[mini q] taking back the crown

scott

Strinse le labbra tra di loro, seguendo la traiettoria della freccia; deglutì, quando la vide conficcarsi nel ventre del suo avversario – e quando il sangue, distorto in un pallido rosa da una visione daltonica che Scott Chipmunks aveva del mondo, dovette premere con più forza i canini sulla carne. Una reazione involontaria, che non gli era di certo concesso avere in un momento simile, e ch’eppure non poté evitarsi: aveva scoccato il dardo per sé stesso, per i suoi amici, per tutto ciò per cui erano lì; tuttavia… tuttavia, allora come anni prima a Brecon, non fu in grado di distaccarsi dal dolore dipinto sul volto dell’uomo, di essere freddo e razionale e pensare, buon Dio!, soltanto pensare, che fosse o lui, o loro. Si conosceva, era cresciuto il giovane tassorosso, e sapeva che il secondo successivo si sarebbe pentito di quell’esitazione; di lì a poco, il Ministeriale se ne sarebbe altamente fregato del fatto che fosse un ragazzo appena maggiorenne, e che sarebbe tornato all’attacco più violento che non in precedenza. Che allora avrebbe inspirato più aria nei polmoni, Scott, e chiudendo gli occhi per un battito di cuore avrebbe capito che non poteva mostrarsi debole di fronte alla sofferenza di chi era contro di loro, e che avrebbe dovuto continuare così fino a quando non sarebbero riusciti nel loro intento.
Voleva essere più forte, doveva essere più forte - aveva solo bisogno di scaldare il motore, come una vecchia automobile a benzina.
Ma per quel frangente, poteva ancora permettersi di essere un ragazzino che sognava un mondo più buono, dove non sarebbero dovuti arrivare a tutto ciò per alcun motivo.
Inspirò ed espirò, lasciando le labbra per serrare i denti tra loro, mentre fin troppo lentamente si alzava in piedi. Gettò uno sguardo attorno a sé, cercando i suoi amici – e vide Hazel soffocare nel suo stesso respiro, Hunter colpito alla gamba, il signor Tragott a terra con una caviglia dolorante. Cristo santo, quando era successo tutto quello.
Avevano appena iniziato. Stinse involontariamente una freccia tra le dita tremanti, senza poggiarne la coda sulla tesa corda dell’arco, rendendosi conto che non era il momento adatto per scoccarne una. Doveva ancora carburare.
Di certo, se non fosse intervenuta Erin avrebbe continuato a riflettere sull’effimerità della vita per ancora una manciata di minuti. «MI ERO DISTRATTA SOLO UN ATTIMO!» piegò la testa verso la ragazza, le sopracciglia corrugate dietro la maschera: perché sembrava una giocatrice di rugby al suo esordio di campionato? E perché lo guardava come se fosse una palla?
Perché la sei, una palla. Ah, già.
Ah… già? «cosAAAAAAAAAAAAAAAAAH» non avrebbe assolutamente mosso un muscolo, il Chipmunks, se non per voltarsi velocemente in direzione del prossimo San Sebastiano – la bacchetta puntata verso di lui, un nemelio sulle labbra. «mi ha scambiato per un VERO pokéMON???» in altri momenti, sarebbe stato un onore per Scott – ma in quello, avrebbe preferito non morire per colpa di un Foglielame. Si sarebbe lasciato trascinare a terra dalla gemella senza opporre alcuna resistenza, preferendo il rozzo contatto con il pavimento che non decine di foglie aguzze a sventrarlo come un agnellino a Pasqua. «grazie e- ERIN?» dov’era Erin? Dov’era Erin?
Era forse un miraggio? Suvvia, Scott: c’è un tempo ed un luogo per ogni cosa, ma non è qui e non è fottutamente. «giusto» ??? vabbè - avrebbe dunque sollevato la bacchetta, uno sguardo di sfida dietro la faccia perplessa di pikachu a coprirgli il volto. «questa è guerra. cumulacosmo!» avrebbe quindi incanalato l’energia sopra la propria testa, sperando poi di vederla colpire il suo avversario con ferocia.
«ciao!» ma era CONNOR??? Ma proprio nei momenti meno opportuni??? Stava facendo una lotta pokémon, che non lo vedeva? «una mano?» oh, beh. «certo!» e gli avrebbe dato la mano.
… ma forse non era ciò che intendeva. «ah, no, ok CI SONO» avrebbe quindi estratto una freccia e, incoccandola velocemente, l’avrebbe sparata nella direzione consigliata dal Walsh. «così?» #no

phobos campbell

scott

Era preparato al peggio, Phobos Campbell. Sempre un instancabile ottimista, costantemente pronto ad alleggerire il peso d’ogni brutta notizia con un sorriso a trentadue denti ed i pollici sollevati, ma non per questo meno oggettivo: era l’unico adulto, insieme a Sylvester – ed il che, signori miei, è davvero tutto dire -, con la responsabilità di salvaguardare l’incolumità non solo del Castello e della missione, ma bensì di quasi una quarantina di studenti, tra cui i suoi figli, ed una manciata di persone provenienti dal mondo sottosopra. Decine e decine di ragazzini, vi rendete conto? Perché il professore di corpo a corpo sì, se ne rendeva pienamente conto, e ne era terrorizzato. Voleva tenerli al sicuro, ed era disposto a buttarsi egli stesso nel fuoco nemico pur di non vederli soffrire – ma c’era la triste, e terribile eventualità, che non potesse tenere tutto sotto controllo.
Si era preparato, come lo dovevano essere tutti quanti, a vedere il sangue scorrere tra le loro stesse file – sapendo che nemmeno una goccia di questo sarebbe stata versata invano, e che nulla sarebbe stato troppo grave da non guarire con un bacino sulla bua e del sano riposo. Non era realmente pronto, però, a vedere la situazione iniziare a precipitare dopo - quanto? - così pochi minuti da che avevano sguainato le armi. Trattenne il fiato più volte di quanto gli fosse ammesso fare, facendo scorrere lo sguardo da Hunter ad Hazel, precipitandosi a vedere che fosse tutto apposto - che avrebbe provato a farli fuggire, se non se la sentivano: avrebbe coperto loro le spalle; un modo lo avrebbero trovato. «merda» e Phobos, che di commenti coloriti non era avvezzo farne, si ritrovò a correre di nuovo tra gli incantesimi ed i colpi d’arma da fuoco, ignorando grida e fendenti e scivolando affianco ad un Self colpito da una maledizione cruciatus, assicurandosi stesse bene prima di dover di nuovo fuggire, controllare che i Chipmunks non avessero troppe e troppo gravi ferite a martoriare i loro giovani corpi. E ringraziò che non si potesse vedere la sua faccia, dietro la testa di una fin troppo esuberante ape – i denti stretti a storcere la linea della mandibola, i gioviali occhi di un verde brillante ridotti ad una fessura carica di frustrazione. Eccolo, uno dei principali motivi per cui preferiva restare nelle retrovie della Resistenza, lavorando più a stretto contatto con i ribelli novelli che non scendendo in campo: non si piaceva, in battaglia. E non si concentrava, soprattutto; aveva l’animo da crocerossina, non da guerrigliero. «non si preoccupi, prof» abbassò lo sguardo su Scott, senza dire una parola. «abbiamo visto di peggio, è tutto sotto controllo» non che lo mettesse in dubbio, né che mai l’avrebbe fatto. «ce la fate?» si guardò intorno, cercando le facce conosciute e sperando di non vederne alcuna a terra. Doveva davvero uscire da quello status mentis, o non avrebbe fatto nulla di utile – già c’era Sylvester, a cadere come una pera cotta ed a storcersi le caviglie. «ma sì, è solo qualche taglietto» cercò lo sguardo di Erin, cercando una conferma da parte sua: beh, almeno stavano ancora in piedi. «sì dai, non sembra nulla di preoccupante; almeno sarete pronti per la mia prossima lezione» «ahahah sì – cosa.» se stesse già fuggendo via alla velocità di celestebrownindornette? Ma assolutamente sì. «cosa?» «in cHE SENSO» ma era già troppo lontano, per rispondere – c’era una Nicky da salvare, ed aveva promesso a Mitchell che l’avrebbe tenuta particolarmente d’occhio. Fortuna che aveva un attacco abbastanza blando, altrimenti ahahah sarebbe stato probabilmente la causa della sua morte. Ripeté i gridi d’antiche tribù, alzando lo sguardo ad un Godric che lento ed aggraziato volava sopra di loro – era allucinato? ma no!, per qualche motivo che non è possibile comprendere alla razza umana, da cui è mio dovere ripetere che con quel costume l’Osborne si fosse elevato, stava davvero volando; era anche possibile qualcuno lo avesse lanciato, ma non staremo qui a sindacare -, pregandolo silente di dargli la capacità di farsi comprendere da sua figlia. Quando la vide, provò infatti a gesticolare come un militare in missione segreta: indicò sé, poi il tipo con la bacchetta alzata; indicò Phoebe, poi la piccola Winston, bersaglio dell’offensiva; alzò entrambe le mani, e da davanti al petto le spinse in avanti, mimandole di gettarsi addosso alla tassorosso. Nulla di più semplice, elementare. «all’una e quindici minuti cosa facciamo?» come… ok. Scosse la testa, ripetendo i gesti – era davvero troppo facile, perché non capisse. «ah nicky» sì, ci siamo. «mangiamo da lei?» cosa… come aveva fatto a capire quello. Sospirò, e prima che fosse troppo tardi - «PLACCALA!» urlò, prima di gettarsi egli stesso sull’avversario. Una volta vicino, così come il Maestro Shifu gli aveva insegnato – un vecchio monaco che aveva conosciuto durante il suo viaggio in Tibet alla ricerca della Verità, particolarmente bassino e violento -, avrebbe alzato il ginocchio al petto e, roteando su se stesso, avrebbe dato un potente calcio («WATTA») con il taglio del piede sulla mano che teneva la bacchetta, disarmandola. Approfittando dello slancio, si sarebbe gettato alle spalle del nemico e l’avrebbe stretto in un abbraccio letale – un braccio a tenerlo fermo da sotto l’ascella, l’altro a stringere con il bicipite sulla trachea. «eddai, svieni, non voglio davvero ucciderti» e, sperando fosse svenuto – o che gli si fosse spezzato l’osso del collo, o che direttamente l’avesse strozzata: ad un certo punto, si faceva andare bene tutto -, l’avrebbe lasciato cadere a terra, rivolgendo il suo sguardo altrove dopo aver alzato un pollice in segno d’approvazione verso Phoebe. La sua bambina aveva davvero un futuro da Baby in Dirty Dancing.
Le iridi chiare caddero su Beh, in procinto di essere vittima di un violento schiuma party, prima di trovare Charles, non troppo lontano dal figlio, e che ormai doveva conoscerlo abbastanza bene. Lo indicò, il Dumont, e Phobos lesse in quel gesto un invito ad agire - ma tanto, se avesse letto il labiale del ragazzo, avrebbe inteso un inconfondibile “GO”. Beh, se proprio lo chiedeva lui… chi era, il Campbell, per dire di no al suo bambino ad honorem? Avanzò a passi veloci, e gli sembrò quasi che fosse arretrato d’un passo: non poteva dargli torto. Anche lui si sarebbe allontanato da un uomo con una testa da ape al posto della faccia che correva minaccioso nella propria direzione. «nO» «ah, era quello che cercavi di dirmi?» ma gliene fregò qualche cazzo? nO (semicit.), e quindi lo prese da dietro, le braccia ad ancorarlo a sé da sotto le ascelle e ad alzarlo di peso da terra. «nO» «VOLA VOLA VOLAAAA» ed avrebbe iniziato a roteare sul posto, diventando l’incarnazione della super di Carl sfruttando la forza centrifuga per lasciare che le gambe di Charles svolazzassero in aria come le braccia di un omino gonfiabile pubblicitario, e così facendo avrebbe fatto in modo che colpissero ripetutamente la zozzona che voleva un sexy car wash da Behan. «inizia quasi a piacermi??» ed annuì, il saggio Campbell. «nessuno può resistere alle mie giravolte» era così, che conquistava i figli.
Sì certo, almeno una volta nella vita lo aveva fatto sia con Phoebe, che con i Tryhard, che addirittura con Zenith. Rito di passaggio.

phobos campbell

Era difficile. Maledettamente.
Controllare i propri poteri era del tutto nuovo, come… se avesse ricominciato d’accapo. Aveva addosso quella strana sensazione di non essere completo, d’avere il bisogno costante di essere tenuto a bada. Era come se le fiamme volessero inglobarlo, renderlo un tutt’uno con quell’ira che da sempre era rimasta sopita dentro di sé, in attesa di essere liberata.

Con Charles l’intesa non era mai mancata e nonostante gli alti e i bassi, avevano sempre dato prova di essere connessi. In un modo o in un altro, trovarsi a combattere insieme era prova di grande fiducia; se poi quest’ultima fosse riposta nelle giuste mani, era ancora tutto da vedere. Aveva perdonato al Dumont molte cose, arrivando persino a dargli un’altra occasione per dimostrargli che dietro quell’indifferenza ci fosse altro, non solo l’egoista che aveva imparato a conoscere durante gli anni precedenti. Perché l’ormai Ex-Serpeverde era difficile da capire, ancora di più da interpretare; era… diventato bravo a leggerlo, forse più di quanto fosse disposto ad ammettere.
La sua sparizione non era stata che un modo di comprendere fino a che punto l’altro fosse disposto ad aiutarlo; sia Hunter che Charles erano stati chiari quando aveva dimostrato interesse nel combattere, nonostante le sue condizioni, le l'inesperienza per la condizione da Special, ma avrebbero davvero potuto pensare che sarebbe rimasto fermo, nel suo letto, a guardare impotente la battaglia con il cuore in gola? Sapendo che loro fossero lì a rischiare la vita?

Proprio perché tra di loro le parole sembravano superflue, era bastato poco per rendersi conto dell’attacco contro Hunter; non potevano di certo urlare i loro nomi o far intendere qualcosa che potesse svelare le loro vere identità, ma oltre la maschera era palese il loro obbiettivo comune.

«I dumont-dallaire pagano sempre i loro debiti» Charles non poteva di certo vederlo, ma c’era un sorriso sotto quel travestimento da coniglio; non sarebbe cambiato mai, probabilmente «Meglio kill them all» alla Spartacus, sì.

A differenza di Gideon, anima pia in mezzo a tutti loro assassini scellerati, non aveva nessun problema nell’uccidere. Togliere una vita per salvarne un’altra; era solo questione di sopravvivenza e mettere delle priorità davanti a sé. Una delle tante era, senza ombra di dubbio, la salvaguardia dell’Oakes. Ora, per quanto la discussione tra loro fosse arrivata ad accendere l’animo di entrambi, era ovvio che avrebbe sacrificato qualsiasi cosa pur di tenerlo al sicuro, persino sé stesso. Per questo motivo, accompagnato dall’arguzia del McPherson e da Charles, tenta di evocare un muro di fuoco davanti a sé, abbastanza alto da non permettere al proiettile di colpire la gamba ferita del Corvonero. Le mani tese di fronte a sé e lo sguardo corrucciato dalla rabbia erano indice che si stesse davvero stancando di quella Asa e dei suoi tentativi di uccidere l’Oakes.

«Mi dispiace» grida verso Hunter, mantenendo comunque la concentrazione, stringendo i denti per aiutare il cugino, facendo divampare le fiamme intorno al Pavor. L’Oakes avrebbe capito, non c’era bisogno d’aggiungere altro.

«EHI!» erano arrivate pure le katane a tagliuzzare sua cugina? Ma quei Pavor erano maghi o… guerrieri/vichinghi/samurai/ninjia?! Prima di agire come il pazzo che era, prova a creare una barriera di fuoco intorno alla ragazza, tentando di tenerla in salvo.
A mali estremi, estremi rimedi. Doveva ringraziare i libri che Hunter gli aveva lasciato sul comodino in quel mese, perché scoprire di poter staccare parti del proprio corpo e che queste riapparissero dopo pochi secondi, potendole così utilizzare come molotov era stato… beh, interessante.
Per questo, prende letteralmente fuoco, prima di afferrare il proprio braccio e--- strapparlo dal corpo per lanciarlo contro Shane, nel tentativo di farlo esplodere.