There's no lie in his fire.

Hunter x Viktor

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    - Jess C. Scott
    Paradossalmente, e con ovvia cognizione di causa, si sarebbe aspettato di sentire lo schiocco sordo della Smaterializzazione davanti a sé e poi il vuoto lasciato dalla figura di Hunter. Era così abituato all’idea che le proprie parole potessero venir fraintese che non aveva tenuto in considerazione che, quella volta, non c’era assolutamente nulla di fraintendibile.

    L’Oakes aveva paura dei sentimenti, di essere abbandonato, di ricevere un rifiuto e questo l’aveva sempre portato all’auto-sabotarsi; più tentava, si sforzava di far funzionare le cose, più il terrore di sbagliare lo rendeva debole e insicuro, mandando tutto a puttane.
    D’altro canto, non si poteva di certo dire che lui fosse perfetto, perché con il suo essere fin troppo onesto riguardo ai suoi sentimenti, non aveva fatto altro che porre Hunter in una posizione sconfortevole.
    Essendo inesperto tanto quanto l’altro e non avendo alcuna esperienza in quel genere di approcci, inevitabilmente si era ritrovato ad esagerare. A mettere tutto troppo e subito, rimarcando spesso quanto gli piacesse, quanto fosse bello, quanto fosse tutto e quanto le sue braccia fossero l’unico porto che ritenesse sicuro. Aveva scaricato il suo dolore sul Corvonero senza riflettere, neanche per un momento, sull’intensità delle sue vicende; era diventato così insensibile a quei ricordi che, ingenuamente, aveva creduto fossero facilmente sopportabili, delle bazzecole, qualcosa di così comune da poter essere accettato senza battere ciglio. La verità era più difficile da metabolizzare e c’erano volute sedute, su sedute e su sedute per comprendere quanto fosse stato indelicato buttare tutto su Hunter fino a sommergerlo con la propria merda. Se già non fosse bastato l’averlo visto con dei tagli ai polsi, sanguinante ed in preda ad una crisi, il confessargli le vicende delle violenze e, subito dopo, il suo lavoro al Lilium, era stata la ciliegina su una torta immangiabile, così difficile da mandare giù da preferire sputarla che fare uno sforzo.

    Egoista lo era sempre stato, era una dote di famiglia.
    E alla fine lo era stato persino con quella persona che, più di tutti, si era rivelata fondamentale nella propria vita; non avrebbe dovuto basare il suo processo di guarigione su Hunter, ma non poteva farne a meno. C’erano aspetti che ovviamente non c’entravano nulla con il minore, traumi che erano ben lontani da ciò che riguardava l’interesse romantico maturato nei confronti dell’Oakes, e di questi ne parlava regolarmente con Stiles. Gli aveva confessato persino quel suo desiderio, quel cambiamento, quella voglia di mettere davvero un punto e ricominciare d’accapo, approfittando del corpo che l’esplosione gli aveva, inaspettatamente, regalato.
    Era liscio, come non lo era mai stato prima, e appena macchiato da qualche lentiggine e cicatrice, ma nulla di così terribile se paragonato a quello che aveva visto allo specchio mesi prima; era arrivato al punto da preferire distogliere lo sguardo che rimirare le ustioni e il tatuaggio ormai sbiadito e deformato del coniglietto che, una volta, gli zampettava allegramente sul costato. Aveva fatto di tutto per nascondersi da se stesso e da Hunter, persino la sera in cui avevano deciso di passare la notte nel dormitorio dei Corvonero; anche le volte a seguire aveva provato imbarazzo, vergogna, all’idea di non essere bello, di non poter dare all’altro qualcosa di meglio. Erano stati pensieri stupidi, l’aveva realizzato troppo tardi.

    Voleva pretendere che prima di Hunter non ci fosse stato nient’altro. Era un desiderio così stupido? Così sbagliato? No, non poteva cancellare la vita di prima, tuttavia poteva accettarla e prenderne coscienza.
    Era successo.
    Eppure, senza poterlo negare, era cresciuto facendo finalmente pace con l’idea di meritare qualcosa di meglio. Una casa, un lavoro e di provare affetto, amore, gioia e tristezza, senza che questi si mescolassero con la rabbia che, per anni, era stata l’unico motore del suo corpo.
    Per questo, quando aveva confessato ad Hunter qualcosa di così profondo, si era sentito nudo; ammettere di aver bisogno di lui, di volere qualcuno che gli volesse bene e che amasse a sua volta, era stato come dover accettare di essere debole. Una debolezza positiva, una fiducia che si era negato per anni, timoroso di ricevere altre delusioni da aggiungere a quelle precedenti.

    Non aveva nemmeno realizzato di avergli confessato di amarlo, il ti amo uscito dalle sue labbra con la naturalezza di un sospiro. E nemmeno in quell’istante, con le mani dell’altro sulle proprie guance, lo aveva capito, troppo preso ad ascoltarlo, a realizzare che fosse rimasto e che, finalmente, lo avesse capito.

    «Anche a me basti tu, è che…» le carezze sulle guance erano confortanti, tanto da fargli sciogliere le spalle, prima tese per la tensione «Non posso cancellare il passato, ma… posso essere il tuo primo, con questo corpo, almeno.» sentiva chiaramente il magone in gola, l’urgenza di stringere le labbra per impedire di lasciarsi sfuggire un singhiozzo. Aveva alzato le sopracciglia, impedendosi di lasciarsi sopraffare dall’importanza di quelle parole e agli occhi di versare lacrime che avevano solcato le sue guance troppo spesso in quell’ultimo periodo. Era stanco di piangere, nonostante fosse la gioia ad emozionarlo «voglio solo che sia a casa» aveva mormorato, cercando di nascondere il tremito nella voce. Era importante.
    Lo era così tanto perché, finalmente, possedeva ciò che aveva sempre ricercato: un posto dove sentirsi al sicuro. Dove nessuno poteva fargli del male e dove poteva costruirsi la sua famiglia. Dove ogni parete avrebbe parlato di gioia, di amore, di amicizia e non di dolore.
    Voleva solo un po’ di serenità, quel minimo per vivere senza quel macigno a incurvargli le spalle.

    «Ti ricordi cosa ti dissi la prima volta che si siamo incontrati?» era ovvio che lo ricordasse, per questo si era limitato solo ad annuire. Era stato quello, tra tutti, che gli aveva impedito di andare avanti, di fare ad Hunter del male. Che l’Oakes fosse speciale lo aveva capito dal primo sguardo ed era sempre stato fin troppo attento a non sfiorarlo nemmeno con un dito; per questo si era rifiutato di fare qualsiasi cosa se non baciarlo. Quel “mi sta bene tutto” era stato abbastanza per fargli comprendere che non fosse vero e che quel cuore spezzato non meritasse di soffrire ancora. Quella stessa insicurezza si era manifestata in biblioteca, dove l’eco di quelle parole lo avevano frenato per un attimo dal continuare. Quindi sì, ricordava bene e probabilmente non avrebbe mai dimenticato «Ti dissi che mi sarebbe andato bene tutto. Però non è così… non più almeno, perché adesso finché sei tu, mi va bene tutto» si poteva amare qualcuno così tanto da sentire il cuore scalpitare nel petto tanto forte da credere di poter morire? Perché puntando gli occhi in quelli di Hunter e stringendo le dita nella stoffa del pigiama altrui, aveva come la sensazione di star per scoppiare a piangere. E ci stava provando, davvero, a non farlo, ma aveva desiderato così tanto sentir dire all’Oakes quelle parole che, a conti fatti, quello avrebbe potuto essere persino un sogno fin troppo vivido, dal quale si sarebbe risvegliato deluso e amareggiato, con una voglia matta di dormire per sempre e non riprendere mai più coscienza. Ma era tutto vero e ancora non riusciva a capacitarsene.

    Né del bacio che l’altro gli stava dando, né della velocità della Smaterializzazione, del freddo pungente che avrebbe dovuto farlo tremare, ma che evaporava a contatto con la sua pelle bollente. Si era accorto di essere a Paultons Square con difficoltà, ancora intontito da quel viaggio che, seppur breve, gli aveva scombussolato lo stomaco. Aveva sbattuto per un attimo le palpebre, mettendo a fuoco l’ambiente alberato, poi la figura davanti a sé, prendendolo per mano con così tanta urgenza da rischiare di capitombolare per le vie ciottolate del parco. Non era fretta la sua, era necessità di entrare in casa, di mettere quanta più distanza dal mondo circostante per dedicarsi, finalmente, ad Hunter.
    Erano mesi che aveva desiderato di poterlo toccare; mesi che aveva immaginato come l’altro lo avrebbe voluto. Era contento che, quella volta il dormitorio, non fossero arrivati alla conclusione di qualcosa di troppo importante per essere preso sottogamba, perché adesso… adesso aveva un altro significato per entrambi, ed erano più consapevoli, meno avventati.

    «Oh, bite» arrivare davanti alla porta e rendersi conto di essere mezzi nudi e senza chiavi, non era di certo qualcosa che aveva calcolato «dovresti aprire la porta con Alohomora» mormora con urgenza ad Hunter, indicando la bacchetta ed attendendo che facesse l’incantesimo per spalancarla. Prima o poi avrebbe chiesto all’Oakes di schermargli la casa, ma non era quello il giorno.

    Una volta dentro, non era stato affatto difficile dimenticare persino il proprio nome, troppo impegnato a chiudersi tutto alle spalle per avventarsi sulle labbra di Hunter.
    Era stato facile mettergli le braccia intorno al collo, passare le dita tra le ciocche chiare e tirare per farlo arrivare alla propria altezza, tanto da sentire la consistenza di quel corpo pressare sul torace nudo.
    «La camera da letto è da questa parte» aveva snocciolato tra un bacio ed un altro, incurante di avere ancora l’odore della pittura fresca nelle narici, sovrascritta da quello più intenso del Corvonero.
    Non aveva davvero idea di come avessero fatto a percorrere il corridoio buio, lasciando sul pavimento il ricordo della maglia di Hunter, né di come avesse trovato facilmente la forza di salire le scale per raggiungere la propria stanza da letto, ma tant’è.
    Se il calore del proprio corpo in albergo era stato tanto intenso da fargli perdere la facoltà di controllare il suo potere, il sapere l’Oakes in casa propria e così preso da lui, aveva scatenato una serie di reazioni di cui, probabilmente, si sarebbe vergognato una volta concluso il tutto. Le solite, piccole, innocue scintille erano sempre lì, a suggerire che sì, la situazione non fosse cambiata. Le sue labbra erano bollenti come la lava, ed ogni punto che toccava lasciava un segno rossastro sulla pelle dell’altro che, subito dopo, assumeva un colorito più viola; quando succhiava la carne morbida del collo o il pettorale scoperto, desiderava solo mordere e marchiare, così da non lasciare modo a nessuno di fraintendere.
    C’era voluta tutta la forza di volontà in suo possesso per non continuare e per non spingerlo sul materasso, preferendo accompagnarlo per sedersi sul bordo e, subito dopo, metterglisi a cavalcioni.

    Un po’ come in albergo, ma questa volta libero dall’impedimento della stoffa, fa vagare le mani sul petto dell’Oakes, baciandogli con dovizia e con lentezza il collo «devi prepararmi» sussurra, quasi che avesse paura che qualcun altro potesse sentirli «ma sono più stretto, quindi prenditi il tempo che ti serve» con lascività, morde il lobo dell’orecchio altrui, facendogli sentire chiaramente la pallina di metallo, azzardando un movimento fluido del bacino e lasciandosi scappare un sospiro eccitato «il lubrificante è nel cassetto» era meglio specificare, perché ne sarebbe servito abbastanza e non voleva rischiare che tutto andasse all’aria per una simile negligenza.
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    Ad essere sinceri, c’era stato un momento, quando si era lasciato Viktor alle spalle, quando aveva chiuso dietro di sé la porta della camera, in cui aveva pensato di fuggire, di lasciare lì il Pirocineta e scappare in Istituto, lì dove non avrebbe potuto trovarlo. In quell’istante era stato a un passo dallo sparire, dal lasciarsi indietro solo un sonoro crack e nulla più. Nulla, perché poi non ci sarebbe stato più nessun Viktor nella sua vita. Nulla perché, in quel caso, lo avrebbe perso davvero, senza più alcuna possibilità di redimersi ai suoi occhi. Era stato codardo già una volta, nei confronti del Dallaire, ma questo il francese non poteva saperlo. Non conosceva quali fossero le vere motivazioni che avevano portato Hunter a preferire non fosse sul campo di battaglia un mese prima, non poteva sapere che più che dubitare delle capacità dell’altro, Hunter dubitava di se stesso, delle sue abilità, del poter difenderlo qualora ce ne fosse stato bisogno. Allontanare Viktor da Hogwarts e saperlo vivo era un po’ come ridurre le possibilità che lui potesse fallire, che il senso di inferiorità che sentiva nei suoi confronti tornasse prepotente davanti alla realizzazione del fatto che sì, non era stato all’altezza, non era stato abbastanza. Invero, contro ogni sua più nefasta aspettativa, il Dallaire non solo si era mostrato in grado di gestire il suo potere in caso di emergenza e di necessità, ma aveva fatto da scudo all’unica persona per cui Hunter avrebbe dato la sua vita senza pensarci due volte, senza battere ciglio. Viktor si era sacrificato per Halley, rischiando il tutto e per tutto, dimostrandosi ancora una volta forte, maturo e altruista. Le aveva fatto da scudo umano lì dove Hunter non era potuto arrivare e quello aveva fatto scattare nel Corvonero qualcosa. Lo stesso qualcosa che lo aveva fatto restare. E no, non era l’eterno senso di gratitudine che provava nei confronti dell’ex Grifondoro, ma qualcosa di più profondo, ancora troppo acerbo per essere chiamato per nome.
    Voleva essere una persona migliore, voleva davvero essere la miglior versione di sé stesso non solo per compiacere quel lato del suo carattere che lo spingeva costantemente alla ricerca di quella perfezione che difficilmente avrebbe trovato, ma per i suoi amici, per sua sorella, per Viktor. Il pirocineta meritava di essere felice e Hunter era arrivato al punto di voler essere presente nella sua vita, di condividere con lui ogni cosa, di approfondire quell’aspetto della loro relazione con una consapevolezza diversa. Fino a quel momento non si era reso pienamente conto di quanto fossero solidi i sentimenti di Viktor, di quanto credesse in lui, in quel noi che Hunter ancora non riusciva a pronunciare.
    Il Corvonero doveva essere una persona migliore, doveva affrontare i suoi demoni e liberarsi delle sue paure per vivere con serenità quel rapporto che, numerose volte, aveva provato a sabotare; doveva impegnarsi perché per lui, per Hunter, Viktor era importante.
    Lo era sempre stato.
    Forse la scelta delle sue parole non era stata la più felice, forse aveva sbagliato di nuovo, forse avrebbe dovuto cambiare registro per comunicare con il francese, ma nulla in quel momento sarebbe stato in grado di farlo indietreggiare, di sciogliere la presa delicata delle proprie mani sul volto dell’altro, non quando il più grande cercava in lui un appiglio, gli occhi lucidi di lacrime che Hunter avrebbe raccolto ancor prima che scivolassero sul viso. Aveva bisogno di tenerlo vicino, di sentirlo vicino. Quanto più vicino potesse al cuore, perché con ogni probabilità quel muscolo era l’unico in grado di tradurre le sue azioni in quella lingua universale che Viktor avrebbe potuto comprendere.

    Un anno prima non avrebbe mai immaginato tutto quello. Neanche nella più fervida delle sue fantasie si sarebbe visto in compagnia di un Viktor mezzo nudo nascosto dalle siepi di un parco nel cuore di Londra. Non si sarebbe immaginato con lui, benché meno lo avrebbe fatto con un Dallaire dai capelli scombinati e i calzini spaiati, la tuta del pigiama che ricadeva morbida lungo i fianchi. Si sporse in avanti per sorreggere il busto dell’altro e per evitare che cadesse, stupendosi ancora una volta di quella pelle così liscia al tatto da sembrargli quasi sconosciuta. Un anno prima, forse, avrebbe avuto la premura di portarsi dietro un giacca leggera per ogni evenienza, da poggiare sulle spalle dell’altro per gentilezza o, semplicemente, per sfiorarlo appena, per far sì che il suo profumo restasse un po’ di più sui suoi sentiti, che lo sentisse addosso. Sorrise davanti a quel pensiero, rendendosi conto che un anno prima, come quel giorno, non era neanche ad Hogwarts, che ancora non l’aveva conosciuto. Si rese conto che era inutile star dietro a quello che sarebbe stato, allo stupore di quella presenza così stupefacente nella sua vita. Era successo. Tutto qui. Si erano semplicemente trovati.

    Strinse le dita attorno alla mano di Viktor e lo osservò mentre gli faceva strada verso l’appartamento che aveva acquistato di recente. Sono in quel momento realizzò che OMG SAREBBE ANDATO PER LA PRIMA VOLTA A CASA DI VIKTOR PER UN PIGIAMA PARTY!!! Sentì il brivido di eccitazione corrergli lungo la schiena mentre accelerava il passo per restare vicino al più grande, le iridi fisse sulle ciocche corvine e il sorriso fisso sulle labbra. Doveva portargli qualcosa? Doveva fargli un regalo? SI ERA APPENA TRASFERITO!!! Glielo avrebbe preso l’indomani o… o gli avrebbe preparato la colazione! O sarebbe andato a prenderla in una panetteria in zona e gli avrebbe fatto il caffé e… sì, avrebbero passato la notte insieme. Spostò lo sguardo sulle loro mani ancora unite e non ebbe alcun dubbio sul fatto che sarebbe rimasto. Per la mattina dopo, per il mese successivo o per gli anni a venire non aveva importanza. Sarebbe rimasto, finché Viktor lo avrebbe voluto.
    Preso dal filo dei suoi pensieri e affascinato dal profilo del Dallaire -riusciva a catturare il suo sguardo nonostante ci fosse la sua Londra come sfondo, la sua città mai silente- non si accorse di essere fuori il portone d’ingresso dell’appartamento del francese. Gli ci volle qualche istante a ritornare nella realtà, a connettersi col mondo circostante, la mente ancora tra quelle nuvole che avevano lo stesso colore delle iridi di Vik… OH MEO DEO. Halley lo avrebbe preso a schiaffi se solo avesse sentito quei pensieri. Era così diabetico che quasi si sentì male per se stesso. Sbatté piano le palpebre prima di castare l’incantesimo e non ebbe neanche il tempo di dire la sua sullo scarso -se non completamente inestistente- sistema di protezione magica che… Black out.
    Le labbra di Viktor cancellarono ogni pensiero, divorando la propria bocca e con essa tutto quel poco di raziocinio e controllo che gli era rimasto.
    Era stato uno stupido a voler credere che fosse necessario etichettare ogni cosa, che dovesse dare a tutto una definizione. Viktor era il suo salto nel vuoto, tutto ciò che lo portava a fare un’unica cosa: vivere. Ogni istante, ogni momento. Non esistevano né passato, né futuro; c’era solo la danza di quel bacio che via via diventava più bollente, più famelico.
    Lo voleva. Si volevano. Tutto il resto era un inutile contorno, un di più di cui avrebbero potuto fare a meno.
    Si ritrovò a fissarlo come se al mondo non desiderasse altro, come se tutto quello che c’era stato fino a quel momento non avesse fatto altro che condurli lì, mezzi nudi, in quella casa che per Viktor significava tutto. Sospirò appena quando lo sentì sedersi su di lui, le mani che tornavano a toccarlo in maniera quasi possessiva, mentre il tocco del francese si faceva più audace, disegnando nuove trame sul suo corpo.
    Hunter voleva bruciare con lui. Voleva prendere fuoco e ardere fino a quando ci fosse stato ossigeno a sufficienza per mantenere accesa la sua fiamma. I suoi occhi riflettevano le scintille che il corpo del più grande emanava e la sua bocca cercava di catturarne quante più possibile, saggiando la pelle del maggiore, lasciando il segno del suo passaggio.
    Si lasciò distrarre dalle attenzioni dell’altro, gli occhi socchiusi e le labbra dischiuse in un sospiro, la testa leggermente piegata per prolungare quella sequenza di baci.
    Gemette piano quando sentì la fredda pallina di metallo contro l’orecchio, le dita che si andavano a serrare attorno ai glutei dello Special per accompagnare il suo movimento di bacino, per spingerlo quanto più possibile contro il proprio. Affondò i denti sul proprio labbro inferiore, le iridi cobalto incatenate a quelle trasparenti del suo amante, mentre premeva la propria erezione contro l’intimo dell’altro.
    “Voglio guardarti.” mormorò appena la sua unica condizione, accarezzando con i polpastrelli la schiena dell’altro, scivolando lungo la linea della colonna per fermarsi appena prima dell’elastico dei pantaloni. Catturò la bocca di Viktor in un bacio prima di frapporre tra le loro labbra l’indice e il medio, tirando appena la morbida pelle bollente, in attesa che l’altro infilasse le sue dita in bocca. Bramava sentire la pallina di metallo tra le sue falangi, bramava vederlo succhiare la sua mano, bramava vederlo desiderasse averla in lui.
    Hunter voleva guardarlo, toccarlo, sentirlo sulla propria pelle.
    Non aveva mai voluto qualcuno così tanto in tutta la sua vita.
    Anelava fosse tutto perfetto.
    Insinuò nuovamente le sue dita umide sotto la stoffa dei pantaloni, massaggiando delicatamente la sua entrata prima di penetrarlo piano, lentamente, seguendo il ritmo di quel bacio con cui teneva Viktor stretto a sé. Sentiva la pelle andare a fuoco, i muscoli di Viktor troppo caldi e troppo stretti per non rischiare di impazzire.
    Si mosse con premura, cercando di stimolare il suo punto più sensibile per ridurre ogni fastidio e per trasformarlo in piacere.
    C’era ancora tempo prima di prendere il lubrificante.
    Avevano tutto il tempo del mondo.
    I am not a hero.
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    Edited by Messier_43 - 7/11/2019, 01:50
     
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    Un anno prima l’idea di lasciare entrare qualcuno nella propria vita gli sarebbe sembrata un’assurdità. Amore? Amicizia? Erano concetti così fuori dalle sue corde da rasentare il ridicolo. Aveva sempre creduto che per lui non ci sarebbe stato nulla, che le giornate si sarebbero susseguite noiosamente fino ad una fine triste e solitaria e che, forse, non sarebbe giunto nemmeno a compiere vent’anni. Erano pensieri tristi, di una persona triste, con fin troppo alle spalle e nessuno ad aiutarlo a sorreggere il peso della solitudine.
    Quando aveva conosciuto Hunter, uscendo per quella stupida missione che a stento ricordava e del quale non gli era mai importato molto – come qualsiasi altra cosa che non fosse, in parte, se stesso -, non si sarebbe mai aspettato quello; sentire qualcosa all’altezza del petto battere frenetico come le ali di una farfalla. Lo stomaco in subbuglio, le labbra sempre tirate in un sorriso carico di una felicità che non aveva mai ostentato tanto chiaramente. C’erano stati ghigni, sorrisi beffardi, altri falsi e privi di significato, ma l’Oakes riusciva con la sua sola presenza a spezzare quell’inespressività del suo volto e trasformarlo in qualcosa di meglio. Ed era certo, quasi avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco che, se non ci fosse stato lui a salvarlo, l’esperienza in Sala Torture lo avrebbe spezzato definitivamente; il crollo mentale sarebbe stato devastante, i pensieri più insistenti e la disperazione avrebbe preso il sopravvento, gettandolo in una spirale di niente che lo avrebbe, alla fine, cancellato come essere umano. Aveva avuto il terrore di diventare come Mephisto e Yves. Si era sentito male all’idea di essere così simile a loro da poter compiere le medesime nefandezze e si era più volte domandato cosa ci fosse di diverso in lui da tenerlo fermo, da renderlo non migliore, ma almeno diverso. Perché era innegabile: non era buono. Non era nemmeno cattivo. Non si sarebbe lanciato di fronte a chiunque per salvare la vita di uno sconosciuto, non avrebbe immolato se stesso consapevolmente per qualcuno di poco rilevante nella sua vita. Non era un eroe, né tantomeno voleva che qualcuno provasse gratitudine nei suoi confronti, né che lo considerasse altruista perché, a conti fatti, era solo un enorme egoista.
    Seguiva il proprio tornaconto personale e non faceva mistero di questo, perché con una sola occhiata era capace di lasciar intendere quello che le parole non potevano esprimere; lo sdegno era palese, l’indifferenza altrettanto. Le parole gentili nei confronti degli altri erano sempre volte a lasciar sott’intendere qualcosa, un continuo ricordare all’interlocutore che fosse solo educazione la sua e che non fosse realmente interessato alle chiacchiere futili. Che questo suo lato fosse stato smussato da Hunter era innegabile, ma le brutte abitudini erano dure a morire e la sua faccia non poteva di certo cambiarla.
    Con Halley era stato l’istinto a guidarlo. Era scattato qualcosa, in lui, che gli aveva fatto pensare che sì, volesse conoscere quella ragazza, che averla nella propria vita poteva valere qualcosa e che, più di tutto, fosse il motore della vita di Hunter; senza di lei, non ci sarebbe più stato nulla, non avrebbe avuto niente se non un pugno di mosche e il ragazzo di cui era innamorato spezzato, dilaniato dal dolore.
    Era egoista, visto? Ciò non voleva dire che fosse incapace di provare affetto, quel minimo per dirsi che sì, valesse la pena continuare a crescere e vedere se qualcos’altro, in lui, potesse germogliare.

    Così com’era stata la sorella dell’Oakes, sapeva che avrebbe compiuto lo stesso gesto anche per Charles e per i Losers – sempre per se stesso, per non dover fronteggiare di nuovo una perdita, un dolore, qualcosa che si sarebbe ripercossa negativamente sulla sua persona – e tutti lo avrebbero considerato un campione, un eroe da ricordare, senza tenere in conto le motivazioni a spingerlo che sì, comprendevano il voler bene, ma che avevano come fondo il “me” sempre presente.
    Era proprio questo che differenziava tutti gli altri, tutto il resto, da quello che provava per Hunter.
    La genuinità del rapporto, l’amare senza ritorno alcuno, la consapevolezza che tutto quello che avrebbe fatto per il Corvonero sarebbe stato solo per lui e non per se stesso. Ogni singola azione fatta per Hunter, non era che la conferma che lo stava cambiando, modificando ciò che era stato il suo essere, fino a plasmarlo nella direzione giusta. Era una bussola di correttezza e altruismo; ecco chi era, tra i due, il vero altruista. Qualcuno in grado di insegnare ad un animale selvatico cosa volesse dire avere cura degli altri prima di sé, essere un Grifondoro nel cuore e non solo sulla carta, essere speciale e non solo uno Special.
    Aveva ancora così tanto da imparare e troppo da dare, per tutto quel tempo passato solo a tenere e temere, la paranoia insita in lui come un veleno.

    Da nessun altro si sarebbe fatto vedere così trasandato; i calzini spaiati, i capelli all’aria, il pigiama che più che pigiama era solo una tuta che aveva fatto il suo corso. Ma doveva davvero ripetere il perché fosse lì, in quelle condizioni, incurante di tutto se non delle labbra e del calore di Hunter? Lo trovava superficiale.
    Aveva smesso di pensare nell’esatto momento in cui aveva percepito le mani dell’altro sulla propria pelle, toccarlo come se fosse fatto di porcellana ed adorarlo come un’opera d’arte. I tremori del proprio corpo erano percepibili, scariche di piacere a fargli contrarre lo stomaco ad ogni frizione con il sesso di Hunter. Era diventato più sensibile per colpa del piercing al frenulo fatto qualche mese prima e non aveva la minima idea di come frenare i brividi, il crescendo di eccitazione a fargli temere di venire così.
    Non aveva perso tempo a suggere le dita di Hunter, curioso di cosa volesse fare, desideroso di capire se davvero avrebbe voluto prepararlo solo con quelle umide di saliva. Lo aveva fissato dritto negli occhi, languido, per un tempo dilatato all’infinito, con solo il respiro spezzato e il rumore bagnato della lingua sulle falangi e della pallina di metallo a giocare abilmente tra di esse.

    «Voglio guardarti.» era stata l’unica richiesta del minore, niente di più.
    E lui glielo avrebbe lasciato fare. Lo avrebbe lasciato fare anche con le cicatrici a solcargli il corpo, incurante di tutto il resto, ammaliato da quelle iridi chiare che lo fissavano in attesa, con la calma che in quegli attimi sembrava irreale.
    A pensarci bene, quella era la prima volta dell’Oakes. Era importante, forse più di quello che gli aveva detto in Hotel; la sua, ormai, era stata bruciata da troppo tempo e per quanto ne dicesse, per quanto volesse davvero pretendere che quella con Hunter fosse quella giusta, la verità era un’altra. Tuttavia, poteva solo essere il primo del minore, dargli un bel ricordo, far sì che dopo di quella ci fossero altri momenti altrettanto belli. Era contento di poter essere, per Hunter, quello che nessuno era mai stato per lui.
    «Sei bellissimo» non avrebbe mai smesso di dirglielo, in qualsiasi momento, in ogni respiro, perché lo era; da quella distanza poteva scorgere le lentiggini a macchiargli le guance, il naso all’insù, le ciglia scure a fare da scudo a degli occhi – se è possibile – ancora più belli. Non pensava di poter essere più fortunato di così nell’idea di potersi svegliare e trovare Hunter al proprio fianco.

    Alla fine aveva dovuto abbandonare le dita del minore, sospirando ancora una volta per le carezze sulla schiena, fino a mordersi le labbra per sopprimere un gemito. Questa volta era preparato alla situazione, nonostante il calore; le sentiva le falangi scavare dentro di sé, tanto da avere difficoltà nel mettere a fuoco qualsiasi altra cosa che non fosse il piacere. Era diverso da tutte le altre volte. Percepiva il cambiamento e di essere stretto, sia per il tempo passato che per tutto il resto, e faceva male.
    Non era insopportabile, aveva patito di peggio.

    Con uno spasmo, si era aggrappato alle spalle altrui, le labbra dischiuse in un mugolio confuso, la fronte poggiata sulla spalla di Hunter come se fosse l’unico appiglio. Aveva mosso i fianchi in avanti, un movimento istintivo dettato dall’imminente orgasmo.
    Quello stupido piercing che l’aveva reso ipersensibile ad ogni stimolo.
    «Hunter--» aveva provato a fermarlo, a dirgli che se avesse continuato sarebbe venuto, ma all’ultima spinta delle dita, non aveva potuto far altro che deglutire e lasciarsi andare all’orgasmo; aveva stretto le spalle del minore con le proprie mani, soffocando i gemiti sulle labbra del Corvonero, le sopracciglia corrucciate come se fosse disperato. C’era stato un momento in cui aveva creduto di aver dato alle fiamme la stanza ma, a parte qualche scintilla in più, nulla sembrava essere mutato. Essere sovra stimolato l’aveva portato a mugugnare ed arricciare le dita dei piedi, ancora incapace di proferire parole di senso compiuto nell’istante appena successivo.

    «Scusa… è davvero» un sospiro tremulo, una volta riaperte le palpebre per fissare il viso del ragazzo «passato troppo tempo» si era morso le labbra, alla fine, resistendo all’impulso di scostarsi per il fastidio, permettendo così ad Hunter di continuare a prepararlo «deve essere anche il piercing» aveva biascicato un attimo, distrattamente, avvertendo la tipica sensazione appiccicaticcia sulla pelle e desiderando liberarsi di quell’impedimento inutile dei vestiti.
    «Dio, mi ecciti così tanto che ormai non so più cosa sia la dignità» aveva ironizzato, nascondendo così l’imbarazzo dell’essersi lasciato andare, di aver sporcato di sperma i boxer prima del previsto. A sua discolpa, non era minimamente preparato all’idea che quella sera avrebbe fatto sesso con Hunter, né che lo avrebbe rivisto tanto presto, nonostante l’avesse cercato.
    Dal non parlarsi a finire a letto insieme era un attimo.
    Poteva dissimulare la vergogna e il rossore dando la colpa alla situazione; non era mai successo che qualcuno lo prendesse a tal punto da farlo sentire così vulnerabile «sai cosa? È colpa delle tue dita» una realizzazione di un certo livello, intento a spingersi su di esse con rinnovata sfacciataggine, nonostante il fastidio dell’essere appena venuto «che—dio! lì, proprio lì! Sono così affusolate che—ah! Dio. D i o.»
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    Era tutto così bello.
    Sentiva il respiro di Viktor sulla propria pelle tanto da credere fosse il proprio, percepiva il corpo dell’altro contro il petto e quel ritmo delicato con cui lo stava stimolando sembrava fosse quasi una carezza. Era lento, Hunter, nel muoversi in lui. Lento nell’aggiungere un altro dito, continuando a penetrarlo facendo attenzione a ogni minima espressione, a ogni sospiro che Viktor emetteva. Gemeva piano quando il bacino del francese sfregava contro il proprio, quando non riusciva a contenere l’eccitazione per quei movimenti così naturali da placare la paura latente di sbagliare, quell’ansia da prestazione che minacciava di paralizzarlo. Era lento nel tracciare il collo dell’altro, nel baciare ogni porzione di pelle su cui giungeva la sua bocca, di tirarla con gentilezza quando il fastidio faceva contrarre leggermente i muscoli dello Special.
    Viktor era puro erotismo. Viktor andava oltre la sua immaginazione, oltre ogni fantasia. Era talmente bello e sensuale che nessun altro avrebbe potuto rappresentare la sua essenza, quella sua natura elegante e al contempo selvaggia. Neanche il Canova sarebbe riuscito a modellare la pietra affinché l’anima del Dallaire fosse viva in essa. Non ci era riuscito neanche Hunter nei suoi sogni, quando il pensiero dello Special lo aveva accompagnato in quelle notti fatte di rabbia e solitudine. Lo aveva sognato e non aveva più fatto altro fino a quel momento, accontentandosi dei ricordi e delle memorie passate, accontentandosi di ciò che era stato. Non era solo fisicità quella connessione che c’era tra loro. Forse non lo era mai stata. Forse avrebbe dovuto provare vergogna per quei pensieri, forse avrebbe dovuto provare imbarazzo per la piega di quei pensieri, ma non ci riusciva. Non quando la sua mente colmava così quell’assenza, quasi volesse trovare un modo per dissolvere la lontananza.
    Seguiva i movimenti del francese con lo sguardo, memorizzava ogni sua espressione e cercava il più possibile di essere delicato con lui, di anestetizzare il dolore e il fastidio con la propria bocca premuta sulla pelle del pirocineta, a caccia di quelle scintille che l’altro inconsapevolmente produceva. Ingenuamente, desiderava che quella notte fosse solo per Viktor. Solo ed esclusivamente per lui. Ingenuamente, avrebbe voluto che ogni attenzione fosse rivolta al corpo dell’altro, mettendo per un attimo da parte tutto quello che il più grande gli provocava. Perché Hunter era al limite e ostentava un autocontrollo che non aveva. Perché Hunter sentiva la necessità di unirsi a Viktor, di azzerare ogni distanza per diventare un unico corpo e perdersi totalmente in lui. Desiderava quel legame, Hunter. Desiderava Viktor più di ogni altra cosa.
    Vide l’orgasmo del pirocineta arrivare e lo sentì sulla propria pelle: c’era il volto del Grifondoro sopraffatto dal piacere, c’erano le sue gambe a stringere contro i propri fianchi, le mani sulla schiena. C’erano le labbra dischiuse e quel gemito che aveva fatto tremare tutto il suo corpo; c’era lo sguardo assente, perso nella libido. Sentiva il battito accelerato di Viktor contro il proprio petto e non poteva essere più felice. Non poteva non sorridere davanti a quel trionfo di bellezza.
    La mano libera andò a sfiorare il mento del maggiore, sollevandolo appena e consentendogli di posare un bacio sulla fronte sudata dell’ex Grifondoro. “Non scusarti.” Lo cullò dolcemente, sistemandosi meglio sotto di lui. Stava iniziando ad apprezzare particolarmente quella posizione per tanti di quei motivi che probabilmente non sarebbe riuscito neanche ad elencarli tutti: poteva guardarlo da vicino, poteva baciarlo, poteva accarezzare la sua schiena e scendere fino alle natiche, stringendo e allargandole appena, così come stava facendo in quel momento. Poteva scivolare lungo il collo dell’altro, sfiorandolo con la punta del naso e continuare quella scia di baci fino al petto. “Sei perfetto, Viktor. Semplicemente perfetto.” Con o senza dignità, non aveva importanza. Non per il Corvonero, almeno. Non quando lo Special aveva ripreso a muoversi sulle sue dita, una muta richiesta a continuare ciò che stava facendo.
    Provò a distanziare indice e medio, tentando così di allargarlo ancora per stimolarlo anche con il terzo dito perché la voce spezzata del francese era quasi una droga. Continuò ad entrare in lui, a scavare piano, a stimolare quel punto che lo faceva vibrare al tocco come una corda di violino. E più Viktor si muoveva, più sentiva i suoi freni sciogliersi, più Viktor sollevava i fianchi, più il suo basso ventre si infiammava.
    Non era mai andato così a fondo, non lo aveva mai toccato così tanto e così a lungo in profondità. Tutto stava iniziando ad essere una scoperta e più sentiva il piercing dell’altro contro il proprio petto, più pensava alle parole di poco prima, più voleva stringerlo tra propri denti e torturare quella zona dove il pirocineta era più sensibile.
    Smaniava, Hunter, di averlo completamente nudo sopra di lui, entrambi liberi da quegli indumenti che, ormai, iniziava a sentire troppo stretti. Anelava il sesso di Viktor contro il proprio, così come le loro labbra in quel momento.
    “Viktor…” fu un suono basso, un lamento gutturale segno che stava per oltrepassare anche lui il limite. “Aspetta.” Portò una mano sui fianchi dell’altro per bloccarne ogni movimento e riprendere fiato, oltre che un minimo di controllo sulle proprie azioni. Sfilò piano le dita, smettendo momentaneamente di prepararlo. Lo fece stendere al suo fianco e si allungò verso il comodino, cercando alla cieca il lubrificante perché non riusciva a smettere di guardarlo, a osservarne la perfezione del profilo. Gli occhi liquidi dell’Oakes esprimevano tutto quello che non riusciva ad articolare in quel momento. Ogni sguardo era un complimento, ogni tocco era pura venerazione e ogni respiro, in quel momento, era solo per lui.
    I polpastrelli sfiorarono i lineamenti del volto dello Special, soffermandosi sulla bocca gonfia e arrossata, scendendo poi sul collo per far spazio alle labbra del minore che si era sistemato sopra di lui. Si soffermarono sul piercing al capezzolo, iniziando a stuzzicarlo piano, prima che Hunter iniziasse a muoversi verso il basso. Non credeva di essere irrimediabilmente attratto dai piercing fino a quando non aveva conosciuto Viktor, fin quando non aveva sentito la pallina di metallo sulla sua lingua, finché non aveva scoperto che amava suggere l’altro, quello sul petto, e vedere la pelle sottostante diventare turgida, reattiva al suo tocco. Si prese il suo tempo, Hunter, ancora una volta, mentre le sue mani scendevano e si insinuavano sotto i boxer dell’altro per sfilarli via, insieme ai pantaloni. Nel frattempo osservava il pirocineta, il suo volto, i capelli sparpagliati sul lenzuolo e si chiedeva cosa avesse fatto di buono nella vita per essere lì in quel momento.
    Fu mentre scendeva giù dal letto, un ginocchio sul pavimento, che si rese conto di un dettaglio che dava un senso alle parole pronunciate in precedenza. “Viktor…?” Domandò leggermente confuso, lo sguardo incredulo su quella novità che rischiò di mandarlo nel black out più totale. Sbatté piano le palpebre, cercando disperatamente di appigliarsi a ciò che restava del suo raziocinio. Sfiorò il piercing con la punta del dito, deglutendo appena, completamente ammaliato da quella visione; ne seguì le forme, toccandolo piando e rendendosi conto che quel mero contatto non gli bastava.
    Non lo aveva mai fatto prima e pensava che non ne sarebbe mai stato capace, troppo insicuro, troppo spaventato dalla sua scarsa, se non inesistente tecnica. Eppure, in quel momento, non desiderava altro.
    Si mise in ginocchio ai piedi del letto, mentre avvicinava le sue labbra al sesso esposto del francese, gemendo piano quando i pantaloni sfregarono contro il materasso. Poggiò le proprie labbra sulla punta, continuando poi a baciarlo lungo tutta la sua lunghezza, ancora appiccicaticcia. Spostò la sua attenzione su uno dei testicoli, mentre la mano si andava a stringere sul membro dello Special, suggendo e marchiando, respirando l’odore intenso del pirocineta. Deglutì nuovamente, quando i polpastrelli incontrarono di nuovo il metallo, distruggendo così quel briciolo di volontà che gli restava.
    Sollevò lo sguardo verso il volto di Viktor, sussurrando un “guidami” mentre schiudeva le labbra per accoglierlo nella sua bocca, completamente dimentico di doverlo preparare, dimentico di ogni cosa. Socchiuse gli occhi, perdendosi in quella sensazione, il sapore dello special che esplodeva sulla lingua, stando attendo a non graffiarlo con i denti. Mosse piano la testa, gemendo quando il piercing al frenulo incontrò il suo palato e continuò a scendere verso il basso e a risalire, la mano chiusa a pugno sul sesso dell’amante che si muoveva mantenendo il ritmo.
    Nessun libro, nessun manuale, lo avrebbero mai preparato a tutto questo.
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    Tutto quello a cui riusciva a pensare era il profumo della pelle di Hunter, del Blue de Chanel ormai inconfondibile, e alla sensazione delle dita del minore ad allargarlo con lentezza estenuante.
    Avrebbe voluto dirgli di prendere il lubrificante per farle scivolare meglio, per evitare che la frizione con la pelle non abbastanza umida potesse in qualche modo fargli male, ma onestamente? Era così preso ad impalarsi sulla mano dell’Oakes, a gemere investito dal piacere che solo quel contatto riusciva a provocargli, che l’idea di fermarlo e mettere fine a tutto quello gli sembrava assurda. Desiderava solo che Hunter facesse di lui ciò che voleva; che lo ribaltasse sul letto, che lo prendesse così in quella posizione o che lo facesse scendere tra le sue gambe per ripetere quanto accaduto mesi addietro.
    Ricordava ancora bene il sapore di Hunter sulla lingua, di come le sue labbra avessero accolto il sesso dell’altro fino a consumarlo.
    Gli era mancato strusciarsi su di lui, avvertire il rigonfiamento pressare contro al proprio e, per un istante, aveva ponderato l’idea di liberarsi da quella presa solo per denudarlo e mettere fine alla frizione con la stoffa. Voleva percepire la carne, il calore di quel corpo e sentire il proprio nome scivolare dalle labbra altrui come miele.

    No, tra di loro non c’era mai stato solo sesso, ormai era inutile negare le apparenze; Hunter non avrebbe mai dovuto provare vergogna per i desideri che lo avevano accompagnato durante la loro lontananza, perché come lui, anche le sue notti erano state costellate dal fantasma dei ricordi, della voglia di poterlo avere ancora una volta sopra di sé per consumarlo come una candela. Non provava vergogna per averlo immaginato, per aver lasciato correre la propria mano oltre i pantaloni per masturbarsi, perché non considerava Hunter un oggetto, né tantomeno un passatempo. Lo vedeva come un amico, un amante, un qualcuno di così importante da voler condividere con lui ogni aspetto della propria vita, persino qualcosa di così intimo come il sesso.

    Non era così tanto audace da ammettere ad alta voce che quello, per lui, non fosse sesso ma che lo considerasse qualcosa di molto più profondo. In quella stanza non c’era solo il desiderio, la passione, l’atto carnale fine a se stesso ed era ancora troppo spaventato per poter fare i conti con quell’assurda vocina che gli diceva, insistentemente, “ecco, questo è fare l’amore Viktor” dove ogni piccolo gesto era speciale e dove entrambi volevano solo dare felicità all’altro. Perché a conti fatti non gli importava di nulla se non dell’idea di poter essere qualcosa di significativo nella vita del minore; di dargli ogni cosa, compreso il suo cuore, anche se quello Hunter lo aveva già da un pezzo.

    Forse se l’era ripetuto troppe volte, magari era solo un modo per poter carpire meglio le differenze, ma era contento che lo stessero facendo lontano da Hogwarts; che non fossero in uno dei dormitori, dove chiunque avrebbe potuto interromperli, ma protetti dalle mura della sua nuova casa. Lontano dal mondo, lontani dalla guerra, dai Mangiamorte e da tutte quelle cose orribili a fare da cornice ad una situazione aberrante.
    Lì, tra quelle mura e con la sola presenza di Hunter, si sentiva bene.
    Era tutto ciò che aveva sempre creduto di non poter avere, di non meritare, ma che adesso non avrebbe mai cambiato per nessuna ragione al mondo. E ne avevano passate tante, troppe; le incomprensioni e i malintesi avevano ridotto drasticamente il tempo che avrebbero potuto passare insieme, ma se avesse avuto l’opportunità di tornare indietro, non avrebbe cambiato nulla.
    Avrebbe accolto l’Oakes tra le sue braccia allo stesso modo, per dargli conforto per un cuore spezzato; avrebbe patito nuovamente il dolore delle ustioni, consolandosi solo per l’idea che l’altro lo avrebbe curato e protetto ancora una volta; gli avrebbe confessato ogni cosa, di nuovo, incurante di rimanerne ferito ma con la consapevolezza di essere stato, per la prima volta, sincero.
    Più di tutto, avrebbe aspettato ancora, solo per potersi beare di quello che stava accadendo, perché Hunter adesso lo aveva accettato. Perché aveva messo da parte le sue insicurezze solo per potergli stare accanto, per toccarlo come non lo aveva toccato prima.

    Nel dormitorio dei Corvonero aveva sentito lo stomaco in subbuglio, l’ansia della prima cotta, il desiderio di fare bene ogni cosa per tenersi stretto Hunter, seducendolo con parole che ancora gli rimbombavano nella testa ricordandogli quanto fosse stato incauto. Si domandava chi fosse quella famosa cotta, il perché l’Oakes avesse deciso di andare in missione proprio con lui tra tutti e del perché, alla fine, avesse acconsentito a baciarlo.
    Ai tempi non avrebbe mai creduto che, alla fine, il suo essere presente e comprensivo verso un’altra persona lo avrebbe portato a quello. Ad essersi perdutamente innamorato di Hunter, tanto da avergli concesso il permesso di cambiarlo per renderlo migliore.

    Con un gemito colmo di frustrazione, aveva sentito le dita scivolare via e la voce di Hunter frenarlo dal continuare a muoversi. Se anche fosse venuto, non avrebbe avuto la minima importanza; d’altronde era assolutamente normale che in un’occasione tanto passionale – e dopo così tanto tempo – ci fosse la necessità di liberarsi. E voleva toccarlo, passare il palmo sull’erezione dell’Oakes e farlo venire sulla propria mano, per poi continuare ancora, e ancora, e ancora, fino a quando entrambi non fossero stati esausti.
    Ma Hunter era fin troppo reattivo a differenza sua, a causa dell’intontimento dell’orgasmo e della preparazione, per questo non aveva mosso nessuna protesta nel momento in cui l’altro lo aveva spostato di lato, facendolo adagiare sul materasso per recuperare il lubrificante.

    «Torna qui» quasi non lo aveva implorato con un lamento, fissandolo dritto negli occhi e trovandovi lo specchio dei propri; due pozze liquide di lascività che facevano fatica a distogliersi l’una dall’altra.
    In tutta onestà, non vedeva l’ora di togliersi i pantaloni - e toglierli anche ad Hunter -, perché la sensazione dello sperma ad imbrattare i boxer non era piacevole, non tanto quanto l’idea di potersi finalmente strusciare contro l’Oakes senza impedimenti.
    Per questo, quando una mano del minore era scivolata dentro le sue mutande per toccarlo e spogliarlo, non aveva fatto altro che alzare leggermente i fianchi per facilitargli il lavoro.

    Era stato il “Viktor…?” confuso, carico di domande a fargli abbassare lo sguardo sul proprio sesso quasi del tutto eretto e fargli comprendere il perché di quella reazione. Non aveva mai detto al minore dell’ennesimo piercing, né di averlo fatto in una zona tanto intima.
    «Ti disturba?» perché non avrebbe mai voluto che l’altro si inibisse o che non lo trovasse attraente; per questo, si era sollevato sui gomiti per guardarlo meglio, per studiare quell’espressione scioccata sul viso dell’altro. Era stato il tocco dell’Oakes su quella parte ancora sensibile a farlo sussultare e mugolare, stringendo così le lenzuola sotto di sé. Non c’era modo di descrivere ciò che stava provando in quel momento: confusione, preoccupazione, eccitazione. Un mix che era stato provocato solo dallo sfiorare delle labbra dell’altro sulla punta del suo sesso, della mano a stringerlo e toccare quel metallo che lo aveva reso fin troppo sensibile.

    «Hunter…» non che avesse altro da aggiungere, non quando quest’ultimo aveva mormorato un “guidami”, prima di divorarlo nella sua bocca.
    Aveva sperimentato cosa volesse dire ricevere un pompino, ovviamente. Ma non così.
    Non quando sulle ginocchia non c’era un estraneo, l’ennesimo, ma Hunter. Non quando sentiva il proprio sesso tornare duro e la saliva dell’altro bagnarlo. Non quando era ancora scosso dal piacere precedente, così sensibile e accaldato da fargli arricciare le dita dei piedi. Era di nuovo al limite, con una facilità che non credeva fosse possibile, ma era evidente che dipendesse dalle movenze dell’altro. Perché sì, quella poteva essere anche la prima volta in cui Hunter faceva qualcosa del genere, ma diavolo se era bravo «Cazzo» era stato difficile articolare quella parola, ancora di più non far scattare i fianchi verso l’Oakes, rischiando così di strozzarlo. C’erano solo i suoi gemiti e gli schiocchi liquidi a riempire la stanza e le sue gambe a circondare il volto del minore, a spingerlo a dargli di più con ogni movimento del capo «Hunter… Hunter fermati--» con un leggero strattone, tira le ciocche chiare - che poco prima aveva utilizzato per guidarlo sul suo sesso - per impedire all’altro di continuare «non voglio venire così» biascica, portando il pollice a sfiorare un lato delle labbra altrui, ancora impegnato a succhiarlo. Era la visione più erotica che avesse mai visto e non avrebbe mai creduto di potersene beare tanto presto. Non aveva capito il perché Hunter avesse deciso di farlo, ma l’aveva vista la scintilla ad attraversagli gli occhi chiari dopo la realizzazione che avesse un piercing al frenulo. Che fosse quello uno dei punti deboli del Corvonero? Non aveva le forze mentali adatte per pensarci, non quando con fatica aveva tentato di far scivolare via il proprio sesso dalla bocca di Hunter.
    Se l’altro avesse avuto dell’esperienza in più, probabilmente gli avrebbe proposto qualcosa di diverso; non aveva nemmeno idea di quanto, in quel momento, avrebbe solo voluto essere dentro di lui.

    A tentoni ricerca il lubrificante abbandonato sul letto, indeciso se passarlo al minore o se, invece, dare ad Hunter un motivo in più per darsi una mossa. Alla fine, si porta un po’ indietro senza mai smettere di fissare Hunter ancora sul pavimento e, con una certa urgenza – ma anche tremore, paura di star facendo la cosa sbagliata –, spreme sulle proprie falangi la sostanza trasparente, umida e fredda. Rallentando giusto il tempo per renderla più tiepida con lo sfregare delle dita, fa scivolare il braccio verso il basso per percorre la linea del pube. Con eccitazione, divarica le gambe, superando il sesso ormai svettante, per arrivare alla propria apertura, sistemandosi sul letto in modo da poter dare spazio all’altro e poterlo guardare.
    «Vuoi aiutarmi?» mormora, prima di farne scivolare due dentro di sé con un sospiro umido.
    Lentamente le allarga, poi le spinge dentro fino alle nocche, per poi scostarle; dopo qualche spinta, aggiunge il terzo con un mugugno bisognoso, ancora una volta facendole scivolare fino alla base.

    Era certo che Hunter lo stesse guardando e sperava di farlo sciogliere insieme a lui.

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    C’era qualcosa, in Viktor, che lo infiammava. No, non era il suo potere da Special, non era quella sua nuova capacità acquisita nei laboratori a mandarlo su di giri. Il Grifondoro, fin da subito, era riuscito a smuovere Hunter, a fargli provare emozioni e sensazioni prima sconosciute. Inspiegabilmente, si era fidato del Dallaire quando era ancora un cognome, un pettegolezzo di corridoio, una figura a lui fin troppo lontana da poter anche solo essere presa in considerazione come amico. Perché c’era quell’apparenza, quella facciata ben costruita del francese a renderli diversi, quasi incompatibili. Eppure il Corvonero non si era lasciato intimorire dallo sguardo affilato del maggiore e aveva fatto quel passo avanti, quella confessione, che poi avrebbe cambiato tutto. Si era fidato di Viktor, contro ogni logica, seguendo solo il suo istinto. Nessuno avrebbe scommesso un falco su di loro, nessuno avrebbe mai potuto credere che veramente ci fosse qualcosa di sincero tra l’Oakes e il Dallaire, tra il Prefetto perfettino e il re della notte e dei cuori infranti.
    Eppure, a quasi un anno di distanza, Hunter era in ginocchio davanti a lui, le labbra strette attorno a quel sesso così accaldato che aveva fatto sciogliere ogni dubbio e ogni rimostranza. Perché quella, in fondo, era l’ennesima follia che il minore faceva in presenza dell’altro; perché Viktor era in grado di liberarlo da quelle costrizioni, da quelle regole auto imposte, da quelle paure che gli impedivano di essere veramente libero. Solo pochi mesi prima, tutto quello sarebbe stato impossibile. Solo pochi mesi prima, l’Oakes avrebbe categoricamente rifiutato l’idea di avvicinare la sua bocca al sesso umido dell’altro. Germofobia o meno, sarebbe stato terrorizzato dal pensiero di poterlo sentire salato sulla lingua, di lapparne la punta per non sprecare neanche una goccia di piacere del più grande, di volerne sempre di più.
    Nel silenzio di quella stanza, i gemiti di Viktor erano l’unico suono in cui si perdeva, arrivando quasi ad annullarlo completamente. Ogni volta che sentiva il piercing scivolare lungo il palato, che arrivava a toccare la profondità della sua bocca, la sua mente si appannava sempre di più, smettendo così di riuscire a distinguere tutto ciò che non fosse il corpo dell’altro attorno a lui, tutto ciò che non fosse quelle iridi topazio traboccanti di lussuria. Segretamente, l’Oakes amava lo sguardo duro del francese, le sue sfumature fredde e limpide; amava specchiarsi in quella trasparenza sempre così sincera, al punto da fargli paura.
    Oscillava tra il terrore di deluderlo, ancora una volta, e il desiderio di perdersi nel calore del suo corpo, stretto in un abbraccio. Tra la voglia di mettere a nudo la sua vita, venendo così meno al patto del Custodi, e il dovere verso quella missione per cui aveva dimenticato se stesso. Voleva che Viktor lo vedesse, che lo conoscesse per davvero e, al contempo, che fosse protetto da quella verità troppo pesante da sopportare e che, da sempre, condivideva con sua sorella.
    Un mugolio di protesta si levò dalla sua gola quando Viktor lo intimò di fermarsi, le labbra che si andavano a serrare attorno al membro del maggiore mentre scivolava via contro la propria volontà. Morse piano il pollice di Viktor, senza neanche provare a mascherare l’espressione di disappunto sul suo viso. Non aveva messo in conto l’altro potesse farlo anche per il suo bene, non quando voleva disperatamente donargli piacere con ogni fibra del proprio corpo. Si leccò le labbra piano, spegnendo un gemito quando il suo sguardo si posò nuovamente sul frenulo dello Special. Deglutì appena, resistendo alla tentazione di sporgersi in avanti, divorandolo ancora, fino ad annullare ogni forma di resistenza.
    Si adagiò sul pavimento, le gambe scomposte e lo stesso sguardo di un cucciolo a cui era stato sottratto il suo biscotto preferito. Offeso, quasi, da quell’interruzione che aveva avuto come altra conseguenza anche l’allontanamento di Viktor. Non c’erano più le sue gambe attorno al viso, le sue dita non sfioravano più quella pelle liscia e calda come una fornace. C’era solo il freddo del parquet sotto di lui e quella frustrazione latente che lo rendeva ancora più sensibile a ogni movimento, quell’autocontrollo che stava cedendo a poco a poco e che il pirocineta stava per demolire tutto d’un tratto.
    Perché il Dallaire era magnifico in tutto il suo nudo splendore. Era pura tentazione. Era il serpente che porgeva la mela. Eppure… eppure Hunter non vedeva nulla di peccaminoso in quei gesti, in quelle movenze ipnotiche, in quella visione così erotica da togliergli il respiro.
    Il Corvonero era come ipnotizzato, le iridi che seguivano fameliche il percorso tracciato dalle dita del pirocineta. Strinse le labbra piano quando vide Viktor superare la zona del bacino, sfiorandosi piano, mostrandosi nuovamente eretto. Sentiva ancora viva la sensazione dell’altro inturgidirsi nella sua bocca ed era oltremodo eccitante sapere che fosse anche per causa sua. Si avvicinò quasi istintivamente al bordo del letto, incapace di alzarsi, incapace di far altro se non mordere le proprie labbra e far scivolare la mano oltre l’elastico dei boxer, lasciandosi andare a un ansito di piacere quando le dita si strinsero attorno al proprio membro già da tempo alla ricerca di attenzioni.
    Avrebbe voluto aiutare Viktor, avrebbe voluto dargli ciò che voleva, ma non ce l’avrebbe fatta. Non in quello stato. Non quando era soggiogato e interdetto ed eccitato da quello spettacolo che gli stava mostrando. Le iridi oceano erano incatenate al corpo dell’altro, mentre il proprio si spingeva contro la sua mano seguendo il ritmo dell’ex Grifondoro e del suo auto-erotismo.
    Hunter aveva perso completamente il senno e, privo di ogni ragione, allungò la mano per sfiorare la gamba del Dallaire, finendo per stringere solo la morbida stoffa del lenzuolo, soffocando in esso il suo orgasmo, incapace di guardare Viktor negli occhi.
    “Non…” Non sapeva neanche lui cosa fosse successo. Non comprendeva neanche lui cosa fosse stato a spingerlo oltre ogni proprio limite. Non era a conoscenza di quella sua debolezza, o perversione. “Io non…” Tremava appena, l’Oakes, i muscoli ancora leggermente irrigiditi e intorpiditi a causa di quel piacere violento e improvviso. “Non mi è mai piaciuto qualcuno così tanto, Viktor. Anche solo guardarti…” anche solo guardarlo lo eccitava oltre misura. Ed era mortificato. Terrorizzato all’idea che l’altro potesse allontanarlo. Spaventato dalle reazioni del proprio corpo.
    Ma non avrebbe chiesto scusa. Non quella volta. Non quando lo desiderava al punto da perdere il controllo di se stesso.
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    Edited by Messier_43 - 26/11/2019, 13:53
     
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    No, non c’era niente di peccaminoso nelle sue movenze.
    Nulla che potesse anche solo lontanamente ricordare quello che era stato, ciò che aveva fatto abusando per primo del proprio corpo. C’era voluto del tempo e mesi di terapia per comprendere che ogni sua azione altro non fosse stata che l’ennesima violenza, perpetuata all’infinito, fino a non essere più capace di distinguere ciò che poteva realmente essere vendetta da una nei confronti di se stesso. Si era lasciato toccare, baciare, spogliare da estranei che di lui non vedevano nulla se non un corpo nudo, qualcosa da utilizzare come una bambola per poi poterla buttare di lato senza ripensamenti; ed era stato lui a permetterlo, invero. Si era dato la colpa delle sue sventure, un continuo “se solo” che aveva fatto fatica a mettere di lato una volta abbandonato quel mondo. Non era colpa di Svetlana e, anzi, a lei doveva molto; se non fosse stato per quella donna, professionale e attenta ai bisogni dei suoi dipendenti, sarebbe finito in guai peggiori, in luoghi che sarebbero stati la sua tomba. E se non avesse conosciuto Hunter, probabilmente, non avrebbe mai compreso il valore del rispetto, dell’amore, della dolcezza. Sarebbe rimasto fermo al pensiero che non fosse niente, che la sua pelle meritasse di essere viola, che valesse solo il prezzo per cui erano disposti a comprarlo.

    Ed in quelle dita a scivolare dentro di sé di fronte all’Oakes, non c’era nulla più che il puro, semplice, bisogno di averlo vicino. Nulla di riconducibile ad una sceneggiata, niente che non fosse fatto perché lui lo voleva e non perché qualcuno glielo aveva imposto; le falangi lo scavavano e allargavano per essere pronto per Hunter, per averlo dentro di sé e pretendere che quello fosse l’unico uomo di cui avesse bisogno. Era inutile negarlo, il Corvonero era tutto ciò che aveva creduto di non meritare.
    Avrebbe voluto tenerlo con sé per sempre, crogiolarsi nei suoi abbracci e nel suo profumo, stringerlo fino a fonderlo nel suo petto, per fargli provare anche solo un briciolo di ciò che sentiva per lui. Sapeva di non vivere in una favola, che la realtà fosse più difficile da accettare. Per quanto volesse vivere ogni attimo della propria vita con Hunter, era cosciente che sarebbe potuto sparire da un momento all’altro; tuttavia, non era triste per un pensiero tanto realistico, perché sapeva che l’altro gli aveva dato comunque qualcosa che sarebbe rimasto per sempre con sé, nonostante tutto. La libertà.
    L’essere finalmente libero dalle catene che si era autoimposto, il guardarsi allo specchio ed essere capace di sorridersi senza distogliere lo sguardo; gli stava dando il suo affetto, il tremito della scoperta, l’essere capace di potersi spogliare senza provare vergogna.

    Era guardandolo che provava una gioia tale da non riuscire a contenerla, tanto che era consapevole degli occhi lucidi, del tremito dei suoi gemiti, dello sguardo fisso a venerare la figura dell’altro fino ad imprimerla nella mente senza poter fare nulla per impedirlo. Ed era bellissimo, con il broncio ad attraversargli le labbra, con le iridi chiare a fissare ancora una volta quel piercing che sembrava avere su di lui un impatto stordente; si era chiesto, allora, come sarebbe stato sentirlo sfregare dentro Hunter, se il piacere avrebbe colto entrambi allo stesso modo, se lo desiderasse tanto quanto si era reso conto di volerlo anche lui.
    Si era lasciato andare ad un gemito al solo al pensiero di poter avere l’Oakes stretto intorno al suo membro, l’idea di spingersi dove nessun altro aveva mai osato addentrarsi.
    Quanta stupidità; chi era lo stolto che, pur avendo l’occasione di avere un tale tesoro, vi rinunciava? Se da una parte faticava a credere che fosse possibile, dall’altra ne era tacitamente grato. Era stato quello il motore che li aveva portati lì, che gli aveva permesso di innamorarsi di Hunter e di poter leggere nello sguardo dell’altro lo stesso affetto. Se avesse mai incontrato la persona di cui gli aveva parlato l’Oakes al loro primo incontro, gli avrebbe stretto la mano con le lacrime agli occhi e, solo dopo, gli avrebbe dato un pugno per coerenza. Aveva odiato vedere gli occhi lucidi del ragazzo, era suo dovere morale provvedere al regolamento dei conti. Che conti? Non era importante.

    Ciò che contava davvero era il modo in cui aveva visto lo sguardo del Corvonero scurirsi di lussuria, i denti a mordersi le labbra e il modo in cui si fosse messo sulle ginocchia, facendo passare la propria mano oltre l’elastico dei boxer per masturbarsi. Era rimasto sconvolto da quella reazione; piuttosto che aiutarlo, come gli aveva detto, sembrava come se l’Oakes non avesse sentito una parola, in contemplazione.
    Se solo non fosse venuto poco prima, probabilmente lo avrebbe fatto in quello stesso istante perché rendersi conto di avere una tale intensità per l’altro era eccitante tanto quanto l’idea di poterlo avere.
    Il tremito della gola era stato sconvolto ed infiammato e le iridi azzurre puntate dapprima sul volto del minore, poi giù, lì dove aveva potuto vedere la mano dell’altro muoversi al ritmo delle proprie spinte.
    Era stato l’orgasmo di Hunter a scuoterlo da quello stato di incredulità; aveva visto il corpo dell’Oakes tremare appena, lo sperma ad imbrattare la stoffa ed inumidirla.
    Probabilmente la propria espressione doveva essere al limite dell’ilarità, appena sollevato sul gomito – con fatica, ma senza realmente accorgersi dello sforzo, troppo impegnato a pensare a ben altro – e con le palpebre talmente sgranate da far sembrare i suoi occhi ancora più lucidi.

    «Rifallo» cosa? Quello. Qualsiasi cosa fosse successa, voleva rivederla «mi piaci tantissimo anche tu, non riesco… a toglierti gli occhi di dosso» non c’era niente di più sincero, nulla che fosse comparabile al modo in cui lo stava fissando; nella sua vita, non era mai stato tanto onesto. Mai.
    Sfilando le dita dalla propria apertura, con un mugolio, si era ritrovato immediatamente al bordo del letto, solo per poter afferrare quel viso, circondandolo con entrambe le mani, e baciandolo con così tanta passione da dover essere frenata. Si era letteralmente lanciato contro il minore, rischiando di far capitombolare entrambi per terra, ma giunti a quel punto, cos’era una spalla slogata se non un effetto collaterale passeggero?

    Non ci aveva pensato due volte nell’infilare la mano dentro ai boxer dell’altro, afferrandogli il sesso quasi del tutto rilassato, consapevole che fosse ipersensibile.
    «Perché ancora non sei nudo?» domande importanti «E perché non mi sei venuto addosso?» altra domanda di vitale importanza. Ma l’aveva vista la scintilla di vergogna negli occhi dell’altro, tanto da portarlo a rallentare giusto per dirgli «Hunter, non devi vergognarti, guardami» aveva ricercato il suo sguardo, sorridendogli rassicurante, come se non avesse le dita impegnate a percorrere la lunghezza altrui, imbrattandole di seme «con me sei al sicuro» non lo avrebbe mai giudicato per ciò che lo faceva eccitare, non si sarebbe mai tirato indietro di fronte ai kink dell’altro. L’Oakes doveva essere libero, sicuro di poter essere a suo agio, di scoprire il sesso senza sentirsi sbagliato; non lo era. Tutto quello, in realtà, sapeva di normalità.

    «Ora, che ne dici se vieni qui, sopra di me, e continui da dove ho interrotto?» davvero pensava che quello sarebbe stato un problema? Tutt’altro, in realtà quell’interruzione non aveva fatto altro che eccitarlo, se possibile, ancora di più. Per questo gli aveva poggiato un bacio sulla guancia, approfittando per far scivolare via la propria mano e portarsi due dita alla bocca, mugugnando; in tutto quello, non aveva mai lasciato lo sguardo dell’Oakes, trattenendo a stento un sorrisetto tra le falangi. Era ovvio che, una volta capito l’effetto che i suoi piercing sembravano avere sul minore, ne avrebbe approfittato; ora era tutto più chiaro. Dalla prima volta in cui l’aveva baciato, al costante ricercare quello sul capezzolo e, infine, quello al frenulo che lo aveva fatto abbassare sulle ginocchia. Per questo, aveva fatto ovviamente mostra di quello sulla lingua, facendolo scontrare contro la pelle macchiata di sperma.

    «Non dirmi che devo fare di nuovo tutto da solo, mh?» non che gli sarebbe dispiaciuto rivedere l’espressione di puro desiderio sul viso di Hunter, ma avrebbe atteso il secondo, terzo, quarto round per quello.
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    La testa era ancora poggiata sul bordo del letto, il volto nascosto contro le lenzuola, rosso di imbarazzo e vergogna. Respirava a fatica, Hunter, il cuore che sembrava quasi fosse impazzito nel petto e il resto del corpo troppo teso per poter anche solo accennare il più piccolo movimento. Non aveva mai sperimentato quella rigidità post-orgasmo, quel rifiuto da parte dei propri muscoli di rilassarsi e di godersi il piacere appena raggiunto. Era terrorizzato, nella definizione più elementare e semplice del termine; aveva paura di quelle sensazioni così forti e potenti che lo avevano scosso a un livello più profondo, che lo avevano portato a realizzare quanto, ormai, fosse ben lontano ad avere il benché minimo controllo su se stesso.
    Era sempre stata una persona razionale, Hunter Oakes, era sempre andato fiero di quella piena consapevolezza delle proprie azioni, di quegli assiomi che governavano il suo mondo. Il Corvonero viveva di azioni e reazioni che si controbilanciavano, raggiungendo sempre quell’equilibrio che gli aveva permesso di tracciare una linea da seguire, di sentirsi quasi avulso da sentimenti e reazioni forti in grado di minare il funzionamento di quella macchina così perfetta e, in un certo senso, cinica. Hunter non aveva conosciuto nessuno in grado di scuoterlo nel profondo, di smantellare ogni costrutto mentale e ogni buonsenso che tanto lo avevano caratterizzato. Per anni aveva provato poche emozioni, sempre le stesse, in un loop infinito e tale da fargli credere che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui, che fosse quasi rotto.
    Poi, era arrivato Viktor, e con lui la scoperta, il cambiamento di prospettiva. Il Dallaire lo aveva fatto sentire quasi umano, fino ad essere a un passo dallo spezzarlo, dal distruggere quella rigidità che lo aveva sempre tenuto ben lontano dal mondo circostante. Lo Special aveva rimesso tutto in discussione, spingendolo quasi oltre i suoi limiti, senza neanche rendersene conto. Viktor non poteva neanche immaginare quanto avesse cambiato Hunter in quei pochi mesi di conoscenza, quanto profondo fosse il segno che aveva lasciato in lui. Per quanto ancora fosse ancora un po’ immaturo, quasi acerbo, l’Oakes era cresciuto tanto ed era una persona emotivamente diversa da quella di un anno prima. Su certi aspetti era ancora blindato, con ogni probabilità non era ancora pronto a fare il salto di qualità che avrebbe potuto dare pieno significato a quella relazione, ma aveva mosso i suoi primi passi in una direzione che, fino a quel momento, era rimasta inesplorata. Viktor lo aveva ascoltato, lo aveva preso per mano e lo aveva aiutato a conoscere quella parte di sé che aveva sempre ignorato, che aveva sempre rilegato nell’angolo più remoto del suo essere e che ancora non riusciva a controllare nella sua imprevedibilità. Credeva di essere in grado di sapersi gestire, di avere il pieno potere delle sue facoltà fisiche e mentali, ma non era così. Non era più così e questo lo spaventava, lo confondeva, lo aveva spinto a vergognarsi della propria persona.
    Non credeva possibile che Viktor avesse un tale ascendente su di lui, che semplicemente osservandolo praticare dell’autoerotismo potesse essere in grado di risvegliare quell’istinto primordiale che Hunter aveva cercato sempre di tenere a bada, insieme alle sue pulsioni.
    Se non fosse stato per le parole dell’altro, se non fosse stato per quel Rifallo carico di desiderio, probabilmente si sarebbe smaterializzato altrove, fuggendo dall’imbarazzo per quella debolezza non prevista, chiudendosi in quella bolla di autocommiserazione che tanto conosceva. Invece Viktor era ancora lì, sentiva il suo sguardo bruciare sulla propria pelle, e non se ne sarebbe andato.
    Sollevò lo sguardo piano, deglutendo appena, cercando le iridi trasparenti dell’altro e trovando in esse quel conforto che non sperava di vedere. Si sciolse in quel bacio appassionato, lasciando che il francese desse fuoco alle sue paure approfondendo quel contatto, ritornando così a respirare attraverso i polmoni dell’altro.
    Se Viktor era fuoco, lui voleva essere l’ossigeno che ne alimentava la fiamma, rendendola sempre più viva e brillante.
    Soffiò un gemito sulle labbra dell’altro, mentre un brivido di piacere gli attraversava il corpo, ormai incapace di contenersi perché lo Special finalmente, finalmente, lo stava toccando. Dischiuse le labbra incapace di articolare un pensiero coerente, supplicando l’altro con gli occhi lucidi a continuare quella dolce tortura, allargando quasi istintivamente le gambe, permettendo al maggiore di prolungare il contatto, di fare del suo sesso quel che voleva.
    “Perché sei bellissimo.” Questo fu tutto quello che di intelligente il Corvonero riuscì a dire, la fronte poggiata su quella dell’ex-Grifondoro. Non c’erano altre risposte a quelle domande, non altrettanto semplici e sincere. Non era ancora nudo perché aveva dimenticato se stesso e i suoi bisogni dal momento in cui aveva sentito la pelle di Viktor sotto le proprie dita, il suo calore, la sua voce e il suo desiderio. Perché era così bello che meritava tutte le sue attenzioni, perché voleva che quella notte fosse speciale. Era così bello e perfetto che macchiarlo col suo seme quasi gli sarebbe parso un insulto. Perché voleva continuare a guardarlo, perché non c’era niente di più bello al mondo se non Viktor Dallaire e lui desiderava solo essere parte di quella bellezza. Se avesse risposto a quella domanda, se avesse dato voce ai propri pensieri, avrebbe sicuramente detto che più che venirgli addosso, avrebbe preferito riempirlo fino al punto in cui il corpo dello Special non fosse stato più in grado di contenere il suo seme.
    “Viktor…” mormorò piano, quasi il sussurro potesse nascondere la dolcezza del suo tono di voce o la gratitudine nel suo sguardo. Strinse piano le dita tra le ciocche corvine, avvicinando il volto del maggiore fino a incontrare nuovamente le sue labbra. “grazie.” Sorrise. E questa volta c’era qualcosa di diverso nella piega di quella bocca sottile, qualcosa che Hunter non avrebbe mai potuto pensare di scorgere, non in quella fase della sua vita, almeno. Non si sarebbe fatto domande, non in quel momento, non quando avrebbe potuto rischiare di far crollare nuovamente quel castello di cristallo che stavano ricostruendo, non quando Viktor lo guardava in quel modo. Non quando suonava tutte le sue corde.
    Si spinse in avanti, lasciandosi scappare un verso gutturale quando la sua bocca baciò quella del francese, assaporando il suo sapore sulle labbra dell’altro, stupendosene come la prima volta. Cercò la sensazione familiare del piercing dell’altro che gli sfiorava il palato in quella danza che non lo avrebbe mai stancato, tutt’altro. Divenne quasi famelico nel bisogno che aveva di Viktor, di sentirlo nuovamente vicino, di sentire la sua pelle sulla propria, di tenerlo stretto contro al petto, fino a sincronizzare il proprio battito con quello del maggiore.
    No, non lo avrebbe lasciato continuare da solo, non quella volta. Si rimise in piedi e si spogliò a fatica, senza mai interrompere il bacio, senza retrocedere di un solo millimetro, la testa così piena di Viktor da lasciare che i suoi vestiti decorassero il pavimento. Continuò a baciarlo anche quando lo fece stendere, mentre cercava il lubrificante o quando si sistemò al suo fianco. Non smise neanche quando si fece spazio tra le sue gambe, penetrandolo con le dita, spingendosi nuovamente in lui.
    Di Viktor amava quella capacità di essere sempre se stesso, di metterlo a proprio agio con un solo sguardo; amava quell’empatia latente che gli aveva permesso di restare aggrappato alla sua umanità. Amava la sua forza d’animo, quel saper sempre cosa dire, quel tepore che lo faceva sentire a casa. Per questo con lui non sarebbe mai stato solo sesso. Non c’erano le basi, non c’erano i presupposti. Per questo non sarebbe potuto mai essere un atto meccanico, un mero movimento del corpo, un’azione dettata dalla natura.
    Hunter sperava fosse arte. Fosse passione. Fosse tutto quello che Viktor non aveva mai avuto e che aveva sempre desiderato.
    Era stato attento il più possibile a evitare di stimolare la prostata del maggiore, beandosi dei suoi gemiti e della sua voce spezzata. Avrebbe potuto chiedergli di girarsi, avrebbe potuto prepararlo con più facilità in quel modo, ma voleva sentire il suo fiato bollente contro la propria pelle, voleva quel contatto che altrimenti non avrebbe avuto. Perché, in fondo, Hunter era un romantico e aveva bisogno di Viktor, di osservarne il viso, di memorizzarne le espressioni. Aveva bisogno di baciarlo, di tenerlo stretto a sé.
    Si allontanò solo per sistemarsi meglio tra le sue gambe e si prese tutto il suo tempo per far scorrere lo sguardo su quel corpo meraviglioso che giaceva sotto di lui.
    “Sei bellissimo.” Ripeté ancora, giusto per essere chiaro, mentre le dita sfioravano quella pelle liscia a cui ancora non erano abituate. E più queste accarezzavano lo Special, più Hunter si tranquillizzava, mettendo a tacere quelle ansie e quelle paure che stavano tornando a fare capolino. Si chinò in avanti, portando una mano sul viso del maggiore, baciandolo piano, quasi con reverenza. “Non voglio farti male” Sussurrò a fior di labbra, sentendo quasi un groppo allo stomaco mentre lo diceva, consapevole di quello che Viktor avrebbe potuto provare. “Se dovesse essere troppo, dimmelo, ok?” Gli sfiorò il volto un’ultima volta, prima di cercare il lubrificante e usarlo su se stesso, le falangi appena tremanti.
    Quello che provò dopo, tutta la montagna russa di emozioni che provò dal momento in cui si era unito a Viktor, fu indescrivibile. Lo aveva sentito stretto e caldo attorno a lui, quasi il francese lo volesse sempre più dentro, sempre più a fondo. Lo aveva cercato ad ogni spinta, ad ogni movimento del bacino, ad ogni respiro. Viktor era stato presente in ogni suo gemito, in ogni parola, fino ad aver completamente annebbiato la sua mente, impedendogli così di pensare. Ed era stato bellissimo, quasi magico, essere completamente in lui, fondersi in quel corpo fino a perdersi completamente, mettendo l’io da parte per diventare un noi. Perché Hunter lo aveva amato col suo corpo ed era stato palese in ogni singolo gesto. Il piacere crescente, il brivido dell’orgasmo, l’appagamento di ogni pulsione e istinto sessuale erano secondari, erano quasi di contorno.
    Hunter non si era mai sentito così vicino a qualcuno come in quel momento, non si era mai sentito così parte di qualcosa. Se non avesse avuto paura a pronunciare quel termine, avrebbe potuto dire che apparteneva a Viktor con ogni fibra del suo essere, al punto da quasi crollare sull’altro dopo essersi lasciato andare, dopo aver tolto ogni briglia a quei sentimenti che si prendevano gioco di lui. Perché il suo corpo poteva anche tremare e contrarsi dal piacere, poteva anche invocare il nome del suo compagno quasi stesse invocando Dio, ma non poteva negare che non erano stati solo i loro corpi a fondersi quella notte.
    Spostò la testa di lato, osservando il profilo dell’amante per qualche secondo prima di ruotare piano il suo volto con le dita nella sua direzione. Non riusciva a smettere di sorridere, né di specchiarsi negli occhi dell’altro, ancora annebbiati dal piacere dell’orgasmo che avevano condiviso.
    “Viktor…” lo chiamò piano, gustando quelle sei lettere sulle labbra quasi avessero un nuovo sapore. “Possiamo restare così ancora un po’? Non… non voglio separarmi da te. Non ancora.”
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    Se Hunter era un romantico, lui non aveva la minima idea di come fare per esserlo.
    Tutto quello che conosceva sul sesso si basava sull’erotismo, sull’essere l’oggetto del desiderio e svolgere bene quella funzione; dare ai propri amanti ciò di cui avevano bisogno, essere sempre capace di capire come muoversi, cosa dire per compiacerli. Con l’Oakes era tutto diverso, talmente tanto da fargli tremare le gambe dalla paura. Non era qualcosa che riusciva a controllare, totalmente stravolto dall’idea che non fosse lì per soldi, ma per amore; non era lì per avere un ritorno economico, solo per godersi il momento. Non stava masturbando il minore perché doveva, ma perché voleva; e non stava aprendo le gambe per qualche sconosciuto.

    Era stata quella realizzazione, improvvisa come lo scoppio di una bomba, a fargli stringere le unghie nella pelle dell’altro, lo stupore, il terrore, la scoperta che stesse accadendo qualcosa a cui, per tutto quel tempo, aveva dato un significato completamente diverso. E quasi si pentiva di essere stato il solito, stupido, insensibile Viktor e di aver calcato la mano, toccando Hunter con le mani grondanti di lussuria, per non avergli dato il giusto sguardo se non uno pieno di appagamento. Non voleva che quello fosse solo sesso. Desiderava che l’Oakes sentisse quanto quei sentimenti fossero profondi e quanto avesse cambiato la sua vita rendendolo se non migliore, almeno una persona decente in grado di volersi bene.
    Ciò nonostante, sentirlo su di sé e vedere quanto l’altro lo volesse era ancora troppo assurdo da poter credere fosse la realtà. Si era sempre domandato il perché Hunter lo volesse così tanto sapendo, comunque, quanto fosse vuoto, che fosse solo una puttana; la verità era quella, non ci sarebbero stati altri modi meno colorati di descriverlo. Lo era stato e sentiva ancora di esserlo; nei modi, negli atteggiamenti, in quel letto. Non era colpa del minore, era lui un grande, immenso, incommensurabile problema e non era nemmeno in grado di smetterla. Finirla di passare le dita nello sperma per portarlo alle labbra, abituato a farlo più per consuetudine, che per reale necessità; finirla di lanciare occhiate di fuoco, sguardi ammiccanti e osceni, incapace di esprimere dolcezza se non fuori dalle lenzuola. A letto, in un modo o in un altro, rimaneva sempre ancorato a quel passato che stava tentando, con tutto se stesso, di nascondere sotto il tappeto.
    Per questo, con gli occhi lucidi, aveva iniziato ad osservare le movenze di Hunter, il modo in cui sembrava venerarlo, i tocchi gentili sulla pelle accaldata, quelle iridi azzurre fisse su di lui e il mormorio del “sei bellissimo” a conficcarsi nel petto come una pallottola. “smettila” avrebbe voluto dirgli “non lo fare, non volermi” perché era certo di non essere giusto per lui. Non era meritevole di quella dolcezza, non era meritevole di essere toccato come se valesse qualcosa; non era amabile e non aveva idea di come diventare quella persona che Hunter sembrava vedere e che lui, ancora, non aveva idea di chi fosse.

    Tuttavia, per quanto la propria mente fosse invasa da quella scarica improvvisa di insicurezza e di paura, era bastato avvertire le dita dell’Oakes sul viso per ritornare a respirare; lo aveva guardato, spaesato, deciso ad alzarsi e scappare dalla verità scomoda di essere qualcuno e non qualcosa, per poi rilasciare tutta l’aria nei polmoni in un ansito di sollievo, accompagnato dalla propria mano a stringere con decisione il fianco altrui.

    «Non voglio farti male»

    «Non lo farai.»

    Erano quelle le piccole cose che gli facevano ricordare il perché si fosse affidato ad Hunter e avesse permesso a quest’ultimo di prendersi ciò che, finalmente, aveva ritrovato. Non era il suo corpo ciò che gli aveva appena offerto, sebbene potesse apparire una questione puramente fisica, basata sul sesso; era la sua fiducia. Quel qualcosa che non aveva mai dato a nessuno, in nessun letto, in nessun bacio, in nessuna carezza. Stava permettendo all’Oakes di essere il primo, gli stava concedendo ciò che aveva temuto di lasciar scorgere, spaventato dalle delusioni. Tra i due, Hunter non era il solo ad aver la totale, spiazzante paura di essere abbandonato; per quanto avessero vissuto due vite diverse, costellate entrambe da tragedie e attimi di solitudine, erano solo due ragazzi bisognosi di avere delle sicurezze.

    Una di quelle era la delicatezza con cui l’Oakes aveva preso posto tra le sue gambe, di come si fosse fatto spazio dentro di lui senza violenza; aveva stretto le lenzuola così forte da far sbiancare le nocche, mugugnando spezzato per quella sensazione inattesa.
    Si era irrigidito sotto di lui, fermando l’impulso di scalciare e picchiare Hunter per impedirgli di continuare; quel dolore, quella sensazione, le aveva già provate e aveva pagato un prezzo troppo alto.
    Eppure, non c’era violenza in quelle spinte, in quel lento, rispettoso avanzare; non era brutale, secco, sanguinolento, non c’erano urla, ma liquido, languido, fatto con affetto.
    Nel petto sentiva così tanti sentimenti contrastanti da fargli credere che, da un momento all’altro, sarebbe esploso in un pianto isterico, mettendo da parte tutta la sicurezza ostentata poco prima; dopo anni di abusi su se stesso sentiva che ciò che stava accadendo fosse giusto.
    Era quella la sensazione che si provava durante il sesso per la prima volta? Il totale, annebbiante desiderio di appartenere a qualcuno, di sentirsi amati e desiderati? Quel bruciante e allo stesso tempo appagante dolore causato dai corpi a cozzare insieme?

    Si era aggrappato alle spalle di Hunter, nascondendo il viso nell’incavo del collo altrui, soffocando i gemiti e lasciando che spingesse fino alla fine, tanto da poter percepire il cuore dell’Oakes battere in sincrono al proprio, agitato come le ali di una farfalla. Aveva stretto le gambe intorno alla vita del ragazzo, chiedendogli tacitamente di rimanere fermo, di dargli la possibilità di capire ed abituarsi, di realizzare soprattutto che lo avesse dentro e che quella era, senza dubbio, la sensazione più intensa emotivamente che avesse mai provato.

    «Hunter» aveva pigolato, con la voce attutita dalle labbra premute contro la pelle del minore «ho paura» non era paura del sesso. Non era nemmeno paura di potersi fare ancora più male. Non voleva più perderlo, non voleva più allontanarsi da lui; non voleva più discutere, né piangere, né chiedersi il perché delle azioni. Voleva che Hunter lo volesse, che capisse quanto, per lui, tutto fosse un azzardo.

    Con la gamba sollevata sulla spalla dell’Oakes e l’altra tenuta dal minore, aveva lasciato che quest’ultimo si spingesse dentro di lui con ritmicità, gemendo per la prima volta dopo il primo orgasmo. Aveva chiuso gli occhi, gettando la testa all’indietro sul cuscino, facendo fatica a trattenere i suoni ad uscire dalle sue labbra; incitamenti, il nome dell’altro, versi che non credeva sarebbero mai usciti tanto sinceramente dalla propria bocca. Era tutto un tremito, un graffiare, succhiare porzioni di pelle, tirare le ciocche castane e far cozzare i loro visi in baci appassionati.
    Se fosse stato un altro momento, se non avesse già di per sé sentito quel piacere elettrizzargli la spina dorsale e se, soprattutto, avesse accettato il suo essere provocatore di natura, avrebbe ribaltato le posizioni, cavalcando Hunter fino allo stremo delle forze. Si sarebbe impalato su quel sesso che stava spingendo con forza e non avrebbe lasciato al minore il tempo di capire; ma non era quello che desiderava in quell’istante, perso nel vedere le stelle dietro gli occhi chiusi. Avrebbe voluto tenerli aperti, ben spalancati per bearsi del viso altrui, ma ad ogni movimento diventava sempre più faticoso resistere.

    Non era stato necessario nemmeno invogliare Hunter a non scostarsi, perché era stato quasi sconvolgente sentirlo venire dentro di sé, caldo come non lo era mai stato prima e intenso come uno schiaffo in pieno viso. Non era mai capitato che, qualcuno dei suoi precedenti amanti, facesse qualcosa del genere senza preservativo; era qualcosa di nuovo persino per lui.
    L’orgasmo lo aveva colto subito dopo, lasciandolo tremolante e con il peso di Hunter a gravargli addosso, incurante di aver lasciato brillare delle scintille fin troppo accese dal proprio corpo.

    C’era voluto un attimo per far scostare quest’ultimo e per non cedere alla tentazione di non permettergli di allontanarsi, lasciandolo vuoto e aperto, bagnato tra le natiche. Ma alla fine aveva ceduto, troppo stordito per pensare ad altro, rimanendo adagiato di schiena sul materasso con le palpebre calate e il respiro affannoso. I capelli corvini appiccicati sulla fronte, quasi che avesse corso una maratona.

    «Viktor…» aiutato dalle dita di Hunter, aveva voltato il capo verso di lui, umettandosi le labbra e, infine, rivolgendogli un flebile sorriso «Puoi restare per sempre» e forse, dopotutto, non aveva più paura.

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