hell or high water

post quest .09 - mitch x will

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    mitchell trevor winston
    1991's | rebel | deputy headmaster
    Spalle contro il muro, gambe distese sul pavimento e gola secca – arida, tanto quanto gli occhi a bruciare di lacrime salate che non avevano intenzione di uscire, di tracciare sul viso solchi puliti tra terra e polvere e sangue. Labbra strette in una morsa che non avrebbe dovuto fare così male, per quanto naturale fosse sempre stata la piega dritta sul viso di Mitchell Winston, ed iridi di un blu notte più opaco che intenso, spente e distanti, fisse su un caos nel quale non sapeva mettere le mani.
    Una confusione ch’egli stesso aveva creato, gettando all’aria ogni libro e fascicolo ed oggetto avesse trovato sulla propria strada, alla vana ricerca di un qualcosa che già sapeva, nel momento in cui era entrato con passo calmo e misurato nel proprio ufficio, non avrebbe mai trovato; alla disperata ricerca di una risposta, di una soluzione che nell’ordine non aveva nemmeno potuto scorgere – perché d’ordine non ve n’era nemmeno l’ombra più vaga, nell’antico Castello di Hogwarts.
    Raso al suolo, spezzato, ricoperto di macchie cremisi ancora calde e dense; poteva immaginare non ci fosse una sola ala della scuola, che fosse stata risparmiata da quella battaglia. Non aveva bisogno di muoversi per saperlo, e non aveva intenzione di farlo: anche ne avesse avuta la voglia, era la forza a mancare. La forza per respirare correttamente, per evitare che ogni anelito di fiato rimbombasse sulle pareti vuote come un gorgoglio strozzato; la forza di chiudere gli occhi e concentrarsi sul proprio battito, e di lasciare che dietro le palpebre restasse una confortante oscurità, piuttosto che le immagini residue di tutto ciò che il ribelle non avrebbe mai desiderato vedere; la forza di smettere di trovare sollievo nel pensare alle ferite del castello, piuttosto che pensare a quanto facessero male quelle dei suoi combattenti – rasi al suolo, spezzati, ricoperti di macchie cremisi ancora calde e dense.
    Perché tranquillizzante non lo era affatto, e non c’era nulla di normale nel volere che lo fosse.
    Non c’era niente di naturale in quel silenzio, nulla di sano nei quadri appesi rimasti vuoti – che persino i loro abitanti, che da quella guerra non erano stati realmente toccati, avevano preferito trovare una via di fuga nei dipinti gemelli. Niente di niente, nei rotti sospiri che riecheggiavano sulle mura di pietra – che chiamarli sospiri, non rendeva più loro il giusto onore: magari i primi, avevano osato avere lo spettro di una dignità ad accompagnarli: Mitchell, quei silenziosi singhiozzi a scuotere le spalle, a riempire d’acqua gli occhi ed il respiro, non ce la faceva a renderli tali.
    Avrebbe dovuto, avrebbe fottutamente dovuto; era il suo compito. Sistemare i fili castano chiaro sulla nuca, inspirare profondamente, premere i pugni sulle palpebre finalmente chiuse e trovare un compromesso con se stesso: non aveva alternative, non voleva alternative; non poteva rimanere chiuso lì dentro ancora per molto, non se lo concedeva.
    Era la sua scuola; erano i suoi studenti, i suoi amici, la sua famiglia.
    È facile; le mani stretta a pugno, la nuca premuta contro la pietra, il petto a tremare come un dannatissimo martello pneumatico – provava a convincersi, il ribelle, che fosse facile.
    Ti basta fingere: è tutta una vita che lo fai.
    Ma come poteva farlo, se mordendosi le labbra sentiva ancora il suo sapore? Come poteva, se una vita intera era trascorsa da quel singolo battito di ciglia – e non un secondo pareva essere realmente passato.

    «non è questo che intendevo, sai?»
    Un boato.

    L’ennesimo incantesimo a scoppiare troppo vicino, che lo aveva costretto a piegare istintivo lo sguardo alla ricerca di quello più chiaro – troppo più chiaro, sotto la luce di una maledizione che sopra le loro teste andava a schiantarsi Dio solo poteva sapere dove; troppo più chiaro, di un’opaca traslucidità che stringeva il muscolo cardiaco ed inaridiva la trachea. Non aveva la giusta forza per reagire a dovere alle parole dell’Howl; non ne aveva il tempo, non era l’occasione, non sapeva cosa dire, perché non sapeva cosa volesse intendere l’empatico. Aveva la testa ovunque, sebbene le iridi e le braccia fossero tutte per l’uomo – per sostenerlo, per essere lì, perché non voleva muoversi: sapeva non fosse l’unico in quelle condizioni, ma non era certo qualcuno lo avesse visto a parte lui; Jeremy era con Stiles, Nicole stava meglio, Chouko si era ripresa. Marcus non ancora, e non aveva intenzione di lasciarlo da solo. Non quando mancava così poco, e non quando non gli interessava cosa intendesse, né cos’egli stesso aveva potuto pensare in precedenza. Aveva fatto scivolare cauto le dita sul viso del sicario, conscio del fatto che fosse una sua responsabilità quella di alzarsi e levare bacchetta e rivoltella contro le schiere nemiche; solo un minuto, si era detto.
    Solo un minuto.
    Che tanto non avrebbe cambiato nulla, agendo o meno, il Winston non lo sapeva ancora. Che dell’agognata differenza che aveva sempre voluto portare nel loro mondo, un fato già disegnato da altre mani se ne infischiava.
    Solo un minuto. «quando ho voluto baciarti prima che fosse troppo tardi.» «sta’ zitto.» e non lo riusciva a capire cosa ci trovasse da sorridere. E non lo avrebbe mai compreso, per quale stupido motivo Marcus avesse trovato necessario incurvare la bocca su quelle parole.
    Non era troppo tardi – non poteva esserlo, non poteva permetterlo.
    Che lo fosse sempre stato, il battito tachicardico l’aveva compreso prima ancora del vicepreside stesso.
    Aveva scosso la testa, ingoiato bile ed acido giù per l’esofago. «manca poco, howl» resisti; ti porto a casa, ti porto da tua sorella, ma tu resisti. Era toccato a lui, allora, piegare gli angoli delle labbra. «dopo mi spieghi cos’è che intendevi, mh» che un’idea ce l’aveva sulla punta della lingua, e se solo non si fosse abbastanza ripreso dalla tragica condizione in cui entrambi avevano vertuto fino a qualche decina di minuti prima gliel’avrebbe accuratamente esplicata.
    Solo un minuto. «però sono contento di averlo -» aveva scosso la testa di nuovo, aveva chiuso gli occhi: non dirlo, Howl. Non farlo sembrare ciò che non è. «sono… sono tornati…» ed aveva alzato lo sguardo, l’intenso zaffiro a scrutare l’ambiente; le labbra strette in una linea piatta, la presa sul polso di Marcus a farsi più salda di quanto non fosse necessario.
    Erano tornati; Dakota e Jason, Barrow ed Amalie, Darden e Gwendolyn e Archibald e Aidan.
    Eppure, avevano spezzato il secondo sigillo – e qualsiasi cosa fosse, era abbastanza per Mitchell da non riuscire a gioire quanto avrebbe desiderato del rientro a casa dei viaggiatori.
    Mancava Will, mancava sua cugina.
    Aveva creduto che nel momento in cui li avrebbero riportati indietro, la situazione si sarebbe sistemata – non magicamente, non di punto in bianco: aveva sperato, stupidamente, che le cose si sarebbero volte a loro favore. Non sembrava; non era quello, che il Winston intendeva per qualcosa che si metteva sulla giusta strada. «ce la fai ad alzarti?» e non aveva atteso risposta, perché la sua non era una domanda: aveva stretto il braccio alla vita dell’Howl, trascinandolo in piedi con sé. Urgente la voce, pressante il petto a rischiare d’esplodere; non era importante che avesse ripreso un po’ di forze, o che potesse camminare senza il suo ausilio – dovevano muoversi, e non sapeva nemmeno per dove. «anche io sono contento tu l’abbia fatto,» un sospiro appena, la bacchetta alzata a proiettare sortilegi scudo vicino ai ragazzi, più concentrato nel tentativo di proteggere quanto più possibile loro che attaccare gli esseri che erano spuntati assieme ai dispersi di due anni prima. «davvero
    Ed aveva sorriso, ancora.
    «marcus,»
    E non avrebbe dovuto, mai.

    Avrebbe dovuto, invece, dirgli che era dispiaciuto di essere stato così Mitchell Winston da non riuscire a ricambiare a dovere, da essere stato incapace di fargli capire cosa stesse provando.
    Ma come poteva dirglielo, che non aveva idea di ciò che gli passasse per la testa? Come, dirgli che fosse così fottutamente spaventato – che non era la guerra a farlo desiderare di sparire, né il sangue, né tantomeno la morte; ma i sentimenti, quelli che provava per lui e da più tempo di quanto avesse il coraggio di ammettere, a fargli venire voglia di scappare il più lontano possibile.
    Nel respiro tremulo, nella necessità di stringere le gambe più vicino al petto, si rispose che non ne aveva idea. Non richiuse gli occhi, solo perché così avrebbe avuto la risposta giusta – che una risposta giusta non c’era, e qualsiasi sarebbe andata bene. Non richiuse gli occhi, perché avrebbe fatto troppo male capirlo realmente in quel momento.
    Troppo tardi, sempre troppo tardi.
    Non richiuse gli occhi, perché se solo l’avesse fatto, se solo ne avesse avuto il coraggio e la forza, l’avrebbe rivisto – ma non voleva, e non era affatto forte.
    Come poteva cercare di fingere che fosse facile?
    Non poteva, non riusciva, a pensare di rivedere il corpo esanime di Marcus Howl stretto tra le proprie braccia. Gli era bastato, gli era fottutamente bastato, avvertirne l’assenza quella prima volta, ancor prima di incrociare gli occhi ormai vitrei – troppo chiari, troppo trasparenti, troppo e basta -, tenendo i propri fissi laddove solo fino ad un istante prima Richard Quinn non era riverso al suolo, la gola tagliata ed il petto immobile; cristo santo, perché Dick? perché anche lui non rispondeva alla voce dei compagni, perché anche lui non si muoveva tra le mani degli studenti che non accettavano la sua immobilità?
    Uno strappo, viscerale ed insensato, lo aveva fatto improvvisamente sentire come se qualcosa gli fosse stato risucchiato via con la forza: non se n’era accorto, d’essersi aggrappato alle emozioni che l’ex compagno di casata aveva lasciato fluire libere, probabilmente involontarie e prive d’alcun freno. Perché mai avrebbe dovuto, se erano così semplici da confondere con le proprie? Una sensazione terribile, qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile provare: vuoto come in quel preciso istante, cristallizzatosi nel tempo nonostante il mondo avesse ricominciato a muoversi tutt’intorno, Mitchell non ci si era mai sentito. Peggiore di quand’era morto: non lo sapeva, che era appena l’inizio.
    E gli era bastata la volta a seguire, quando chiamando il suo nome non gli rispose, dicendogli di chiudere quella fogna, che lo sentiva benissimo. E la terza, quando premendo le dita sul suo viso questo non diede cenno di avvertire il tocco, di esserne infastidito. E la quarta, e la quinta, e la sesta, quando distoglieva lo sguardo da lui per cercare altrove, e perdendo un battito di cuore tutte le volte – tutte le volte che lo alzava, la gola chiusa nel vedere il corpo di Jessalyn, di Stiles e di Jason, nel sentire le urla del Chipmunks senza doversi chiedere chi stesse stringendo tra le braccia, nel non riuscire a credere che stesi al suolo ci fossero i suoi studenti, nel trovare Will su un figlio esanime; tutte le volte che lo riabbassava, sperando che fosse tutta un’illusione.
    E la settima, l’ottava, la nona, la decima – quando ignorò l’ascesa di Seth e lo scambio con il Drago, quando chiuse gli occhi di Marcus, quando più calmo fece scivolare le dita tra i capelli dorati, quando lo strinse un po’ più forte per l’ultima volta.
    Non lo aveva mai fatto: non ne aveva mai avuto motivo ed occasione, ma lo aveva sempre voluto. Avrebbe dovuto dirglielo prima – che c’erano così vicini, che ce l’avevano quasi fatta, che gli sembrava d’aspettare da sempre quel momento.
    Un da sempre che, lo sapeva, quel mai più, oramai aveva amplificato in una maniera che non era certo avrebbe retto bene.
    Perché se nell’ordine non aveva trovato una soluzione agli ultimi minuti, nella ragione non riusciva a trovare se stesso.
    Razionalmente, Mitchell Trevor Winston avrebbe dovuto reagire in altro modo: l’aveva pianificato, l’aveva già deciso giorni prima di quel primo giugno. I caduti in battaglia erano eroi, le loro gesta sempre sarebbero rimaste scolpite nella memoria dei sopravvissuti, ed era tristemente pronto a vederne ad Hogwarts – era pronto ad essere uno di quelli, se proprio fosse stato necessario; a tagliarsi la gola in prima persona, se avesse significato finire quello scontro e portare indietro i dispersi. Troppo utopico, per i Mitchell di quel mondo, credere che non sarebbe stato versato del sangue innocente per renderlo utile alla causa: sapeva che una vittoria, per quanto mutilata, necessitasse dei suoi sacrifici. L’aveva vissuto sulla propria pelle, più e più volte; dubitava fortemente che ne sarebbero usciti tutti senza un vuoto nel petto, ed era certo che sarebbe stato tra i primi ad accusarne la botta – perché in ogni caso, anche se mai li avesse conosciuti, sarebbero stati in qualche modo una sua responsabilità.
    Era preparato a soffrire, ma sapeva anche sarebbe durato poco tempo: per un Bene più grande, si sarebbe detto, era giusto andasse così.
    Ma non andava via. Non andava via, ed oramai non sapeva più nemmeno da quanto tempo ci fosse; aveva perso il conto dei sospiri in cui si ripeteva dovesse essere facile tirare avanti, l’unica cosa che in quel momento lo teneva ancorato alla realtà.
    Al suolo. A quella scuola, a quel tutto. Non era coraggioso, Mitch, e tutta la sua audacia veniva dalla preparazione, anche questa fosse dell’ultimo momento; non sarebbe stata la prima volta che mollava tutto, e fuggiva – per pochi giorni, per anni interi: pause.
    Decidere di non farlo, per la prima volta in vita sua, era stata la cosa più facile tra tutte. Era stato tentato di farlo, quando, trascinandosi tra sangue e macerie, aveva stretto sua cugina a sé, quando era rimasto in disparte per lasciare a Will il tempo e lo spazio per la propria famiglia; era stato tentato, quando aveva visto Nicole stringersi al Sinclair, ed i dispersi riunirsi ad i propri cari, ed i popoli di altri tempi smarriti in un disastro che non avrebbe dovuto riguardarli; era stato tentato, quando aveva preso sua sorella per accertarsi che stesse bene, sapendo che era inutile chiederlo. Era stato tentato, quando era passato troppo tempo e si era costretto a piegarsi a terra e prendere di peso Scott – anche se quello non era il suo compito, anche se lasciami stare, cazzo, non mi toccare; solo per tirarlo su, solo per permettergli di tirare pugni a qualcosa che non fosse il terreno o se stesso, prima di lasciare che fossero Maeve e Dakota, o Connor, o chi per questi a portarlo via da quell’inferno. Era stato tentato quando aveva lasciato quel posto, incrociando lo sguardo spento di Phobos Campbell – gli aveva detto che se la sarebbero cavata, i ragazzi; che li avrebbe protetti a costo della propria vita. Ed erano morti prima che potesse accorgersene: Heather, Barrow, Sehyung, Jess, Erin, Stiles, Kamikaze, Eloide erano morti, e lui non aveva potuto fare nulla per frapporsi tra loro e la lama – che nemmeno lo sapeva, quanto familiare sarebbe parsa sulla propria pelle.
    Era stato tentato, ma farlo avrebbe significato che avesse accettato quel che era successo.
    Non se la sentiva.

    «ho fallito» sulle sponde di un Lago Nero tinto di rosso sangue, la voce del Winston poteva passare inascoltata e trascinata da un vento lugubre – non gliene sarebbe importato.
    Non aveva trovato nulla al quale appellarsi, quando aveva trovato le forze di rialzarsi e di cercare ancora: soltanto una bottiglia tenuta in uno scaffale, che nemmeno sapeva per quale motivo fosse finita nel suo ufficio – forse l’aveva sequestrata a qualche studente, forse ce l’aveva messa lui nel caso ne avesse avuto il bisogno per alleviare lo stress a fine giornata -, e che aveva ritenuto opportuno portare con sé fuori dalle mura. Alzò lo sguardo, puntandolo sull’acqua ma senza realmente vedere alcunché: c’era ancora qualcuno che ancora era restio ad andarsene, ma faticava a riconoscerne le facce dietro la voluta di fumo di sigaretta.
    Poteva passare inosservato, poteva non esserci nessuno a sentire le proprie parole; ma sapeva che così non fosse, e sapeva che William Barrow fosse lì al suo fianco. Per principio, e perché ne aveva fottutamente bisogno.
    Solo un minuto, non voleva trattenerlo lì.
    «ho fatto un pessimo lavoro, will. ho…» deglutì, stringendo tra le dita il collo della bottiglia ancora piena, immacolata. Avrebbe voluto stringerlo, avrebbe voluto scivolare sugli stupidi convenevoli che aspettava da un anno e mezzo – ma come poteva. Come poteva, se tra coloro che non aveva salvato c’era anche Barry – suo figlio. «non avrei dovuto permettere che tutto ciò accadesse»

    Solo un minuto, ti prego.
    Almeno tu, concedimelo.
    Light up, light up
    As if you have a choice
    Even if you cannot hear my voice
    I'll be right beside you dear
     
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