I promise you I will learn from all my mistakes

[post quest #9 | ft. murphy + kier + sincope]

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    IV. depression
    murphy
    skywalker

    è successo tutto troppo in fretta.
    così aveva risposto murphy quando gli occhi di jade l'avevano osservata alla ricerca di una spiegazione plausibile, un briciolo di logica impossibile da trovare.
    è successo tutto troppo in fretta.
    così aveva sussurrato murphy piegando il capo, incapace di incrociare lo sguardo con una lydia ancora incredula, divisa tra il sollievo dato dall'avere di nuovo jayson al proprio fianco e l'impossibilità di accettare che shot non sarebbe mai tornato.
    è successo tutto troppo in fretta era l'unica cosa che sentiva di poter dire, la skywalker, ma lo sapeva che si trattava di una bugia, una balla inventata su due piedi per non dover affrontare la realtà.
    che di tempo, murphy, ne aveva avuto fin troppo. il tempo di sentire la stretta attorno alle sue dita farsi più debole, quando ancora tenendo shot per mano avevano attraversato il tempo e lo spazio atterrando nella sala sotterranea: un attimo prima le stava sorridendo, solo un accenno sulle labbra piene, quel ce l'abbiamo fatta appena sussurrato all'orecchio, la certezza di avere di fronte un futuro da vivere insieme ─ dopo tutti quegli anni sprecati; quello dopo, il peso di chariton la trascinava a terra, improvvisamente troppo debole la geocineta per riuscire a sostenere entrambi.«alzati, shot, siamo--» arrivati. solo che avevano scambiato l'inizio dell'orrore credendolo la fine, la peggiore delle sconfitte per una solo apparente vittoria. e quello era stato il primo momento in cui murphy aveva desiderato essere morta, perché era così che improvvisamente si sentiva. spenta, svuotata, il petto schiacciato sotto il peso della cobsapevolezza; avrebbe dovuto essere abituata, alla morte.
    non era mehan tryhard, in mezzo al sangue lei aveva vissuto ogni giorno della sua vita.
    l'aveva provata sulla sua pelle, della sofferenza da volersi strappare il cuore dal petto, le ginocchia piantate nella terra umida di pioggia, mentre la sua famiglia moriva sotto un cielo privo di stelle: run, al, elijah. sapeva, la skywalker, che poteva capitare a chiunque, che ciascuno di loro in quella sala aveva perso qualcosa.
    e allora perché a lei sembrava di aver perso tutto?
    un pensiero che aveva fatto a posteriori, murphy, durante le infinite ore notturne in cui non era riuscita a chiudere occhio, il muso di pomelo poggiato sulla spalla e troppe lacrime incastrate tra le ciglia, a rifiutarsi di uscire. che in quel momento, mentre shot batteva le palpebre per l'ultima volta guardandola dritta negli occhi come a volerle chiedere perché?, murphy non era riuscita a pensare a nulla. tranne forse alle cose che non gli aveva mai detto, al mi dispiace non averlo capito prima rimastole bloccato sulla punta della lingua un centinaio di volte, a quanto fosse calda la sua pelle ogni volta che vi passava sopra le dita. a quanto sarebbe diventata fredda, ora che non c'era più un cuore pulsante a battere in quel petto.
    e aveva avuto tutto il tempo di scuotere il corpo di chariton con le forze che le rimanevano, tutto il tempo di posare le labbra sulle sue riponendo l'ultimo briciolo di speranza - di fede - in un miracolo già avvenuto, e che davvero credeva di poter ripetere una seconda volta. tutto il tempo, sollevando disperata lo sguardo per chiedere aiuto, di sentirsi soffocare quell'urlo nei polmoni, le pupille tanto dilatate da far pensare che quello fosse ormai il colore naturale dei suoi occhi: non era sangue del suo sangue quello a spargersi copioso sul pavimento, lambendo corpi martoriato e le ginocchia di quelli che, sconvolti, si erano ritrovati vivi loro malgrado; ma era comunque il sangue delle persone che aveva amato, murphy skywalker. che avrebbe amato sempre. quelli a cui non era mai riuscita a dirlo. quelli che fingevano di non volerselo sentir dire perché accettare l'amore dei genitori rovina la reputazione. quelli che aveva stretto in un abbraccio lasciando fosse quel contatto a parlare per lei.
    non era davvero la loro madre, murphy, ma barry, erin e jesse erano comunque i suoi figli.
    solo dei ragazzini, occhi troppo grandi e cuori a battere così rapidi da non riuscire a starci dietro. li aveva stretti a sé uno dopo l'altro, anche quando attraverso la pelle avvertiva i muscoli di obiwan irrigidirsi - così poco abituato, il cooper, ad un tocco gentile da non saper reagire in modo appropriato - e forse proprio allora aumentava la pressione; aveva combattuto al loro fianco, condiviso le stesse lacrime di erin mentre l'erba umida di pioggia e sangue della radura lambiva loro le caviglie. quelli ai quali aveva promesso di esserci sempre, qualunque cosa accada, solo per infrangere il proprio voto quando più avrebbe dovuto farne valere il senso.
    non era davvero sua sorella, murphy, ma stiles era comunque suo fratello.
    la sua anima gemella, che niente aveva a che fare con la versione romanzata dell'amore; due pazzi ritrovatisi per puro caso, uno scherzo del destino, sempre sulla stessa lunghezza d'onda, così perfetti uno per l'altra da non esserlo abbastanza. «se stessimo insieme io e te», gli aveva detto un giorno mentre - immersi per la centesima volta nella visione de 'la forza di uno' - mangiavano patatine e altre schifezze ignorando i mugugni di jayson sullo sfondo, «non avremmo più problemi. tutto sarebbe più facile, eh?» ed entrambi avevano sospirato, entrambi sapevano che era vero. E che non sarebbe mai accaduto, perché karma's a bitch, e le cose semplici in amore non le concedeva a nessuno.
    e tutti loro erano morti, prima ancora di poter dire addio, per quello il tempo gli era stato strappato. rimanevano i corpi, ed erano rimasti finché anche quell'ultima áncora di salvezza non era sfuggita loro dalle dita. vuoto sotto i polpastrelli, li dove fino ad un istante prima murphy aveva stretto la maglietta di shot incapace di lasciarla andare ─ incapace di lasciarlo andare.
    aveva cercato il volto di run tra la gente, murphy skywalker; e aveva cercato il volto di suo padre, trovandolo così vicino da non poter credere di non averlo visto prima. troppo occupata ad accettare la realtà, per poter reagire. se l'era immaginato così tante volte quel momento, l'istante esatto in cui li avrebbe rivisti e abbracciati, stretti a sé senza più lasciarli andare: che in fondo voleva solo quello, murphy ─ tornare a casa.
    ma non così.
    non a quel prezzo.
    non perdendo tutto, non per vedere i sopravvissuti lacerati nel profondo, forse rovinati per sempre.
    scott, amalie, mitchell, jeremy. i freaks. william e ake(keke).
    leia.
    e per quanto avrebbe voluto alzarsi e correre tra le braccia di sin affondando il volto nel suo petto, approfittando di quella stretta per sentire le proprie ossa scricchiolare, a darle la forza di alzarsi infine era stata kieran; perché era sua, figlia e responsabilità, e non toccava a nessun altro mostrarsi forte per lei. non toccava a nessun altro inghiottire le lacrime perché lei potesse piangere le sue ─ e poi finire a piangere insieme.
    «scusate devo.. devo togliermi un dubbio.» si schiarí la gola, murphy, muovendosi impercettibilmente sulla sedia di plastica per evitare di fare rumore; era rimasta in silenzio quasi tutto il tempo, da quando avevano preso posto ad uno dei tavolini più lontani dalla vetrina del Red velvet, certa in cuor suo che se avesse aperto bocca incrociando lo sguardo limpido di nicole o il sorriso mesto di sin le parole sarebbero morte in gola e li rimaste, soffocandola. l'aveva guardata con sospetto, persino rancore quando le braccia dell'idrocineta nel momento peggiore di erano avvolte attorno alla schiena di nicole, il volto del padre a sfiorare i capelli ramati; e l'aveva odiata - era stato così facile, sostituirla? - avviluppata in un bozzolo di dolore cosi intenso da non essere certa di poterlo sopportare.
    ma era durato un attimo.
    lei è nicole, le aveva detto sin, leggendo nella mente della figlia senza bisogno di alcun potere, la sorella di stiles.
    ed era bastato quello, per metterle addosso una stanchezza insopportabile, la realizzazione inevitabile di quanto appena accaduto; ed era bastato quello per attirare a sé nicole e chiudere il corpo esile in un abbraccio, come aveva già fatto con kieran e amalie. come avrebbe voluto fare con scott, ma incapace all'ultimo di anche solo di sfiorarlo.
    «ma tu sei con noi o hai sbagliato tavolo?» si era persa l'istante esatto in cui mgk aveva preso posto accanto a sin al loro tavolo, la mente decisamente altrove - stupido, stupido shot, ti odio come hai potuto, avevi 82ps cristo santo - e a dirla tutta il ragazzo aveva l'aspetto di un barbone, e murphy non sarebbe rimasta sorpresa se si fosse unito a loro per chiedere le elemosona o farsi offrire un pasticcino; era pronta a dargli tutti i suoi, rinunciando persino alla ciambella con la glassa e gli zuccherini che sin le aveva preso, e che la ventitrenne non era ancora riuscita a toccare. le ricordavano erin, quei dolci. le ricordavano certi pomeriggi passati al quartier generale con lei, jess e nathan, le mattine in cui da brava adulta badger li portava al luna park per passare del tempo ricordando per un istante cos'erano: ragazzini innocenti cui era stata negata la possibilità di una vita normale.
    «scusa, non ho niente contro di te, è solo che-» chiuse gli occhi, la skywalker, una fitta improvvisa a spaccarle in due il cranio, il battito accelerato del cuore come un eco fin dentro le orecchie. è solo che mi ricordi qualcuno. e fa male, così male che non riesco a respirare e vorrei solo che sparissi perché guardarti in faccia, chiunque tu sia, mi fa sentire in colpa. mi ricorda che sono una persona pessima, che avrei dovuto proteggere i miei bambini e non arrivare tardi solo per vederli morire «non ho soldi. ma se vuoi puoi mangiare il mio muffin.»
    okay?


    If I lose control, If I'm lying here, Will you take me home? Could you take care Of a broken soul?
    take me home - jesse glynne
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    questa è la storia di come (la mia vita è cambiata) rob voleva scrivere dell'incontro tra run e murphy dopo tanto tempo, metterci tutti i feels che la fanno dormire male di notte e piangere prima di andare a a letto da qualche giorno a questa parte, esprimere al meglio ciò che stanno provando lei e murphy, ma fa troppo male e quindi doveva chiudere il post prima possibile. xoxo
     
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    Kieran aveva passato troppo tempo in un’altra realtà perché riuscisse a sentirsi a casa tra quelle pareti, continuava a guardarsi intorno ripetendosi che conosceva quell posto senza riuscire a riconoscere davvero nulla. Forse perché, in fondo, sperava che quello fosse solo un sogno. Uno di quelli che la facevano rigirare nel letto e sudare freddo, che la tenevano sveglia tutta la notte perché aveva troppa paura di addormentarsi e immergersi di nuovo in quel tormento. Le bastava chiudere gli occhi per rivedere l'orrore, per sentire il sangue dei suoi amici a bagnarle le dita – ormai ci viveva in quell’incubo, le immagini a perseguitarla anche quando era sveglia.

    Kieran Sargent aveva messo fine a più vite di quante le piacesse ricordare. Certo, non era mai stata sua intenzione spingersi fino a quel punto, ma non riusciva a impedirsi di prolungare quell’abbraccio, o di spingere la lama un po’ più a fondo. Non aveva mai pensato che tutto il sangue e la morte che si era lasciata dietro un giorno sarebbe tornato a prendersi ciò che gli spettava. Solo, non in quel modo.
    Barry.
    Jess.
    Erin.
    Stiles.
    Callie.
    Tokyo.
    Suo padre.
    Com’era potuto succedere. Cos’era andato storto? Ricordava il portale e il sorriso stanco a curvare le labbra della Sargent, aveva speso qualche istante ad osservare i suoi amici chiedendosi cos’avrebbero trovato dall’altra parte. Era un’ottimista, lei, voleva credere che sarebbero tornati a casa. «insieme?» aveva stretto la mano di Murphy, trovando infine il coraggio di attraversare la barriera che la separava dal suo tempo. Lo spettacolo che l’accolse non era quello che si aspettava, ma nemmeno ebbe il tempo di registrarlo. Vide il sangue, troppo sangue, corpi a contorcersi sul pavimento.
    Cos’era andato storto? Lo sguardo rimbalzava da una figura all’altra, senza sapere bene cosa fare, come aiutarli. Si sentiva persa e inutile, la stessa ragazzina che un anno prima non aveva potuto impedire a coloro che venivano dall’altro universo di morire. Avrebbe fatto meglio, quella volta, se l’era promesso. «mur-» si giro verso i genitori sperando che avessero una risposta per lei, immobilizzandosi nel vedere Shot cadere a terra «cosa- cosa succede?» non ci pensò due volte prima di affiancarsi a Murphy, gli occhi a saettare da una parte all’altra per trovare la ferita – cos’avrebbe potuto essere, se no? La Sargent cercò una, due, tre volte quella maledetta macchia cremisi senza riuscirci. «papà?» era così impegnata a fermare l’emorragia che non si era accorta che l’uomo aveva smesso di muoversi, di respirare.
    No, no- cosa stavano sbagliando. C’era qualcosa che non andava, dovevano solo capire cosa. Alzò gli occhi sulla Skywalker per cercare una risposta, una qualsiasi, sapendo che lei l’avrebbe avuta. Ciò che trovò nello sguardo della madre non era quello che si era aspettata: aveva paura. La Sargent scosse la testa, non l’avrebbe abbandonato così, erano una famiglia. Ci provò fino alla fine, a salvare suo padre, premette le mani sulla sua cassa toracica fino a che i muscoli non iniziarono a farle male e la vista ad annebbiarsi «non possiamo lasciarlo così» ci aveva messo troppo a trovarlo, a guadagnarsi quella seconda opportunità, non poteva finire così.
    Sapete, la relazione di Kieran e Shot non era partita nel migliore dei modi. La ragazzina era abituata a conquistare l’affetto di tutti coloro che la circondavano, ma con il Deadman non era successo subito. Non si fidava di lei, si era così convinto che quella storia del futuro fosse una presa in giro e nessuna parola della Sargent gli avrebbe fatto cambiare idea. Perché, alla fine, le parole non erano servite con loro due.
    Non erano mai servite, neanche in quel momento.
    Strinse la mano di Shot anche quando questa smise di ricambiare la presa, sperando ingenuamente che se l’avesse sentita vicina sarebbe tornato da loro. Voleva solo dirgli che le sarebbe piaciuto avuto avere qualche anno in più con lui, ma che quelli che avevano passato insieme erano stati abbastanza per lei.
    Ne è valsa la pena? Abbandonare il mondo che conosceva per tornare indietro nel tempo, perdere Tupp e la sua famiglia, senza nessuna garanzia di rivederli?
    Tremava, Kieran, scossa dai singhiozzi che non riusciva a placare, e per quanto volesse rimanere lì con Murphy doveva assicurarsi che gli altri stessero bene. Si spinse in piedi, il dorso della manica ad asciugare le lacrime che continuavano a cadere, aveva bisogno di trovare i suoi amici. Aggrottò le sopracciglia quando guardandosi intorno non trovò quasi nessuno, domandandosi dove fossero andati – perché non c’era nessuno? Mosse un passo avanti verso Scott, l’unico volto amico che riconosceva tra tutti, commettendo l’errore di guardare dove stava mettendo i piedi.
    Inciampò. Abbassò lo sguardo, e nel riconoscere il corpo sotto di lei l’ennesimo singhiozzo le si incastrò in gola. Fece lo sbaglio di spostare la sua attenzione intorno alla stanza, trovando gli amici che aveva creduto dispersi fino a quel momento.
    Barry.
    Jess.
    Erin.
    Stiles.
    Callie.
    Tokyo.
    Non riusciva più a respirare, Kieran, nemmeno ci fece caso a quando Abbadon la immobilizzò. Fu l’unica forza che le impedì di crollare in ginocchio, ormai troppo esausta per continuare a combattere. Che senso aveva, se tutti l’avevano lasciata sola?
    Ne è valsa la pena? Abbandonare il mondo che conosceva per tornare indietro nel tempo, perdere Tupp e la sua famiglia, senza nessuna garanzia di rivederli?
    No, non ne era valsa la pena. Il Fato era riuscito a piegare persino Kieran, ad annientare le poche speranze che ancora riservava per il futuro.
    Quale futuro voleva avere, se tutto ciò che le rimaneva erano cadaveri?
    Aveva sempre creduto che ci sarebbero sempre stati, che alla fine li avrebbe ritrovati e stretti tra le sue braccia, ma non aveva avuto quel lusso.
    Leia Skywalker non era partita per quello, non per essere presa per il culo in quel modo.
    No, a saperlo sarebbe morta dieci, cento, mille volte in quel futuro di merda. Non avrebbe mai accettato di buttare la sua vita se avesse saputo che quella sarebbe stata la fine. Si sarebbe stretta il poco che le rimaneva fino all’ultimo dei suoi preoci giorni, perché avrebbe significato che aveva ancora qualcosa. «non ricorderò un cazzo, ma non potrei mai dimenticare che -»
    Poteva dire lo stesso, Kieran?
    Almeno aveva la sua famiglia, almeno le era rimasto qualcuno.
    Non voleva rimanere sola in quel mondo che non sentiva più come suo, nuovamente abbandonata a se stessa. Le Leia di quel mondo non erano mai state fortunate, avrebbero dovuto saperlo che, alla fine, al destino non si scappava.

    Non aveva idea di cosa ci facesse al Red Velvet, sapeva solo di non voler rimanere da sola. Non era abbastanza forte per affrontare se stessa, tutti i suoi pensieri ad affollarsi nella mente fino a farla impazzire – si conosceva abbastanza da sapere che si sarebbe incolpata per tutto, e al momento non era abbastanza forte da sopportarlo. Voleva…cosa voleva, esattamente? Non ne aveva idea, a malapena riusciva a ricordare qual era il suo nome. Non riusciva nemmeno ad entusiasmarsi per avere davanti Sinclair Hansen, che per quanto potesse essere famiglia non era l’uomo di cui aveva bisogno al momento. «scusate devo…devo togliermi un dubbio» sbatté pigra le ciglia, faticando persino a portare lo sguardo su Murphy. Non le interessava quello che aveva da dire, ma era meglio di essere lasciata ai suoi pensieri, «ma tu sei con noi o hai sbagliato tavolo?» ah, il barbone che si era seduto vicino a loro. La mimetica aveva dato per scontato che fosse un altro dei suoi parenti, miracolosamente trovato da Sin, data la sua storia con i 2043 non le sembrava neanche così strano «sei nostro parente?» domandò atona, senza il consueto entusiasmo che precedeva quella domanda. Una volta sarebbe stata entusiasta di trovare altri parenti, ora significava solo l’ennesima persona che poteva perdere. «scusa, non ho niente contro di te, è solo che-» c’era qualcosa in lui che non le quadrava, più osservava il suo volto e la sua corporatura esile e più le pareva simile a Barry. Come non avrebbe potuto, con i suoi capelli platino e quelle occhiaie da tossico? Non riuscì a impedire alla prima lacrima di cadere sulla guancia, e nemmeno si preoccupò di nascondere il fiume che ne seguì – era tutto un po’ troppo, avrebbe voluto dire, ma non era sicura di potersi affidare alla sua voce. «non ho soldi. ma se vuoi puoi mangiare il mio muffin» la Sargent imitò la madre nello spingere la sua ciambella verso il ragazzo, il quale di sicuro ne aveva più bisogno di lei. Non che avesse fame, poi, dubitava che ne avrebbe avuta per molto tempo. «non…non vorrei essere rude» riuscì finalmente a trovare un minimo di contegno, asciugandosi le lacrime con il fazzoletto che le aveva dato Nicole «ma voi due da quando vi frequentate?» giusto perché chiedere cosa ci facesse lì la Rivera sembrava scortese. Ancora una volta si chiese cosa ci stesse facendo lì, forse sperava solo di morire soffocata con un muffin. Un bel modo di raggiungere gli altri, dopotutto.
    kieran sargent
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    No matter where you go, I'll find you
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    and I loved and I lost you, and it hurts like hell.
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    Rilassò finalmente le spalle Nicole, per la prima dannata volta da quando avevano messo piede a Hogwarts, e ancora prima, al Ministero. Rilassò le spalle e sorrise: un sorriso stanco, provato dalla stanchezza e dalla paura che ancora faticava a scivolare via del tutto, quasi non volesse arrendersi a credere che fosse davvero finita. Ma era finita, e lo dicevano le voci a echeggiare sempre più forti tra le pareti della stanza senza più una traccia di sangue a macchiarla, l'aria che ormai sapeva più di sollievo che di tensione, la gioia di chi aveva aspettato così tanto di potersi riabbracciare da aver, ad un certo punto, persino smesso di sperare. Ma erano lì, viaggiatori, soccorritori e stranieri, erano tutti lì, ed erano vivi. Si voltò ad osservare Stiles e, per un breve istante, le proprie iridi incontrarono quelle più scure dello Stilinski, e allora Nicole seppe che niente di tutto quello poteva essere reale.
    Ma scelse di non badarci.
    Perché reale o illusorio, vittoria o sconfitta, vita o morte, non erano più importanti. Tutto ciò che contava era che suo fratello fosse lì, in piedi, a sorriderle a sua volta come aveva sempre fatto. E c'era un che di tragico e comico insieme ad osservarlo, col sangue a macchiargli i vestiti, con quelle del tutto assurde ed improvvisate bende a coprirgli le ferite, con l'espressione un po' sofferente eppure in qualche modo impaziente, perché certo non era di quanto avesse fatto male che avrebbero parlato una volta fuori di lì, ma di come in qualche modo persino quel dolore sembrasse un prezzo giusto da pagare per tutto ciò che aveva portato con sé. Forse gli avrebbe chiesto di Jeremy e lui si sarebbe perso in qualche commento alla Stiles, o magari sarebbe stato lui a chiederle prima di Sinclair, e lei non avrebbe saputo far altro che piegare le labbra in un sorriso un po' imbarazzato. O, invece, sarebbero tornati a casa tutti assieme, loro due, Sinclair, Jeremy, Marcus e persino Mitch, e non avrebbero avuto bisogno di farsi domande. Sarebbero rimasti in piedi tutta la notte, Nicole l'avrebbe implorato di scambiare il proprio minccino col suo archeops, gli avrebbe persino concesso uno shot: uno solo, però.
    E le cose sarebbero andate bene.
    Bastava continuare a fissare quegli occhi a tratti lievemente sfocati, credere che fossero veri, pensare a ciò che sarebbe venuto dopo, a Sinclair, a Jeremy, a Stiles. E le cose sarebbero andate bene.

    Per questo le braccia dell'Hansen, a strapparla dalla confortante immobilità in cui rifugiarsi era stato semplice, le fecero quasi più male delle macerie a schiacciare ogni singola parte del suo corpo sino a farle tastare, per qualche secondo, ora, o infinità, la morte. La stessa che, alla fine, non era toccata a lei, sebbene - dio - quanto avrebbe preferito che fosse stato così.
    Sarebbe stato più semplice morire, non sentire più niente, non muovere neppure un muscolo nel terrore di infrangere per sempre quell'attimo in cui ancora tutto era al suo posto e Stiles stava bene, Marcus stava bene, e presto sarebbero tornati a casa insieme.
    Ma non era così che aveva immaginato di riabbracciare Sinclair. Non con la consapevolezza di non poter mai più rivedere il sorriso di Jess tra i corridoi della Resistenza, non con quella di non poter mai più ringraziare Erin per averle salvato la vita, non sapendo di aver perso il suo migliore amico - e Stiles, suo fratello, che le somigliava così dannatamente, che riusciva sempre a farla sentire un po' meno sbagliata, che sapeva abbracciarla così forte da farle dimenticare tutto il resto.
    Eppure si lasciò stringere comunque, perché era tutto ciò che le restava, perché non riusciva neppure ad immaginare di poter far altro senza spezzarsi: neanche piangere, neanche dire qualcosa, qualsiasi cosa, neanche respirare. Non si voltò neanche, perché incontrare lo sguardo di Sin avrebbe significato leggervi la conferma di una cosa che in fondo sapeva già: che avevano perso, ed avevano perso troppo per poter fingere che non fosse così. Sollevò soltanto le braccia, quel tanto che le riuscì di muoversi, per poter posare le mani su quelle dell'idrocineta e lasciarle lì, a incastrare le dita fra quelle altrui, a stringere tanto forte da far diventare bianche le nocche. Poggiò la schiena al petto altrui, socchiuse le palpebre, e per qualche breve istante riuscì a rievocare l'immagine delle iridi tremolanti di Stiles. Qualche breve istante, prima che il petto riprendesse a farle male sino a mozzarle il fiato, le tempie a pulsare tanto forte da impedirle persino di pensare. Perché Stiles era morto, e Marcus era morto, e Jessalyn, ed Erin e troppi altri ancora, e neanche chiudere gli occhi avrebbe potuto cancellarlo, mai più.
    E, nei giorni successivi a quello, se lo sarebbe chiesto più e più volte cosa fosse stato, alla fine, a spingerla a riaprire gli occhi su quella stanza che sapeva solo di morte e di perdita, a respingere quel dolore che senso non ne avrebbe mai acquisito - nemmeno dopo - a voltarsi finalmente verso Sinclair e poggiare la fronte sulla sua, sfiorargli una guancia con il palmo e mormorare «andrà tutto bene» senza neanche crederci.

    Riusciva a malapena a ricordarlo, come fosse stato un sogno o la memoria di un'altra persona, ed in fondo poteva quasi dirsi davvero così: era stato qualcos'altro a muoverla, non certo la propria coscienza.
    Ed era assurdo a pensarci, perché alla possibilità che qualcuno morisse in quella dannata missione ci aveva pensato, così come aveva persino messo in conto la possibilità di perdere Stiles, Marcus o Sylvester. Non lo si fa sempre, alla fine? Eppure, per quanto confortante sarebbe stato credere che prepararsi psicologicamente ad una tale eventualità potesse realmente essere d'aiuto, che calcolare i rischi avrebbe poi potuto aiutarla a superare l'eventuale perdita, la verità era che preparata a quello Nicole non lo sarebbe mai stata. Perché aveva appena ritrovato Marcus, ed aveva appena ricominciato a credere all'idea di poter avere una famiglia assieme a Stiles, e l'ipotesi di poter perdere ogni cosa sembrava così improbabile, così lontana.
    Soltanto nelle sue peggiori prospettive, le più impensabili e catastrofiche, l'aveva sfiorata l'immagine di una sé stessa talmente sopraffatta dal dolore da essere sul punto di morirne perché, per quanto ormai ne avesse fatto un'abitudine del percepire ogni emozione per cento volte amplificata, già lo sapeva Nicole che quello sarebbe potuto essere tremendamente peggiore.
    Quel che non sapeva, la psicomaga, era che invece sarebbe accaduto esattamente l'opposto, che allo schioccare delle dita di Seth non avrebbe sentito troppo: non avrebbe sentito niente. Che a quel niente Nicole aveva sempre associato la pace, la quiete dopo anni di caos, ed invece ora avrebbe così disperatamente voluto riavere indietro ogni cosa; avrebbe accettato d'impazzire, la testa incasinata da tristezza e gioia e speranza e sofferenza talmente forti da non saperli più distinguere, da non riuscire a riconoscere quali di quelle emozioni fossero le proprie e quali quelle altrui; tutto, pur di poter rivedere Stiles e dirgli che gli voleva bene, terribilmente, anche se non era riuscita a confessarglielo neppure una volta quando ancora avrebbe potuto.
    Ma non avrebbe mai più potuto farlo, e forse questo pensiero alla fine le aveva dato il coraggio di mostrarsi forte, almeno sino a che ne avrebbe avuto le facoltà. Erano solo frammenti quelli che riusciva a riportare alla mente, ma sapeva d'aver abbracciato Jeremy ad un certo punto, d'aver provato con tutta sé stessa ad infondergli quel sollievo che non era neppure certa di poter davvero ricreare, d'avergli detto «siamo ancora una famiglia, lo saremo sempre» e poi d'aver incrociato lo sguardo di Mitchell, di non essere stata capace di proferir parola, d'aver semplicemente annuito perché entrambi lo sapevano, sapevano quanto avevano perso. E ancora Syl, perché tutto quell'orrore era troppo per uno come lui, perché meritava di sapere che non era solo, che sino allo stremo delle proprie forze lei gli sarebbe rimasta affianco. E Scott, che era così giovane, così giovane per dover già conoscere la perdita; Scott che aveva avvicinato con cautela nel timore d'essere inopportuna, ma a cui aveva infine poggiato una mano sulla spalla per provare a smorzare almeno un po' quel suo dolore che era talmente simile al proprio da farle paura.
    E non lo sapeva, infine, com'è che avesse lasciato quel posto. Semplicemente, si era ritrovata fuori di lì, continuando a ripetere a sé stessa e agli altri che era tutto okay, che prima o poi lo sarebbe stato, e non una lacrima aveva lasciato le sue ciglia, non un solo cenno di cedimento.
    Era come anestetizzata, assente, incapace di realizzare che le persone che amava - aveva amato? - fosse andate davvero, per sempre. Forse ad un certo punto sarebbe riuscita a lasciarle andare, o forse avrebbe sempre vissuto con quel qualcosa d'irrealizzato a stringerle la gola, un nodo tanto stretto da renderle difficile anche solo deglutire.

    «scusate devo.. devo togliermi un dubbio.» s'accorse solo in quell'istante, Nicole, d'aver perso la cognizione della propria esistenza per così tanto tempo da risultare con tutta probabilità imbarazzante. Non osò spostare il capo per osservare Murphy. Quando Sin l'aveva presentata come sua figlia, la psicomaga aveva scelto di non fare domande: non era il momento, né la circostanza giusta. «è la tua famiglia, io non» c'entro nulla, avrebbe voluto aggiungere, ma non ebbe la forza di terminare la frase perché una nuova consapevolezza giunse a mozzarle la parola: lei, una famiglia, non ce l'aveva più. Di nuovo. «hanno bisogno di te» e non di me, come Scott aveva bisogno di Erin e non di una sconosciuta, come Mitch di Marcus, come Jeremy di Stiles.
    Eppure, alla fine, si era ritrovata assieme a loro lo stesso.
    Ed anche se quel bacio tra lei e Sin ora sembrava distante anni luce, anche se provare ancora qualcosa era diventato così dannatamente difficile, non riusciva a non percepire un leggero e piacevole calore all'altezza del petto al solo sbirciarlo con la coda d'un occhio, perché averlo vicino, condividere quel momento con lui, con la sua famiglia persino, le dava l'illusione di poter ancora essere parte di qualcosa.
    «ma tu sei con noi o hai sbagliato tavolo?» avrebbe sorriso se ne fosse stata in grado, invece si limitò a spostare lo sguardo su mgk, ad incrociare i suoi occhi e chiedersi se non fosse stato eccessivamente ottimistico da parte sua pensare di potergli davvero essere d'aiuto quando a malapena riusciva a reggersi in piedi ella stessa. E, nel soffermarsi a pensare a cosa avrebbero fatto dopo, nell'avvertire una certa nausea al pensiero che ci sarebbe davvero stato un dopo, neanche si rese conto d'aver lasciato scorrere troppo tempo prima di dire qualcosa per mgk, che in fondo era anche una sua responsabilità.
    Si riscosse da quello stato di torpore - in cui era caduta praticamente da quando avevano messo piede al Red Velvet - solo quando s'accorse di Kieran in lacrime. Ci rifletté giusto un istante, indecisa tra l'evitare di intromettersi e il rispondere al proprio istintivo slancio empatico, per poi optare per una via di mezzo: le allungò, discreta, un fazzoletto, incrociando il suo sguardo e provando ancora una volta ad usare quel che restava del proprio potere per alleviare almeno un po' la sua pena.
    «non ho soldi. ma se vuoi puoi mangiare il mio muffin.» ed a quel punto riuscì ad abbozzare un sorriso davvero, correndo con lo sguardo su Sin con l'aria da proud mama. E poi si ricordò che Stiles non avrebbe mai avuto l'occasione di conoscere mgk oltre le mura di quel maledetto sotterraneo, e di nuovo tornò a rabbuiarsi, prendendo a mettere in fila i pasticcini dinanzi a sé con estrema precisione.
    «ma voi due da quando vi frequentate?» sollevò il capo con uno scatto, cercando silenziosamente aiuto nell'Hansen, se possibile ancor più incapace del solito a mettere in fila due parole di senso compiuto.
    «no, è...» perché, davvero si stavano frequentando? Era il caso di farlo presente così, specie alla luce della perdita di Murphy? «...siamo amici, solo amici» che non voleva assomigliare ad un tentativo di friendzone, ma solo ad un accenno di delicatezza - accenno di delicatezza che, a scanso di equivoci, era il caso di far presente all'Hansen. Gli poggiò una mano sulla gamba, facendo leggermente pressione coi polpastrelli nella speranza che cogliesse l'hint, per poi tornare a posare lo sguardo sulla Sargent prima, su mgk dopo.
    «e lui è» eh, com'è che si chiamava?
    «marcellius?»
    «genoveffo»
    «kaka» «kaka»
    Ed ecco, non avrebbe saputo spiegare perché, ma tra tutte le cose che aveva detto e alle quali aveva pensato, fu proprio nel pronunciare quell'ultimo nome assieme a Sin che, alla fine, scoppiò a ridere ed a piangere insieme.
    Anche a Stiles quel nome avrebbe fatto ridere.
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    Non sarebbe crollato, non davanti a loro.
    Sarebbe stato lui a doverli sostenere, non il contrario.
    Ancora un po’, resisti ancora un po’.
    Strinse i pugni sotto al tavolo, con la vana speranza che le unghie a scavare nella pelle potessero farlo concentrare su qualcos’altro. Sempre meglio il dolore fisico, che quello che gli opprimeva il petto. Si costrinse a sbattere le palpebre una, due volte per scacciare la patina liquida che gli impediva di focalizzare la figura davanti a lui – non sarebbe crollato, non davanti a loro. Un mantra che continuava a ripetersi come un disco rotto, speranzoso che prima o poi il suo corpo avrebbe incominciato a dargli retta. Non aveva nemmeno idea di cosa ci facesse seduto a quel tavolo, aveva creduto che una distrazione gli avrebbe fatto bene, ma si era sbagliato: voleva solo scomparire, l’idrocineta. «scusate devo…devo togliermi un dubbio» si costrinse a spostare gli occhi su Murphy, odiandosi per non riuscire ad essere entusiasta del ritrovamento di sua figlia come avrebbe dovuto. Avrebbe voluto che fosse accaduto in circostanze diverse, che il prezzo da pagare non fosse stato il sangue della sua famiglia. Sinclair Hansen non era estraneo alla solitudine, né tantomeno a dolore, e prima di lui Sebastian Quinn era venuto ai patti col fatto che la solitudine sarebbe stata la sua unica compagna negli anni a venire. Un volto nuovo, una vita priva di legami. Non aveva messo in conto che qualcosa sarebbe andato storto, che alle volte le persone erano capaci di insediarsi nelle crepe più nascoste del suo essere. Avrebbe voluto dire a Murphy così tante cose, ma le parole continuavano a vivere solo nella sua mente, senza riuscire a trovare una via d’uscita. Ci aveva provato Sinclair, ma ogni sillaba sembrava così sbagliata, vuota e senza alcuna risonanza, cosa si poteva dire a una figlia che aveva perso tutto? Quale consolazione avrebbe portato un uomo che era stato nella sua vita solo per una manciata di anni? Così aveva taciuto, l’Hansen, limitandosi ad esserci, nello stringerla tra le braccia un po’ più forte quando i singhiozzi divenivano insopportabili. Avrebbe voluto unirsi a lei, se solo l’uomo avesse avuto ancora la facoltà di provare qualcosa – aveva invece preferito seppellire tutto quel dolore e risentimento in un antro della sua mente, dove potesse dimenticarsene per tutto il tempo che sarebbe servito a respirare un’altra volta. Non sapeva quanto ci sarebbe voluto per guarire, ma sapeva che ce l’aveva fatta una volta, poteva riuscirci ancora, non importava quanto facesse male. «scusate devo...devo togliermi un dubbio.» anche Sin aveva molti dubbi, era proprio in queste situazioni che si rendeva conto di quanto Nicole fosse simile a lui, così confusa e bionda. «ma voi due da quando vi frequentate?» l’idrocineta assottigliò lo sguardo in direzione di Murphy, contemplando tutti i diversi modi in cui avrebbe potuto tapparle la bocca, sapeva che avrebbe potuto fare finta di non aver sentito niente ma percepiva dei vibes molto confusi da Nicole - era troppo tardi per andare a comprare le sigarette? «...siamo amici, solo amici» «......e lui lo abbiamo trovato» non gli pareva il caso di dirle che fosse suo fratello, anche perché la linea temporale è molto confusa. I tried ciao.
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3 replies since 19/6/2019, 18:20   301 views
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