ascella come una baguette; poi, con un tono di voce più alto e allegro «okay, adesso tocca a me fare una domanda! » e schiarendosi la gola con un colpetto di tosse il Jackson si rimise in piedi, attirando con quello spostamento repentino l'attenzione di Spaco. che sapeva, se lo sentiva dentro, quello che stava per accadere - ogni volta la stessa, dannata storia.
    «secondo te, in dieci fantastici anni..» strinse con più forza la bottiglia sotto il braccio, passando l'altro con nonchalance dietro la schiena della sorella «quante volte» la schiena leggermente piegata in avanti «ho saldato il conto? » Spaco, che non si era mosso di un millimetro, riprese a sputazzare nel bicchiere di vetro per lucidarne i bordi, straccio unto e olio di gomito: era chiaro a tutti che della sceneggiata di euge non poteva fregargliene una sega. voglio dire, quello a ventotto anni ancora scappava dal suo locale come quando ne aveva diciotto, ne più ne meno - e il bello era che nessuno lo inseguiva. ma ormai Eugene Jackson ci aveva preso gusto a fare la fuga ogni volta che arrivava il fatidico momento di tirare fuori il portafogli, quasi fosse una regola non scritta dello Spaco Bot riservata solo ed esclusivamente a lui e Run (Gemes ovviamente pagava, perché Spaco aveva i suoi faves e poteva sopportarne solo due alla volta); per questo non attese la risposta di Jane, che ebbe il tempo comunque di azzeccare un «mai?!» prima di venire sollevata di peso finendo in spalletta al fratello.
    come ai vecchi tempi.
    «chi arriva ultimo è pirla! » rivolto ad uno Spaco che manco li guardava più, via a galoppante per le strade di dark street incontro all'ennesima alba, Jackson's style.

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