lost in the moment

[post quest #09 - stamberga ] freaks

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    Meara aveva già perso tutto una volta. Un padre, un fratello.
    Un appoggio, il suo stesso sangue che aveva promesso di proteggere dal mondo.
    Aveva avuto una seconda occasione per mettere le cose a posto, ma l’unico modo in cui l’avrebbe fatto sarebbe stato affianco ai suoi fratelli. Non avrebbe mai potuto abbandonarli in quel futuro incerto, sapendo che sarebbero morti lontano da lei, quella volta avrebbero ricominciato insieme. Si trattava di un salto nel vuoto, ma almeno sarebbe stato con loro.

    Erano troppe, infinite quelle scale, ma Sersha aveva affrontato di peggio. Due anni nel far west? Cristo, avrebbe persino corso fino alla fine se avesse significato non dover mettere mai più piede in quella cittadina di merda. Quando iniziò a sentire l’eco di voci in lontananza, si precipitò davvero giù da quegli scalini di pietra, incurante dei piedi a scivolare a ogni passo affrettato e le ferite a sanguinare a ogni movimento – aveva percepito qualcosa, lei quelle voci le conosceva fin troppo bene. Le avrebbe riconosciute ovunque, non importava che fosse passato un anno. Sbucò in una stanza tonda, non dissimile da quella appena lasciata, cercando frenetica suo fratello; trattenne il fiato mentre gli occhi si posavano sui volti dei presenti, aveva paura che se si fosse mossa le sarebbe crollata la terra da sotto i piedi, non poteva essere così semplice. Quando mosse un passo in avanti e nulla mutò attorno a lei, realizzò che, vaffanculo, per una volta che la vita non stava tentando di fotterla si sarebbe presa quello che meritava. «BARRULY!» abbandonò ogni proposito di farlo a pezzi con le sue stesse mani quando il biondo si voltò verso i Freaks, per quanto lo odiasse per averli abbandonati il bisogno di stringerlo tra le braccia era più forte dei suoi propositi omicidi. La Kavinsky non amava il contatto fisico, ma per lui avrebbe fatto un’eccezione, qualsiasi cosa, purché non la lasciasse più. «la prossima volta dobbiamo legarti a sandy» eh, magari così non si sarebbe buttato tra le braccia della patata. Era più facile accoglierlo con la prima minchiata che le veniva in mente piuttosto con un qualsiasi mi sei mancato, quello, lo Skylinski lo sapeva bene che non era lo stile di Sersha. Sciolse la presa solo quando sentì lo sguardo dei Freaks bruciare sulla nuca, non prima di aver alzato loro un meritato dito medio, concedendosi quegli istanti di calma per guardarsi intorno: i suoi genitori erano lì, persino quei decerebrati dei vippini erano sopravvissuti (shook, non ci sperava nessuno). Fosse stata una Meara qualsiasi, non ci avrebbe pensato due volte prima di avvicinarsi a loro, ma Sersha? Aveva già sacrificato troppi parti di sé per le persone sbagliate, aveva il terrore di farlo ancora con loro, che non ne valesse la pena – e se fossero stati come tutti gli altri? Scosse la testa, preferendo riportare la sua attenzione sul fratello, c’erano tante cose che voleva raccontargli, come avevano usato delle pannocchie per sostituire la sua testa di cazzo per tutto quel tempo, come i Freaks avessero cantato sul palco un po’ malconcio di Bodie per quella giornata del broccolo che aveva trovato tanto assurda quando esilarante. Avrebbe voluto dirgli tante cose, Sersha, ma il loro tempo era scaduto. Per sempre.

    Erano passati diciassette anni prima che conoscesse il significato della parola famiglia. Sersha non era ciò che Meara aveva sperato di essere, una creatura di gran lunga più tagliente e velenosa, che mai aveva aveva conosciuto il tocco amorevole di una famiglia. Sersha Kavinsky era nata sola al mondo, abbandonata in una cesta sulla porta di un orfanotrofio qualunque, lo scarto di un qualcuno che non aveva avuto posto per lei. Si era sempre sentita così, la serpeverde, sempre fuori posto, la bambina alla quale nessuno si sarebbe mai seduto affianco. Persino quando finalmente aveva trovato una famiglia era stata trattata come una merce e non come una figlia. I Freaks erano la prima vera famiglia che avesse mai conosciuto, non importava che non fossero legati dal sangue o che ognuno di loro fosse un po’ più rotto dell’altro, Sersha non pretendeva tanto. Qualcuno che la facesse sentire parte di qualcosa, che non la buttasse in uno scantinato per poi buttare la chiave, una spalla su cui poggiare la testa quando era stanca. I Freaks significavano più di quanto lasciasse intendere, troppo impegnata a fingere di essere troppo superiore a quel mondo per fermarsi e ringraziarli per esserci. Non chiedeva tanto, non la carità di Sandy né gli sguardi compassionevoli di BJ, a Sersha bastava che ci fossero. Poi, qualcosa era andato storto.
    Non l’aveva presto, capite? Erano sopravvissuti ad anni di abuso, di droghe iniettate nelle vene, di quel tedio che aveva finito per lasciarli scavati e vuoti. Erano sopravvissuti a una maledetta pestilenza, erano scappati da una realtà che non poteva garantire loro un futuro solo per anvere una seconda possibilità. E l’avevano avuta, qualche misero anno.
    Avrebbero dovuto avere una vita intera.
    Sersha Kavinsky era immobile, sorda ai pianti attorno a lei e cieca al sangue che bagnava la pietra. Trovava difficile persino respirare, troppo concentrata a fissare il punto dove il corpo di Barrow si trovava per ricordarsi di compiere funzioni così frivole. Non le importava nemmeno più, il suo cuore avrebbe potuto smettere di pompare sangue e ne sarebbe stata grata – voleva solo che finisse, quel dolore a lacerarle il petto, quell’esistenza che non aveva senso senza una parte di sé. Non era così che sarebbe dovuta andare, anche dopo un anno e mezzo passato a Bodie aveva sempre creduto che avrebbe ritrovato gli Altri - una speranza ingenua, futile, che aveva custodito nel suo profondo senza mai condividerla ad alta voce. E la sua parte più cinica, quella a cui si era aggrappata per diciannove anni, aveva avuto ragione a sussurrarle maligna nell’orecchio che sarebbe morta prima che sarebbe successo. Ci rivedremo all’Inferno, non era quello che aveva sempre detto allo Skylinski? Non ebbe la forza di sgusciare via dalle braccia di Sunday quando la avvolsero, cercando disperato un appiglio in quel mondo che stava andando a puttane troppo velocemente. Non era la sorella che si meritava, non era Meara, e non iniziò in quel momento ad esserlo. Si rifiutò di stringere il fratello a sé, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene, perché nulla stava andando bene: avevano perso Barry, avevano fottutamente perso qualcuno ancora una volta. A cosa era servito tornare indietro per salvare il mondo, se nemmeno riuscivano a prendersi cura gli uni degli altri? Aveva fallito, Meara. Cos’aveva detto, che almeno sarebbe stata con loro? Che avrebbero ricominciato insieme? Nulla aveva un cazzo di senso senza Barry a completare i due fratelli Barrow, avevano davvero aspettato tutto quel tempo solo perché finisse in quel modo? Era sbagliato, così fottutamente ingiusto che Sersha si rifiutava di accettarlo.
    Prendi me, supplicava il Fato, un’ultima preghiera sperando che non fosse troppo tardi. Eppure, era sempre troppo tardi, per chi di tempo non ne aveva mai avuto a sufficienza. Per chi, come loro, stava lottando con le unghie e i denti pur di guadagnarsi ancora qualche minuto. Voleva solo salutarlo un’ultima volta, bearsi di quel calore che ancora emanava, perché quando anche quello sarebbe scemato avrebbe significato che, di suo fratello, non c’era più traccia.
    Era morto davvero. Non l’aveva ancora compreso, Sersha, impegnata a metabolizzare quegli ultimi istanti. E quando finalmente lo realizzò, non le importò più di mantenere la facciata impassibile che l’aveva protetta tutti quegli anni, la morte del fratello aveva distrutto quell’armatura, non che ormai servisse più a qualcosa. Fu solo quando sentì una goccia salata bagnare beffarda le labbra che si accorse di stare piangendo, non aveva idea di quanto tempo fosse passato, né da quanto Sunday non fosse più l’unica presenza a stringerla. Sentiva il panico a soffocarla e quella fottuta paura a impedirle di pensare razionalmente, ma non ci fece caso, in quel momento aveva solo bisogno di qualcuno che la tenesse in piedi, perché senza un supporto era certa che sarebbe andata a pezzi. «non sarebbe dovuta andare così» la voce uscì in un soffio, spezzata dai singhiozzi che le scuotevano il petto, non sapeva nemmeno se nessuno la stesse ascoltando. Non che avesse importanza, quelle parole non erano per nessuno di loro – nessuno che fosse lì «credevo di avere più tempo» il problema era quello, per le Meara di quel mondo, credevano sempre di avere più tempo di quello che era loro concesso. Scosse la testa, staccando finalmente lo sguardo da dove era stato suo fratello, c’erano tante cose che avrebbe voluto raccontargli, come avevano usato delle pannocchie per sostituire la sua testa di cazzo per tutto quel tempo, come i Freaks avessero cantato sul palco un po’ malconcio di Bodie per quella giornata del broccolo che aveva trovato tanto assurda quando esilarante. Avrebbe voluto dirgli tante cose, Sersha, ma il loro tempo era scaduto. Per sempre.

    In quel momento, la Kavinsky avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sentire. Era stata privata da ogni emozione e persino le lacrime l’avevano abbandonata, quello che le era rimasto era un involucro privo di qualsiasi sentimento, ma non aveva idea di che farci. Non aveva idea di cosa fare di se stessa, se non lasciarsi cullare dalle familiari braccia della droga – era pulita più di quanto fosse mai stata nella vita, e nemmeno tutte le promesse che si era fatta aiutavano a far tacere quel bisogno così naturale. Voleva dimenticare, aveva bisogno di rifugiarsi in un altro mondo dove nulla potesse sfiorarla, sapeva bene che da sola non avrebbe dimenticato. Le bastava chiudere gli occhi per rivedere il corpo di Barry steso su una pozza di sangue, il suo corpo immobile mentre pregava i suoi muscoli di lasciarla avvicinare a lui, finché di lui non era rimasto nulla. Come se non fosse mai esistito, come se tutti quei morti non avessero significato nulla. Per cosa, poi? Perché suo fratello aveva dovuto morire, per quale motivo del cazzo? «vi ricordate-» dovette schiarirsi la voce per eliminare il groppo alla gola, interrompendo il silenzio che opprimeva la stanza: qualcuno doveva farlo «quando ha ingoiato tutto quello sciroppo scaduto perché credeva fosse allucinogeno?» e dire che l’aveva seguito, a quell’idiota di Barry. Quante cazzate che avevano fatto prima di essere strappati a quel tempo, si chiedeva quante sarebbero rimaste, e quante avrebbe finito per dimenticarsi. Aveva paura di dimenticare, Sersha Kavinsky, che un giorno ripensando a suo fratello avrebbe avuto solo qualche vago ricordo di quello che erano stati.
    Non sarebbe dovuta andare così.
    Non voleva crescere in un mondo dove Barry non sarebbe stato al suo fianco per ogni nuova minchiata, non voleva continuare a fingere che la sua assenza in quella stanza fosse normale. Eppure non importava quanto si rifiutasse di accettarlo, perché quella era diventata la sua nuova realtà, benvenuti a casa un cazzo. «ditemi che abbiamo nascosto qualcosa da bere anche qua» dubitava che l’alcool avrebbe cancellato i ricordi di quella giornata, ma poteva sempre provarci.
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    I'll be the one to keep you warm and safe
    And we'll be carrying each other
    Until we say goodbye on our dying day


    Edited by ambitchous - 19/6/2019, 18:05
     
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    Le persone morivano. Lo sapeva CJ Knowles, lo sapeva Joey Moonarie, lo sapeva BJ Reynolds, lo sapeva Sunday De Thirteenth, lo sapeva Sersha Kavinsky; quella merda di Barrow Skylinski anche, doveva averlo saputo. Si tirava le cuoia più per errore che per orrore, inosservati nel grande disegno di un bambino che le didascalie non sapeva leggerle; non voleva, leggerle. Nomi come tanti, facce come tante; uno stronzo valeva l'altro, nelle statistiche. E lo sapeva, CJ Knowles, che le persone morivano; che non esistessero eccezioni, che arrivasse a mordere il culo a tutti quando meno lo si aspettava. Aveva creduto sarebbe toccato a lui così tante, così tante, volte, che aveva iniziato a credere di essere una fottuta eccezione. Che perfino la morte li schifasse, i freaks del mondo: inadatti a vivere e morire, costretti a sopravvivere come topi in una discarica. C'era una certa poetica ironica nell'idea che si trattasse, anche il dono di aprire gli occhi un altro giorno, dell'ennesima maniera per prenderli per il culo.
    Lo sapeva, che poteva toccare a tutti.
    Ma porco zio, perché proprio Barrow? Avrebbe sacrificato centinaia di migliaia di teste di minchia ossigenate, se fosse servito a ridargli quel pezzo di merda di un falso Cooper; e l'avrebbe ammazzato di botte, ed avrebbe pisciato sulla sua tomba, e sarebbe andato a recuperarlo all'inferno, perché era così che funzionava.
    O almeno, era così che avrebbe dovuto funzionare: ma non poteva, CJ. La morte era un limite che neanche il Knowles, diciott'anni crudi e tinti di corallo, poteva superare; di regole non ne aveva mai avute, ma per quella in particolare, non poteva davvero farci un cazzo. Era vissuto da minchione, Barrow Skylinski.
    Lecito, che morisse come tale. «BARRY, VAFFANCULO» Perché qualcuno doveva dirglielo, anche se non poteva più sentire, che malgrado sua mamma fosse una tanto cara e brava donna, lui era, e per sempre sarebbe rimasto, un figlio di puttana: nulla contro Akelei, nulla contro William; era il loro presente, e passato e futuro, ad essere puttana, ed il corvonero la degna discendenza di quel marciume del cazzo. Il Knowles era stato sverginato troppo giovane dalla morte; era perfettamente consapevole che i bambini morissero quanto i vecchi, che i ragazzini non avessero meno probabilità di lasciarci la pelle di un quarantenne - eppure continuava a non avere un cazzo di senso, l'idea che Barrow Skylinski non avrebbe svuotato un altro sacchetto di mentine nel loro palmo. Difficile credere che il primo giorno di scuola non si sarebbe presentato a lezione strafatto, giusto per ricordare alle matricole come girasse il loro mondo; surreale pensare di ficcare una cinghiata nei denti dell'Allen o l'Osborne senza Barry a intimare loro di sorridere per la foto annuario.
    Era impossibile, per CJ Knowles, immaginare una vita senza Barrow Skylinski, così come per CJ Hamilton non era esistita una vita senza Lynch Beaumont-Barrow: e se per il secondo s'era trattata di mera abitudine, l'accettarlo come nota pallida e dissonante del moro Ronan, per il Knowles - Cristo Santo. Per quanto amasse insultarlo, e picchiarlo, e sfregargli le nocche sulla testa di minchia che si ritrovava fino a farsi male, lo amava come un fratello. Come ritardo mentale e ricchezza di portafoglio, d’altronde, se la giocava con il Reynolds.
    E se ne intendeva poco d'amore, il Tassorosso. Non sapeva riceverlo, non sapeva darlo, non sapeva gestirlo; se ne intendeva ancor meno di famiglia. Preferiva l'odio all'affetto, la solitudine alla compagnia, ma per loro, per loro, aveva fatto una cazzo di eccezione: e vedi come ti ripagavano, i bastardi. Rimanevi incastrato in un merda di universo alternativo, e quando tornavi c'avevi un Barrow crepato sotto i piedi.
    Era proprio un «ingrato pezzo di merda» con rabbia secca e sentita, ruvida ma non meno sincera nel bruciare la gola. Non c’aveva manco una merda di scusa per inveire contro il Fato, il Knowles, che sapeva avesse poco a che fare con stronzate del genere: non era il destino a scegliere chi far fuori; erano fottute coincidenze del cazzo, era trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
    Tipo nel futuro anziché nel passato, con loro.
    Tipo nell’au anziché nel presente, con loro.
    Tipo «barry, vaffanculo» perchè se ci fossero stati i freaks, gli avrebbero coperto quelle macilente spalle ossute di merda come sempre avevano fatto, e se non ci fossero riusciti – che cazzo, con lui ci sarebbero morti. Perché potevano non essere la migliore in circolazione, e potevano non essere stati contattati dalla cazzo di Mulino Bianco per la pubblicità delle Macine, ma erano una famiglia. E non c’entrava il sangue, non c’entrava crescere – era tutta questione di sopravvivenza, a loro stessi prima che al mondo. Roba mica facile, quella lì; più semplice alzare un dito medio al cazzone che ti premeva una pistola alla tempia, che trovare un quarto di motivazione per non lasciarti cadere sui binari all’arrivo del treno.
    Ma no, perché rimanere con i propri amici, quando si poteva farsi i fottuti cazzi propri. CJ, che l’odio l’aveva facile e sempre a portata di sorriso, Barrow Skylinski lo odiò sul serio. Non era incline al perdono, e quello il Corvonero lo sapeva: allora che cazzo gli andava, di morire.
    Che cazzo gli andava, di lasciarli mutilati. Di lasciarsi alle spalle una Sersha Kavinsky che sotto la ruvidezza delle labbra curvate verso il basso, aveva solo voluto un fottuto qualcuno che rimanesse; di lasciare indietro un Sunday De Thirteenth che con lui ci aveva diviso l’utero, e che avrebbe diviso un pezzo di cuore, se fosse bastato. Una Amalie Shapherd che in lui ci aveva creduto, quando per credere in Barrow Skylinski, ci voleva più che un atto di fede.
    Che cazzo gli andava di morire, a quel demente blu bronzo.
    Ed a quel cinese del cazzo; ed a quella stupida di sua cugina; e quel minchione del Villalobos.
    Così, poi – senza neanche salutare.
    E allora «andateci tutto, a fanculo.»
    CJ out.

    «vi ricordate-» Fece scattare l’accendino coprendo la fiamma con una mano, e con la schiena poggiata contro la parete della Stamberga, accese una sigaretta; premette le dita sulla schiena di Sersha attirandola verso il proprio petto, un’occhiata da sopra la testa della bionda a Joseph Moonarie. CJ poteva sopportare il proprio dolore - anche perché, buon Dio, in diciott’anni di vita era stato addestrato per quello - ma che di mezzo ci andassero i suoi migliori amici, gli faceva girare, se possibile!, ancora di più i coglioni. «quando ha ingoiato tutto quello sciroppo scaduto perché credeva fosse allucinogeno?» aspirò, palpebre assottigliate. In una vita ideale, ed in un CJ che d’ideale non aveva mai avuto un cazzo, quello sarebbe stato il momento della fuga: scappare era sempre più facile, che non rimanere; restare, sopravvivere, richiedeva più coraggio. Il Knowles non l’avrebbe avuto, non sarebbe stato costretto ad averlo, se non fosse stato per quelle merde lì riunite. Non se ne sarebbe andato di nuovo.
    Lui.
    Non come qualcun altro – Barry troia.
    «quale delle tante volte?» sorrise attorno al filtro della sigaretta, infilandola poi fra le labbra della bionda. La passeggiata sul viale dei ricordi era decisamente, stra-fottuta-indubbiamente, una delle cose che avrebbe preferito non fare – e non perché lo rendesse reale, CJ aveva smesso di credere nelle favole il momento stesso in cui aveva aperto gli occhi sul mondo, ma perché faceva sembrare lo Skylinski un ricordo.
    E per quello, il Knowles, non era pronto. «quando mi ha leccato la testa cercando il capezzolo?» arricciò il naso soffiando il fumo dalle narici, le dita a scivolare fra i nuovamente rasati capelli biondi. «o quando si è convinto di essere un toro, e serissimo ha invitato tutti a cavalcarlo?» Eh, al Knowles rimanevano impresse solo le cose belle: c’era un motivo s’era sempre quello che andava in botta più tardi, fra i suoi amici, o che preferiva rimanere sobrio.
    Altrimenti chi li teneva in custodia, istanti del genere. «ditemi che abbiamo nascosto qualcosa da bere anche qua» Quando mai loro avanzavano qualcosa da bere, o preparavano le scorte? Erano per l’improvvisazione.
    I loro Corvonero non erano mai stati i più brillanti, dopotutto. «i cata avranno lasciato qualcosa» soffiò un bacio a zio Jeremy, ovunque egli fosse, e ad Arabells Dallaire; ad Arci no, se l’era già sopportato per un anno e mezzo a Bodie, California, 1917-18-19: era anche giunto il momento di dire basta. «segugio» un cenno con il capo a Joey, indice a tamburellare il naso. «sniffa l’aria e trovaci le tracce di bells» non perché fosse più bella (nda: anche se la era) ma perché fra quidditchsessuali, emanavano ormoni di riconoscimento non da poco. «se senti puzza di merda, è barry che saluta.»
    E sorrise, CJ: perché che cazzo d'altro gli rimaneva da fare.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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    Non è che ci fosse un modo carino per dirlo, quindi: «vaffanculo»
    Joseph stava con le mani infilate nelle tasche, le spalle sollevate e la stupidissima coppola con ancora l'odore di Floyd calata sulla testa. Aveva pensato di togliersela e buttarla (se era sparito il suo precedente proprietario, poteva anche sparire lo stramaledetto cappello), ma a Banana piaceva acciambellarcisi dentro o nascondercisi sotto (lo stesso Banana che ora stava sulla spalla del sedicenne; dove fosse stato tutto quel tempo, non ci è dato saperlo) quindi perchè liberarsene e fare un dispiacere al povero furetto che non aveva fatto niente di male? Se se la voleva tenere stretta di certo non era per affetto verso quello che ora era un cadavere - ah no, neanche quello. Puf! "Dovevi restartene nel 1919".
    Voleva avvicinarsi a quegli idioti che stavano piangendo, e dir loro di riprendersi - che i morti non meritavano le loro lacrime, e che piangere era stupido e inutile. Senza contare che voleva scuotere Amelie per le spalle e farle notare che aveva avuto Barry nella sua vita per sedici mesi in più rispetto a loro e che cazzo, quei sedici mesi erano stati negati ai Freaks che si erano dovuti accontentare di una pannocchia, e che ora quella pannocchia con il ciuffo chiaro e l'aria meno morta del Barry originale era tutto ciò che rimaneva loro.
    Voleva dire a Mads che pregare non sarebbe servito, perchè il Paradiso non esisteva.
    Ai losers di svegliarsi, perchè era così che andava la vita, e a volte le persone muoiono e non puoi farci niente.
    Voleva dire ai morti che li detestava, che sperava lo sapessero, che erano dei coglioni.
    Voleva dire a Floyd che era arrabbiato con lui, perchè gli aveva fatto credere di potersi fidare di un adulto, e che gli dispiaceva avergli fatto credere che non non fosse così quando una volta all'uomo era caduto dalle mani un piatto di ceramica e Joey invece che aiutarlo si era istintivamente coperto il viso memore di quando i piatti si rompevano per terra solo perchè non c'entravano la sua faccia. Che aveva notato non spendesse per sè i soldi che Joey gli lasciava sul comodino come affitto, che aveva notato gli avesse lasciato la stanza con la porta che si chiudeva dopo che il Moonarie si era emozionato all'idea di avere una camera da letto vera, propria, e non uno stanzino con una tenda davanti, che era grato di quei momento a parlare in spagnolo che lo facevano sentire qualcuno di diverso dal ragazzo violento che Leon l'aveva reso.
    Voleva dire a Swing che era stato una testa di cazzo a prendere parte ad un combattimento invece che stare in disparte in un angolino come a beauxbatons con i freaks - forse Vasilov l'avrebbe risparmiato in quel modo, forse sarebbe sopravvissuto e avrebbe potuto dire lui a Ken che «Non me lo ricordo, ma vorrei» -, e che non credeva avrebbe trovato un altro amico così, e per un motivo tanto stupido, che lo divertiva sempre quando non capiva una parola d'inglese e doveva spiegargliela e che non era mai stato un peso per questo, che ammirava il suo essere così soft nonostante tutto.
    Voleva dire a Barry che cazzo Barruly, ma ci abbandoni di nuovo? Fake friend, che non avrebbe accusato il destino per la morte di una biondissima testa di minchia patatacentrica, e che se avesse avuto un cadavere su cui farlo ci avrebbe pisciato sopra in segno di sfregio, che senza di lui in dormitorio non avrebbe mai imparato cosa volesse dire "famiglia" prima dell'arrivo dei freaks, che era grato di come si fosse preso cura di lui una volta che, giovanissimo, era andato in overdose, che sapeva dal primo anno che anche lui veniva picchiato a casa e se non avesse visto come il cooper fosse in grado di sopravvivere comunque, probabilmente Joey non l'avrebbe fatto.
    Voleva dire loro che gli aveva voluto bene, anche se l'aveva dimostrato (male) a modo suo, che sperava lo sapessero, che gli sarebbero mancati. Voleva dire loro «Vaffanculo» Tirò su col naso, passandosi il dorso della mano sopra la bocca. «Vaffanculo dal cuore»
    A chi restava e a chi rimaneva. Un po' a tutti, nel dubbio.


    «Chissà che avrebbe fatto dopo essersi fumato un po' di barbabietola di qualità» era coricato sul pavimento con le braccia conserte al petto e un ginocchio piegato, convinto che le assi di legno fossero meno impolverate della moquette o dei vecchi cuscini (era sopravvissuto a troppo per farsi ammazzare dalle polveri radioattive di quel posto).
    «segugio, sniffa l’aria e trovaci le tracce di bells»
    Senza neanche aprire gli occhi tirò su la mano con un dito medio verso CJ. «lo sai che mi serve qualcosa che le sia appartenuto per farlo» Mica aveva un bells radar, quello che sarebbe stato creepy! Riconosceva il suo odore (sebbene i propri sensi fossero leggermente assopiti dopo un anno e mezzo e tutta la farina che aveva sniffato nella panetteria di Floyd, e tutta la puzza di stalla di Bodie in generale), ma mica era un freaking mostro.
    Solo un fan accanito, ecco.
    «Tuttavia-...» Si sollevò leggermente su, guardandosi intorno. «Bip... bip... bip...» strinse gli occhi osservando una scatola da scarpe nascosta sotto il letto «BIBIBI» (BI BI!) Indicò lì, dando un leggero calcio a Sunday perchè la recuperasse.
    Aveva studiato Bells per anni - anche se da lontano la maggior parte del tempo -, gli piaceva credere di aver imparato a conoscere le sue strategie; sembrava intelligente e da lei nascondere l'alcol in un posto insospettabile per non farselo fregare da altri studenti che conoscevano come arrivare lì o dai licantropi che ci passavano le lune piene (sì, i Freaks sapevano che finivano lì gli studenti lupi mannari; luna piena di novembre 2017: considerando che ne erano usciti oltre ogni previsione con tutti gli arti al loro posto, si poteva dire a posteriori fosse stata una grande notte per i freaks).
    «Sapete che ci starebbe bene? Il succo di barbabietola degli A'Chappelle» sbuffò «bastardi figli di puttana, si sono portati la ricetta nella tomba» o almeno che lui sapesse. Una parte di Joey, chissà quale e quanto importante, sperava avessero seppellito una capsula del tempo prima di lasciare Bodie, e come loro Floyd con la sua speciale focaccia alla cocaina, così come si chiese se la casa del colombiano fosse ancora in California, uguale a quando l'aveva lasciata ma più impolverata, più vuota.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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