first date, will it be easy? nope.

Gideon x Narah - Wicked Park

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    Era bizzarro come, in parte, Narah si sentisse estranea allo sdegno che aveva fatto capolino sul viso di Gid: la sua preoccupazione era rincuorante e le diede prova – ancora una volta – della sensibilità di Gideon, quella che le aveva concesso di aprirsi con lui e raccontargli un sacco di cose su di sé, però… forse Nah aveva passato troppo tempo in quella condizione, tanto da considerarla praticamente la normalità. Si rese conto, con un tuffo al cuore, che si era abituata alla reclusione, all’essere separata dalla sua famiglia, a quel sistema che voleva tenere sotto stretta sorveglianza quelli come lei. Si era abituata, ed era per questo che non provava lo stesso risentimento di Gideon. Lui conduceva una vita diversa, quella che per un brevissimo lasso di tempo aveva condotto anche lei e che adesso le sembrava così estranea.
    Ed era triste, eccome se lo era, ma non faceva più male come i primi giorni, quelli che aveva mostrato al ragazzo stesso. Il tempo leniva le ferite, era vero, ed era solo grazie ad esso che parlarne non le provocava quella cocente sofferenza e quel senso di solitudine che l’aveva accolta all’inizio, quando a dodici anni si era ritrovata da sola a Different Lodge, poiché all’epoca di special adolescenti quasi non ce n’erano. Le cose cambiavano e Narah l’aveva imparato bene, l’aveva vissuto sulla propria pelle.
    Si intenerì di fronte alle parole di Gid, scuotendo la testa come a dirgli che non importava. «Lo so. Non credo che i professori di Hogwarts abbiano piacere ad approfondire il modo in cui vivono gli special. Sfruttare l’ignoranza per controllare i futuri adulti fedeli al regime comporta meno rischi,» osservò, un lieve sorriso amaro in una delle rare manifestazioni di cinismo che la animavano. Credeva in tante cose, Nah, ma non nelle forze che attualmente governavano il Mondo Magico: se gli studenti di Hogwarts, quelli che non consideravano gli special la feccia della società, avessero saputo nei minimi dettagli le loro condizioni, forse la percentuale dei Ribelli che i Mangiamorte tanto combattevano sarebbe aumentata.
    Sembrava che Gideon le avesse letto la mente nel pronunciare parole piene di astio verso il governo, con una sincerità che per un attimo la sconcertò. Ma era ovvio che con lei si era permesso di sbilanciarsi, quale special sano di mente gli sarebbe andato contro? Lo guardò in un silenzio placido; che fosse d’accordo con lui doveva essere piuttosto evidente. Non era sempre stato un uccellino in gabbia e non aveva paura della libertà, come capitava a chi non aveva mai conosciuto nulla di diverso da delle inferriate dorate.
    Nonostante si sentisse arrossire persino in quel momento, durante una conversazione assolutamente pericolosa da intrattenere, intuì perché Gid si fosse avvicinato verso di lei e si chinò in avanti a propria volta. Si ritrovò a osservarlo attentamente, e con un po’ di incertezza: Narah si fidava di quel ragazzo, ma aver paura di parecchie cose le aveva fatto acquisire un’innata indifferenza. Quanto era saggio parlare con lui delle volte in cui aveva provato un’irrefrenabile voglia di fuggire e vivere come una fuorilegge? Si prese del tempo per ponderare la questione, abbassando gli occhi sulle proprie mani. Gideon sembrava davvero ostile al regime e aveva avvertito distintamente che non c’era nessuna grande barriera tra loro due, perché instaurare una connessione con la sua mente era stato facile. Non correva nessun rischio assieme a lui.
    «Ci ho pensato, ma scappare non è fattibile,» gli spiegò, un sorriso un po’ triste nel rendersi conto che non avrebbe mai potuto fuggire realmente. Non era possibile, almeno per ora. «Sono una special Dichiarata, mi hanno sotto controllo. Per i Non Dichiarati è pericoloso rischiare ogni giorno di essere catturati, per chi è schedato è impensabile.» Non sapeva se Gideon avesse ben chiaro chi fossero gli special Non Dichiarati, ma sperava fosse intuibile. «Ma non rimarrò a lungo a Hogwarts. Per chi ha almeno diciassette anni c’è New Hovel, una specie di Different Lodge a Diagon Alley.»


    Si tirò indietro, sistemandosi i capelli che le erano finiti davanti agli occhi. Non le andava di appesantire ancora l’appuntamento con quel discorso, ma se Gid avesse voluto avrebbero potuto riaffrontarlo successivamente. Le piaceva la capacità di Gideon di farla sentire una ragazza come tutte le altre, non una Special ma un’adolescente che usciva con un ragazzo. Senza problemi, senza termine di scadenza. Narah sapeva che era inutile fingere che fosse così ma, almeno una volta, poteva concederselo.
    Anche per questo gli chiese della sua famiglia, volenterosa di spostare l’attenzione da sé e focalizzarsi su di lui, imparare qualcosa di più della sua vita. Sorrise, trovando estremamente dolce l’espressione solare di Gid nel raccontarle di sua sorella; da come gliel’aveva descritta pareva una pazza scatenata e, anche se iniziò a temere un incontro-scontro con Hazel, non poté trattenersi dal ridere. «È carina a… tenere così tanto a te.» E alla sua presunta sessualità. Si asciugò una lacrima, tentando di frenare le risate. Dei cartelloni? Sul serio?? Sicuramente Gideon non si annoiava mai con lei. Si chiese perché Hazel fosse convinta suo fratello fosse gay e, non che all’improvviso le fosse salita chissà quale sicurezza in se stessa – proprio no, ecco –, ma prima ancora che Gid glielo specificasse da come si era comportato le era sembrato… piuttosto etero(??). Un familiare calore le salì alle guance. «Messaggio ricevuto.»
    Venne a sapere qualcosa sul conto di tutti i suoi famigliari più stretti, su sua madre di origini venezuelane – e qui lo scrutò incuriosita, guardandolo non ci sarebbe mai arrivata – e di meno su suo padre ma, ovviamente, si limitò ad ascoltarlo senza impicciarsi. D’altronde neanche lei gli aveva parlato di suo padre, nel suo caso perché non aveva molto da dire su di lui. Quasi cedette l’impulso di abbracciarlo quando le descrisse la nonna con un evidente affetto. Provando un po’ di vergogna, Nah si domandò se fosse possibile trovare tenero tutto di una persona, nella fattispecie lui. Stava diventando veramente imbarazzante e non era sicura di saperlo nascondere, lei che faceva schifo a mentire. Come si nascondevano cose del genere??? Non sapeva nemmeno da dove si iniziava.
    Certo, non si aspettava di vedere una scatolina piena di pillole uscire dalla tasca di Gideon; non che ci trovasse niente di male, perché mai avrebbe dovuto? Non lo stava affatto giudicando, ma come a una persona cui importava, si domandò a cosa servissero, lanciando un’occhiata palesemente interrogativa a Gid. La sua educazione di norma glielo avrebbe impedito, suggerendole piuttosto di farsi gli affari propri, ma stavolta era... diverso. Quello che provava per lui era diverso, e la compassione e lo stupore che si fecero strada lei in egual misura la lasciarono confusa su… cosa dire, come commentare.
    Il fatto che Gideon avesse subito un trapianto di cuore, di per sé, non cambiava la visione che Nah aveva di lui: era sempre Gid, non faceva alcuna differenza. Ma poté capire, anche solo tramite l’immaginazione, le difficoltà che doveva aver incontrato per via di quel trapianto. Non doveva essere stato semplice per lui e l’immagine di un piccolo Gideon che invece di correre o giocare coi suoi coetanei rimaneva in casa a leggere durante una giornata di sole le strinse il cuore. Doveva essersi sentito solo, o quantomeno diverso dagli altri. Un po’ come lei. E per quanto poco fosse esperta in quell’ambito, pensare a un rigetto era terrorizzante, non poteva non esserlo. Come faceva a essere così tranquillo e sereno, sapendo i rischi che correva?
    Ma per lei non cambiava proprio niente, e voleva farglielo capire. «Non me l’aspettavo,» iniziò, il più naturale possibile – non lo considerava un malato o chissà cosa, non voleva dare quell’impressione! –, mentre gli rivolgeva un sorriso. «Ma sono contenta tu me l’abbia detto.» Il che era completamente vero: la rassicurava che Gid si fidasse abbastanza da confessarglielo.


    «Ti sento lontana, vieni qui?»
    Portò di scatto gli occhi in quelli di Gid, avendo la netta sensazione di essere sull’orlo della tachicardia. Sentì il viso andare in fiamme e, impacciata, si portò una mano a ravviarsi i capelli. Le aveva davvero appena chiesto di… sedersi sulle sue ginocchia? Dio, che imbarazzo. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Lei non si era mai seduta in braccio a nessuno a parte sua madre, non era abituata a stare così vicino a una persona, o meglio a un ragazzo, o meglio ancora a un ragazzo per cui provava più di qualcosa perché dai, non poteva prendersi in giro così spudoratamente, era sempre stata spietatamente onesta con se stessa: il desiderio che aveva di averlo accanto a sé era inequivocabile, anche se questo faceva a pugni con la sua timidezza.
    Fece appello alla propria coscienza, lo stomaco attorcigliato dall’incertezza e l’emozione. Sul serio era capace di sedersi sulle sue gambe, di sfiorargli il petto con il fianco, di guardarlo negli occhi da una distanza esigua?
    No!
    SÌH!!!
    Eh ma allora.
    Lo sapeva che doveva avere l’espressione di chi stava affrontando il dilemma del secolo e che lo stava facendo aspettare troppo per una risposta ma, cavolo, non si era mai trovata in una situazione simile! Prese un profondo respiro, schiarendosi la voce, ma dalle sue labbra strette in una linea incerta non uscì una parola. Da un lato si vergognava oltre ogni immaginazione; dall’altro, non prendiamoci in giro, desiderava immensamente stargli vicino e colmare quel vuoto al petto, quel senso di perdita di quando avrebbe voluto stringergli la mano o toccargli i capelli e non lo faceva. Voleva, ma aveva paura.
    Conscia di star soltanto aumentando l’incertezza con cui Gid le si era rivolto, si affrettò a dargli una risposta, gli occhi ancora spalancati dal panico. «Scusa, stavo impanicando pensando. Pensando. Ehm...» Eh. E ora? Credeva che oltre al balbettio si sarebbe aggiunta anche l’immobilità, invece le sue gambe si mossero da sole prima che potesse ritrattare.
    “Fai finta sia Babbo Natale, fai finta sia Babbo Natale.” Ovvio, perché Babbo Natale aveva quegli occhi e quel sorriso timido e lei per Babbo Natale aveva una COTTA GRANDE COME QUEL LUNA PARK, VERO? NO, NON ERA VERO!!! Gesù.
    Deglutì, e col cuore a mille lo fece: si sedette sulle sue gambe, sperando di non essere troppo pesante mentre gli si reggeva per forza di cose, passandogli un braccio dietro la schiena. Il corpo di Gid emanava calore e meno male, un calore che la avvolse e bruciava sulla pelle tanto quanto il rossore sulle proprie gote, e dalla rigidità iniziale si ritrovò ad appoggiarglisi appena in una posizione comoda. Ebbe il coraggio di alzare lo sguardo solo in un secondo momento, ritrovandosi a un soffio dal suo volto, i nasi che quasi si sfioravano. Non si rese conto di star trattenendo il fiato nel soffermarsi sulle pagliuzze negli occhi di Gid – erano belli, ancora di più di quando li guardava da lontano –, avvertendo come se fosse tangibile quel silenzio denso e sospeso, quella tensione in attesa di un minimo movimento da parte di entrambi. Però di stargli fissando le labbra se ne rese conto e, nonostante questo, i suoi occhi non volevano saperne di spostarsi da lì, riflettendo un desiderio cui non avrebbe dato voce.
    Stavolta, non le importava affatto chiedersi cosa stesse facendo, né se fosse saggio farlo.

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    Avevano affrontato diversi argomenti, alcuni dei quali non proprio alla portata di Gideon, non perchè non avesse voluto informarsi meglio sugli special, la loro vita e le loro "regole", quanto perchè non ce n'era mai stata l'occasione. Ed in quel momento, più che mai, avrebbe voluto saperne di più. Per poter tenere un discorso più alla pari, per poterle dare consigli, per ascoltarla con più coscienza. Ma, c'era tempo, no? Era sicuro, purtroppo, che la situazione degli Special in Gran Bretagna non sarebbe cambiata di lì a breve, per cui aveva tutto il tempo per recuperare in biblioteca tutto ciò che gli serviva, i manuali più aggiornati e gli ultimi articoli di giornale che aveva perso in merito a quell'argomento.
    Era così, il McPherson, quando prendeva a cuore qualcosa, doveva informarsi nei dettagli. E se prima di allora la condizione degli special non lo aveva toccato, non era certo stato per menefreghismo o insensibilità, ma c'erano fin troppe cose che non giravano per il verso giusto, in quel governo, e la questione "special" era una delle tante. Sapere che non sarebbe rimasta al castello, in parte lo rasserenò, perchè, diciamocelo, Hogwarts era un posto orribile, sia per i mezzosangue che, ancora di più, per coloro che non possedevano più un potere. Magari a Diagon Alley avrebbe avuto più libertà, o così sperava. Bene, mi dispiace dirlo ma Hogwarts fa schifo. O meglio, fanno schifo le persone che ci girano. Più che onesto.

    L'aria nella cabina si fece più calda e imbarazzante che mai e, se ci fosse stato un misuratore di disagio, là dentro, avrebbe raggiunto i massimi livelli misurabili.
    Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, accogliendola sulle proprie ginocchia, ma starle così vicino, sentire il suo profumo dolce, osservare da vicino i suoi lineamenti e la curva perfetta delle sue clavicole, l'incavo elegante del suo collo e percepire il solletico dei suoi capelli ricci sul viso, era ciò che più desiderava in quel momento. Doveva farsene una colpa? Da quando l'aveva vista uscire dalla porta di Different Lodge aveva tentato di soffocare il pensiero delle sue labbra sulle proprie, ed in parte ci era riuscito. Ma in quella cabina, così vicini, risultava impossibile farlo. Oh, se Hazel avesse saputo, se solo avesse saputo, li avrebbe fatti secchi entrambi. Ma non era il momento di pensare a lei, anche sè, bè, il pensiero di sua sorella era sempre importante per lui. Voleva stringere Narah, proteggerla, farle sentire che lui c'era per lei in quel momento e ci sarebbe stato in futuro. Soprattutto quando ne avrebbe avuto bisogno. E così fece. Portò un braccio ad avvolgerle la vita e la strinse piano, guardandola dal basso della sua posizione con uno sguardo incerto che avrebbe voluto dire tante cose che però la bocca teneva per sè, per la timidezza. Il volto rosso, in fiamme, di chi non era abituato ad un contatto fisico così intimo ma che lo desiderava. In realtà non era pronto a vederla davvero alzarsi e sedersi sulle sue ginocchia, nonostante fosse stato lui a chiederglielo, ed adesso era un po' in palla. Ehm, adesso tocca a me pensare. Ammise, goffamente e con aria un po' confusa. Lo voleva anche lei, Gideon glielo leggeva negli occhi, così scuri e spaesati ed al tempo stesso persi per lui. Eppure, nell'incertezza, si rese conto di non essere mai stato tanto sicuro di qualcosa in vita sua come di quel momento lì con Narah, fermi su quella giostra e svolazzanti sul Wicked Park. Il palmo della mano aperto sulla sua schiena si mosse piano in una carezza calda e lenta, rilassante per quel corpo snello e sottile. Lo sguardo, poi, si soffermò sulle sue labbra gonfie e, un pensiero, lo stesso che più volte gli aveva attraversato la mente, si manifestò di nuovo tra gli altri. Fremeva dal desiderio di baciarla, di avvicinarsi a lei più di quanto avessero fatto fino a quel momento. Sapeva che quello era il momento giusto, e lui non avrebbe lasciato che fuggisse.
    Sperò di non fare qualcosa di troppo strano, tipo sbattere la fronte contro quella di lei o il naso, o altro di simile, a causa dell'ansia da prestazione.
    Poi, senza pensarci troppo, si sporse piano verso il suo viso, ricercando un equilibrio invisibile ma necessario per un passo così audace: si avvicinò ancora, ma non troppo, le diede il tempo di decidere se spostarsi, e rifiutare quel contatto, oppure no. Si inumidì le labbra, passandoci sopra la punta della lingua, e poi decise di smettere di pensare, annullò le distanze del tutto, poggiando le labbra su quelle della ragazza, fresche e morbide. Un fremito gli scosse la schiena, a quel contatto, e fu costretto a stringere la maglia di lei tra le dita, mentre senza fretta approfondiva quel bacio schiudendo le labbra per renderlo ancora più intimo. Lo sguardo appena socchiuso, non aveva bisogno di vederla, riusciva a sentire alla perfezione la sua presenza, ed anche di più, ad occhi chiusi.
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    Se non si fosse sentita completamente senza fiato, Narah avrebbe riso dell’espressione tenera e confusa di Gid. Era timida, incerta, un po’ stralunata.
    Invece rimase zitta, troppo imbarazzata e a propria volta confusa da quello che sentiva in quel momento per trovare il lato comico della situazione che, oh, senza dubbio dall’esterno c’era eccome. Era la prima volta che era così vicina a un ragazzo, la prima volta che avvertiva quell’intensa attrazione per qualcuno, tanto intensa da far smettere lei di pensare, lei che aveva paura di fare sempre la cosa sbagliata e rovinare tutto.
    Che Gideon fosse paonazzo non la calmava affatto, mentre avvertiva la sua stretta delicata attorno alla vita e il suo profumo, che le era piaciuto da impazzire sin da quando lo aveva notato. Era imbarazzata e non sapeva cosa fare, ma c’era quella voglia di stargli vicino, di sentire con le labbra se quelle del ragazzo fossero morbide come sembravano, anche se non aveva mai baciato nessuno e non aveva idea di come si facesse se non in teoria. I libri non erano mai stati particolarmente chiari in merito(??), ed erano la sua unica fonte di sapere da cui attingere. Cavolo.
    Eppure voleva che Gideon non smettesse di carezzarle la schiena come aveva fatto, e tremò appena in un piccolo fremito, una mano che gli si posava alla base del collo, esitante e leggera. Forse non sapere come ci si dovesse comportare non era poi così importante, non quando l’unica cosa che le importava era che lui continuasse a starle vicino come adesso. Si sentì al sicuro, protetta come mai prima d’ora e, anche se si credette un po’ infantile per questo, era spaventosamente vero: oltre a farle accelerare il battito cardiaco, Gid era quello cui bastava un sorriso per rasserenarla.
    Non considerò minimamente l’idea di allontanarsi, né riuscì ad avvicinarsi, in parte frenata dall’inesperienza di cui era conscia. Si limitò a osservare Gid sporgersi verso di lei e, Dio, le sue labbra erano morbidissime sul serio. Arrossì all’istante a quel contatto che le strappò un sospiro, presa alla sprovvista dall’elettricità scaturita da quel gesto, e cedendo all’istinto gli affondò la mano con cui si stava reggendo a lui tra i capelli, stringendoli dolcemente. Avrebbe dovuto sentirsi sopraffatta dalla vergogna, perché era quello che faceva di solito, invece si stupì a concentrarsi solo sul suo profumo, i capelli soffici, la mano che le aveva afferrato un lembo di maglietta come se fosse emozionato e sconvolto tanto quanto lei; quel pensiero, assieme alla pressione della bocca di Gid sulla sua, le fece dimenticare ogni titubanza.
    Un altro sospiro sulle sue labbra, carezzandogli la pelle liscia della guancia mentre si azzardava a rendere il bacio più intimo, forse in modo impacciato, timido, lento, ma non le importava. Era il suo primo bacio e la consapevolezza che stesse avvenendo con Gideon, che desiderasse tanto il suo tocco su di sé le sconvolgeva il petto in un sentimento intenso che, per un attimo soltanto, la spaventò a causa della sua portata. Poi si ricordò che quel viso che teneva tra le mani era di una persona di cui si fidava – e smise di usare la ragione. Con lui voleva lasciarsi andare, sentiva che lo poteva fare, che non le avrebbe fatto del male.
    Si staccò per riprendere fiato, gli occhi scuri fissi in quelli di lui. Tra sé e sé, pensò che non avrebbe potuto desiderare un primo bacio migliore di quello. Lo aveva immaginato ogni tanto, come sarebbe avvenuto, e tutti i suoi scenari si interrompevano perché non riusciva a immaginarsi in un atto tanto intimo con un ragazzo. Ora poteva dire che era perché non aveva ancora incontrato Gideon. Si sentiva su di giri come se avesse bevuto. Cosa le stava facendo??
    Le dita ancora posate sulla sua guancia, fu su sul punto di dire qualcosa, qualsiasi cosa per distrarsi, non pensare a quanto avrebbe voluto baciarlo di nuovo ma– voleva farlo e, diamine, c’era un motivo per cui non avrebbe dovuto farlo? Decise di compiendo il primo passo come aveva fatto Gid poco prima: chinò il viso verso il suo, facendo incontrare le loro labbra per la seconda volta. Il cuore a mille, l’attenzione monopolizzata dal suo sapore come non le era mai successo. «Io… scusa,» avrebbe poi mormorato, allontanandosi quel tanto che bastava per parlare, imbarazzata dalla propria sfacciataggine. Percepire il suo respiro contro il proprio e vedere le sue labbra gonfie – e sapere che erano gonfie a causa sua – non la aiutava affatto a sentirsi contrita; al contrario le fece provare una timida contentezza, mentre lo guardava negli occhi con un’espressione suo malgrado, be’, sconvolta, arrossata e confusa. Una contentezza decisamente più solare di “timida”.

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    Se gli avessero chiesto di descrivere l’emozione più forte di quel duemiladiciannove - non positiva o negativa, solo la più potente - Gideon avrebbe descritto le labbra di Narah che si posavano sulle proprie, il suo profumo dolce a mescolarsi con il proprio, le sue mani che gli accarezzavano le guance ed i suoi sguardi premurosi, la voce calda. Non avrebbe mai potuto pensare a nient’altro, nè alle torture che gli avevano spezzato la schiena, nè alla paura provata alle lezioni della professoressa Queen, nè alle feste con gli amici o le risate. Quel giorno, al Wicked Park, il loro momento aveva sbaragliato tutti gli altri. Ed ancora il McPherson non ci credeva. Non riusciva a credere a ciò che era appena successo dentro quelli cabina. Alla semplicità con cui si erano uniti, guardati, sfiorati, come se sapessero alla perfezione come muoversi nonostante fosse un campo minato per entrambi. Sentiva lo stomaco contratto in una morsa, una sensazione che non poteva definire spiacevole, al contrario. Il cuore batteva velocissimo nel petto, mentre appena separati l’uno dall’altra, tentavano di ricongiungersi in modo goffo ma adorabile. La osservava con sguardo incerto ma voglioso, le pupille dilatate per l’ansia, le labbra rosse socchiuse. L’aspettativa di quel bacio aveva raggiunto livelli massimi ed era stata ampiamente soddisfatta. Se glielo avessero raccontato, Gideon non ci avrebbe creduto mai, ma aveva appena baciato Narah, e si stava riavvicinando alle sue labbra per proseguire quel bacio, di nuovo.

    Ma...
    Due tocchi seccati sul finestrino della cabina lo spaventarono, e dovette staccarsi da lei, mani e corpo, nonostante la mora fosse seduta ancora sulle sue cosce. Una strana sensazione di illegalità si insinuò fin dentro le ossa, come fosse stato beccato a spacciare droga, piuttosto che a scambiare effusioni con una coetanea. Era così, impacciato, spesso insicuro, molto timido e l’idea che qualcuno potesse averli visti baciarsi lo faceva sentire malissimo, come rubato della propria intimità. Gli occhi guardinghi ispezionarono oltre il finestrino, le gote più rosse di ciò che avrebbero dovuto essere parvero incendiarsi, e vedendo la lercia figura del macchinista guardarlo storto e mimare un “Il giro è finito!”, preferì quasi morire. Da quanto era lì? Erano già a terra? Com’era possibile che il tempo fosse volato così?
    Sì sì! Rispose veloce, impacciato cercando la maniglia per aprire la porta.
    Stiamo scendendo! Lanciò un ultimo sguardo di scuse alla ragazza, mortificato. Vedendola più impacciata di lui, però, la timidezza e lo sgomento passarono subito, lasciando spazio ad un senso di amarezza e di rabbia. Quel tipo era un gran maleducato, di sicuro aspettare due minuti in più non gli avrebbe mandato in rosso le finanze! Aprì lo sportello della cabina, adesso ribattendo con
    Poteva anche aspettare un attimo, comunque. Pur sapendo di essere in torto. L’idea che anche Narah si fosse imbarazzata lo faceva irritare non poco.
    "Si certo come no!" l’uomo lo fulminò con lo sguardo, e Gideon pensò che per non avere più cuore per queste cose, doveva averne viste davvero tante di scene simili, tanto da farci l’abitudine e diventarne insensibile.
    Si prese il proprio tempo per uscire, e porse la mano a Narah per aiutarla ad uscire a sua volta, consapevole che, di quella bella vista sul parco, avevano goduto davvero poco.

    Le sorrise, complice, approfittando del fatto che la mano di lei fosse nella propria per intrecciare le loro dita e ricercare quella complicità che era stata spezzata troppo presto nonostante aleggiasse ancora nell’aria. Ehm, okay, cos’è appena successo? Domandò retorico, con espressione radiosa, una volta lontani dalla ruota panoramica e diretti verso le montagne russe. Era felice, come era stato poche volte in vita sua. Davvero, pieno di gioia e di soddisfazione. Non aveva idea di potersi sentire completo solo per un bacio, ma così era, e si sentiva riempito di una forza nuova, in quel momento. Sperava che per Narah fosse lo stesso, che non ci fosse rimasta male, che non lo avesse fatto perché, magari, si era sentita in trappola (?) o perché aveva creduto di non avere scelta (??) e non volesse farlo rimanere male. Ma era la sua insicurezza a parlare, in quei frangenti, se ne convinse. Però una sua rassicurazione sarebbe stata per lui importante, in quel momento. Passò gli istanti seguenti ad osservarla, per vedere le sue reazioni, sondare il terreno per capire il suo stato d’animo. Spero...che anche tu sia stata bene come lo sono stato io. E, pronunciando quelle parole, strinse con più vigore la sua mano nella propria, per paura che lei lo lasciasse. Non aveva mai pensato di poter avere bisogno di qualcuno come in quel momento, si sentiva fragile, ed anche se aveva sempre pensato di bastare a se stesso, solo dentro quella cabina si era reso conto di quanto fosse un’integra metà, niente di più. Integro, ma pur sempre una metà in attesa di essere completa.
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    Sul serio, Narah avrebbe voluto non finisse mai.
    Fargli scorrere le dita tra i capelli, carezzargli il volto, lasciare che Gideon la toccasse con un’intensità e in un modo che non aveva mai permesso a nessun altro; tutti gesti che le sembravano così familiari da darle l’impressione di averlo fatto da sempre, nonostante il calore alle guance paresse non intenzionato a non abbandonarla. Non sapeva se le bruciasse più il volto o il petto, in quella danza sfrenata che stavano conducendo i battiti del suo cuore mentre era persa a saggiare la morbidezza della pelle di Gid con la mano, e la sua delicatezza mentre la stringeva con così tanta attenzione da farle bloccare il respiro.
    Quando aveva visto Gid sulla soglia di Different Lodge, Narah si sarebbe aspettata tutto tranne che quello, che le rivolgesse quegli sguardi, quelle attenzioni. Non avrebbe mai creduto che sarebbe arrivata a fidarsi a quel punto di qualcuno, a provare il bisogno di avere le sue labbra sulle proprie, come se quello fosse stato il rifugio più bello che avrebbe mai potuto trovare. Ma Dio, Gideon le provocava emozioni che sapeva controllare ancor meno del suo rossore. Era possibile che si sentisse con la testa tra le nuvole e allo stesso tempo più presente e viva che mai?

    Si era dimenticata di tutto a parte di Gideon, i suoi respiri tiepidi e il contatto con lui, e dubitava che se quei colpi al finestrino non fossero stati così improvvisi Narah sarebbe tornata coi piedi per terra – letteralmente – tanto velocemente.
    Fu come una doccia fredda di imbarazzo e, spaventata, si staccò da Gid con uno scatto che per poco non la faceva ribaltare nella cabina. Oh. Avvampò in un istante, sentendosi più desolata che mai mentre si schiariva la voce e – suo malgrado a malincuore – si affrettava a liberare il ragazzo del suo peso, sentendo subito la mancanza di Gideon. Era imbarazzata oltre ogni limite, perché non le piaceva l’idea che quell’uomo li avesse visti in un momento tanto intimo, in un momento che apparteneva solo a loro, e non seppe se risentirsene o scusarsi. Era nella sua natura propendere per la seconda opzione, eppure le parole le rimanevano bloccate in gola, confusa sia dal modo brusco in cui era stata riportata alla realtà, sia da quello che provava. Non se la sentiva di prendersela con un addetto ai lavori che stava facendo il suo dovere, per quanto poco propenso alla comprensione o al tatto le sembrasse.
    Si portò una mano sulla nuca estremamente mortificata, neanche fosse stata colpa sua o, in generale, colpa di qualcuno, anche perché Narah non sarebbe mai stata in grado di trovare una “colpa” in quello che era appena successo; rendersi conto di essersi appena distratta pensando alle labbra di Gid sulle sue in un momento simile, stavolta la fece sentire proprio una kattiva ragazza rido. Prese un bel respiro nel tentativo di tornare lucida, con tutte quelle emozioni che l’avevano colta alla sprovvista e che, peraltro, facevano decisamente impallidire tutte le altre cui si era abituata negli ultimi anni, così blande e grigie anche se le viveva sempre al massimo. Il massimo non aveva mai sfiorato quei livelli, per tutti i calzini magici!
    Ah, ma forse doveva continuare a respirare. Gonfiò d’aria i polmoni di botto, assistendo senza fiatare al breve scambio tra Gideon e il macchinista che, comunque, non l’avrebbe fatta sentire più impacciata di quanto non fosse. Guardò di sottecchi il ragazzo, e avrebbe sorriso del suo viso rosso al pari del suo se non fossero ancora stati sotto gli occhi dell’uomo. Strinse la mano che Gid le aveva gentilmente offerto, uscendo dalla cabina con un fluido movimento.

    Oddio, non è che si era lasciata troppo andare? E se Gid l’avesse trovata una scostumatah?? Se avesse pensato che… che… era solita fare quelle cose? Cosa pensava di lei? Si era pentito, gli aveva fatto schifo, continuava a essere gentile solo per non ferire i suoi sentimenti??(?) Gideon le era sembrato coinvolto tanto quanto lei, ma… non aveva la minima esperienza in queste cose! Se avesse frainteso tutto??
    Ovviamente, non era possibile che Nah non si ponesse quelle domande. Lui era stato così perfetto, se non fosse stata alla sua altezza? D’improvviso si sentì raggelare, immobilizzata dalla vergogna.
    Vergogna che, titubante, si sciolse pian piano sotto lo sguardo di Gid, le sue dita che si avvinghiavano alle sue. Nah, istintivamente, curvò le labbra in un sorriso più dolce e coinvolto di quanto avrebbe voluto fosse. Ma cavolo, la faceva sentire bene. E non solo questo. «Ehm, okay, cos’è appena successo?»
    Le venne da ridere abbandonando l’ultimo strascico di paranoie e preoccupazioni, sollevata nel vederlo… contento, allegro. Allora non credeva fosse stato un disastro! Lo seguì alla cieca, senza nemmeno rendersi conto di dove la stesse portando «Mmmh.» Rispose solo quello, con timidezza ma continuando a ridacchiare. Quella leggerezza era una sensazione estranea, come se tutti i problemi si fossero dissolti assieme alla residua distanza tra i due in quella cabina. Tra sé e sé, si rese conto che alla fine non avevano visto proprio niente, troppo… impegnate. Arrossì – e davvero, avrebbero potuto scambiarla per una Ricordella –, avvicinandosi un po’ al fianco di Gid mentre camminavano, anche se una sua falcata corrispondeva a due passi della mora. Stranamente, non ebbe esitazioni a farlo e si sentì a suo agio. La spiegazione era semplice: era cotta.
    La domanda neanche tanto implicita dell’altro la prese in contropiede, e si voltò verso di lui con occhi sgranati. Se non avesse conosciuto il Corvonero, non avrebbe reputato possibile che dubitasse di… averle fatto dimenticare tutto il resto? Portarla sull’orlo di un infarto?? Averle fatto capire che era impossibile Gideon fosse Babbo Natale??? Tuttavia comprendeva le sue insicurezze e gli strofinò il pollice sul polso. «Sono stata bene,» gli disse piano. Gli strofinò il pollice sul polso, in una tenera esternazione che fino a poco prima non si sarebbe mai sognata di fare. Ancora le sembrava troppo bello per essere vero, sinceramente.
    Ma era chiaro che non fosse tutto un sogno. Era vera la faccia non tanto convinta di Gideon che, dopo il giro sulle montagne russe, le aveva detto che non avrebbe vomitato con un tono così poco credibile che l’aveva fatta scoppiare a ridere; era vero il peluche di un gattino tigrato che Gideon vinse a una bancarella di tiro al bersaglio, porgendoglielo senza esitazioni mentre, inevitabilmente, lei si sentiva fin troppo coccolata e nascondeva un sorriso affondando il naso nel peluche morbidissimo; ed era vero il suo punzecchiarlo quando ostinatamente Gid aveva voluto pagarle anche lo zucchero filato e aveva tirato fuori il portafogli e lei, stupendo anche se stessa, non aveva potuto trattenersi dal mormorargli uno scherzoso «Attento» riferendosi all’incidente del preservativo di qualche ora prima.
    Era fin troppo vera l’armonia che impregnava ogni loro sguardo, sorriso, sfioramento, e la profonda titubanza con la quale Narah dovette lasciare la mano di Gideon una volta davanti alla porta di Different Lodge, sentendosi quasi svuotata, mancante di qualcosa. Stava diventando davvero, davvero drammatica, nemmeno il Corvonero potesse dimenticarsi di lei perché per un po’ non si sarebbero rivisti. (Perché non poteva, vero?? NON ERA LEGALE)
    Infine, fu perfettamente reale quella piacevole agitazione che le strinse lo stomaco quando si mise sulle punte per salutare il SUOH!!! ragazzo con un bacio sulla guancia, prima di sorridergli e scambiare con lui un ultimo saluto.
    Quando chiuse la porta e si girò, il batticuore fu sostituito da una tachicardia di tutt’altro tipo: Jane e Fitz erano in piedi, una accanto all’altra, con le braccia incrociate al petto. Comprese che quella notte non avrebbe dormito.

    INVISIBLE AND
    INEVITABLE, LIKE A
    BUTTERFLY THAT BEATS ITS WINGS IN ONE CORNER OF THE GLOBE.
    Narah
    Bloodworth
    16 y.o.
    telepath
    awkward
    first date


    Edited by butterfly‚ - 28/6/2019, 07:17
     
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19 replies since 25/4/2019, 18:11   592 views
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