Un secondo. Due secondi. Ma che cazzo. Tre secondi. Fu il tempo concesso a Jamie Hamilton per battere le palpebre e guardarsi attorno, un liquido caldo a sporcargli la pelle ed un dolore non meglio precisato ad ogni fottuta parte del corpo. Deglutì e strizzò gli occhi cercando di abituarsi alla nuova luminosità, mentre i suoni si accatastavano gli uni sugli altri schiacciandosi nel vano tentativo di prevaricare. Poteva essere passata un’era da quando, gocciolando cremisi sul pavimento di Hogwarts, aveva detto ad Aloysius Crane che Shia Ryan Hamilton II non sarebbe tornato; un’eternità da quando, in mezzo battito di cuore, si era risvegliato - per la seconda cazzo di volta - in una stanza che faticò a riconoscere, e quando l’ebbe fatto, avrebbe preferito rimanere nell’ignoranza: s’era perso un, maledetto!, secondo, Jamie Hamilton, e sia William che Melvin erano spariti. Ma allora era un cazzo di vizio. Aveva perso il senso del tempo, dita intrecciate pigre fra loro mentre valutava minuzioso tutti i modi in cui, nel dubbio: chiunque, gliel’avrebbero pagata. Sollevato dal fatto che fosse stata la rabbia ad avere la meglio sul turbinio di emozioni contrastanti a bruciare nel petto, più leggero nella ferocia fredda con cui apriva e chiudeva i pugni, sorrisi morbidi ed incoerenti a chiunque fosse stato così stupido da pensare fosse una buona idea rivolgergli la parola – non bontà, quella dell’Hamilton; abitudine, nell’indossare maschere cortesi e vacue. Poi era arrivata Jeanine. Solo dopo, era giunto tutto il resto: l’odore di sangue e carne maciullata, i singhiozzi a scivolare sulle piastrelle accompagnando il liquido scarlatto, i pianti - l’urlo. Quello, Jamie Hamilton, l’avrebbe riconosciuto ovunque, seccato dalle centinaia di volte in cui il medesimo strillo aveva disturbato i suoi sempre pacifici, e sempre vuoti, sonni. Non si diede realmente tempo di guardarsi attorno, di valutare la situazione, nel voltarsi ed agire; non un grande estimatore degli istinti sulla ragione, ma sapeva quante poche fossero le cose in grado di terrorizzare Melvin Diesel. Alzò il capo cercando di individuare la minaccia, fallendo nel trovarsi di fronte ad un caos di stra fottute dimensioni bibliche, e stringendo la lingua fra i molari seguì lo stridio fino ad arrivare alle spalle della ragazzina. Un battito. Uno e mezzo. Ma che cazzo. Premette una mano sulla sua bocca e la trascinò all’indietro, un braccio attorno alla vita per trattenerla dal - Dio, ma cosa fottutamente stava succedendo. L’adrenalina aiutò Jamie a schiarirsi la mente, permettendogli di concentrarsi sui dettagli senza metterci il cuore, distrazione che gli Hamilton non potevano permettersi: uno, la presa era troppo fottutamente scivolosa; due, dove cazzo era will; tre, quella chiazza di sangue in lento movimento era laurent?; quattro, «merda» soffocato dai grugniti dell’empatica, le dita di lei febbrilmente strette al suo braccio. Riconobbe il viso tondo di Tokyo Lovecraft, le mani abbandonate lungo i fianchi in posizione ben poco naturale; Jason Maddox, i tatuaggi a colorarsi di porpora; Kieran, le spalle a scuotersi in singhiozzi mentre scrollava il busto di – Shot. Ed un corpo così piccolo, così piccolo, che dovette battere le palpebre perché quel che vedeva si accordasse con quel che sapeva. Non era un tipo sentimentale, Jameson Hamilton; quei lamenti, quei pianti, non facevano che attivare la modalità disgusto dell’umanità che, in altri frangenti, l’avrebbero spinto a celarsi nelle ombre ed andare il più fottutamente lontano da lì. Avrebbe dovuto importargli di più, e lo sapeva; sapeva, Jamie, che avrebbe dovuto essere più triste per il petto immobile della Lovecraft, più vuoto nei tratti gentili, persino nella morte, di una ragazzina che aveva visto gattonare all’interno di una volante, e dire che da grande avrebbe voluto essere come leonnad - ma come poteva, quando non ci stava capendo un cazzo? Come poteva realmente interessarsi ad un Yoann Jackson (…non che gli fosse mai importato, ma stiamo cercando di mostrare un po’ di tatto in una situazione altresì delicata) quando ancora non aveva la più pallida idea di dove fosse william fuckin barrow secondo di francia? Decise di non credere che potesse essergli successo qualcosa, perché sapeva che, in cattiva e peggiore sorte, se necessario sarebbe andato a recuperarlo anche all’inferno – e che una volta lì, l’avrebbe ucciso con le proprie mani. Come poteva piangere, metaforicamente parlando, una Callie Jackson, quando alla fotocineta non poteva più fottere una sega di meno di un Jamie qualunque? Era morta; la sirena di Leonard Hamilton dal sorriso brillante ed i ridenti occhi azzurri, era morta, e lui non poteva farci un cazzo. Erano i vivi, a turbarlo; era percepire sotto i polpastrelli quanto fosse fragile la barriera fra Vin ed il suo potere, temere che da un momento all’altro la bionda potesse svuotare le emozioni che impregnavano la stanza su di lui. Perché di base, Jamie Hamilton era un egocentrico figlio di puttana. Erano le lacrime, a sconvolgerlo. Era tutto quel fottuto sangue al suolo e sulle dita, erano le debole proteste della Diesel fra le braccia – e la situazione divenne ancor più sconveniente quando la ragazzina gli si aggrappò al collo, stringendo decisamente più di quanto il corpo di Jamie, in quel momento, potesse tollerare. Ma c’era qualcuno a cui chiedere cosa minchia stesse succedendo? Erano nati imparati, da quelle parti? /quali parti/ E poi apparve dal fottuto buco nel pavimento lo stronzetto super potente dell’universo alternativo. Voi (Jamie) direte: ma non era morto? Evidentemente l’unica cosa six feet under era il suo senso dell’umorismo dato che, con la sua spettacolare entrata in scena, non fece ridere neanche Jamie. Certo, partiva un po’ prevenuto dato che gli giravano i coglioni, ma solitamente si sforzava di essere un po’ più diplomatico con chi poteva ucciderlo con uno schiocco di dita. Aprì la bocca per chiedere a Melvin (dove fottutamente fosse will) cosa si fosse perso nei TRE CAZZO DI MINUTI in cui li aveva persi di vista, ma - niente, non poteva parlare. Ah, ecco. Allora sti cazzi che l’avrebbe ascoltato. Meglio di uno swiffer di nuova generazione (e se ne intendeva #2119), Seth fece sparire tutti i cadaveri. Oh, là. Se avesse potuto muoversi, quello sarebbe stato il momento in cui, sguardo diretto dall’altra parte del posto (cos’era poi, una specie di piazza gotica? Il medioevo era finito da un pezzo…….sperava. Se li avessero sbattuti nel Medioevo, gli sarebbero girate così tanto le palle che, essendo cronocineta, sarebbe diventato direttamente un gira tempo), avrebbe rivolto un sentito dito medio al Barrow - perché Jamie non era tipo, da mostrare sollievo; perché a Jamie, quella roba lì, non piaceva manco per un cazzo - ma la costrizione del cattivo di turno, lo salvò dal dilemma morale del come salutare in maniera appropriata il ritrovato, e vivo per poco, gugi: yas. [insert something shakespearian + uscita ed effetto] Voilà. E per carità….Tutto bellissimo….. Ma: «e noi ora come ci torniamo a casa» Domanda sbagliata, Jamie. Melvin lo spinse, le mani a coprire il volto. «…qualcosa» Cosa. «uh?» distratto, l’Hamilton, con gli occhi a vagare oltre la testa dell’empatica per assicurarsi di non essersi (ancora.) perso Will, o che non si fosse (di nuovo) suicidato. «fai qualcosa» Corrugò le sopracciglia, spostando nolente un annoiato sguardo turchese sulla diciassettenne. L’espressione seccata dell’Hamilton divenne più ruvida, sotto l’occhiata ostile di Vin, furenti occhi smeraldo a guardarlo di sottecchi. In cinque anni di forzata, e decisamente non richiesta, convivenza, non l’aveva mai vista - così. «melvin?» «sei un cronocineta, no? Torna indietro, fai-qualcosa.» le avrebbe fatto notare quanto poco appropriato fosse quel tono, se solo i pianti non si fossero fatti più intensi – le grida più lacere. Se solo, negli occhi verdi della canadese, non avesse letto speranza: ci aveva sempre creduto un po’ troppo, Melvin, che Jamie potesse risolvere qualunque problema. Che potesse riportare indietro Callie, e Jason e Tokyo, e Barry e Shot - ma non poteva, Jamie. Avrebbe dovuto essere facile, farglielo notare. Ma quella speranza, e quella disperazione, e quella cieca adorazione - Cristo Santo, l’Hamilton non voleva deluderla. D’altronde, per come stavano messi in quel momento, non era che gli fosse rimasto molto altro, uh? Aveva lasciato che sua sorella e sua madre morissero sole; aveva lasciato suo padre punto, privandolo dell’unica famiglia che gli fosse rimasta; non aveva neanche salvato callie. Non si era neanche mai posto il problema che potesse perdere Vin. Con William, talvolta, ci aveva un po’ sperato di smarrirlo per strada, permettendosi così di sfuggire al costante, inappropriato, denso battito sulla lingua – ma Melvin? «lo sai che non posso» un mi dispiace inespresso, una voce gentile. Prima di andare avanti, vorrei ricordare che Jamie (ancora? Sempre) era arrabbiato, e (ma ancora? Certo) confuso su quanto stesse accadendo: il dov’erano l’aveva intuito dalla scuola, il quand’erano dalle espressioni quasi sollevate di taluni, ma – nessun indizio su come portare via le palle? Ed allora potevate creparci tutti quanti, in questa cripta di merda. Come se non bastasse, era alterato con se stesso per (aver fatto morire ham) aver permesso che gli portassero via le uniche due persone del quale gli importasse, e incazzato con loro per l’aspetto di merda che prometteva morte ad ogni fiato: insomma, l’Hamilton era suscettibile. «perché -» Un passo indietro, lontano da lui. Melvin scosse il capo, un sospiro nei palmi. Se non fosse stato comunque vicino, troppo vicino, non avrebbe udito la conclusione dell’empatica, e forse - forse - sarebbe stato meglio per entrambi. Non si meritava forse una pausa, il buon Jamie, dopo essere sopravvissuto a Yuno? Non si meritava cinque fottuti secondi con Gugi dove nessuno dei due stava morendo? Ma no, perché quando: «ti odio» Pensa te sta bestia ingrata di un metro e cinquantaquattro. «k» Va bene, e allora sai che c’è? Niente. Niente, non c’era proprio un cazzo di niente. Perché se avesse potuto, se avesse fottutamente potuto, Jamie avrebbe fatto qualcosa. Non qualunque cosa, non a qualsiasi costo, ma per Melvin (e Kieran) ci avrebbe provato. – e no, degli altri non gli importava abbastanza: non fingerò un’etica che l’Hamilton mai aveva conosciuto. Mi dispiace, Vin. La guardò mentre si sedeva a terra, le gambe martoriate strette al petto e la schiena a vibrare di singhiozzi. Fai qualcosa Fai qualcosa Fai qualcosa. Ed invece se la lasciò alle spalle, conscio che una Melvin, qualcuno, l’avrebbe trovato sempre - che l’avrebbe meritata di più, magari; non poteva dire migliore di me perché sperava in qualcosa di realistico (smak) per l’empatica. «gugi,» un battito di ciglia, la testa reclinata verso il basso. «hai un aspetto di merda.» finse perfino un sorriso, Jamie Hamilton, malgrado gli occhi d’un pallido azzurro narrassero altre storie – quelle fatte di promesse di decenni che s’avanzava di voler mantenere sempre, e che invece finivano sempre per rimanere in bilico. Non mostrò la propria preoccupazione, il fastidio, il respiro incostante nello sterno nell’incrociarne il volto sporco di sangue e polvere, il battito a mancare nel sapere di averlo stretto fra le dita solo poco prima. Un ghino piacevole ma piatto, quello del ventiquattrenne. «vado in infermeria» asserì, con più sicurezza di quanta non ne avesse. Anche perché…ma ce l’avevano l’infermeria, nel paleolitico? Chi lo sapeva. Che fossero ad Hogwarts, considerando il friabile contorno del castello oltre la radura, era certezza – tutto il resto, manco mastercard. E…anche ci fosse stata…..dove cazzo stava: domande a cui avrebbe trovato risposta sul momento. «vieni con me» (wink wink) e se il tono non lasciò spazio ad alternative, era perchè William non ne aveva: non si stava contrattando, lì. Era un dato di fatto. Non si fidava dei Guaritori. Non si fidava degli ospedali (che poi li avevano, o erano tipo – baracche mal attrezzate?). Non si fidava dei maghi. E William aveva davvero un aspetto di merda. «poi pensiamo al resto» hashtag: quale resto.
«ma chi cazzo mette l’infermeria al primo piano, senza un maledetto ascensore per arrivarci» i maghi che potevano sollevare magicamente i loro morti, chi sennò? Minimo non avevano neanche il wifi, da quelle parti: assurdo. Cosa? Se Jamie stesse ignorando la faccenda jamie-e-will? Ma per chi l’avevate preso – Certo che lo stava facendo. Sapeva che l’adrenalina, e chissà che cazzo di droga aveva loro somministrato la psicopatica dai capelli rosa confetto, poteva giocare brutti scherzi; sapeva, Jamie, che poteva essere stato tutto un fraintendimento: le persone ci perdevano sempre un po’ il cervello, quando di mezzo c’erano sangue e morte. Nulla di personale. Dopo anni, anni, ed altro cazzo di anni, non avrebbe mandato tutto a puttane in un momento in cui tutto già lo era - una situazione troppo delicata, per giocarsela così. E si era trattenuto così tanto, dal lesinare pelle contro pelle, o le dita a sfiorare la bocca di Will – a non soffermarsi a guardare le sue labbra, e ivi premere demandando un poco più d’ossigeno. Cauto, Jameson Hamilton, lo era sempre stato solo con lui. Limitò i contatti allo stretto indispensabile, sorreggendolo solo quando l’equilibrio lasciava un po’ troppo a desiderare; esitò di fronte all’armadietto aperto, e già svuotato sul tavolino, malgrado quello fosse esattamente ciò che jamie-e-will erano stati per anni. Coprirsi le spalle a vicenda. Prendersi cura delle ferite. Esserci e basta. «vorrei davvero…» appena un bisbiglio, quello di Jamie – che di cose, ne avrebbe volute tante. Poter fare qualcosa; capire come fottutamente tornare a casa; chiedere scusa - a Will, a Melvin, a Yoann e Laurent e Kieran e Cristo Barry, ma proprio tu dovevi morire? -; che tu non fossi così una testa di cazzo irresponsabile, ma sapeva che sarebbe stato chiedere troppo; baciarti. Soprattutto quello, a dire il vero, lasciando l’incertezza di futuro e presente ad un dopo che non era certo di volere mai, perché perdere non era contemplato nel vocabolario dell’Hamilton – e quella, non gli sembrava affatto il percorso che indirizzava alla vittoria. Fai qualcosa Fai qualcosa Fai qualcosa. «...una doccia.» davvero più di tutto il resto, nel sentire il sangue, proprio ed altrui, raggrumarsi sulla pelle. Arricciò il naso e sbatté le ante dell’armadietto, ruotando poi il capo verso William. Come funziona, adesso. Io, te, ma anche - «dove mi faccio una doccia» aka: siamo senza tetto, gugi, ed anche nulla tenenti. Non era pronto a chiedere skills di sopravvivenza alla strada a Laurent; chi doveva uccidere per dell’acqua calda? Ma ce l’avevano, l’acqua calda? Scosse la testa, labbra strette fra loro e palpebre serrate. Quando le riaprì, osservando di sottecchi l’ancora sanguinante, all’incirca da ogni parte, William Rowan Barrow II, non ci provò neanche a trattenere il sorriso spontaneo e divertito dalle labbra, marginalmente conscio che se avesse potuto provare più di due emozioni in contemporanea, quello sarebbe stato l’inizio di una crisi isterica. Scosse la cassetta del Primo Soccorso indicando poi Gugi con un vago cenno della mano. «non so da dove cominciare» Letteralmente. Ma anche metaforicamente. | | 24 y.o. 01.11.2094 | chronokinesis /muggle/ | tsk neutral evil |
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