i'm just a sucker for pain

aaron & mabel

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    «E adesso?»
    Bella domanda, Aaron Icesprite.
    Sul momento, l'ormai ex - Tassorosso non aveva potuto far altro che stringersi nelle spalle e sussurrare un «si vedrà», forse nella speranza che fosse l'altro a dirgli cosa fare. Ma in fondo, che poteva pretendere? Aveva lasciato Aaron per saltare letteralmente nel vuoto, quello era un dato di fatto, e se un tempo non avrebbe esitato a farsene una colpa - adesso gli dispiaceva, ma fino ad un certo punto. Sparire senza dire una parola era stato un colpo basso, invero, ma fuggire era quello che gli era sempre riuscito meglio fare, come Maverick e come Mabel, l'unica cosa in grado di dissipare quella corda a stringergli la gola, a mozzargli il respiro sino a fargli desiderare una morte veloce e senza più dolore. E, per la prima volta, quell'ultima fuga aveva trovato una meta: una follia, probabilmente, ma la cosa più simile ad una soluzione che fosse riuscito a trovare. Ed aveva funzionato, cristo se l'aveva fatto. Non c'erano più stati blackout, né repentini cambiamenti d'umore, né quella totale incapacità di fissare l'attenzione che l'aveva tormentato per tutta la vita. C'era solo Mabel. Non il troppo insicuro Mabel, non l'autolesionista, non l'insensibile - solo Mabel. E forse sarebbe potuto non piacere ad Aaron, non quanto il vecchio e danneggiato sé, ma sentiva di poter accettare persino quello, di non essere più debole. Ed era una cosa che prima forse gli avrebbe fatto paura, perché in quella forza talvolta si riscopriva privo di scrupoli in maniera quasi inquietante, ma che oramai gli sembrava solo una cosa naturale, che non aveva bisogno di sforzarsi per essere.
    E non aveva più bisogno dell'Icesprite. Lo voleva, nel senso più essenziale del termine, tanto che a volte avrebbe desiderato legarlo a sé per impedirgli d'allontanarsi, mettere fine a quell'assurdo allontanamento a cui entrambi avevano acconsentito, ma che non faceva altro che accrescere la frustrazione per non avercelo come prima, più di prima. Per questo, a volte, sentiva la necessità di dar sfogo a quella frustrazione, e doveva trattenersi, doveva stringere i denti sino a sentire il sapore ferroso del sangue sul palato per impedirsi di esplodere, di diventare la persona che aveva sempre temuto, ma che adesso si divertiva a tentarlo come il più allettante dei demoni. Forse anche per questo aveva ripreso a fumare.
    «dove -» allungò una mano affianco a sé, tastando l'asfalto sino a «- ah» ed afferrò l'accendino abbandonato sul pavimento per potersi riaccendere la sigaretta. «mi stai guardando male» voltò il capo d'un lato per non soffiare il fumo sul viso del Serpeverde, tornando poi a guardarlo negli occhi con un mezzo sorriso sulle labbra «ma non è un vizio, è solo di tanto in tanto» e prese a giocherellare con l'accendino, creando poi una sottile striscia di ombra scura ad avvolgerlo. «ed è probabilmente la dipendenza più sana che io abbia sviluppato negli ultimi vent'anni» e, istintivamente, posò lo sguardo sulle cicatrici biancastre che ancora gli solcavano i polsi, ormai abbastanza vecchie da non far male ma ancora lì, visibili senza troppo sforzo. Sollevò nuovamente lo sguardo su Aaron, nascondendo le braccia lese alla sua vista e stringendosi nelle spalle, come a volergli ribadire che non fosse niente di cui preoccuparsi. «mi stai ancora guardando male» e scosse il capo, prima di allungare il nastro d'ombra dalle proprie dita sino al viso dell'Icesprite, sfiorandolo appena prima di ritrarsi: era ben conscio di quanto poco entusiasta fosse l'altro della sua nuova natura da special, probabilmente non era il caso di tirare troppo la corda. «aaron» e alzò gli occhi al cielo, pur senza smettere di sorridere «ho passato le ultime quattro ore dietro ad un bancone, ho beccato solo teste di cazzo per tutta la sera» e, ogni qual volta posava lo sguardo su di lui, le cose diventavano anche più complicate, ma questo si risparmiò dal dirglielo «è la mia pausa, puoi non odiarmi almeno per la prossima ora?» il che non era così scontato per un Aaron Icesprite, ma si poteva sempre tentare.
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    Edited by ‚abso-maybe - 26/9/2019, 16:40
     
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    Era un fottuto incoerente.
    Pur di avere ciò che voleva, riusciva ad ovviare a quella vocina fastidiosa che gli ripeteva senza sosta che, sì, il fatto di provare dei sentimenti per uno Special – non un mezzosangue che pur facendo schifo rimaneva comunque più o meno dotato di bacchetta, ma un esperimento creato dai Ribelli – fosse l’apoteosi massima di ogni presa per il culo. Più fissava Mabel, più si rendeva conto che a nulla sarebbero valsi i tentativi di allontanarsi, di trovare delle scuse per non sentirlo così sottopelle come invece era, perché alla fine era stato così dall’inizio, dal loro primo incontro sul campo da Quidditch. Il naso spaccato non era stata che la miccia che li aveva portati a quella situazione del cazzo e di cui non riusciva a pentirsi; il fatto che non fossero fratelli e che quindi ogni paranoia e dolore passato fossero stati inutili, non aveva che acuito il bisogno di stargli accanto. Ed aveva tirato un sospiro di sollievo, come se avesse accumulato così tanta aria nei polmoni da non sapere nemmeno come fare a buttarla via, respirando così per la prima volta, chiedendosi che diamine ci fosse di sbagliato nel credere che adesso, tra di loro, le cose potessero tornare a funzionare.
    Ma erano ancora distanti, forzati ad andarci piano per il loro bene, per quello che pensavano fosse un passo verso una relazione sana. Di amicizia, di complicità, di tutto ciò che all’inizio era sfociato troppo presto in un letto e che, sebbene gli mancasse, forse non era stata poi un’idea così brillante.
    Perché nel dormitorio dei Serpeverde erano stati avventati, sconsiderati e, probabilmente, euforici; senza contare che nemmeno il sangue fosse riuscito a porre un freno al disastro che sembravano essere entrambi.
    E poi il “ti amo” cancellato, il rifiuto di dirgli in un modo tanto becero ciò che sentiva, che provava, perché il Withpotatoes non era di certo un’infatuazione passeggera, né lo sarebbe mai stato. Tuttalpiù sembrava una malattia iniettata direttamente nelle vene, capace di distruggerlo e di ricomporlo con un semplice battito di ciglia.
    Se comunque aveva mai avuto un briciolo di dignità, questa era sparita sotto i piedi quando, senza nemmeno pensare, aveva accettato l’altro per il suo essere diverso. Lui. Un Mangiamorte che pensava che la tortura fosse lecita, il cui sogno era poter mettere le mani sui Ribelli ed avere il piacere di fargli provare quel dolore violento del Crucio; lui che per tutta la vita aveva votato il suo essere alla causa del Regime… era innamorato di uno Special. Tra tutti, Mabel. E a quel punto… poteva fare due pesi e due misure? Escluderlo dall’equazione e renderlo una cosa a se stante solo perché provava dell'affetto nei suoi confronti?
    A quanto sembrava la risposta era sì.

    «No, è la mia faccia» se era corrucciato? Certo. Per l’ex-Tassorosso che fumava una sigaretta? Ma per piacere. Mabel poteva fumare anche un pacchetto da venti mettendosele tutte in bocca e accendendole contemporaneamente. Non era affar suo se voleva intossicarsi con quella merda «”non è un vizio” è il nuovo “non è come sembra”» che era la classica giustificazione di chi, in realtà, il vizio ce l’aveva eccome.
    Lo sapeva che il minore fosse stressato, che quel lavoro non fosse affatto gratificante – non per una persona come lui, ma Mabel gli sembrava sprecato in mezzo a quei pezzenti – e che l’unica gioia fosse, invece, la pausa «Se servi ai tavoli come tieni l’accendino, stiamo freschi» con il sopracciglio sollevato e lo sguardo neutro, posa gli occhi azzurri sulla figura del più giovane, poggiato allo stipite della porta in legno. Sperava che non gli si rovinasse la pelle del giubbotto con tutte quelle schegge a pizzicarlo da dietro.

    Con un’occhiata seccata, osserva il suddetto ingresso, scuotendo il capo in segno di diniego, tornando a prestare attenzione al Withpotatoes e agli sproloqui su quanto quella fosse una dipendenza sana bla bla. Meh, perché i luoghi malfamati dovevano sempre essere così riconoscibili?
    A metterlo sull’attenti non era stato tanto il ciarlare di Mabel, quanto quel fumo denso e nero ad accarezzargli il viso; sebbene la sua espressione fosse rimasta piatta, il brivido di disagio a scuotergli la spina dorsale era stato abbastanza per lasciarsi andare ad una smorfia turbata. Non aveva ancora idea di quali fossero i poteri dello Special, né si era curato di chiederlo. Non era certo di voler davvero conoscere i dettagli.

    Con la mano sventola via una nuvoletta di fumo, quello della sigaretta, scacciando via le spire grigiastre tra di loro «Aaron» quello era il suo nome, sì «ho passato le ultime quattro ore dietro ad un bancone, ho beccato solo teste di cazzo per tutta la sera» e quello doveva essere, tipo, un suo problema? Glielo aveva detto di cercare qualcosa di meglio, ma che ci poteva fare se il Withpotatoes era una testa dura? «quindi hai avuto a che fare con i tuoi simili, dovresti esserci abituato» aveva lasciato Hogwarts da Serpeverde. Certe cose non sarebbero mai cambiate «è la mia pausa, puoi non odiarmi almeno per la prossima ora?» ancora con quella storia.
    Non è che avesse—un pulsante dietro l’orecchio per cambiare espressione. Era la sua, punto. Non era nemmeno arrabbiato o seccato per qualche motivo in particolare, forse leggermente allerta per via dei poteri dell’altro «No. È la mia faccia» ripete, di nuovo, tirando un sospiro rassegnato dal naso «Chissà perché ti parlo ancora» sarebbe stato più semplice pretendere di essere una delle colonne in legno dello stabile «Non ti odio. Quella sigaretta ti fa sentire in colpa? Bravo, dovresti» nah, non doveva davvero, ma oh! Gli aveva ripetuto per quasi tutta la sera “Mi GuArDi MaLe” e quindi… mai pestare la coda ad un Aaron fuori servizio.

    La verità era che gli faceva piacere passare del tempo insieme, a prescindere da tutti i problemi. Se anche avesse voluto tendere la mano per accarezzargli il viso, avrebbe potuto senza sentirsi colpevole. Quando pensava che Eugéne era stato così sfortunato da credere per tutta la vita ad una bugia…
    «Ho visto una casa oggi, a Godric’s Hollow, e credo che la prenderò» perché voleva davvero bene a suo nonno, ma forse era il caso di levare le tende e dedicarsi a se stesso e al proprio lavoro «pensavo di aspettare il primo stipendio per… beh, dare una cauzione o qualcosa del genere» chissà come funzionavano gli affitti. Però… il primo stipendio. Omg. Ancora non aveva realizzato di essere riuscito a diplomarsi, lasciando quella scuola di merda per prendere servizio come Pavor. Dio, sperava di non rimetterci più piede «Ero passato a chiederti se ti andava di vederla, quando sei libero. Se hai voglia» alza le spalle, infilando le mani dentro le tasche del giubbotto di pelle, come se non gli importasse. Spoiler: gli importava.
    Perché? Perché avrebbe voluto che Mabel lasciasse quella fogna a New Hovel per una casa vera, magari... magari.


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    «No, è la mia faccia» e su questo non c'era alcun dubbio ma, Mabel ne era convinto, dietro al solito cipiglio dell'Icesprite c'era un di più che, con tutta probabilità, poco aveva a che fare con la scarsa considerazione del Serpeverde per il fumo - non quello della sigaretta che aveva fra le labbra, per lo meno. Lo sapeva il Withpotatoes d'incarnare esattamente tutto ciò che per Aaron era sempre stato inaccettabile - uno special, mezzosangue, senza alcuna posizione politica e senza prospettive per il futuro - ma la cosa, anziché turbarlo o renderlo tremendamente insicuro come un tempo avrebbe certamente fatto, quasi lo divertiva. Era un sentimento contraddittorio il suo: lo amava in maniera quasi violenta, lo desiderava sino a spasimare al solo pensiero di averlo, ma provava un malsano piacere nel vedere ogni sua certezza crollare, nel mettere in dubbio ogni suo punto fermo. Lo guardava resistere, provare ad allontanarlo con quel sottile passivo-aggressivo che poi era tipico del suo modo di fare, e non riusciva a far altro che sorridere e pensare 'continua pure, vediamo sino a che punto puoi spingere senza spezzarti'. Odiava l'idea che soffrisse, ma dal suo dolore non riusciva a far altro che trarre un sottile piacere che no, non gli faceva più paura - gli faceva solo desiderare di averne ancora.
    «Ho visto una casa oggi, a Godric’s Hollow, e credo che la prenderò» queste, però, erano il genere di cose in grado di far tornare a galla il Mabel insicuro. Non tanto a fondo da fargli male, non in maniera tanto irruenta da spiazzarlo, ma abbastanza da fargli temere per un istante, per un solo fottutissimo istante, che l'altro potesse cominciare una vita in cui lui non sarebbe stato incluso. Ed era stupido, sì, trarre certe conclusioni soltanto da un'affermazione tanto scarna, ma quando mai il Withpotatoes si era sentito all'altezza di poter pretendere un posto affianco al Serpeverde? Per questo era sempre lì, in guardia, quasi fosse in attesa del giorno in cui quella vicinanza, ormai già ridotta ai minimi termini, non si fosse annullata del tutto. E aveva senso, nel suo utopico mondo in cui ogni cosa aveva un posto prestabilito, che Aaron - pavor, tremendamente intelligente, con le idee chiare su sé stesso e su ciò che avrebbe voluto essere - poco avesse a che fare con un Mabel com'era lui, con un lavoro che neppure gli piaceva e bravo soltanto in una cosa che, comunque, non avrebbe mai più potuto fare. Riusciva a comprendere, in parte, la diffidenza dell'Icesprite nei confronti dei suoi nuovi poteri da special, su cui non una sola parola aveva speso da quando era tornato dai laboratori, ma era altresì fiducioso di poter trovare in essi il suo nuovo talento, qualcosa che fosse suo e di nessun altro, qualcosa di cui sentirsi soddisfatto; e, se farlo avesse richiesto un sacrificio che andasse oltre i limiti dell'etica - non era così certo, che se ne sarebbe lasciato fermare.
    «aaron icesprite diventa adulto» e sorrise semplicemente, abbassando lo sguardo sull'asfalto e riprendendo a giocherellare con il suo nastro d'ombre - ancora lì, a sbatterlo sotto il naso dell'altro sino a farsi odiare: così, forse, sarebbe stato più semplice persino dirsi addio.
    «Ero passato a chiederti se ti andava di vederla, quando sei libero. Se hai voglia»
    Sollevò il capo lentamente il Withpotatoes, quasi non fosse certo d'aver compreso a pieno le parole dell'altro. Le sopracciglia corrucciate, posò le iridi su quelle chiare dell'altro come scrutarne a fondo i pensieri. Una piccola fiammella di speranza dentro di sé, gli faceva credere che forse, forse, l'Icesprite avesse preso in considerazione l'idea di vivere assieme. Era un barlume effimero, niente che potesse spezzare l'eterna voce a sussurrargli quanto assurdo suonasse anche solo immaginarlo, ma sufficiente a fargli ricordare quanto avrebbe voluto che fosse vero, quanto gli mancasse dormire accanto al maggiore. Annuì greve in un primo momento, facendo svanire le ombre tra le sue dita e alzandosi in piedi per poter fronteggiare l'altro. «certo che ne ho voglia» aspirò l'ultima boccata di fumo prima di lasciar cadere la cicca e avanzare un passo verso Aaron, gli occhi ancora puntati su di lui «sempre» e non sapeva più a cosa si stesse riferendo con esattezza, ma scosse il capo per scacciare qualunque pensiero che fuorviasse l'argomento principale «per quel che vale la mia parola, sono fiero di te».
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    Era così assurdo, o per meglio dire affrettato, pensare di poter vivere con Mabel a Godric’s Hollow? La parte razionale del suo cervello gli suggeriva che sì, fare il passo più lungo della gamba fosse azzardato, perché tra di loro c’erano così tante cose irrisolte da poter riempire senza difficoltà la Sala Comune dei Serpeverde; dall’altra parte, invece, quella più accorata e stupida, guidata probabilmente da quell’organo denominato cuore, spasimava dalla voglia di poterlo vedere ogni giorno. Dormire insieme, fare colazione insieme, dare al Withpotatoes tutto quello di cui aveva bisogno. Era una tortura saperlo a lavorare in quella bettola – più per il timore che potesse accadergli qualcosa di male che per reale interesse nei suoi affari – e non vederlo realizzato come invece pensava fosse giusto che facesse.
    Era un tale spreco che Mabel avesse rinunciato ai suoi poteri da mago per sottoporsi a degli esperimenti Ribelli, che il solo pensarci gli provocava un fastidioso prurito alle mani. Capiva le motivazioni dietro quel gesto – ma non aveva mai approvato il metodo, né le modalità in cui era sparito nel nulla, lasciandolo ad arrancare disperato nel buio – nonostante ciò era ancora restio a chiedere qualsiasi informazione che potesse avvicinarlo al mondo degli Special. Per tutta la vita era stato convinto di avere una morale, un codice ferreo che aveva giurato di non macchiare, infangare con ideali beceri come quelli professati dalla Resistenza; era riuscito a realizzare una delle sue più grandi ambizioni, varcando la soglia del Ministero della Magia con il petto gonfio d’orgoglio, perché dopo anni a cercare una soluzione per i suoi fallimenti, per non essere stato lo studente che avrebbe voluto essere, finalmente si era liberato per guardare al futuro. Il pavimento lucido, i camini a scoppiettare di una luce verde al passaggio dei suoi colleghi – il solo pensiero di poterli chiamare così gli faceva ancora dubitare che quello fosse reale -, la statua al centro raffigurante le creature magiche sottomesse alla superiorità dei maghi… era questo quello che aveva sempre voluto. Un chiodo fisso, un obbiettivo fermo; era stato così trepidante, emozionato, da dimenticare persino il proprio nome. Chissà se nel corso dei mesi si sarebbe trovato a lavorare con una delle figure più di spicco nell’ambiente dei torturatori: sua zia, Anjelika Queen. Ma per ora sapeva di dover volare basso ed accontentarsi di dare la caccia ai Ribelli, cosa che ad essere onesti lo faceva sentire già di per sé soddisfatto.

    «Aaron Icesprite diventa adulto» probabilmente lo era sempre stato, rimasto confinato nelle mura di Hogwarts troppo a lungo, fino ad odiare ogni anfratto di quel luogo che non fosse la Sala delle Torture. Magari era un sadico o forse era stato il desiderio di prendere ispirazione dalla brutalità delle punizioni a farlo finire, senza sosta per i primi cinque anni, sul pavimento a digrignare i denti e accumulare tante cicatrici quante erano le coppe nella teca dei trofei.
    Adesso, ciò che lo differenziava dal soggiorno alla Scuola di Magia, era solo il fatto che avesse un lavoro e che stesse pensando di affittare casa, cosa che agli occhi degli altri, effettivamente, lo rendeva finalmente un adulto. Il commento di Mabel, però, non gli era sembrato esattamente—entusiasta; forse in parte, perché nonostante tutto era passato un anno ed erano ancora lì a corrersi dietro come degli stupidi, ma il linguaggio del corpo altrui la diceva lunga su quello che realmente pensava. Non lo sapeva, non poteva leggere la mente dello Special, tuttavia il fumo nero a vorticare come un laccetto ai suoi piedi era un chiaro segno di dispetto a cui non avrebbe dato corda. La visione di quel potere lo metteva a disagio, certo, perché oltre ad esserne turbato ne era anche affascinato, ma aveva bastanza controllo sull’espressione del proprio viso da mantenere una parvenza di calma tale da non destare il minimo sospetto.
    Pensava che Mabel avesse capito ugualmente che quella nuova condizione minava pesantemente tutto ciò che per anni era stato il suo mondo, le sue convinzioni, ma stava facendo uno sforzo. Per lui, per loro.
    Per giusta regola avrebbe dovuto denunciare il Withpotatoes per via dell’ammissione in cui aveva affermato di essere andato volontariamente nei Laboratori per sottoporsi agli esperimenti, ma quando si trattava di Mabel… non c’era verso che facesse la cosa giusta. Non l’avrebbe mai fatta, non con la consapevolezza di potergli nuocere.
    Se lo avessero saputo al Ministero, quasi sicuramente, lo avrebbero licenziato e mandato ad Azkaban per tradimento.

    Cosa gli toccava fare, davvero.

    «Aaron Icesprite è sempre stato l’adulto della situazione» ribatte, mostrando tutta la modestia di cui era capace un ex seguace di Salazar «ma ora potrebbe anche avere una casa, il che lo renderebbe ancora più responsabile» o almeno, così voleva raccontarsi, perché non si sentiva affatto una persona assennata, ma un idiota che stava mettendo a rischio tutto – e quando diceva tutto, intendeva proprio tutto – per un sentimento che gli aveva portato solo guai.

    «Certo che ne ho voglia» per un istante aveva creduto che Mabel gli avrebbe risposto con un “non ho tempo” o “non ho voglia” perché alla fine niente gli impediva di non voler più essere così intimi da andare a fargli da supporto morale per l’affitto di una casa. Quindi il sospiro nasale a cui si era lasciato andare non era stato che la manifestazione fisica del suo rilassamento; durato relativamente poco per via della vicinanza dell’altro, dell’allusione non così velata che era sembrata per un attimo lasciare quelle labbra.
    Il «sempre» sapeva di altro. Di cose che Mabel non voleva dire perché correre il rischio non era mai facile, non con la loro relazione.

    E stava quasi per rispondere, ma il «per quel che vale la mia parola, sono fiero di te» era riuscito a lasciarlo interdetto sul posto, le palpebre appena sgranate dalla sorpresa, perché nessuno gli aveva mai detto qualcosa del genere, né si era mai congratulato per i successi che, seppure pochi, erano stati degli eventi importanti del suo percorso.
    Se fosse stato un’altra persona, quasi sicuramente lo avrebbe abbracciato o si sarebbe commosso dimostrando così di esserne rimasto colpito. Ma era un Aaron e non aveva idea di come esternare dei sentimenti senza dover necessariamente imbottirli di sarcasmo «adesso che me lo hai detto, mi sento realizzato» che nella sua lingua equivaleva ad un “grazie, mi hai reso felice” che non avrebbe mai espresso ad alta voce.

    Si schiarisce la gola, dunque, non allontanandosi da quella vicinanza ma, anzi, facendo un passo in direzione del minore, solo per poter essere abbastanza vicini da vederne le lentiggini sul naso. Era così bello che quasi – quasi – gli faceva male il cuore. E gli aveva fatto male pure prima, ma in maniera diversa e forse un po’ più dolce.

    «La casa è grande abbastanza per due» la tattica dei pizzicotti ai fianchi da dentro le tasche del giubbotto non stava funzionando «non hai motivo di vivere con--» la feccia «gli altri Special» si umetta le labbra, cercando di mantenersi il più neutrale possibile sull’argomento, ricordandosi che ormai Mabel facesse parte di quella categoria «Accio e Nox potrebbero stare bene insieme» magari era solo un enorme giro di parole per dire che loro sarebbero potuti stare bene insieme.
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    Probabilmente si trattava di un paradosso, ma Mabel e Aaron erano così diversi e così simili da non poter far altro che finire, inevitabilmente, per attrarsi e odiarsi al contempo. L'Icesprite era responsabile, risoluto, ambizioso e intelligente e, malgrado gli intoppi che avevano minato la sua carriera scolastica, era comunque riuscito a raggiungere i traguardi che desiderava. Mabel, dal suo canto, non conosceva neppure il significato della parola responsabilità e, sebbene fosse per certi versi un gran testardo, non si poteva dire che fosse precisamente un tipo risoluto. Non aveva ambizioni, non perché non avesse mai sognato ad occhi aperti, ma perché per tutta la vita non si era mai ritenuto in grado di poter anche solo pensare concretamente ad avviare un qualunque progetto di vita che non fosse - quello: vivere ai margini della città, e fare un lavoro che non richiedesse troppo impegno mentale. Solo negli ultimi tempi aveva preso a fantasticarvi sopra in maniera un po' meno astratta, ma era un pensiero talmente tanto caotico da non riuscire ancora a trovare un capo saldo a cui appigliarsi. O meglio, uno ce l'aveva: Aaron Icesprite, sempre. Ma non l'avrebbe accettato mai Mabel, non quel Mabel, che tutta la sua vita potesse costruirsi attorno ad una singola persona, perché aveva promesso a sé stesso di essere più forte di così - ma diciamocelo: non lo era, e l'idea di perseguire al fianco dell'Auror quell'ideale di perfezione che non aveva mai fatto parte del suo essere, ma che forse poteva diventarlo col tempo, continuava ad attrarlo come poco altro vi era riuscito in passato. Era la possibilità di essere utile, di sfruttare il suo potenziale, di dar sfogo a quel costante impulso che aleggiava dentro di sé come un serpente alle prese con un topo, a fargli gola ancor più del lavorare spalla contro spalla al Serpeverde. Non voleva lavorare al Ministero Mabel, sapeva di non essere portato per quel genere di cose; era tutto il lavoro sporco celato da centinaia di manoscritti e scartoffie burocratiche a interessarlo. Non sapeva se sarebbe mai stato in grado di far del male a qualcuno tanto tranquillamente come Aaron aveva detto di fare, ma desiderava ardentemente scoprirlo. E forse era proprio quel desiderio di spericolatezza, di violenza, ad avvicinarlo ogni volta all'Icesprite, ma questo avrebbe comportato che si trattasse più d'una questione carnale che di cuore, invece c'era ancora quel leggero tratto di dolcezza, meno evidente ma sempre lì, che gli faceva desiderare di vedere l'altro felice, di dire e fare cose che potessero fargli piacere al di là di ogni tornaconto personale. E si sentiva davvero fiero di lui, orgoglioso, perché sapeva quanto aveva lottato per arrivare dov'era giunto, e sapeva anche quanto l'ultimo anno fosse stato persino più difficile dei precedenti - un po' anche per colpa sua -, ma ce l'aveva fatta, oltre tutto ed oltre tutti, e questo doveva che riconoscerglielo. Voleva farlo, perché i suoi successi li sentiva un po' anche come i propri, perché a volte gli capitava di pensare che tenesse ad Aaron più di quanto non facesse con sé stesso.
    «cos'è quell'espressione stupita» si lasciò sfuggire una leggera risata il Withpotatoes, allungando una mano per giocherellare col giubbotto dell'altro, ormai troppo vicino per poterlo ignorare «penso davvero quello che ho detto, ed era ovvio anche che sarei venuto con te» si strinse nelle spalle, lo sguardo sulle proprie dita come fosse particolarmente intento a seguirne i movimenti «sarei venuto anche se mi avessi detto di voler prendere casa in qualche vicolo dell'inferius» che forse non avrebbe calzato neanche così male per due come loro, ma avevano (almeno, Aaron aveva) standard più elevati di così «certp, avrei preferito rischiare la vita con te in altro modo, ma me lo sarei fatto andar bene comunque» ironizzò, sollevando il viso per incrociare le iridi chiare dell'Icesprite. Cristo, non riusciva a guardarlo in faccia per più di due secondi filati senza provare una sferzante fitta all'altezza petto. Fece per parlare ancora, ma le parole dell'altro, stavolta, riuscirono a spiazzare lui: «La casa è grande abbastanza per due». Glielo... stava chiedendo davvero? «non hai motivo di vivere con--» in un altro momento avrebbe probabilmente sollecitato il maggiore a dire ciò che veramente pensava solo per poter controbattere, ma a quel punto era semplicemente senza parole. «Accio e Nox potrebbero stare bene insieme» se anche avesse avuto ancora qualche dubbio sul senso di quanto l'altro gli stesse dicendo, sarebbe stato uno sciocco a continuare a non capire: sì, glielo stava chiedendo davvero. Comprendere come si sentisse a riguardo, tuttavia, era un altro bel paio di maniche. C'era una parte di sé, quella più autoconservativa, che avrebbe detto soltanto grazie, ma no grazie, perché conosceva le implicazioni dell'andare a vivere assieme all'Icesprite. Un'altra, quella più ancorata al disperato bisogno dell'altro, che non avrebbe esitato ad accettare, pur non avendo alcuna idea su come il loro rapporto avrebbe finito per evolversi. E poi c'era Mabel, che era un insieme di tutte quelle cose ormai, e che non era certo di sapere con precisione cosa volesse a lungo termine. «io non -» prese un profondo respiro, cercando di mettere in ordine le idee prima di esprimerle ad alta voce «non so davvero cosa vorrò essere e dove vorrò stare di qui a una settimana, figurarsi tra un anno o tra dieci» si passò una mano fra i capelli nel dirlo, cercando nuovamente gli occhi dell'altro per cercarvi un po' di quella sicurezza che aveva l'impressione d'essersi perso «perciò intanto pensiamo al breve termine». Allungò una mano verso la maglia dell'altro, stringendola tra le dita con decisione «guardiamo questa casa, valutiamola» da quand'è che era diventato così razionale? Mai stato, stava solo cercando di prender tempo. «e mettiamo in chiaro una cosa: non ho intenzione, in ogni caso, di vivere sotto il tuo stesso tetto e continuare a fare questa - cosa» cosa? Quella maledetta distanza che continuavano a mettere in mezzo, quasi volessero proteggersi da sé stessi. Nel dubbio, lo trasse a sé con un leggero strattone, giusto per ribadire il concetto. «perciò, fanculo» avrebbe potuto baciarlo, ad un soffio dal suo viso, ma non sarebbe stato da Mabel. Non avrebbe chiarito il fatto che, no, non si trattava di una voglia di baciarlo, era più una questione di marcare il territorio per una volta dopo così tanto tempo: si allungò effettivamente verso la bocca altrui, salvo poi afferrarne il labbro inferiore tra i denti e mordere, abbastanza da sentire il sapore ferroso del sangue sulla lingua.
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    Aveva esagerato? Aveva sicuramente esagerato.
    Che poi, diciamolo chiaramente, a chi voleva prendere in giro? L’idea di vivere insieme a Mabel era stata una costante delle sue giornate, soprattutto una volta conclusi gli esami. Ci aveva riflettuto, si era guardato allo specchio dandosi dello stupido, poi di nuovo dicendosi che eeeeeh… magari perché no, per poi tornare ancora una volta a dare colpi al muro con la fronte, probabilmente destando la preoccupazione dei suoi colleghi convinti che fosse una specie di esaurimento nervoso.

    Il Withpotatoes gli aveva fottuto il cervello, ma quella non era una novità.
    Non c’era un singolo momento nell’arco del giorno in cui, almeno una volta, non pensasse a quel ragazzo chiedendosi come stesse, cosa stesse facendo, se almeno un po’ – un pochino, non così tanto magari – stesse pensando a lui. Se in quella bettola lo trattassero bene o se invece ci fossero problemi che il minore voleva nascondergli. Se Mabel pensasse alla mattina in dormitorio, quando si erano svegliati dopo l’ubriacatura e si erano ritrovati a cercarsi e baciarsi, a scoprire lati della loro persona che credeva potessero essere inconciliabili. Se volesse baciarlo – perché lui lo desiderava come un assetato nel bel mezzo del deserto – e se il non toccarsi stesse diventando una sofferenza come lo era per lui. Voleva posare le mani su quel viso, accarezzarne la pelle, specchiarsi in quegli occhi chiari e dirsi che… fanculo! Non aveva senso essere cauti, perché di cauto non avevano mai avuto niente e lo dimostrava quel ti amo dimenticato e che custodiva come un segreto, come qualcosa da conservare per tempi più sereni. Avrebbe voluto toccare con il pollice le labbra di Mabel, passare il polpastrello sulla carne umida e abbassarsi quel tanto che bastava per posargli un bacio sulla guancia. Più lo sentiva vicino, più sapeva che quella proposta di vivere insieme, sebbene fosse un azzardo, stava diventando sempre più concreta.
    Aveva bisogno di Mabel. Aveva bisogno di svegliarsi la mattina e vederlo vicino a sé, dormiente e con la luce a filtrare dalle persiane ad illuminargli il volto; aveva bisogno di passare le dita tra i capelli dell’altro, sentirne la morbidezza al tocco; aveva bisogno che capisse quanto fosse valido e quanto gli sarebbe piaciuto averlo con sé ogni giorno della propria vita, senza sé e senza ma, incurante di poter essere un mix micidiale pronto ad esplodere.

    Era così assurdo, quindi, sperare in un sì?
    Se Mabel aveva ben pensato di aggrapparsi al suo giubbotto – e per una volta non gli importava affatto che quest’ultimo si sgualcisse – alla fine le sue mani si erano andate a posare su quei fianchi che per mesi si era privato di toccare. Ringraziava il cappotto aperto, il fatto che potesse facilmente insinuare le falangi al di sotto della stoffa pesante, posandole sulla maglia più leggera. Avrebbe osato anche di più se solo non fossero ancora in una posizione traballante, con un piede dentro una relazione e l’altro fuori a chiedersi cosa fosse meglio per entrambi. Ma solo sentirne il calore era abbastanza.

    «Io non—non so davvero cosa vorrò essere e dove vorrò stare di qui a una settimana, figurarsi tra un anno o tra dieci» era… un no? Perché lo avrebbe capito. Certo, si sarebbe sentito un po’ respinto—ma non poteva costringere l’altro a prendere una decisione così, su due piedi. Era stato sciocco anche solo pensare di proporgli una cosa tanto avventata «Dubito che Accio e Nox vivranno altri dieci anni» meglio buttarla sull’ironia che affrontare la triste verità: era un idiota. Lo aveva fatto di nuovo, solo che questa volta non poteva tornare indietro e scappare per raggiungere il ponte più vicino e buttarsi di sotto.

    Alla fine decide comunque di abbassare lo sguardo, trovandovi quello dell’altro a fissarlo a sua volta. Era difficile beccare Mabel a guardarlo senza distogliere le iridi dalle proprie, forse incapace di reggere la tensione.
    La stretta sulla propria maglia per un attimo riesce a confonderlo; che avesse interpretato male quella premessa? «guardiamo questa casa, valutiamola» da… da quando il Withpotatoes era diventato così responsabile? Si era perso un passaggio? Beh, forse più di uno. Chissà cosa gli avevano fatto in quel Laboratorio, se magari insieme ai poteri gli avessero iniettato un siero per farlo diventare, magicamente, un essere umano funzionale.

    «Beh, non ho detto che--» «e mettiamo in chiaro una cosa» ah ochei. Meglio non interromperlo, non con quella fiammella a divampare nelle iridi azzurre. Non credeva di aver mai visto Mabel tanto assertivo, né credeva che sarebbe mai stato tanto risoluto dal fargli un discorsetto – wao, si sentiva di nuovo un adolescente alle prese con sua nonna – ma forse era importante ascoltarlo.

    Questa cosa. Questa cosa, cosa? Avrebbe voluto chiedere, ma la verità era che sapesse esattamente a cosa l’altro si stesse riferendo. Quella cosa altro non era che la lontananza che si erano imposti – che lui aveva imposto, in realtà – dopo che Mabel era sparito per un mese. Semplicemente, non era stato abbastanza caparbio da fare finta di nulla. Non era stato facile stare lontani e nemmeno pretendere di non provare dell’affetto nei confronti dell’altro, ma era indubbio che quello gli fosse servito per rimettersi in sesto.
    E poi c’erano stati i M.A.G.O., il tirocinio, l’assunzione al Ministero e gli incarichi da Pavor. Non avrebbe potuto mettere il cento per cento in una relazione, ma magari adesso sì.

    «Non credevo che volessi saltarmi add--» «perciò, fanculo» c’era da dire che il nuovo Mabel fosse… come dire, molto più esplicito e sicuro di quello che aveva imparato a conoscere. Non che la cosa gli dispiacesse, anzi; se era possibile, questo l’aveva reso ai suoi occhi ancora più affascinante. Perlomeno non doveva più bacchettarlo affinché mantenesse la concentrazione per eseguire le più piccole mansioni quotidiane.
    Certo, non si aspettava che gli saltasse davvero addosso – in realtà ci sperava, ma gli era sembrata una fantasia un po’ troppo ottimista. A quanto sembrava, no. – e nemmeno che piuttosto che baciarlo, lo mordesse con forza, fino a farlo sibilare di dolore e sorpresa, e che gli facesse colare del sangue dal labbro.

    Dare una risposta semplicemente mettendo in fila due parole come “sì, okay, basta con questa negazione forzata” era troppo mainstream per dei tipi come loro. Limitarsi a fare le cose normali? Dirsi “sì, mi piaci” non era lo stesso che afferrare Mabel dalle ciocche castane e tirarlo a sé per baciarlo.
    Non ricordava più che sapore avesse la sua bocca, perché si erano baciati così poche volte e con le intenzioni sbagliate, che era come farlo per la prima volta.
    C’era l’intenzione di mettere in quel contatto quanto più sentimento possibile; la carne c’entrava poco, non aveva chissà quale desiderio – cioè sì, ma era facilmente surclassato da quello stupido organo chiamato cuore – se non quello di chiudere gli occhi e saggiare, finalmente, quella bocca.
    Sapeva di menta? No, di sigaretta. Ma forse anche di qualche strano dolciume comprato da Mielandia.
    Non aveva perso tempo ad avvolgergli i fianchi con il braccio e spingerlo verso di sé, incurante che gli altri lo vedessero, indifferente ai clienti che, magari, potevano risentirsi della mancanza del loro barista.
    Baciare Mabel così era differente sotto così tanti punti di vista che anche solo provare a ragionarci su era impossibile; sapeva di nuovo, sapeva di libertà, sapeva di quelle cose non dette e che non aveva idea di come pronunciare ad alta voce senza aggiungere del sarcasmo e delle considerazioni pungenti.


    «Questa cosa possiamo farla?» mormora, baciandogli l’angolo delle labbra «O hai bisogno di dieci anni per pensarci su?» ironizza, stringendolo appena più forte tra le braccia.
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    Se non si fosse trattato di Aaron e Mabel, forse quest'ultimo avrebbe reagito come qualunque personaggio di uno shojo da quattro soldi, sgranando gli occhi e palesando un certo stupore dinanzi a quella reazione del tutto inaspettata. Purtroppo, o per fortuna, non era quello il caso. Se l'era in fondo immaginato il Withpotatoes che soltanto due potevano essere le reazioni dell'Icesprite al suo gesto: un bacio, o un pugno nello stomaco. E vi dirò di più: nessuna delle due gli sarebbe poi dispiaciuta così tanto. Inutile dire, tuttavia, che stesse puntando più a quel genere di reazione, ritrovandosi ad arrossire non per l'imbarazzo, ma per il calore immediatamente suscitato da quel tanto agognato contatto. E ad ansimare - leggero ma abbastanza perché l'altro potesse udirlo - sulle labbra altrui, tirandolo a sé adesso con entrambe le mani, cercando di approfondire quel contatto più di quanto non stessero già di per sé facendo. Con questo, l'ex-Tassorosso non credeva certo d'essersi guadagnato chissà quale eterno vincolo: grazie al pronto intervento del Serpeverde, non aveva alcun ricordo di quel passato 'ti amo' sfuggito alla bocca dell'Icesprite e, per quel che ne sapeva, la possibilità che l'altro potesse provare un qualche sentimento per lui era praticamente da escludere. Se anche ci fosse stato un tempo, mesi prima, in cui le circostanze avevano finito per avvicinarli, Mabel era fortemente convinto d'essersi giocato ogni possibilità andando ai Laboratori. Nel suo immaginario, aveva barattato le fondamenta della sua relazione con Aaron per la propria salute mentale, e non era stato semplice scendere a patti con sé stesso e convincersi di poterselo far andare bene, di poter accettare l'ira, il disprezzo, il disgusto dell'altro purché potesse ancora, in una qualsiasi forma, avercelo vicino. Non sarebbe stato più amore magari, né affetto, ma se almeno quel dannato legame fisico fosse riuscito a sopravvivere al gran casino che era sempre stato il loro rapporto - Mabel se lo sarebbe fatto bastare. E lo sapeva, più per esperienza personale che per egocentrismo, che neanche il Serpeverde sarebbe stato in grado a lungo di resistere a quel viscerale bisogno di vicinanza. Forse, ad un certo punto, non sarebbe più stato sufficiente. Forse, col tempo, avrebbe desiderato quel di più che, ne era certo, era assurdo anche soltanto pensare di chiedere, ma preferiva non pensarci. Preferiva non ricordarlo che, dall'altra parte, c'era un Aaron che i mezzosangue li aveva sempre disprezzati, tanto più gli special, e che fantasticare in una relazione che violava ognuno di quei suoi radicati principi poteva essere solo il passatempo di uno sciocco. Tutto ciò che voleva fare, per il momento, era ricambiare quel bacio, che sapeva di sangue e di un desiderio troppo a lungo represso, e fregarsene di tutto il resto, almeno per un po'.
    «Questa cosa possiamo farla? O hai bisogno di dieci anni per pensarci su?» si lasciò sfuggire una risata, roca per via di quella fugace perdita di lucidità provocatagli dal contatto con l'altro. Sollevò poi una mano, fermandosi all'altezza della bocca altrui per poterne tracciare il contorno con l'indice. «direi che ci ho pensato abbastanza» riuscì alla fine a pronunciare, non senza provare quel lieve imbarazzo che ancora non l'aveva abbandonato, che neppure la sua nuova audacia era riuscita a cancellare del tutto. Poggiò la guancia contro quella del Serpeverde, nascondendo così il proprio sguardo alla sua vista, e socchiuse le palpebre per un breve istante.
    Da quando era tornato dai Laboratori, aveva scoperto un bel po' di cose su di sé; innanzitutto, che quella sua perenne distrazione poteva sì essere considerata per certi versi patologica, ma che in parte faceva a prescindere parte del suo essere. Poi, che tutti gli anni passati ad evitare le situazioni spiacevoli fuggendo o rifugiandosi in sé stesso, l'avevano reso praticamente un maestro dell'evitamento stesso.
    Per la prima ragione, concentrarsi sui propri pensieri ed ignorare tutto il resto particolarmente difficile in quella situazione: le sue dita, quasi senza volerlo, continuavano a tracciare leggere spirali sul dorso dell'Icesprite, incapaci di star ferme; la pelle del suo viso, ora ricoperta da una leggera barba, pareva bruciare ad un soffio da quella di Aaron, coinvolta più del necessario da quella nuova sensazione di contatto. E la sua mente, quella che proprio non riusciva a tenere il focus, provava disperatamente a lottare con la seconda ragione: quel desiderio d'ignorare, ancora, ogni cosa che potesse essere d'ostacolo ai suoi desideri. Ma che senso avrebbe avuto? Quanto a lungo sarebbe potuta andare avanti? Per questo, alla fine, si ritrovò ad avvicinarsi ulteriormente all'orecchio del Serpeverde per potervi sussurrare: «e tu, invece? Ci hai pensato?». Voltò il capo per potergli lasciare un leggero bacio sulla guancia, poi tornò a nascondere il viso nell'incavo del suo collo, soffiando ancora: «pensi di poterlo baciare ancora questo special mezzosangue?» e un altro bacio, tanto lieve da risultare un semplice posare le labbra sulla pelle altrui «di poterti svegliare al suo fianco ogni mattina, pur sapendo che cosa è - che cosa sono» lo sfiorò con la punta del naso stavolta, avvicinando nuovamente le labbra al suo orecchio «di farti mettere le mani addosso nonostante quello che ho fatto?» e magari non voleva conoscere davvero la risposta, ma era pronto ad accettarla, qualunque essa fosse.
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    La loro relazione era sempre stata altalenante e mai, nemmeno una volta, si era sentito di meritare qualcuno accanto. Benché meno Mabel Withpotatoes.
    Era facile pretendere di essere superiore – lo era, in realtà, perché tutta la feccia Babbana e Mezzosangue che aveva incontrato a malapena poteva competere con la pura magia a scorrergli nelle vene – e innalzarsi al di sopra di ogni persona che aveva di fronte; aveva passato anni ad evitare chiunque non avesse un minimo di intelletto o prestanza fisica accettabile – a malincuore, aveva dovuto ammettere a se stesso che Chelsey Weasley fosse abbastanza in gamba da dargli del filo da torcere, cosa che non poteva dire della maggior parte degli altri atleti nella scuola – e c’era riuscito egregiamente. La sua stazza e lo sguardo carico di disprezzo l’avevano reso quel tipo d’uomo a cui nessuno, se dotato di buon senso, si sarebbe mai avvicinato. Ed era andata bene così, fino a Mabel. Nel momento in cui quelle iridi azzurre si erano posate sul suo viso e quel “mate” era scappato dalle labbra dell’altro, si era ritrovato a dover fare i conti con qualcosa che, raramente, aveva provato: interesse.
    Spasmodico, elettrizzante, impossibile da ignorare. Dal primo momento, il desiderio di sfiorargli il viso e dirgli apertamente quanto fosse bello era stato prepotente e difficile da tenere a bada. Poi aveva capito il motivo e tutto ciò che era stato capace di fare non era stato altro che fuggire dalla consapevolezza e far finta di non provare ciò che, in realtà, era stato palese fin da subito.
    Come Eugéne, aveva preferito non affrontare Mabel e convincersi di poter mantenere un rapporto semplice, basato sull’amicizia, piuttosto che su quello che, era ovvio, fosse un sentimento più grande di lui.
    Ma era semplice cadere per lo Special; era così facile perdersi nel suo calore, nelle mani a solleticargli i capelli, nel sapore del suo corpo che ancora, dopo tempo, sentiva sul palato. Erano stati pochi i momenti in cui si erano concessi certi privilegi, rari e fugaci e quel bacio non era da meno.

    Avrebbe solo voluto che quell’abbraccio durasse in eterno nascondendoli dal mondo, facendo si che niente e nessuno potesse rovinare quella pace che, per poco, sembravano aver raggiunto. Non era mai facile con loro, non era così scontato come avrebbe dovuto essere. Lo sentiva il respiro del minore sul collo, il solletico della barba appena accennata e quelle braccia strette a sé, come se ne dipendesse la sua stessa vita. Ci sarebbe stato un tempo in cui avrebbe scostato Mabel guardandolo con sdegno o con compassione, facendosi beffa di un’intimità che in realtà lo spaventava a morte, ma non adesso; incredibilmente, quell’anno e quella paura di perderlo erano riusciti a farlo crescere, facendogli mettere da parte il risentimento per averlo cercato per un intero mese, con la paura che fosse sparito per sempre o, peggio, morto in qualche stanza sudicia.

    «e tu, invece? Ci hai pensato? Pensi di poterlo baciare ancora questo special mezzosangue?» erano questi i momenti in cui, invero, tornava ad odiare Mabel piuttosto che provare affetto. Era disarmante il modo in cui cercasse sempre, costantemente, di spingerlo – e spingersi – al limite, graffiandolo nell’orgoglio e nella colpa con precisione millimetrica.
    Era ovvio, quasi scontato, che venire a patti con ciò che era il Withpotatoes rasentava l’impossibile; era assurdo chiedergli qualcosa che non sarebbe cambiata tanto presto e forse mai.
    Era sciocco persino porgli una domanda del genere in un momento così teso, in cui aveva messo da parte le insicurezze – per un breve istante – e si era avventato su quelle labbra per fargli comprendere silenziosamente che sì, per lui, solo per lui, avrebbe fatto un’eccezione.
    Ma Mabel era stupido, di una stupidità che rasentava l’incoscienza e, paradossalmente, avrebbe dovuto essere abituato a quel genere di uscite da parte del minore. Come poteva una persona così intelligente essere anche così dannatamente stupida? A volte credeva che lo facesse di proposito. Solo per testare la sua pazienza, per ponderare le sue risposte e dargli così una parvenza di umanità.

    Con un sospiro, dunque, si scosta dalla presa dell’altro, afferrandogli invece, con una certa violenza, le guance in una mano, stringendole fino a sentirne le ossa. Per un istante lo fissa, le iridi chiare ghiacciate, la linea delle labbra dritta e seria, il guizzo di rabbia a solcargli le sopracciglia aggrottate.
    «Sei tutto ciò che mi fa venire il vomito, mi disgusti. Uno sporco mezzosangue, diventato Special. Ti disprezzo, mi fai schifo» con uno strattone, lo pressa contro la colonna, incurante di potergli provocare ulteriore dolore «Avrei dovuto denunciarti al Ministero per il tuo essere un traditore del tuo sangue, per aver rinunciato spontaneamente a quello che ti rendeva perfetto. Avrei dovuto prenderti, gettarti in cella e Cruciarti fino a farti esplodere gli occhi e uscire il cervello dalle orecchie» sussurra minaccioso, senza degnarsi di essere meno esplicito. Non era niente che non avesse già fatto. Era la verità, nuda e cruda «è quello che succede ai traditori. I processi sono solo per chi sopravvive e Azkaban è ancora peggio» allenta la presa, alla fine, solo per accarezzarlo con il pollice, ammorbidendo lo sguardo «È questo quello che vuoi sentirti dire, giusto? Che mi fai schifo? Che non riuscirei a stare con te? La verità è che non potrei mai farti del male, non a te. Se fossi un buon Pavor… ma non in quel modo. Sei tutto ciò che odio, ma sei anche tutto ciò che voglio nella mia vita» ammette, passando il polpastrello sulle labbra altrui, abbassando gli occhi a fissarne la parte arrossata di baci «spero ti basti come risposta» perché era l’unica che gli avrebbe dato.
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    Le sue parole potevano suonare come il rimarcato tentativo di provocare l'altro, se ne rendeva perfettamente conto, tanto quanto non si aspettava certo una quieta rassicurazione da parte dell'Icesprite. Invero, non ci sperava neanche, e si sarebbe detto persino deluso se l'altro si fosse limitato a dire soltanto che no, non c'era nessun problema, quasi fosse una questione di poco conto. Il punto, invece, era che di tutto si trattava meno che di una faccenda da niente e che, conscio dell'importanza che avesse soprattutto per il Serpeverde, era a suo parere fondamentale chiarirla una volta per sempre, nel bene o nel male.
    Non si aspettava una reazione mansueta ma, ammettiamolo, non si aspettava neanche quello. Non aveva mai nascosto la sua inclinazione per la violenza, il piacere sottile e quasi perverso che gli solleticava la pelle ogni qual volta sentiva le dita dell'Icesprite premere più forte sulla sua carne, fino a lasciarvi dei solchi rossastri, o quando gli mordeva il collo fino a fargli male. Si poteva dire che fosse un sadico ma insieme un masochista il Withpotatoes, eppure non poté fare a meno, per un istante, di rabbrividire alla presa della mano altrui sul proprio mento, irruento come forse mai era stato prima d'allora. Sgranò le iridi per la sorpresa, e le fissò dritte contro quelle di Aaron, non osando muovere un muscolo né proferir parola. «Sei tutto ciò che mi fa venire il vomito, mi disgusti. Uno sporco mezzosangue, diventato Special. Ti disprezzo, mi fai schifo» fu quello, insieme allo strattone tanto forte da farlo finire contro la colonna, a lasciargli sfuggire un lieve lamento dalle labbra. Erano coerenti le parole del Serpeverde con quello che era sempre stato il suo modo di pensare, ma Mabel aveva osato sperare che quelle convinzioni non sarebbero state tanto radicate da spingerli a - quello. Ingenuo forse, ma non poté fare a meno di desiderare di rimangiarsi ogni parola per non ricordare mai all'altro quale fosse lo stato delle cose, e andare avanti fino a che sarebbe stato possibile farlo. E gli venne quasi da sorridere, sarcastico ed un po' rassegnato, con quell'aria sfrontata che gli usciva fuori ogni qual volta preferiva mostrarsi forte piuttosto che debole. Ma si trattenne: a che scopo, in fondo, irritare l'altro ancora di più? «perché non lo hai fatto?» soffiò invece, serio, abbassando lo sguardo nell'incapacità di sostenere oltre quello dell'altro. «È questo quello che vuoi sentirti dire, giusto? Che mi fai schifo? Che non riuscirei a stare con te?» scosse il capo, approfittando della minima libertà concessagli dalla mano di Aaron, che però non aveva ancora del tutto lasciato il suo viso. «La verità è che non potrei mai farti del male, non a te. Se fossi un buon Pavor… ma non in quel modo. Sei tutto ciò che odio, ma sei anche tutto ciò che voglio nella mia vita». Alla luce di quello, c'erano tante cose che avrebbe potuto fare il Withpotatoes, ma non riuscì a farne nemmeno una. Si limitò a stringere i denti, a sollevare impercettibilmente le sopracciglia come aveva imparato negli anni a fare per trattenere anche il minimo accenno di una lacrima, e a respirare un po' più affannosamente. «spero ti basti come risposta» e stavolta sorrise Mabel, costringendosi a incrociare nuovamente gli occhi altrui. «mi basta» annuì, sbilanciandosi leggermente in avanti per poter appoggiare la fronte su quella dell'altro «ma dovevo chiedertelo, capisci?» sussurrò, ad un soffio dalle sue labbra «perché lo so che è difficile, e che ho incasinato tutto ancora di più, ma dovevo sapere se -» lasciò cadere la frase, sospirando con una certa rassegnazione e allungando le mani per poggiarle sui fianchi di Aaron «dovevo sapere che non te ne saresti andato» punto. Spostò il viso d'un lato, abbastanza da raggiungere l'orecchio dell'altro con le labbra e aggiungere: «se non te ne vai oggi, sei mio e basta» insinuò le dita sotto al giubbotto dell'altro, sino a sollevare l'ultimo strato di tessuto e sfiorarne la pelle sotto con i polpastrelli «e la prossima volta che avrai voglia di farmi male, sarà soltanto per scoparmi» non era una cosa da dire tanto chiaramente? Beh, poco male. «a casa nostra».
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    And we should've known that we'd grow up sooner or later
    Non era mai stato in grado di gestire i sentimenti.
    A conti fatti non c’aveva mai provato veramente, perché li aveva sempre reputati inutili, uno spreco di tempo che lo avrebbe solo rallentato dal raggiungimento dei propri obbiettivi. Era pragmatico e cinico, spietato e senza il minimo rispetto per gli altri che non fossero suoi pari. Considerava feccia i mezzosangue e disprezzava con ancora più intensità gli Special perché frutto di beceri esperimenti.
    Non esisteva nulla se non il sangue puro, la magia perfetta insita in un corpo altrettanto perfetto.

    Nel giro di un anno aveva mandato a puttane tutti i principi che tanto faticosamente si era impegnato a rispettare. Dapprima, si era reso conto di amare Mabel più di quanto avesse mai voluto ammettere, ma per questo si era messo l’anima in pace dicendosi di poterlo sopportare. Considerando tutto il resto, poteva anche essere considerata la parte migliore.
    Il problema principale stava nel fatto che il Withpotatoes era, nella totalità dei fatti, tutto ciò che di più orripilante potesse esistere ai propri occhi, eppure incredibilmente bello. Era un’assurdità che un Mangiamorte trovasse attraente uno Special e che, anzi, se fosse addirittura invaghito. Eppure eccolo lì, a domandarsi davvero il perché non lo avesse denunciato, portandolo personalmente al Ministero per sbatterlo ad Azkaban e non averne più ricordo. La risposta, in verità, era sempre stata lì, incapace di nasconderla a se stesso.
    Non aveva mentito a Mabel, era stato chiaro. Era tutto ciò che odiava, ma tutto ciò che voleva nella sua vita. La sola idea di poterlo perdere per la seconda volta era stata così irrealistica da spingerlo a disertare segretamente, ad agire contro il Regime, pur di saperlo al sicuro.
    Si odiava per quello, d’altro canto non vedeva nessun’altra soluzione che non fosse quella di tacere e cercare di seppellire qualsiasi prova che potesse portare guai.

    Mabel era una mina vagante, qualcosa che sin dall’inizio lo aveva fatto traballare come un ubriaco. Il desiderio, la rabbia, la confusione erano stati sentimenti che gli si erano incollati addosso come olio impossibile da sgrassare. Ma più il Withpotatoes lo feriva, più dimostrava di essere sconsiderato ed infantile, più desiderava solo picchiarlo fino a farlo morire e baciarlo con altrettanto trasporto.

    «Lo so» e lo sapeva davvero, perché nascondersi ancora dietro una facciata fatta di scuse era ridicolo. Era ovvio che avrebbero dovuto parlare di quella situazione, prima o poi «ed avevo davvero l’intenzione di farlo» ma poi aveva capito che sarebbe stato inutile e che la figura di Mabel lo avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni «ma sono qui adesso» e, come aveva detto poco prima, non avrebbe aggiunto altro.
    Il problema dello Special – tra i tanti – era quello di essere totalmente imprevedibile.
    Non si sforzava nemmeno di confonderlo, lo faceva e basta, mandando a puttane ogni tentativo di compostezza, di rigidità che aveva imparato a controllare nel corso del tempo. Alla lunga, si sarebbe dovuto porre due domande sull’effetto che il minore sembrava suscitargli, sul potere delle sue azioni mirate a ridurlo a niente se non mera poltiglia sul pavimento. A nulla era valso sbatterlo contro il muro, cercare di ristabilire l’ordine e di fargli capire, nel contempo, cosa provasse. No. Mabel era riuscito nuovamente a disintegrargli ogni traccia di intelligenza, solo con poche semplici parole sussurrate all’orecchio «la prossima volta che avrai voglia di farmi male, sarà soltanto per scoparmi».

    Respira, inspira, respira, inspira.
    Aveva chiuso gli occhi, lasciando allargare le narici per far circolare l’aria fino al cervello, impedendosi di compiere gesti stupidi di fronte ai clienti di un bar. Era un Pavor, un rispettabile Mangiamorte, non un animale come quelli che presupponeva ci fossero all’interno del locale.
    Tuttavia era a tanto così dal diventarlo a propria volta.

    «Mabel» l'ammonimento nella voce era palese e, lentamente, porta le mani sulle spalle del più giovane, scostandolo da sé come se fosse rimasto scottato, cosa non del tutto falsa «a cuccia» apprezzava l’entusiasmo del Withpotatoes, ma se dovevano intraprendere una relazione del genere, era necessario fare certe cose in privato. Pavor, Ministero, decoro professionale; tutte quelle cose che sembrava l’altro non riuscisse a focalizzare.

    «Apprezzo l’entusiasmo, davvero» anche troppo «ma devo andare al Ministero, sono passato solo per vederti» ammette, fissandolo con le iridi attente, umettandosi le labbra secche. Poi si abbassa per dargli un bacio sulla guancia, solo per potergli sussurrare all’orecchio «spero che ti farai trovare nudo sul letto quando prenderò la casa. Potrei decidere di farti male sul serio e tingere di viola quel bel corpicino bianco» ed alla fine si scosta, innocentemente, come se gli avesse augurato una buona giornata.
    Potevano giocare in due a quel gioco, era bene che Mabel se ne ricordasse.
    Aaron
    21 y.o.
    Pavor
    Eh.
    Ex-Slytherin
     
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