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Guinevre x Narah

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    Finito.
    Lo spettacolo era finito, e così anche tutte le esibizioni previste nel turno di Narah. Mantenne sulle labbra un leggero sorriso, che la maschera sul volto lasciava chiaramente visibile, ed era proprio quello a impedirle di rilasciare un sospiro e, con esso, la tensione che le procurava esibirsi: una delle prime regole era sorridere sempre, non mostrare mai ai clienti stati d’animo negativi; in questo, avere qualcosa a coprirle il volto la aiutava, ma aveva sempre paura di essere troppo trasparente.
    Tuttavia, quando era al Lilum recitava la parte di Dana. Per quanto quella fosse solo una specie di copione, perché Dana non era che una falsa identità dietro cui si nascondeva, sul palco non poteva permettersi di essere Nah. Avrebbe mentito se avesse detto che ballare non le piaceva, tutt’altro! Era una ballerina, sarebbe stato assurdo se così non fosse stato ma… il vero problema continuava ad essere l’attenzione di tutti quegli sconosciuti concentrata su di sé. Potevano passare anche anni che lei non sarebbe mai riuscita a sentirsi a proprio agio sotto i riflettori. Ciononostante era grata a Svetlana per averle permesso di entrare a far parte del suo personale, davvero tanto, permettendole di vedere coi propri occhi quanto lavoro e quanta professionalità ci fosse dietro ogni spettacolo e, di conseguenza, quanto fossero bravi i ballerini del locale per ottenere quei risultati.
    In quei mesi, lei stessa si era resa conto di aver imparato più di “qualcosa”: aveva ricevuto dei consigli riguardo la danza che le avevano permesso di migliorarsi e, soprattutto, aveva addirittura smesso di balbettare in continuazione!! Le sarebbe piaciuto affermare che era stato solo grazie alla sua forza di volontà, ma Nah credeva che vi fosse una spiegazione diversa: fin da subito, si era ritrovata a paragonare l’imbarazzo di ballare di fronte ai clienti – con troppa pelle scoperta, per i suoi gusti – a quello di parlare con le persone. Be’, nonostante la seconda cosa non le risultasse ancora semplicissima, non era nulla se paragonata alla prima, quindi pian piano, forte di questo ragionamento, il balbettio era sparito. Un po’ più di coraggio lo aveva assimilato, di determinazione anche – solo lei sapeva quanta ce n’era voluta per non scappare dal Lilum a gambe levate dopo le prime volte in cui aveva impersonato Dana! –. Aveva creduto fosse stata una cattiva idea, all’inizio se n’era pure pentita; adesso riconosceva che l’aveva fatta maturare, per quanto si potesse essere scettici al riguardo.
    E negli ultimi tempi aveva valutato di lasciare il proprio posto a qualcun altro, lasciare per sempre i panni di Dana. Da quell’esperienza aveva ricevuto tanto e… e forse per lei era giunta l’ora di raccoglierne i frutti e smettere di fare qualcosa che non era nella sua natura. Forse non avrebbe avuto senso continuare a sopportare di essere al centro dell’attenzione: aveva iniziato a lavorare al Lilum per cambiare, migliorarsi, e ci era riuscita davvero! Non era una disinibita, ma quello non la sarebbe mai stata, né voleva esserlo! Al momento si sentiva persino in pace con se stessa, col proprio carattere così com’era, ed era anche grazie a Gid… mentre scendeva dal palco, le sue labbra si curvarono in un sorriso spontaneo al pensiero di Gideon. Non era ancora sicura di cosa avrebbe – se avrebbe lasciato o meno –, anche perché ora viveva in una realtà leggermente diversa per gli Special, e aveva ricominciato a frequentare delle lezioni a Hogwarts. Poi c’era la spinosa questione di confessare tutto a Gideon e, questo, rappresentava un problema che però voleva risolvere.
    Liberarsi di tutta l’attenzione di quando era sul palco le procurò, come sempre, una sensazione di sollievo. Normalmente, non avrebbe indugiato e sarebbe andata dritta dritta in camerino, dove si sarebbe cambiata in santa pace. Quella sera avrebbe fatto lo stesso, se solo non si fosse accorta della presenza di Guinevre, la ragazza che mesi e mesi prima aveva incontrato proprio lì.
    Narah, sul punto di sgattaiolarsela dalla porta riservata allo staff, esitò sul posto, lo sguardo che non abbandonava la ragazza dai capelli biondo cenere. La vedeva al Lilum tutte le sere – tutte quelle in cui aveva un turno da coprire, perlomeno –, c’erano state volte in cui si erano salutate a vicenda con un cenno da lontano e, ripensandoci, le parve terribilmente sgarbato non parlarle mai. Non dopo che le aveva fatto vedere il suo viso e le aveva rivelato il suo nome, quella notte tanto strana in cui aveva sentito che Guinevre era una persona di cui avrebbe potuto fidarsi. Ad essere sincera, forse addirittura un po’ le mancava parlare con lei. Non sapeva se la considerava un’amica o meno, ma con lei condivideva un segreto – segreto che era tale solo al Lilum – e ricordava bene la gentilezza con cui si era approcciata a lei.
    Avevano parlato una volta sola, ne era cosciente, e sapeva che magari era una sciocca ad essere fatta così, che si affezionava troppo e che si faceva dei castelli in aria perché, con tutte le probabilità, l’altra non aveva più pensato minimamente a lei – quale motivo avrebbe avuto? – e men che meno la considerava un’amica. Ma Narah aveva il cuore troppo tenero per sorvolare e avrebbe voluto avvicinarla per scambiare due parole, magari al riparo da tutti quegli occhi che si sentiva ancora addosso – che fosse per paranoia personale o per il vestitino rosso fuoco aderente meno scollato dai, non ne aveva idea –.
    Si mordicchiò l’interno della guancia e sospirò, alzandosi sulle punte per intravedere la figura minuta di Guinevre in mezzo ai presenti. Sinceramente non aveva proprio il coraggio di andare da lei, attraversando la folla e iniziando a chiacchierare con lei come se fosse un’ abitudine. Sarebbe stato… imbarazzante, da sfacciata. Si domandò se dovesse lasciar perdere, risparmiandosi così una grandissima figuraccia; ma, se l’avesse fatto, sarebbe stata una grandissima maleducata! E non avrebbe mai voluto essere sgarbata nei suoi confronti, le sarebbe dispiaciuto un sacco. C’era una consistente parte di lei che voleva mettere da parte la timidezza, chiedere a Guinevre anche solo se stesse bene e... tutto qui. Semplice, veloce, indolore, ma non per Narah Bloodworth.
    L’incertezza la tenne paralizzata sul posto fino a quando gli occhi di Guinevre, in una maniera del tutto inaspettata, non si posarono su di lei. Narah si sentì colta con le mani nel sacco, oltretutto a fissarla. Che… imbarazzo. Arrossì di botto, passandosi una mano sul braccio scoperto. Cosa doveva fare?? Prima che si potesse dare una risposta concreta – con cui avrebbe sicuramente ceduto alla timidezza, scappando – alzò una mano in sua direzione, sperando intensamente che lei la vedesse e le rendesse tutto più facile.
    Non appena Guinevre si sarebbe concentrata su di lei, Narah le avrebbe rivolto un lieve sorriso e, ignorando l’esitazione che avvertiva dentro di sé, le avrebbe fatto cenno di raggiungerla; avrebbe cercato di farlo nella maniera più discreta possibile, per evitare che qualcun altro nel locale la fraintendesse – o facesse finta di farlo – e pensasse che l’invito fosse rivolto a lui. Decisamente, voleva evitare una situazione del genere e pregava con tutta se stessa che Guinevre possedesse abbastanza intuito da comprenderlo.

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    Edited by butterfly‚ - 6/10/2019, 18:19
     
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    Show concluso, si sarebbe presto avviato alla porta d'ingresso per tornare al castello. Con estrema riluttanza, come ogni volta che doveva lasciare lì Narah a fine serata, non potendo certo aspettarla o raggiungerla in alcun modo. Tirò fuori uno specchietto per osservare il proprio make up, non eccessivo, ma deciso a sufficienza da contribuire ad aggiungerle addosso uno o due anni in più. Aveva deciso per un po' di mascara sulle ciglia, un rossetto rosso ad evidenziare il contorno morbido delle labbra e per il resto, la pelle bianca e priva di imperfezioni, rendeva il suo volto di porcellana anche senza necessità di una cipria - anche perchè diciamocelo, Gideon non aveva così tanta voglia di truccarsi. I capelli biondi a caschetto, mossi da onde soffici a contornarle il viso a cuore, le sfioravano appena le spalle sottili. Spostò lo specchietto alla sua destra, per osservare alle proprie spalle la figura di Narah Bloodworth, vestita con un succinto abito color rosso fuoco che Gideon non avrebbe mai osato immaginarle addosso in altre situazioni. Vedendola, gli parve di andare a fuoco, e non perchè la desiderasse ma perchè tutta la sala, a parte lui, lo faceva. Rimase ad osservare la sua longilinea immagine ancora per qualche secondo, con il cuore che martellava nel petto un po' per la paura, ma soprattutto, lasciando spazio ad un sentimento diverso, nuovo, che non sapeva definire, ma...non era affatto positivo. Affatto.
    Si erano promessi di dirsi tutto, sempre. Ed allora perchè lui si trovava al Lilum ogni sera, sotto un altro aspetto, solo per vederla ballare? Narah non aveva avuto il coraggio di dirglielo, e Gideon, d'altra parte, non aveva avuto le palle per confessare che, quella ragazza bionda che andava a vedere la sua esibizione ogni volta, era lui, il suo ragazzo. Bizzarro. Una situazione angosciante, una bugia nella quale si era introdotto per sbaglio e nel quale era rimasto. Una crepa che era diventata una voragine ed adesso chiuderla era più difficile che mai. Sarebbe stato difficile per sempre. Lo sapeva, ne era sicuro. Egoisticamente soffriva talmente tanto per quella situazione che per richiudere quella che per lui era una ferita sulla fiducia ci sarebbero voluti...anni. Forse. Si sentiva...egoista, lo era, forse. Ma non riusciva a spiegarsi perchè dovesse andare così, perchè nessuno dei due si decideva a parlare.
    Non sentiva di stare bene, si sentiva messo da parte, non importante abbastanza. Soprattutto, non abbastanza. Quel dannato cuore che continuava a dolergli nel petto ad ogni pensiero, ebbe un sussulto quando lo sguardo della mora, poco distante dalla sua posizione, si posò su di lui, o meglio, su di lei.
    No.
    No.
    No.
    Non ti girare, va via.
    E invece, dentro di sè sperava solo che lei lo notasse, che in un modo o nell'altro lo rendesse partecipe di quel mondo dal quale era stato escluso.
    Allora si voltò nella sua direzione, piano, agganciando il suo sguardo e non subito, sorridendole, come fosse sorpreso di vederla, o come se non si aspettasse di trovarla lì anche quella sera. Bè, che dire, il McPherson stava diventando un bugiardo professionista. E non si aspettava nemmeno, sul serio, che Narah le facesse un cenno, per avvicinarsi a lei. Abbassò appena lo sguardo sulle proprie scarpe, dei tacchi che non era abituato a portare ma che stavano alla perfezione con il proprio abito, un tubino nero aderente fin poco sopra il ginocchio. Avrebbe voluto recarsi al Lilum con la sua solita tuta, o jeans e t-shirt, ma non lo avrebbero fatto entrare perchè non era l'abbigliamento esatto. E sebbene il McPherson non amasse particolarmente i dress code, si era dovuto adattare. Doveva avvicinarsi? Titubante, risollevò lo sguardo scuro sulla ragazza, battendo due volte le ciglia lunghe per mettere a fuoco la sua figura, e poi, anche se con un po' di indecisione, decise di raggiungerla. L'idea di starle dinnanzi e non potersi comportare in maniera spontanea, come gli veniva, lo deprimeva. Ma raggiunta la ragazza, non riuscì a trattenere uno slancio d'affetto nei suoi confronti: si avvicinò a lei piano, tanto da raggiungere con il volto il suo e lasciarle un bacio sulla gota. Sorrise, a mo di saluto. Dana. Ed ancora una volta, quelle parole risultarono parecchio sbagliate nella sua testa.
    Lei era Narah, la sua Narah. Avevano condiviso un'intimità riservata a pochi, eppure Gideon si sentiva un completo estraneo per lei, e non certo perchè dentro quel locale non aveva il suo aspetto. Si sarebbe sentito un estraneo persino nei suoi stessi panni.
    Un bacio sulla guancia. Un privilegio che, prima di quella sera, aveva avuto solo lui, e che a Narah sarebbe parso strano, magari l'avrebbe allontanata, magari si sarebbe posta qualche domanda sul perchè di quel gesto. Altri, invece, non ci avrebbero visto niente di strano in quel bacio innocente, e sarebbe passato per un saluto come un altro.
    La musica alta non agevolava la conversazione, per questo Narah la invitò ad entrare negli spogliatoi, forse per fare due chiacchiere in un momento di pausa. La seguì senza obiettare, guardandosi intorno e sentendosi del tutto spaesato tra quelle mura. Le immagini di donne dagli sguardi lascivi e carichi d'eros, appese alle pareti, non facevano altro che aumentare la sua sensazione di disagio. Così come quando si ritrovava a soffermare lo sguardo sul corpo di Narah per più di qualche secondo, non riuscendo a distoglierlo. Aveva la certezza che più di una persona la guardasse e la desiderasse come stava facendo lui in quel preciso momento, riuscendo ad immaginare alla perfezione le forme non così nascoste da quell'abito succinto. E ribolliva, di rabbia, di frustrazione, di gelosia. Prese un profondo respiro, mentre entrambi raggiungevano gli spogliatoi. Tentò di scacciare ogni sensazione negativa, per non ammorbare l'atmosfera. Bellissimo spettacolo stasera! Portò una mano ai capelli biondi, passando delicatamente le dita tra essi, com'era solito fare quando era nei propri panni, un vizio che non lo aveva abbandonato e che lo accompagnava anche sotto quel falso aspetto. Così come quel vizio di sbattere le palpebre ogni volta che si sforzava di dire una bugia, o come si mordeva la guancia quando era nervoso, o come si grattava la punta del naso quando doveva ragionare su qualcosa di complicato. Se Narah conosceva bene Gideon, ne avrebbe rivisto in Guinevre più di un comportamento.
    Impegnativo Continuò, ancora, riferito al piccolo intoppo di solo qualche quarto d'ora prima: un uomo sulla cinquantina preso dalla foga del momento, aveva provato a salire sul palco per raggiungere la ballerina. Era stato fermato prima che potesse effettivamente toccarla, ma il McPherson aveva dovuto trattenersi per non reagire e rischiare non solo la copertura, ma molto di più. Il tuo ragazzo sarà molto triste e preoccupato.
    Rendendosi conto di quelle parole un po' fuori luogo, si permise di lasciarsi andare ad un sorriso, sperando che Narah non gli desse troppo peso. Scusa, non so perchè l'ho detto. Stai bene comunque? Prese posto sul divanetto presente negli spogliatoi, non badando al caos che regnava in quello stanzino.
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    Tutti, almeno una volta, avevano provato la sensazione di quando… quando qualcosa non andava bene, anche se non si aveva idea di cosa. Di quando si percepisce nell’aria una nota stonata, e allora il disagio inizia a opprimere, perché proprio non sai cosa stia accadendo capace di turbarti tanto, ma sei certo al cento per cento che quella sensazione non porterà nulla di buono. Di quando vorresti scappare all’improvviso, però non lo puoi più fare.
    Ecco, Narah aveva avuto quella sensazione, nel momento in cui gli occhi di Guinevre si erano posati su di lei. Erano delicati come una carezza, eppure il suo stomaco si contrasse appena facendola sentire completamente fuori posto, nonostante non riuscisse a comprendere nemmeno lei cosa le stesse prendendo. Aveva voluto attirare la sua intenzione, salutarla, non era assolutamente stata Guin a cercare alcun tipo di contatto. Allora perché quella specie di brutto presentimento?? No, non era un presentimento di chissà quale sventura: doveva soltanto essere la sua mente, decise, sempre troppo intenta a elaborare le emozioni con un’ipersensibilità che stava iniziando a farle percepire cose che non esistevano.
    Se lo ripeté, un lieve sorriso mentre osservava Guinevre venirle incontro nel suo tubino nero. Si schiarì la voce e abbozzò un lieve sorriso, tentando magari di trovare qualche frase adatta a una conversazione amichevole tra persone normali – stava diventando più brava, ma le sue abilità sociali erano ancora… basse per usare un eufemismo. E stava lavorando anche sul linguaggio del corpo, in un certo senso. Abbassò appena la testa, come faceva sempre quando percepiva il bisogno di spazio o si sentiva attaccata, tuttavia non distolse lo sguardo da quello della ragazza, perché si rendeva conto che non sarebbe stato un gesto incoraggiante da parte sua e non voleva offendere Guin in alcun modo; tuttavia, non c’era stato modo di risparmiarsi l’imbarazzo di aver fatto due passi indietro, nell’avvertire le labbra della biondina sulla sua guancia. Assunse immediatamente un colorito più scuro. Un bacio sulla guancia!! Narah si lasciava andare al contatto fisico solo con chi si fidava; probabilmente, però, Guinevre non aveva problemi di espansività e l’avrebbe reputata una sciocca.
    «Scusa.» Sperando di non averla offesa, fece un sorriso più convincente rendendosi conto che là fuori sarebbe stato impossibile parlare con tranquillità. Per cui, le fece cenno di seguirla attraverso la porta riservata allo staff, dopo il quale vi era un corridoio che portava, tra le altre cose, proprio al camerino; per arrivarci passarono davanti alla porta sul retro, e Nah si chiese distrattamente, con una punta di affetto, se Guinevre si ricordasse di quando era entrata esattamente da lì mesi e mesi fa con una caviglia gonfia. Da allora erano cambiate un sacco di cose. Il complimento la colse impreparata e la special, senza sapere come reagire – insomma, era una… cosa positiva, che fosse stato “bellissimo”? O una cosa brutta? Forse dipendeva dai punti di vista e lei doveva smettere di pensarci –. Infine si volse verso di lei, quasi miagolando un «Grazie.» Immaginava dovesse esserne contenta! Credeva, almeno. Spostò l’attenzione su di lei, e di nuovo avvertì quella sensazione poco rassicurante fare presa sul suo stomaco. C’era davvero qualcosa che le sfuggiva, o lavorava troppo di immaginazione? Sicuramente la seconda. Doveva smetterla.
    Nel frattempo erano arrivate agli spogliatoi e Narah aveva atteso per educazione che entrasse l’altra per prima. La bionda era a conoscenza della sua identità, perché mai avrebbe dovuto agire come avrebbe fatto Dana? Il pensiero la rincuorò un po’. «Impegnativo.» Non le ci volle molto per capire a cosa l’altra si riferisse, nonostante provasse il desiderio di cancellarlo dalla memoria: non era stata la prima volta che un cliente si era avvicinato, ma i buttafuori o chi di dovere interveniva sempre. Ogni singola volta, però, era come una dolorosa scossa di turbamento e pura vergogna che le faceva venir voglia di mollare quel lavoro all’istante e andare a Hogwarts e rintanarsi al sicuro tra le braccia di Gid.
    Già, Gideon. Senza poterlo impedire, sentì l’umore andare sottoterra. «Vero,» disse, senza aggiungere altro. In genere il pensiero di Gid la faceva arrossire, sorridere e finire con la testa tra le nuvole proprio come una ragazza follemente innamorata; quando era al Lilum, quelle emozioni si tramutavano in sensi di colpa, paura… soprattutto paura, di non essere accettata da lui se gli avesse detto la verità per una miriade di motivi. E odiava quando succedeva, perché per lei Gideon era… casa.
    Istintivamente, si chiuse un po’ nelle spalle e si tolse la maschera per poi posarla sul mobiletto di fronte allo specchio, l’aria fresca che andava a sfiorarle le guance accaldate. «Siediti pure,» mormorò, lanciandole un’occhiata gentile. «Il tuo ragazzo sarà molto triste e preoccupato.» Ahia. Un altro colpo dritto al cuore. Prese un profondo respiro senza rispondere, Narah, mentre il sorriso le moriva sulle labbra e la voglia di piangere aumentava, aumentava e aumentava, chiudendole la gola. Cosa ne sapeva Guin che aveva un ragazzo? Magari aveva tirato a indovinare. E perché lei stava reagendo così? Non poteva mettersi a piangere di fronte a quella che era in fin dei conti un’estranea, né sarebbe stato dignitoso. Di sicuro l’avrebbe spaventata.
    Oh, ma lo sapeva cosa la spingeva a reagire così, pensò, rivolgendo a Guinevre un sorriso che, se lei l’avesse conosciuta bene, le sarebbe parso tremulo, troppo incerto, come quando Nah faceva un’espressione celandone una completamente opposta solo per rassicurare gli altri che stesse bene. Ma no, non era vero. Si avvicinò all’armadio da cui recuperò la propria felpa calda e, con lentezza, se la infilò per sentirsi a suo agio, dato che al momento non poteva svestirsi. Fu con altrettanta lentezza che andò a sedersi accanto alla bionda, avvolgendo le braccia attorno al proprio busto. Stava per domandarle come stesse, cosa ci facesse lì, le solite parole utili per incominciare una conversazione amichevole, ma Guin la batté sul tempo.
    Stai bene?
    Stai bene?
    Stai bene?
    La pressione di tutti i segreti che aveva con Gideon, il timore di essere onesta con lui, quello ancora più terrificante di perderlo, assieme allo spavento che le aveva causato l’uomo che aveva provato a toccarla, di colpo le gravarono tutti sulle spalle, senza alcuna pietà. Gli occhi le si fecero lucidi, una lacrima le scappò, un singhiozzo le sfuggì dalle labbra. «No, non tanto.» E scoppiò a piangere. Maledizione.

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    Narah si era seduta al suo fianco dopo aver indossato una felpa larga come a volersi proteggere, e non solo dal freddo. La conosceva abbastanza bene da potersi accorgere che non stava bene, poteva leggere ogni sentimento attraverso il suo sguardo. E dover solo osservare, dovendosi limitare nell'agire, lo faceva stare malissimo. Avrebbe voluto alzarsi ed andarsene, e cercarla con il suo vero aspetto. Consolarla, chiederle cosa non andasse. Ma era ovvio che il problema principale fosse il loro rapporto, e soprattutto ciò che entrambi nascondevano all'altro. Quindi, come poteva risolvere, senza prima scoprire tutte le carte in tavola? Non poteva andarsene e lasciarla lì, da sola, in balia dei suoi pensieri negativi. L'amava troppo per poterla lasciare lì a soffrire, e si convinse che era giunto quel maledettissimo momento di aprirsi, chiarire. Doveva...solo avere qualche minuto di tempo per pensare a come muoversi. Ma glielo avrebbe detto, quella sera stessa. Se c'era qualcosa che la faceva stare male, lì al Lilum, qualsiasi cosa fosse, Gideon voleva esserci per supportarla, per aiutarla. Rimase in silenzio, quando un singhiozzo le sfuggi dalle labbra, manifestando il suo malessere. Che cosa stava succedendo? Aveva parlato troppo, oppure lo aveva fatto nel modo sbagliato, fatto stava che Narah non stava bene e Gideon si sentiva terribilmente responsabile per questo.
    Nah, non piangere.
    Non piangere.
    Non piangere.

    Se lo ripetè in testa, sperando che questo pensiero potesse arrivarle in qualche modo.
    Cristo, stava davvero piangendo. Cosa aveva fatto? I-io...
    Un dolore sordo gli batte il petto più volte e strinse i pugni, tenendo le mani serrate sulle cosce nude a causa del vestito corto. Voleva abbracciarla, ma non poteva farlo. Sporgersi verso di lei e prenderla tra quelle braccia decisamente più sottili di quanto non fossero in realtà.
    Non riusciva a vederla così, non riusciva a rimanere fermo senza fare niente.
    Le persone che piangevano gli avevano sempre fatto uno strano effetto, lo facevano soffrire, soffriva con loro.
    Lo riportavano indietro di più di un decennio, quando a quattro anni aveva capito che anche gli adulti piangevano, mentre lui era sempre stato convinto che questa fosse una prerogativa dei bambini. Vedere sua madre piangere, in camera da letto, aveva smosso in lui qualcosa. Sapeva di essere la causa della sua sofferenza, per la sua condizione fisica, e si sentiva in dovere di porre rimedio a quella situazione. Probabilmente, dopo anni, questo senso si colpa e di dover fare qualcosa era rimasto, nonostante ormai sapesse che il pianto era indispensabile e catartico per chiunque. Ma la sua Nah, stava piangendo e lui non era lì per consolarla.
    E, in automatico, iniziò a piangere con lei.
    Di nuovo, una scena già vista. Come quel giorno alle serre. Le lacrime scivolarono lente e lui provò a scacciarle con il dorso della mano, mentre le gote si arrossavano, un po' per la vergogna ed un po' per lo sforzo di trattenerle.
    Non piangere...per favore Fu istintivo portare le mani alle sue, stringerle nelle proprie per darle calore. Ho detto qualcosa di sbagliato? E' per quel tipo di prima? Certo, poteva essere per quell'uomo, come poteva essere che lui aveva davvero fatto una domanda di troppo. Era stato scorretto chiedendogli di sè stesso, ed era ovvio che Narah ci stesse male, stava male perchè nascondeva dentro più cose di quante una persona avrebbe dovuto tenerne. Gideon sapeva che lei a lui teneva molto. Lo sapeva. Ed era stato davvero stronzo a farle quella domanda. Doveva finirla, farla finita davvero, dirle tutto. Farle capire che poteva essere sincera con lui, del tutto, che era bellissima sempre. Non aveva bisogno di tenersi tutto dentro, rischiando di esplodere. Io...lo so, può sembrarti strano ma...se vuoi sfogarti con me puoi farlo. Davvero. Io sono qui. Cosa c'è che non va? Si morse nervosamente le labbra, combattendo con tutto sè stesso con la volontà di stringerla - e spaventarla quanto già non fosse. Non gli sembrava il momento adatto per dirle la verità, voleva dirglielo con calma, farcela arrivare piano piano - o quasi, insomma - non all'improvviso e non scioccandola quanto già non fosse.
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    Sentiva il senso di colpa schiacciarla come un macigno, e quella sensazione non accennava a diminuire nonostante il pianto cui si era lasciata andare davanti a Guinevre. La parte della sua mente che non era impegnata a lottare contro i sentimenti contrastanti di Nah, infatti, le stava dicendo che si era messa in una situazione fin troppo imbarazzante e… anormale. Chi si metteva a piangere davanti agli sconosciuti?? Cosa avrebbe pensato di lei, la ragazza? Narah non avrebbe mai, mai voluto fare quel teatrino per dei problemi in cui la bionda non c’entrava. Sicuramente l’avrebbe presa per una pazza esaurita, in costante bilico verso un crollo nervoso coi fiocchi: non si sarebbe aspettata nulla di diverso, non da qualcuno che, alla fine, non c’entrava nulla nella sua vita.
    Quando ebbe abbastanza fegato per alzare gli occhi lucidi verso Guinevre, per vedere come lei la stesse guardando, la stesse giudicando, per poi tentare di mettere in fila qualche parola di scusa e darle l’opportunità di andarsene e lasciarla ai suoi piagnistei, se avesse voluto. Nah era così, non voleva gravare sulle persone né metterle in una posizione scomoda; piuttosto, sarebbe rimasta da sola ad asciugarsi le lacrime, struccarsi, vestirsi e tornare al suo dormitorio come nulla fosse.
    Invece, il cuore le si lacerò ancora di più constatando, con qualcosa di molto simile allo shock, che anche Guinevre stava piangendo con lei. E lì ci fu una brevissima parentesi, accompagnata da una forte tenerezza, perché la reazione della biondina le ricordò la stessa che aveva avuto Gideon la prima volta che avevano parlato davvero. Anche lui aveva pianto assieme a lei, e lei, che si era aspettata mille prese in giro, ne era rimasta sbalordita. Quel dolce ricordo durò solo un battito di ciglia, prima che tornasse a focalizzarsi sul presente, su Guin, e altre lacrime le solcassero le guance.
    No no, era tutto sbagliato, lei non… non doveva piangere per lei! Tirò appena su col naso, e socchiuse le labbra lasciando che da essa scappasse un sospiro necessario a farle riprendere un minimo di contegno, seppur di fatto il suo pianto non accennasse a diminuire. Aveva tenuto troppe cose dentro per troppo tempo, e adesso non riusciva a gestirle, a trattenerle. Se solo Gideon si fosse trovato lì con lei, in quel momento in cui non le importava delle conseguenza, ma solo di dirgli la verità!! Ma nel frattempo non voleva far star male qualcun altro, non voleva Guinevre si facesse contagiare dal suo stato d’animo, mai! «Non piangere tu, ti prego.» Balbettò un po’, nel dirlo, al tempo stesso ben attenta e divisa in tanti pensieri contrastanti. Colpa, dolore, rabbia verso se stessa, frustrazione, paura. Le stesse, erano sempre le stesse, e Nah non ne poteva più di contenerle. Non era fatta per mentire, o celare, avere dei segreti: quella cosa la stava corrodendo pian piano, e se ne accorse soltanto adesso. Dio, che stupida era!
    Si lasciò stringere le mani, troppo turbata per farci realmente caso e tirarsi indietro dalla timidezza; sentiva solo il bisogno di comprensione, di sostegno, nonostante avrebbe tanto voluto che quelle mani appartenessero a Gid. Sarebbe stato così facile, in quell’istante, confessargli tutto, tutto d’un fiato, e liberarsi di quel peso. Si concentrò sulla ragazza quando quest’ultima le parlò ancora, dopo averle implorato di non piangere – compito in cui Nah stava miseramente fallendo, pur avendo smesso di singhiozzare –.
    «Tu non c’entri. S-sono io che sto sbagliando tutto,» le confessò, a voce bassa, incerta, un po’ tremula. Si passò le dita sulla pelle sotto l’occhio, spazzando via le lacrime. Come se lei stessa non sapesse che le lacrime sarebbero continuate, e che non serviva a nulla mandarle via. Magari fosse stato solo per il tipo maleducato di prima, sarebbe stato tutto più semplice, senza dubbio.
    Guinevre, però, fu in grado di provocarle un sorriso di ringraziamento; non solo l’aveva fatta piangere a sua volta, ma le stava offrendo il suo aiuto, con una delicatezza che agì come un lieve balsamo sul suo petto dolorante. Non si era ancora abituata a essere trattata con tanta premura, Nah, nonostante fossero mesi e mesi che stava con Gideon, quel magnifico ragazzo che forse neanche meritava davvero. Strinse appena le mani della biondina, con la timidezza e la grazia che la contraddistinguevano, mentre le rivolgeva un’occhiata di ringraziamento. Un velo di lacrime le appannava ancora la vista, perciò non poté verificare da sé se Guinevre avesse smesso di piangere, ma sperava di sì. «Grazie,» sussurrò, senza aggiungere altro, perché non era mai stata tipa da dilungarsi nei discorsi.
    E forse non avrebbe dovuto farlo, forse era sbagliato, forse avrebbe solo ammorbato Guin coi suoi problemi, ma in quel momento, con il pensiero di Gideon in testa e l’amore e il senso di colpa a mischiarsi nel suo cuore, dovette buttare tutto fuori. Aveva il bisogno di parlarne con qualcuno che non fosse Jane che, con tutto l’affetto che Nah provava senza indugio per lei, non aveva quella sensibilità di cui lei necessitava ora più che mai. «I-io ho un ragazzo, Gideon, che non sa che lavoro qui.» Avvertì i battiti accelerare, le guance solcarsi di altri rivoli salati. In altre circostanze si sarebbe trattenuta, ma non quel giorno. «Ho iniziato a farlo prima di conoscerlo, e so che avrei dovuto dirglielo da tempo, i sensi di colpa non mi lasciano in pace.» No, Narah Bloodworth non era mai stata brava coi segreti. Guardò Guinevre, sperando per l’ennesima volta che non l’avrebbe giudicata come una pessima persona. «Sto aspettando perché… mi vergogno. Ogni volta che glielo sto per dire mi manca il coraggio. Ho tanta paura. Paura che lui non mi vedrebbe più come prima.»
    Si bloccò, cercando le parole giuste, le più naturali, le più vere, la voce che si incrinava, le mani che si ritiravano da quelle bianche dell’altra, perché l’intimità di ciò che stava per dire era troppa per aggiungerne altra di qualunque tipo. «Io amo Gid, così tanto Poteva risultare melensa, ma non le importava: d’altronde, non c’era nient’altro che fosse altrettanto vero, onesto, sincero. «Lo amo, mi rende felice. Non vorrei mai deluderlo, mai… perderlo.» Abbassò lo sguardo. La prospettiva era straziante, angosciante.
    Fece un piccolo sorriso. «Oh, dovresti vederlo. Lui è buono, gentile, intelligente.» Gideon era perfetto; e se qualcuno l’avesse messo in dubbio, allora voleva dire che era perfetto per lei. «E io… io sono una persona scorretta. Non c’è nulla che desideri di più di parlargli, proprio adesso, dirgli tutto, e non potrei certo biasimarlo se non mi volesse più.»
    Non le veniva in mente un’altra sola occasione in cui avesse detto tante frasi in una sola volta. Quando finì di parlare, però, non se ne pentì; tuttavia arrossì, continuando a tenere gli occhi fissi sulla gonna rossa del proprio vestito, perché non c’era altro che potesse fare.

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    Se Narah avesse saputo che lui era lì, a tenerle le mani ed ascoltarla mentre lei lo descriveva con belle parole che, davvero, proprio non meritava, sicuramente avrebbe iniziato ad odiarlo. La domanda era una, fondamentalmente. Si vive meglio con i sensi di colpa, o covando odio? E la risposta, per il McPherson, era piuttosto semplice.
    Di sensi di colpa Gideon ne sapeva qualcosa. Viveva solo perchè sua sorella era morta e gli avevano impiantato il suo cuore, per cui poteva dire di essere il maestro dei sensi di colpa e sapeva cosa significasse affrontare una giornata con sopra le spalle quella sensazione di non essere abbastanza, di essere in difetto.
    E sebbene la situazione non fosse paragonabile a quella di Narah, l'ultima cosa che Gideon voleva era che lei vivesse sentendosi in colpa per colpe che, davvero, non aveva. Nemmeno per un giorno, neanche per un ora. Non voleva.
    In particolare perchè non aveva senso che si sentisse così, in realtà. Lui sapeva tutto. Era solo infame a non dirglielo.

    Era difficile, faceva male, ma dovevano darci un taglio davvero. Se avesse dovuto scegliere tra i sensi di colpa e l'odio, Gideon avrebbe preferito che Narah provasse quest'ultimo, anche se significava provarlo verso di lui.
    Questo era il freno principale che aveva trattenuto il ragazzo dal confessarle tutto sin dal principio, da quando, senza nemmeno volerlo, l'aveva incontrata sul retro del Lilum ed aveva dato il via a quella recita. Poi tutto era sfuggito di mano, tutto. Si era innamorato di lei subito.
    Erano molto simili, loro due. Avevano la stessa paura, lo stesso tipo di vergogna, con la piccola differenza che ciò che Gideon le aveva nascosto era molto più grave. Si era preso gioco di lei, aveva partecipato a tutte le sue esibizioni per mesi, fingendo di non saperne niente, l'aveva spiata, l'aveva vista sotto una luce che Narah aveva cercato di nascondergli, una luce sotto cui forse non avrebbe voluto essere vista da lui.
    E, strano ma vero, era una diritto di Narah avere dei segreti. Gideon sapeva molto bene che era un suo diritto poter lavorare al Lilum senza che lui lo sapesse o andasse a vederla per forza. Magari non era proprio un sinonimo di trasparenza nel loro rapporto, ma lei aveva tutti i diritti di fare ciò che voleva senza venire spiata da lui sotto mentite spoglie.
    E la vergogna che provava nel confessarglielo, la paura di parlare e perderla, deluderla, tradire la sua fiducia, era direttamente proporzionale alla grandezza di quella bugia. Temeva anche che lo avrebbe giudicato pazzo, se avesse scoperto che prendeva l'aspetto di sua sorella perchè non riusciva ad accettare il fatto che lei fosse morta, e che lui fosse ancora in vita. Temeva che potesse dirgli di andare a farsi visitare da qualche psichiatra, perchè ne aveva bisogno e Gideon lo sapeva. Temeva di mostrarle quelle debolezze e quella parte di sè spezzata. Narah lo avrebbe capito? Forse no, era davvero una situazione difficile da capire.
    Si preoccupò di tirare fuori un fazzoletto pulito dalla borsetta, mentre lei spiegava e lui l'ascoltava in silenzio, ragionando, con espressione di chi stava trattenendo una grande sofferenza, e le asciugò le lacrime, togliendo via il trucco colato in eccesso.
    Sono sicura che tu non sei da meno.
    L'ascoltò, in silenzio, mentre il cuore accelerava il suo battito ad ogni parola, fino a sentirle dire che lo amava. Non glielo aveva mai detto, anche se lui già lo sapeva. Non aveva davvero bisogno di sentirglielo dire. Eppure sentirla gli scaldò il cuore per un attimo, solo un istante molto breve, giusto il tempo di rendersi conto che non era lì con lei, non lo stava dicendo direttamente a lui, ma ad un'estranea. Sentendo quanto fosse distrutta da quel segreto che non voleva più trattenere, ma che aveva bisogno di rivelare, Gideon si sentì in dovere di aiutarla.
    Strinse forte la presa sulle sue mani. Permettendosi di accarezzarle la pelle con il pollice, come faceva sempre quando erano insieme. Vederla così a terra fu distruttivo anche per lui, che doveva sopportare non solo il suo segreto, ma anche quello della ragazza. Voleva aiutarla, sollevarla da quei sensi di colpa che la stavano schiacciando. Pensò che se le avesse detto la verità in quel momento, i sensi di colpa di Narah sarebbero spariti del tutto, sovrastati dalla rabbia che avrebbe provato nei suoi confronti per quella bugia. Si sarebbe buttato in pasto agli squali se ne avesse avuto l'opportunità, solo per farla stare meglio. Le colpe che aveva lui avrebbero di gran lunga offuscato quelle della ragazza, così non si sarebbe più sentita in quel modo. Narah pensava di essere una persona scorretta, ma Gideon era sicuro che, quando le avrebbe detto la verità, la giovane avrebbe rivisto i suoi standard. Li avrebbe di gran lunga alzati, perchè ciò che aveva fatto e stava facendo lui, superava di gran lunga qualsiasi scorrettezza e malattia umana.
    E se lo avesse lasciato?
    E se? Le probabilità erano altissime, circa del 99% - basato su kalkoli matematici esattissimi - e pur sapendolo, il Corvonero pensava che fosse meglio così, meglio per lei. Si erano ripromessi di dirsi sempre tutto, ma avevano basato quel rapporto sulle menzogne.
    Forse...non erano davvero pronti per una relazione?
    Forse...non era il momento?
    Forse avrebbero solo dovuto riniziare da zero, senza bugie, magari in futuro, se Narah un giorno lo avesse perdonato. E sì, aveva iniziato a piangere, consapevole di ciò che stava per avvenire. Il volto di Guinevre rigato di lacrime, con il trucco che colava sulle guance non era spiegabile, non era così comprensibile per Narah, non era davvero normale che piangesse così, come se la colpevole fosse lei in quella storia - ed in effetti, lo era. Forse l'avrebbe creduta una pazza, perchè non sapeva tutta la verità. N-non ti maltrattare così, non sei una persona scorretta, posso dimostrartelo.
    Adesso doveva solo trovare il coraggio di mettere in fila due o tre parole, magari che avessero senso.
    Come dirglielo?
    So che anche lui ti ama. Come lo so? Perchè Gideon sono io.
    Non c'è bisogno di dirglielo, lui lo sa già. Come lo so? Perchè Gideon sono io.
    Ti assicuro che ti vorrebbe comunque, sempre. Come lo so? Perchè Gideon sono io.

    Io sono una persona scorretta, davvero. Non tu, IO. Raccolse lo stesso fazzoletto che aveva usato per Narah e si asciugò le lacrime, rimuovendo anche il trucco colato (o meglio, peggiorando solo la situazione).
    Un attimo di silenzio, seguito da un... Non l'hai capito? Certo, come potresti averlo capito. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani femminili, per poi risollevarlo sul volto di Narah. Se ti dicessi che lui sa già tutto, e che ti trova bellissima, ci crederesti? Strinse la presa sulle sue mani, per paura che lei le scostasse, che decidesse di andarsene e mandarlo via. Sono io, Gideon. Dio, ti prego non odiarmi.
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    Si alzò in piedi e si allontanò da lei di qualche passo, portando le mani sugli occhi, impossibilitato a guardarla per timore di qualsiasi reazione negativa. Aveva paura di vedere la delusione nel suo volto, ma poi si costrinse a sollevare lo sguardo di nuovo e guardarla, per quanto possibile.
    Doveva partire dal principio? Raccontarle proprio tutto? O arrivare al succo?
    Questo è l'aspetto che immagino avrebbe mia sorella, s-se fosse viva. La voce si spezzò alla fine a causa di un singhiozzo. Dio, non voleva davvero parlarne. Ma era importante. Voglio che tu sappia che non ho mentito a te volontariamente. Io...uso spesso questo aspetto per...altre situazioni. Non te l'ho mai detto perchè...avevo paura. Era così frustante parlarne, dar voce a quei torbidi pensieri che per lui dovevano rimanere segreti ed in silenzio.
    La prima volta che sono venuto qui al Lilum, ad aprile, non mi aspettavo di incontrarti. Ero venuto solo per recuperare la felpa di un amico, non ti ho mentito allora. Era la felpa di Perses. Ecco, ormai si era imbarcato, la nave era salpata per quello che sarebbe stato un lungo viaggio su un mare in tempesta, con alte probabilità di naufragio ma, bè, ci era dentro. Non poteva più tirarsi indietro. Mi sono fatto male alla caviglia, sono rimasto a chiacchierare con te scoprendo che eri bellissima, sia dentro che fuori. E... io... volevo esserti amico. Mi piacevi. Non riusciva a guardarla negli occhi, cercava di farlo ma poi abbassava lo sguardo. Ho sbagliato, Nah. Ma sapevo che lavoravi qui ancora prima che iniziassimo ad uscire insieme. Ho aspettato che me lo dicessi tu ma poi, quando mi dicevi di avere un impegno, la sera, io sapevo che si trattava del Lilum e ... ero geloso e volevo vederti ballare anche se tu non lo sapevi. Mi piaceva tanto venire qui anche se non avrei dovuto. E poi, stasera quando mi hai chiamato, ho pensato di andarmene ma poi non ce l'ho fatta. Io...ho sbagliato. Tu...lo sapevi che sono un metamorfomagus, no? E... scusa, ho sbagliato.
    Tirò fuori la propria bacchetta e se la puntò sui vestiti, tramutando l'abito che indossava in una tuta semplice. Allo stesso modo, poi, rimosse il trucco in eccesso mentre, lentamente, riprendeva la propria forma originale. Diventò più alto, i tratti del viso cambiarono, indurendosi, così come le forme del corpo, i capelli divennero scuri ed in breve tempo, aveva ripreso il suo aspetto. Non odiarmi se puoi. Ma...amore, tu non hai davvero nessuna colpa.
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    L’immagine del viso di Gideon le invadeva la mente, ogni parola che aveva pronunciato, e anche nel silenzio che ci fu dopo il suo lunghissimo sfogo: Nah non poteva fare a meno di pensare a quanto avesse sbagliato con lui, a quanto fosse stata disonesta e che avrebbe voluto porre rimedio subendo le conseguenze delle proprie colpe. L’avrebbe lasciata? Narah non riusciva a trovare una risposta a questa domanda, perché per quanto bene conoscesse il suo ragazzo, non poteva indovinare come avrebbe reagito sapendo che… che gli aveva omesso una cosa tanto importante. Forse Gid avrebbe pensato che lei non si fidasse realmente di lui, non abbastanza da dirgli tutto, ma non era mai stata la fiducia, il problema. Si fidava del Corvonero più di chiunque altro, gli avrebbe sempre creduto, sempre. L’unico vero problema era la sua paura.
    Già, la paura. Ma forse era ora di liberarsene ed essere finalmente onesta per davvero. Gideon lo meritava, e meritava di scegliere se troncare il rapporto con lei. L’avrebbe capito, perché avrebbe capito il male che gli avrebbe fatto confessandogli del suo lavoro al Lilum. In lei, si fece strada l’improvvisa volontà di tornare a Hogwarts, infrangere tutte le regole che ci fossero per andare a svegliare Gid nel suo dormitorio e confessargli tutto di getto; mai aveva agito d’impulsività, ma c’era sempre un’eccezione.
    L’avrebbe fatto, decise. Guardò Guinevre con un filo di imbarazzo, mentre quest’ultima le asciugava le lacrime e le diceva parole gentili. «Grazie per avermi ascoltato.» Emise una risatina nervosa, per poi storcere il naso per il pentimento che provava nell’averle probabilmente reso la giornata piuttosto triste. Non si era resa conto di quanto avesse sentito il bisogno di qualcuno che la ascoltasse fino a quel momento. Erano strane, le carezze che Guin le stava facendo coi pollici: le ricordava quelle che le faceva Gid, in quella maniera tenera che la faceva sempre sorridere, spingendola a esplorare con le dita la mano del ragazzo come se già non ne conoscesse a memoria ogni singola curva.
    Sentendosi stanca, le venne istintivo lanciare un’occhiata all’orologio, scoprendo che il tempo era passato velocemente. «È tardi, se vuoi puoi anda-» Voltandosi, si imbatté nel viso rigato di lacrime e trucco della ragazza; come ogni volta che qualcuno piangeva in sua presenza, si sentì male per lei. Era colpa sua?? «Cosa…. Cosa succede?»
    La sua domanda, però, venne ignorata, mentre la propria confusione aumentava. «N-non ti maltrattare così, non sei una persona scorretta, posso dimostrartelo.» Posso dimostrartelo. Di… cosa stava parlando? In quel preciso istante, Narah iniziò ad avere timore, a riavere quella sensazione di sventura a serpeggiarle sotto la pelle; riorganizzare le idee non era facile, non quando non stava capendo nulla di cosa stesse succedendo. Fece per ritirare le mani, ma l’altra gliele aveva strette più forte.
    Cosa le prendeva? Nah la guardò, perplessa, inquieta, soprattutto inquieta. Avvertiva il senso di angoscia stringerle nuovamente lo stomaco, stavolta per un motivo diverso dal proprio stato d’animo. Si sentì dire che era Guinevre la persona scorretta, e per lei fu inevitabile chiedersi il perché stesse parlando così, il battito del cuore accelerato, negli occhi la diffidenza che iniziava a manifestarsi chiaramente. Si erano parlate due volte, perché stava parlando come se la causa di tutti i suoi mali fosse lei??
    Tacque, gli occhi che scrutavano i suoi lineamenti pallidi e contriti. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto comprendere, non aveva idea del perché stesse parlando come se conoscesse Gideon. Perché, perché, perché? Continuò a domandarselo, impaurita, disorientata. Perché stava mentendo? O era vero? Guin aveva raccontato tutto a Gid? Lo conosceva forse?? «Tu...»
    Sono io, Gideon.
    Narah smise anche di respirare, quasi temendo che, se l’avesse fatto, il suo cuore sarebbe andato in mille pezzi. Non ebbe neppure la forza di ritirare le mani, ma a quello ci pensò l’altra, allontanandosi con suo grande sollievo. Eppure, dietro quella reazione che già le stava provocando una lancinante sofferenza, c’era il dubbio: Gideon era un metamorfomagus, ma Guinevre era una sconosciuta. Lui glielo… glielo avrebbe detto. Doveva crederle? Forse era una squilibrata, forse si stava inventando tutto di sana pianta, non poteva essere vero e non aveva senso,
    Oh, ma un senso ce l’aveva. Era Narah che non voleva crederci, perché la sola prospettiva di avere davanti il suo ragazzo, e non una qualunque sconosciuta dai capelli biondi, la feriva a morte. «Bugiarda.» La voce le tremava, manifestando la debolezza e l’impotenza che provava in quel momento. Si sentiva sola e indifesa, fragile come cristallo di fronte a qualcosa che non avrebbe voluto mai affrontare. Bugiarda. Non era vero, non era possibile, Gid non avrebbe avuto motivo di farlo.
    Ma poi Guinevre continuò a parlare, un fiume in piena. «Questo è l’aspetto che immagino avrebbe mia sorella, s-se fosse viva Nah la fissò, ricominciando a piangere senza emettere alcun suono: poteva sembrava una bugia come un’altra, alle orecchie altrui, ma lei percepiva che era vero. Lo sapeva, lo sapeva che stava per soffrire come mai aveva fatto, lo sapeva che il cuore le si sarebbe spezzato se l’avesse fatto; ciononostante, si permise di superare quel valico che la separava dalla mente della ragazza.
    Non avrebbe mai potuto descrivere il dolore che provò in quel momento.
    Era Gideon. C’erano i suoi ricordi, c’erano i suoi pensieri. Era la sua mente.
    Era Gideon. Il suo Gideon.
    Gideon, il ragazzo di cui si fidava.
    Gideon che, realizzò, le aveva mentito. Gideon che aveva sempre saputo e mai glielo aveva confessato, mentre lei si angustiava per non avergli confessato l’unico segreto che aveva con lui.
    Dio. Dio, no. No no no.
    La felpa non bastò a reprimere i brividi di freddo, ma si impose di non cedere, non fino a quando Gideon non avrebbe smesso di parlare. Gli avrebbe lasciato la possibilità di spiegarsi, anche se si sentiva come se l’avessero pugnalata allo stomaco. Lo ascoltava, nonostante la consapevolezza di tante, troppe cose e troppi dubbi le bombardavano i pensieri, ferendola più di quanto già non si sentisse.
    E provò rabbia. Rabbia perché non riusciva ad avercela davvero con lui, ad essere insensibile a quello che Gid le stava dicendo sulla sorella. Non ci riusciva perché lo amava, perché lo rispettava. Poi provò rabbia verso di lui, per averle taciuto tutto ma soprattutto perché era evidente ci stesse male, e questo rendeva tutto più difficile. Faceva stare male anche lei, come se già non si stesse sentendo uno straccio, come se tutto pareva aver perso significato.
    Smise di guardare quel corpo che non apparteneva a Gid, portandosi le mani a coprire il volto.
    Non era una reazione esagerata: sin dalla prima volta che erano usciti insieme, Narah gli aveva dato fiducia. Si era innamorata quasi subito, aveva messo il proprio cuore nelle sue mani, aveva creduto che Gideon non le avrebbe mai mentito su una cosa così grande, che non l’avrebbe mai presa in giro.
    Eppure, si tornava sempre allo stesso punto: lo capiva. Capiva perché non le avesse detto la verità – l’aveva fatto anche lei –, e la faceva stare male, poiché si sentiva comunque come se avesse avuto una voragine al petto. Capiva, ma era ferita. Pensò alla prima volta che avevano parlato alle serre, e a quelle in cui Guinevre, Gideon, era tra gli spettatori ad assistere alle sue esibizioni. Era lui, era sempre stato lui. Le girava la testa, si sentiva uno straccio.
    «E… scusa, ho sbagliato.» Narah alzò gli occhi scuri e lucidi e, al posto della figuretta minuta di prima, trovò quella alta e maschile di Gid. Quella che aveva imparato ad amare, e che ora le suscitava tutto quel dolore. Quando però Gideon la chiamò amore, e tra i battiti sofferenti se ne fece spazio uno intriso di emozione, sopportare la situazione le risultò impossibile. Non gli disse nulla – non ce la faceva, non adesso –, e seguendo il bisogno di respirare di nuovo, si alzò e uscì di corsa dallo spogliatoio, fino ad uscire in lacrime dalla porta del retro.
    Quella era la prima volta che sentiva l'istinto di scappare da Gideon.

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    Sentiva il cuore cadere a pezzi, un frammento alla volta. Il silenzio fitto era calato nella stanza come un'ombra, spezzato solo dai sospiri disperati di Gideon che, tutto d'un fiato, aveva buttato fuori una bugia durata mesi. Se n'era pentito? Era presto per dirlo, ma il volto di Narah non prometteva niente di buono. Era certo di essersi dimenticato come si respirasse, aveva parlato così velocemente da aver omesso quel piccolo dettaglio vitale per troppi secondi, un'eternità, concentrato com'era sul ricercare le parole giuste - esistevano parole giuste o sbagliate? - per spiegare a Narah ciò che aveva fatto e chi era, chi era stato per tutto quel tempo. Ed al termine, non era riuscito a riprendere subito un respiro regolare. Avrebbe preferito morire, piuttosto che guardare il suo viso deluso, contratto dal dolore che lui stesso le aveva arrecato. Un altro pezzo di cuore andò perso quando lei sollevò gli occhi scuri, pieni di lacrime, su di lui. Guardandolo con aria delusa, ferita, sofferente. Aveva taciuto per tutto il tempo in cui lui aveva parlato, ed anche oltre. Il suo silenzio si era protratto anche quando Gideon aveva smesso di proferire un verso e, pensò, non esisteva cosa peggiore. Avrebbe di gran lunga preferito che lei iniziasse ad insultarlo, così che sfogasse in qualche modo il dolore che, era evidente, stava provando. Fece un passo in avanti, verso di lei, che al tempo stesso istintivamente arretrò, come se avesse paura. Ti prego, dì qualcosa. La incalzò, stringendo tra di loro le dita nervose. Cosa stava pensando? Lo stava odiando? Stava soffrendo? In che modo? Con quale entità? Ma soprattuto, lui poteva fare qualcosa per cambiare la situazione? O forse, aveva già fatto troppo? Lo fissava in un modo che Gideon avrebbe potuto identificare in un unica maniera: come se avesse davanti uno sconosciuto pericoloso, qualcuno di nuovo da cui diffidare.
    Era rimasta in silenzio finchè quel peso era diventato insopportabile, l'aria nella stanza irrespirabile, ed era scappata dalla porta sul retro.
    Il cuore, quel poco che ancora era rimasto intatto, subì uno scossone, l'ennesimo, vedendo i suoi ricci scuri dileguarsi dalla stanza e lasciarlo solo. La conosceva abbastanza da sapere che, nonostante ciò che lui avrebbe voluto, Narah avrebbe preferito sfogare quella sofferenza da sola, in silenzio. Per questo, seguirla fuori fu in parte un ennesimo gesto d'egoismo. Si convinse a comandare il proprio corpo, mettere i piedi uno dietro l'altro iniziando a correrle dietro. Sembrava uno sforzo immane da compiere. Correre, addirittura. Non era pronto, non era allenato, non era...in grado di farlo per lunghe distanze, non in quello stato fisico, non quando la poca aria che riceveva serviva prima a placargli l'ansia, e poi a farlo vivere. Non aveva abbastanza energie da spendere per una corsa, ed il suo cuore di cristallo gli avrebbe fatto pagare la conseguenza di quella decisione sciocca ed imprudente. In quel momento, però, non contava altro se non raggiungerla, provare a farla ragionare, magari convincerla a tornare al castello insieme, al sicuro. E poi, lì, l'avrebbe lasciata in pace. Rischiò di perderla di vista mentre, acuendo la vista, recuperava la sua figura in fondo alla via scura, illuminata solo dalle luci fioche di pochi lampioni. Aveva paura, un paura folle. Era pericoloso, le strade a quell'ora di notte non erano affatto sicure per due studenti del settimo anno.
    TI PREGO NARAH! Era disperato, mentre le correva dietro. Non era esattamente un asso nella corsa, quando accadeva solitamente il cuore gli schizzava in gola rimbombando in tutta la cassa toracica. Lo sentiva accelerare all'improvviso, rallentare altrettanto veloce e saltare i battiti, segno che qualcosa al suo interno non stava andando bene, un chiaro avvertimento che il corpo gli stava dando affinchè si fermasse. Ma in quel momento non gli diede importanza, non lo ascoltò nemmeno un attimo, mettendo i piedi in fila un passo svelto alla volta, riuscendo quasi a raggiungere la ragazza, ma non abbastanza da riuscire a toccarla, o fermarla. T-ti prego. Ansimò, sperando che lo sentisse, t-ti prego è p-pericoloso. Torniamo al c-castello. L'aria sembrò non bastare più, ma non si fermò, continuò a correre finchè i polmoni non iniziarono a bruciare a vuoto, alla ricerca di ossigeno che non era sufficiente. La vista si appannò e le ginocchia cedettero facendolo inciampare e ruzzolare al suolo, riuscì a portare le mani avanti in un ultimo momento di lucidità ed attutì la caduta inizialmente sui palmi, ma poi strofinando lo zigomo destro per almeno mezzo metro sul pavimento in pietra.
    Rimase a terra, esanime.
    Stroncato dai buoni propositi.
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    All’inizio, il suo intento era stato solo uscire dal retro e rimanere lì, a prendere una boccata d’aria, a rilassarsi, a cercare di calmare il cuore che in quel momento stava sanguinando, ferito, scosso, affranto. Mi ha preso in giro?, si era chiesta, le spalle che tremavano sotto i singhiozzi trattenuti, sotto quel dolore che la percuoteva da capo a piedi. E più pensava a tutte quelle cose che aveva confessato a Guinevre, più realizzava che senza saperlo le aveva dette a Gideon, e Gideon per tutto quel tempo non aveva detto nulla. Aveva detto che lo amava, e lui non aveva detto nulla. Forse non aveva neanche avuto l’intenzione, prima che la situazione precipitasse in quella maniera così misera.
    Nonostante l’aria fresca le avesse avvolto le gambe lasciate scoperte dal vestito sotto la felpa, ancora non riusciva a respirare bene, ancora non riusciva a pensare lucidamente. Era tutto confuso, confuso, faceva tutto male, desiderava fosse solo un brutto sogno e potesse confessare tutto a Gid come meglio credeva. Mi ha preso in giro? Le lacrime correvano lungo le sue guance senza più freni, erano troppe per essere trattenute. Se fosse stata in grado di ragionare, sarebbe arrivata a una sola conclusione: Gideon non avrebbe mai potuto prenderla in giro, mai. Aveva avuto paura, proprio come lei. Si erano sempre somigliati, loro due, la stessa sensibilità, gli stessi timori, le stesse emozioni intense. E la paura li aveva inevitabilmente condotti lì, a soffrire per i sensi di colpa, per non aver detto la verità.
    Ma adesso non era così chiaro, non poteva esserlo.
    Quando si era accorta che Gideon la stava seguendo fin lì, non ponderò cosa fosse più saggio fare o non fare; pensò solo al suo bisogno di leccarsi le ferite, di stare in solitudine.
    Ti prego, lasciami sola.
    Allora aveva iniziato a correre, agevolata dalle scarpe con cui aveva sostituito quelle col tacco a spillo, senza pensare alle conseguenze o al fatto che poteva esserci chiunque nell’ombra, a quell’ora della notte. Era una stupidaggine, ma più sentiva che Gid la seguiva, più sentiva l’urgenza di scappare. Voleva rimanere da sola, piangere per conto proprio, avere il tempo di sfogarsi e solo dopo riflettere. Si sentiva soffocare, e parte di quella sensazione derivava dal fatto che Gideon aveva tradito la sua fiducia. Il colpo era stato troppo improvviso, troppo doloroso da sopportare.
    Ignorò i suoi richiami, correndo alla cieca lungo il marciapiede del vicolo, la brezza fredda che le asciugava le lacrime violenta come uno schiaffo; tutto pur di non guardarlo in viso, di non vedere quegli occhi color nocciola addolorati, perché in quel momento era lei che doveva raccogliere i pezzi del suo cuore, e non sarebbe riuscita a sopportare anche la sua sofferenza. Perché, nonostante tutto, Narah non avrebbe mai voluto lui stesse male e voleva far egoisticamente finta, almeno una volta, che solo lei dovesse riprendersi.
    Poi, smise di sentire i richiami di Gid: aveva smesso di seguirla? Aveva deciso di lasciarle i suoi spazi? Rallentò gradualmente il passo, timorosa di girarsi e trovarselo vicino; ma si fermò comunque, girandosi dubbiosa, le labbra socchiuse in un sospiro tremante, un po’ per il pianto un po’ per la corsa.
    Quello che vide la scioccò più di quanto avesse fatto la rivelazione di Gideon: se prima aveva sentito il cuore spezzarsi in due, ora quest’ultimo si fermò, paralizzandola dalla paura.
    Una paura equiparabile, forse persino superiore a quella che aveva provato a undici anni, chiusa in un laboratorio e sottoposta a esperimenti massacranti.
    L’immobilità durò solo un attimo, prima che ricominciasse a correre, stavolta verso il corpo riverso a terra di Gid. Era stata così stupida, così egoista che non aveva pensato neppure per un attimo al cuore di Gideon! Dio, dio, dio, cosa aveva fatto??? «Gideon!» Si lanciò verso di lui, chinandosi al suo fianco, incurante che nella foga si fosse graffiata le ginocchia. Il bruciore non era nulla rispetto al panico che la pervadeva, mentre posava una mano sulla sua spalla e lo scuoteva con vigore, la mente offuscata dal terrore, dall’orrore per essere la responsabile, dalla paura che fosse successo qualcosa di irreparabile. Lui continuava a rimanere immobile, spaventandola e ferendola mille volte di più di quanto avesse fatto cinque minuti prima. «G-Gid, ti prego, amore…» Le mancò il fiato, gli occhi lucidi, sentendosi come appesa a un filo, sospesa nel vuoto. Non poteva, non poteva non riprendersi.
    Calma, respira. Doveva sbrigarsi, porre rimedio ai suoi sbagli, portarlo al San Mungo, l’unica cosa che potesse fare. Se Gid non si fosse ripreso, si sarebbe fiondata dentro il Lilum a chiedere aiuto a gran voce.
    La giornata peggiore della sua vita.
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    Edited by butterfly‚ - 2/12/2019, 08:47
     
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    In beffa a tutti coloro che negli anni lo avevano definito pigro, Gideon aveva appena dato un'ennesima dimostrazione di un limite fisico ben preciso. Il suo corpo non era allenato a percorrere lunghe distanze. Magari, se si fosse impegnato ad allenarsi giorno e notte, sarebbe anche riuscito a raggiungere dei risultati mediocri - certo, non avrebbe mai percorso i 200 m alle olimpiadi - , ma nelle condizioni attuali in cui versava, questo non era possibile perchè il suo cuore era sottodimensionato, troppo piccolo per consentire un'ossigenazione efficace a tutto il corpo ed alla mente - la prima a cedere era stata lei. Era il cuore di una ragazza, non adatto ad un fisico che oltrepassava il metro e ottanta quindi come aveva fatto ad essere così presuntuoso e pensare di potercela fare? Perchè non ci aveva riflettuto abbatanza? Inutile piangere sul Gideon latte versato. Erano passati quanto, tre, quattro minuti? Giaceva a terra come un animale morto, ma in realtà respirava ancora, ed il battito era - grazie, Dio - presente. Riprese conoscenza poco alla volta, scosso con vigore dalla mano di Narah e ne percepì la voce in lontananza. Un sogno che terminò in fretta. Il dolore alla testa arrivò prepotente. La faccia bruciava come se gli avessero dato fuoco e pizzicava come avesse fatto uno scrub all'ortica. Emise un lamento, strizzò le palpebre. Gli occhi ancora chiusi e la mascella, bruciante anch'essa, serrata in un'espressione di dolore. Aprì controvoglia gli occhi, aggrappandosi con tutte le forze alla realtà, accorgendosi che il mondo aveva iniziato a girare vorticosamente e li richiuse, serrandoli un attimo. Si tirò su poggiando il palmo della mano a terra e pentendosene subito perchè anch'esso escoriato, ma cosa cazzo era successo? Non ricordava molto degli attimi precedenti alla caduta, solo che era corso fuori dal locale seguendo Narah, e poi si era risvegliato lì. Se avesse potuto, avrebbe dimenticato tutta l'ora precedente e gli sbagli che aveva commesso, ma ricordava tutto in maniera più o meno chiara. Per cui, quando sollevò gli occhi lucidi sulla ragazza, nel suo sguardo lei avrebbe potuto leggere tutto il pentimento e la colpa che stava provando in quel momento. Oltre la vergogna, ma Narah a questa era ormai abituata. Sono svenuto? Domandò, guardandosi intorno, spaesato ed alquanto imbarazzato nello scoprire che sì, era a terra, era proprio sceso spento e secco. Ogni tanto mi capita. Ammise, un po' confuso, portandosi una mano a tenere la testa dolorante. Sto bene. Chiarì, poi, per rispondere alle sue tacite domande, vedendo la sua espressione preoccupata. Abbassò le dita e si attaccò con le stesse alla manica della felpa della ragazza, come se in questo modo potesse evitare che lei riprendesse la fuga. Lo sguardo la pregava di non farlo, di rimanere lì. Non scappare, per favore. Torniamo al castello prima, poi se vorrai decidere di non vedermi mai più io lo accetterò. A fatica, ma cos'altro poteva fare se non lasciarla libera? Certo non si sarebbe arreso lì, le avrebbe lasciato i suoi spazi per un po', e poi avrebbe sondato il terreno per capire se con il suo comportamento irresponsabile aveva bruciato tutto o se era rimasto qualcosa, dentro di lei, che avrebbe potuto accudire e far crescere di nuovo. Anche se... E dicendo questo, abbassò lo sguardo, consapevole che forse le stava chiedendo troppo, il viso segmentato e sporco di sangue si contrasse in un'espressione di dolore. Io vorrei parlarle e sapere cosa ne pensi tu, Nah. Parliamone... propose. Avevamo promesso di dirci tutto. Sorrise tra sè, malinconico, ricordando quella sera, in camera sua. Quella bellissima serata speciale. Abbiamo fallito. Si erano trovati talmente vicini da diventare una cosa sola, e Gideon non riusciva davvero a spiegarsi come adesso potesse sentire Narah così lontana da sè. Com'era possibile passare dal paradiso all'inferno in così poco tempo? Avevano vissuto mesi su una corda fatta di serenità, e poi avevano perso l'equilibrio ed erano caduti nel buio. Non poteva crederci che sarebbe finita così, ma finchè non sapeva cosa ne pensasse Narah, nel bene e nel male, non poteva davvero fare altro che torturarsi nei propri pensieri.
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    Svegliati, ti prego, svegliati.
    Non poteva davvero accadergli di male, vero? Non… non a lui. Per favore, non lui, pensava, mentre si teneva pronta a scattare all’interno del locale nel caso non avesse visto gli occhi di Gideon aprirsi di lì a pochi secondi. Dei secondi orribili che le congelarono il cuore e le oscurarono la consapevolezza di tutto – dove si trovasse, cosa fosse successo. Non importava più nulla, non fino a quando lui non si fosse ripreso. Doveva, non ce l’avrebbe fatta a sopportarlo.
    L’angoscia e il senso di colpa, terribilmente pungenti, si dissiparono soltanto al verso di dolore di Gid; Nah alzò subito lo sguardo colmo di paura sul viso dell’altro, e lì rimase nell’osservarlo riprendersi e muoversi piano, come se stentasse a credere che Gideon stesse bene davvero.
    Si era svegliato, si era svegliato e pareva essere in possesso delle proprie facoltà. Dio, grazie. Rilasciò di colpo il respiro che aveva trattenuto, come se esso fosse dipeso dalla vita dell’altro, e senza alcuna possibilità di controllarsi, iniziò a tremare come una foglia per la tensione rilasciata. Per quello, e lo shock e il dolore e quella bomba di emozioni diverse che l’avevano travolta in un brevissimo lasso di tempo. Sentendo di non poterne fare a meno, e che aveva bisogno di un contatto per rendersi conto che adesso Gid pareva stare bene, Nah lasciò le dita su di lui, sul punto dove l’aveva scosso nel vago tentativo di fargli riprendere i sensi. Fu come se si fosse sollevata a mezz’aria, sospesa nel nulla – un orribile nulla – e poi fosse precipitata all’improvviso senza alcuna rete a proteggerla e un micidiale contraccolpo alle costole, lì dove i suoi polmoni riuscirono a immagazzinare l’aria che non avevano rilasciato: le ci volle un attimo per riprendersi e quando lo fece, com’era prevedibile, stava piangendo. In silenzio e appena appena sconvolta, ma lo stava facendo.
    «Sono svenuto?» Nah non rispose, troppo turbata da… tutto quello. Non l’aveva mai visto svenire né, ovviamente, era mai stata lei la causa. Si sentiva così male al pensiero di averlo danneggiato in qualche modo!! E non si sentiva male per quello, ma per molto molto altro – ad esempio, l’occhiata pentita che Gid le aveva rivolto –, tanto che non fu facile riprendere a ragionare. Serrò un momento gli occhi e, riaprendoli, tolse le dita dal corpo del ragazzo. Avrebbe voluto aiutarlo, ma quel conflitto che ancora abitava il suo petto non voleva saperne di darle sollievo, e così si ritrovò a fissarlo mentre tentava di tirarsi su, indecisa, senza sapere esattamente cosa fare e tantomeno cosa volesse fare. Voleva abbracciarlo, ma una vocina, quella ferita dalla scoperta che Guinevre era Gideon, glielo impedì, forse facendola passare per più menefreghista di quanto in realtà non fosse. A dire il vero, se a Gid fosse accaduto qualcosa di grave… non ci voleva nemmeno pensare. Era un’ipotesi terrificante.
    Gideon le disse che stava bene. Lei, per tutta risposta, lo guardò con uno sguardo un po’ diffidente, ma soprattutto scosso e colpevole. «Mi dispiace,» sussurrò, trattenendo ancora la voglia di stringerlo, verificare che stesse bene davvero e non lasciarlo più. Non poteva. Le dita che afferrarono la manica della sua felpa le diedero lo scossone decisivo per farla tornare sé.
    Stavolta, dati i risultati, non si sarebbe azzardata a fuggire da lui neanche se lui le avesse confessato di aver fatto l’atto più deplorevole del mondo. Sospirò di nuovo, Narah, suo malgrado incapace di distogliere gli occhi da quelli del Corvonero. Sarebbe stato stupido, superficiale e poco credibile dire che, adesso che Gideon le aveva confessato di averla ingannata per mesi, i suoi sentimenti si fossero spenti come avrebbe fatto una lampadina comandata da un interruttore. Anche se, a conti fatti col dolore che le stringeva il petto, forse l’avrebbe preferito.
    Non sarebbe scappata; ascoltò la sua richiesta con il magone alla gola, perché la prospettiva di esporsi ulteriormente le fece male. Eppure Nah non era stupida, ed era consapevole che fosse la cosa più sensata. Non… non aveva idea di cosa avrebbe fatto. Aveva ancora troppa confusione in testa e, sì, aveva – avevano – bisogno di parlare e chiarire. Non poteva dimenticare che lei stessa aveva sbagliato e gli aveva omesso tanto, né quanto male ci fosse stata per questo.
    Era vero, avevano promesso di dirsi tutto e avevano fallito. Miseramente, anche. Aveva abbassato lo sguardo, cercando di fare un minimo di ordine in ciò che sentiva, in quei cambiamenti d’umore che si accavallavano furiosamente: ora rabbia, ora amore, ora paura, ora la spossatezza lasciata dallo stress e dallo spavento che Gideon le aveva fatto prendere. Fu inevitabile pensare alla prima sera passata in casa del ragazzo, a quello che si erano mormorati, a come si erano sfiorati e amati – a come si amavano sempre, con ogni gesto –; la sofferenza la lasciò inerme. Sembravano passati anni, e tutto sembrava così diverso, cambiato così velocemente. Nel giro di dieci minuti, forse neanche.
    Ma… Non gli diede una risposta, e si prese il suo tempo per riflettere, a occhi chiusi e una mano a coprirle parzialmente il volto. Ponderò con calma forzata tutte le opzioni, riflettendo sulla situazione. «Va bene. Torniamo al castello.»


    Non aveva avuto il coraggio di incrociare lo sguardo di Gid. Lo sentiva lontano da sé di miglia. Quella sensazione la feriva e la cosa peggiore era che già le mancava il suo calore, i suoi abbracci. Era debole, tartassata da istinti contrapposti.
    Gideon sapeva fin dall’inizio che lei lavorava al Lilum e, oltre a non averglielo confessato, andava a vederla esibirsi ogni sera in cui si esibiva e le aveva persino parlato sotto le sembianze di Guinevre. Ci rimuginò di continuo mentre si avvicinavano al dormitorio degli special, piena di vergogna e umiliazione, senza aprire bocca, e allora aveva capito cosa la facesse arrabbiare in quella maniera: quello non era il modo in cui Nah avrebbe voluto che Gid lo scoprisse. Non avrebbe voluto che la osservasse ballare con una maschera, in abiti succinti, senza una spiegazione del perché avesse iniziato a farlo… non era giusto. Non era corretto, lei aveva il diritto di raccontarglielo con l’occasione di difendersi.
    Gideon l’aveva ferita. Tutto quel tempo passato a cercare abbastanza determinazione per confessarglielo, e lui già sapeva. Che idea si era fatta di lei? Cosa ne pensava? Come aveva fatto a non domandarle prima cosa la spingesse ad agire così, lei che non sopportava di stare al centro dell’attenzione, men che meno sotto decine di sguardi viscidi che ancora la facevano rabbrividire di disgusto? Avrebbe voluto anche dirgli che stava pensando di lasciare quel lavoro, che pensava non potesse più gioviarne ma solo rimetterci, ma Gid le aveva sottratto quella possibilità.
    Ma lui non era stato affatto l’unico a sbagliare. Non l’aveva dimenticato.
    Si fermò in una zona d’ombra vicino al dormitorio, le braccia incrociate al petto, ora ben coperta dai vestiti che si era cambiata al Lilum. Si era messa di fronte a Gideon, grata che il buio le rendesse difficile scorgere per bene lo sguardo dell’altro: sarebbe stato doloroso, al momento. Combatté contro la propria riservatezza che l’avrebbe spinta a rinchiudersi a riccio e non spiccicare una parola, agevolata dal fatto che con lui parlare le fosse sempre venuto spontaneo… tranne quella sera. «Non me l’hai mai detto,» tirò fuori, faticosamente, gli occhi che si rifacevano lucidi, la testa bassa, la voce stanca e flebile. «Per mesi ho pensato su come dirtelo, come… come giustificarmi per le cose che facevo, perché tu non pensassi che io fossi una brutta persona. Mi sento umiliata. Piena di vergogna.» Si fermò, deglutendo e spezzando sul nascere un singhiozzo. «Anch’io ho sbagliato, lo so. Avevo paura che non mi avresti più voluta. Ma non ero io a guardarti ballare ogni settimana in un locale del genere, senza porti domande, senza...» Basta. Le sue spalle tremavano, e non solo dal freddo, il cuore pericolosamente vicino a spezzarsi per la seconda volta, quella notte. «Mi fidavo di te.» Lo faceva ancora? Non ne aveva idea. Troppo tutto insieme.
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    Combatteva con il desiderio di piangere, aveva smesso di farlo, teneva per sè ogni lacrima convinto di volerlo fare da solo, più tardi, nel caso in cui ne avesse avuto bisogno. Il calore al volto pareva aumentare ogni secondo, e la brezza serale era diventata un tormento inclemente. Qualsiasi colpo d'aria sugli zigomi feriti sembrava il taglio di un coltello sulla carne viva, ma nessuno di questi dolori era paragonabile a come stesse dentro. A pezzi. La speranza che potesse trattarsi di un incubo aveva abbandonato il suo cuore da ormai troppi minuti, e si era dovuto rendere conto di essere sveglio, di aver davvero confessato tutto a Narah, di averle fatto del male, di averla tradita e di star andando incontro alla fine della loro relazione.
    Ne era certo. Se lo meritava, d'altronde. Ma più che meritarselo, con ogni probabilità, era semplicemente giusto che andasse così. Non doveva essere una punizione, ma era...una conseguenza.
    Il silenzio era talmente fitto da entrargli fin dentro le ossa, scuotendolo. Ogni passo compiuto sembrava condurlo ad un punto di non ritorno. Sapeva che, una volta arrivati al Castello, non avrebbe avuto altre scuse per rimanerle vicino, avrebbe dovuto salutarla senza la promessa di rivedersi presto, come facevano sempre. Era sicuro che qualcosa tra di loro si fosse spezzato per sempre, e temeva di sentirlo dire dalle sue labbra. Non ci sperava davvero più, era un tipo realista.
    Andiamo, era finita, finita, finita. Una relazione morta e sepolta, aveva potuto leggerlo nello sguardo di Narah, quell'ultima volta in cui aveva avuto il coraggio di buttarci il proprio.
    Per tutto il tragitto di ritorno, invece, non ci aveva più provato a cercare i suoi occhi. Mentre camminava per le vie poco illuminate che conducevano al dormitorio degli special, guardava fisso dinnanzi a sè, abbassando di tanto in tanto lo sguardo sulle proprie scarpe, lasciando andare un sospiro, di dolore a causa delle ferite, ma soprattutto, il sospiro di chi stava soffrendo per qualcosa di cui non riusciva a liberarsi.
    Arrivati a destinazione, a pochi passi dall'ingresso della struttura, Gideon prese posto poggiando la schiena su un muretto in pietra, pronto ad ascoltare ciò che Narah gli avrebbe detto.
    Cercò di concentrarsi sulle sue parole, scacciando il dolore che provava ad ogni respiro, e tentò di rimanere lucido.
    "Mi sento umiliata e piena di vergogna".
    Voleva abbracciarla. Per un momento quasi gli balenò in mente l'idea di farlo, ma si bloccò ancora prima di sollevare le braccia o avvicinarsi. Lo sguardo di lei lo teneva lontano.
    Poteva capire molto bene quella sensazione di umiliazione e vergogna, alla fine quello che aveva messo la gonnella per mesi era stato lui, poteva sapere come ci si sentisse nel provare quelle emozioni, nell'aprirsi, dichiararsi, mettersi a nudo e mostrarsi in maniera totalmente diversa da come l'altra persona aveva creduto. Annuì, in silenzio, ma non del tutto convinto dalla piega che avevano preso le prime parole del suo discorso. Non provare nemmeno a paragonare le nostre bugie, sai bene che non sono paragonabili.
    Le colpe di Gideon erano di gran lunga più gravi. E, sì, forse non avrebbe salvato la situazione, ma voleva dirglielo lo stesso.
    Immagino che dirti che per me eri bellissima, mentre ballavi, non serva a molto, vero? Sollevò un angolo delle labbra, mentre il ricordo di lei, nascosta dalla sua maschera ed intenta a muoversi liberamente e solo per sè stessa, gli ripercorreva la mente. Mi dispiace solo non averlo saputo prima per poterti supportare ad ogni esibizione, sai...sarei stato il tuo fan numero uno. Non ti avrei giudicata, mai. Ciò che era grave, però, non era che Narah si fosse vergognata per essere stata smascherata, ma che lui avesse tradito la sua fiducia per mesi. Era questo che rendeva la situazione insostenibile. Non devi vergognarti di niente, so che hai avuto paura di dirmelo. E' la stessa paura che ho avuto io ogni volta che incrociavi lo sguardo di Guinevre. Quando sei dentro una bugia è difficile uscirne, e qualsiasi cosa fai, rendi solo tutto più difficile, finchè non rimani fossilizzato sotto una verità tutta tua e di nessun altro.
    Strinse le braccia sul torace, per proteggersi dal freddo che, in quegli istanti, sembrava ancora più forte che mai. Aveva mai avuto così freddo? Aveva mai provato quei brividi lungo tutto il corpo? Nemmeno durante la sua prima partita di Quidditch si era sentito così, scosso da mille brividi. Ed era sicuro che il freddo centrasse ben poco, era la paura.
    Ti fidavi, ora non ti fidi più. Specificò, togliendole di bocca le parole che lei sembrava voler pronunciare, ma che non riusciva. Ma ormai avevano iniziato a confessare, a mettere le carte in tavola, per cui Gideon voleva farlo fino in fondo. Cosa dobbiamo fare, Nah? Alla fine, glielo chiese. Doveva sapere cosa ne pensasse su questo, voleva credere che ci fosse ancora una speranza ma era certo che non poteva essere così. Non dopo che aveva tradito in maniera così meschina la sua fiducia. Non...so cosa devo fare. Hai detto che mi amavi, dentro quella saletta. Mi ami anche adesso?
    Ma forse non dovevano pensarci proprio quella sera, era il caso di dormirci su? Aveva paura, paura che se l'avesse salutata non l'avrebbe più rivista. Non importava se fossero studenti della stessa scuola, potevano guardarsi ma non vedersi, era...diverso.
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    Aveva freddo, in una maniera pungente, crudele, impietosa. Non sopportava più quella situazione, voleva che non fosse vero, voleva che Gideon si difendesse, che dicesse che non era come pensava, che… non lo sapeva. Voleva solo che tutto quello fosse un equivoco che potesse risolversi, un frainteso che non avrebbe fatto male a nessuno.
    E invece Gid le stava rendendo le cose più difficili, in quel momento in cui avrebbe voluto soltanto piangere fino a sentirsi prosciugata di ogni energia; le faceva male, che anche adesso provasse l’impulso di nascondersi tra le sue braccia perché lui era la persona che poteva capirla meglio di chiunque altro… e le faceva male che non ne fosse più così sicura, che oltre alla voglia di sentire il suo calore ne avesse paura. Non era Gid a farle paura, ma la sofferenza che era in grado di infliggerle e che, stava imparando, sapeva essere tanto intensa da bloccarle il respiro.
    Voleva allontanarsi da lui, poter respirare senza avere davanti quel viso che le suscitava così tante emozioni contrastanti. Narah non ci stava capendo nulla: né su cosa avrebbe dovuto fare o dire, come avrebbe dovuto muoversi, a quale parte di sé dovesse dare retta… però le ferite erano ancora troppo, troppo fresche per pensare
    E che Gid le confermasse che le colpe che lei aveva non erano nulla rispetto alle sue, non faceva altro che appesantirle il petto, perché avrebbe voluto non fosse stato così. Avrebbe voluto essere lei quella in difetto tra i due, quella da cui Gideon avrebbe voluto fuggire, quella che gli avrebbe dato un po’ di tempo prima di tentare di riavvicinarsi e comprendere se lui la voleva ancora attorno.
    Non il contrario. Mai il contrario. E invece lo era.
    Davvero lui pensava che fosse bellissima mentre ballava? Strinse forte le labbra, nel tentativo di arginare le lacrime anche solo in minima parte. Lo pensava sul serio, nonostante i vestitini striminziti, la maschera, il fatto che normalmente non sarebbe mai stato nel suo carattere fare una cosa simile? Si chiese se lui l’avrebbe pensata allo stesso modo, se l’unica ad avere delle colpe fosse stata lei. Il piacere suscitato da quel complimento, ad ogni modo, fu soffocato dalla vergogna ben più consistente, lasciandole un senso di benessere che durò meno di un secondo. Sospirò addolorata, strinse di più le dita attorno ai propri fianchi mentre si abbracciava come a proteggersi. «Sarei stato il tuo fan numero uno. Non ti avrei giudicata, mai
    Quanto faceva male, constatare che Gideon era sempre il solito ragazzo gentile di cui si era innamorata, umile in ogni parola che le stava rivolgendo… impossibile da odiare. Se si fosse mostrato tutta un’altra persona, sarebbe stato facile decidere cosa fare.
    Nah stava male, e stava facendo del male a lui col suo silenzio; lo percepiva da come parlava e da ciò che le stava dicendo. Si ricordò di cosa il ragazzo le aveva detto: che Guinevre non era altro che il riflesso dell’aspetto in cui lui aveva immaginato sua sorella, se solo fosse stata viva. E lì incespicò, perché non sarebbero bastate mille discussioni né mille ferite a farle trascurare che per Gid dovesse essere stato terribilmente complicato. Gli avrebbe chiesto se gli andasse di parlargliene, anche solo per sfogarsi, perché per quanto contorto potesse sembrarle, Narah non avrebbe mai creduto lui fosse pazzo: però Gideon le aveva mentito, e non riusciva a farsene una ragione.
    Voleva solo dormire e dimenticarsi per qualche ora di tutto il resto, del fatto che il suo ragazzo le avesse celato qualcosa di così importante. Ora che sapeva che Gideon non l’aveva giudicata come ciò che non era per tutti quei mesi avevano fatto sparire, pian piano, quasi tutta la vergogna, lasciando lo sconforto, la rabbia e la tristezza.
    Non era abbastanza lucida per riflettere sulle domande di Gid, nonostante forse una risposta gliela doveva. D’altro canto, sarebbe stata bugiarda pensando che volesse evitare di rispondergli solo per la stanchezza, e non perché lei stessa per prima non aveva idea di cosa fare. Non riusciva a fare chiarezza su quello, men che meno su ciò che c’era nel suo cuore. Mi ami anche adesso? Sollevò di scatto gli occhi su di lui, smarrita, il senso di sconfitta e disorientamento a serpeggiarle sotto la pelle. Dio, se faceva male.
    Cosa dobbiamo fare, Nah? Mi ami anche adesso? Aprì bocca, dopo interminabili minuti di silenzio, quelli in cui Gideon si era espresso. «I-io...» Non c’era nulla che potesse sostenerla, nulla in grado di darle la soluzione o che potesse dirle cosa dovesse e volesse fare davvero. Si passò una mano tra i capelli, la disperazione racchiusa in quel singolo, mesto gesto. Cosa dobbiamo fare? Mi ami anche adesso? Non lo sapeva, non lo sapeva. «È tardi, sono stanca. Vado a dormire.»
    E allora scappò da lui, letteralmente, rifugiandosi nelle mura del dormitorio che in quel momento parevano soffocarla. Piangendo per l’ennesima volta, percorrendo le scale che portavano alla sua camera, non riuscendo a non pensare a Gideon, a come le aveva taciuto tutto e, fastidiosamente, a come lui si stesse sentendo. Narah non era così forte da perdonarlo subito, e nemmeno così forte da condannarlo. No, non sapeva davvero cosa fare.
    Si mise a letto con un lieve fruscio di piumoni, ed evitò accuratamente di girarsi verso la finestra, perché sapeva che, inevitabilmente, dopo tutto quello, avrebbe comunque ceduto all’impulso di cercare la figura di Gid nel buio oltre il vetro.
    Non era mai stata tanto male.
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    GIDEON
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    « È tardi, sono stanca. Vado a dormire. »
    Ma certo...certo.
    Non aveva risposto alla sua domanda, e voleva significare solo una cosa: non era sicura di amarlo, non come prima. Magari direttamente non lo amava più, era stato in grado di spaccare tutto e distruggere quel sentimento creato con naturalezza nei mesi passati. Pensò di abbracciarla, di sussurrarle che forse era confusa ma che sapeva che sarebbe andato tutto bene. Sarebbe sembrato uno psicopatico, di quei ragazzi insicuri che non sanno accettare un rifiuto, di quelli che non sono in grado di dare spazio alla persona che amano perchè avvolti da mille incertezze. E Gideon non voleva essere così, non voleva cadere in ginocchio e pregarla di restare e di non lasciarlo, non intendeva privarla del proprio spazio vitale più di quanto aveva già fatto. Narah meritava un po' di pace, quella di cui lui l'aveva privata così all'improvviso. Rimase congelato sul posto, non un movimento ad indicare una minima reazione a quelle parole. Una statua immobile dalla cui espressione non appariva niente. Era scioccato, incapace di reagire, freddato. Non aveva mai provato un'impotenza simile, nè la voglia di morire e di non trovarsi lì, il disagio di vivere che gli procurava i brividi lungo tutta la schiena.
    Aveva iniziato a nevicare, in maniera lenta e straziante ma in grado di ricoprire subito tutte le strade intorno al castello. Sembrava che il cielo avesse iniziato a piangergli addosso ed il freddo aumentò a dismisura. Infilò le mani, ancora doloranti, nelle tasche dei pantaloni, annuendo piano alle sue parole, accettandole.
    Va bene. Mormorò, questa volta senza distogliere lo sguardo dal suo.
    Fermarla? Era un'opzione? No. Non voleva e non poteva farlo. Se ami una persona devi lasciarla libera.
    Era questa l'unica opzione, ed anche se avrebbe voluto buttarsi ai suoi piedi e pregarla, non disse altro per convincerla a restare, aveva già detto troppo.
    Allora, buonanotte.
    Lasciò che lei rientrasse dentro la struttura, guardandola sparire oltre la porta. E solo allora, quando non l'ebbe più davanti agli occhi, si sentì crollare definitivamente.
    Ti prego, torna fuori. Era troppo scioccato persino per piangere.
    Chiuse piano gli occhi, raccolse un respiro freddo. Quando li riaprì, Narah non c'era, non era tornata. Sentiva la voglia di esplodere nascere da dentro lo stomaco, ed il desiderio di urlare. Aveva paura, una paura folle e che non aveva mai provato: e se non avesse più potuto parlarle? Gli mancava già tutto di lei, il modo in cui entrava in sala con timidezza la mattina, guardandosi intorno per cercarlo e poi gli sorrideva e si avvicinava a lui, il silenzio che a volte calava tra di loro e che nessuno dei due aveva il coraggio di rompere per primo, il modo in cui si guardavano, senza dire una parola, studiandosi prima di un abbraccio, come scherzavano sulle cose più stupide, e come lei lo baciava quando erano soli, il suo profumo, la delicatezza delle sue parole e del suo corpo. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore dall'ultima volta in cui l'aveva baciata, e sapere che forse non lo avrebbe più fatto lo faceva impazzire. Ma soprattutto, ciò che lo faceva uscire di testa era il pensiero di non sapere come lei stesse, sapere di non poter fare niente per farla stare meglio, e di essere la causa delle sue sofferenze.
    Poggiò la fronte contro la porta chiusa, serrando le palpebre, infastidito dalla luce ad intermittenza degli addobbi natalizi che ricoprivano la struttura. Tutto gli procurava l'emicrania, ma se aveva trattenuto il dolore fino a quel momento, adesso che Narah era andata via, questo sembrava volersi liberare con prepotenza, martellandogli il cervello. Strinse i pugni, convinto di volerne sbattere uno contro la porta, liberando l'istinto animale che troppo spesso teneva chiuso, ma non lo fece. Qualcosa dentro di sè sembrava essersi lacerato e doleva. Si portò una mano al petto per tranquillizzarsi, sentendo il battito del proprio cuore regolare, tranquillo nonostante tutto. Forse anche lui aveva bisogno di stare solo, di riorganizzare le idee e la propria vita. Non sapeva come ma in un modo o nell'altro lo avrebbe fatto. Si domandò se Narah potesse sentire la sua presenza là fuori, se avesse la capacità di percepire la presenza altrui, a qualche metro di distanza e con qualche mattone a separarli. Non leggeva mai i pensieri degli altri, senza il loro consenso, ma Gideon avrebbe voluto che leggesse i propri, prima di andarsene. Non glielo aveva detto ma l'amava, tanto, ed avrebbe voluto che lo sapesse. E che gli dispiaceva. Ancora una volta.
    Voltò le spalle e si incamminò verso il castello, pronto ad affrontare una notte insonne.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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