[mini q] taking back the crown

Chelsey

C’era un particolare momento di una competizione che Chelsey odiava più di qualunque altra cosa: era quando credevi di essere in vantaggio, di aver chiuso la partita chiudendo gli avversari in difesa, costringendoli a ritirarsi nei loro ranghi, impedendo così loro di attaccare o di provare anche solo ad avvicinarsi alla metà campo. Poi, però, colpa dell’arroganza, del sapore della vittoria già sulle labbra, all’improvviso la situazione precipita e ci si rende conto di essere caduti in una trappola, che quella chiusura in difesa era fatta da passaggi precisi volti a sfiancare l’avversario, a fiaccarlo, risucchiando così ogni briciolo delle sue energie. In quel particolare istante ci si rende conto di quanto gli avversari siano stati furbi, perché mentre tu sei concentrato a tenere alto il risultato, loro si stavano riorganizzando, stavano prendendo tempo, preparando così la loro controffensiva.
I Pavor che avevano combattuto fino a quel momento non erano solo che un diversivo. Servivano a farli stancare, a decimarli, a renderli più deboli. Erano stati usati, presi in giro dal più ignobile dei trucchi ed erano stati degli stupidi a credere fosse ormai finita, che il Regime non avesse fatto in modo di accertarsi che ogni loro vita fosse stata stroncata, che per ogni Mangiamorte ucciso o ferito non dovessero pagare col sangue quell’affronto. Ed erano in gabbia, ristretti in un ambiente troppo circoscritto, troppo definito, senza alcuna via di fuga che non fosse quella di continuare a uccidere, di abbattere una ad una le teste di quell’Idra che non ne voleva sapere di perire. Dopo il silenzio, dopo quella quiete temporanea, esplose nuovamente la tempesta, abbattendosi inesorabile su di loro.
Durante quella breve tregua, Chelsey non era riuscita a trovare la sua principessa. Aveva cercato ovunque e un profondo senso di inquietudine incurvava il suo sorriso inesorabilmente verso il basso. Era stata felice di vedere che i suoi amici fossero ancora tutti interi, che, nonostante tutto, respirassero ancora. Avevano abbassato la guardia per un istante. Un solo, fottutissimo, istante.
“Non può essere…” mormorò prima che Hazel venisse scaraventata via. Un urlo di terrore le morì in gola mentre fissava il corpicino della McPherson sul pavimento. Immobile. Non l’aveva mai<i> vista così, neanche quando dormiva durante uno dei pigiama party nella torre di Grifondoro. Era sempre energica, piena di vita e ora… Ora… Il lampo di magia scaturito dalla bacchetta di Dante la destò da quel momento di torpore, facendola tornare in sé, o almeno abbastanza da fare in modo che infocasse la sua mazza da battitore e tornasse in battaglia, ma non prima di aver dato una pacca sulla schiena del Rinaldi, accompagnando il tutto con un “Vedi che non è vero che mi odi?” , ovvero: <i>grazie.
Si lanciò nella mischia urlando come un’amazzone, decidendo che ogni colpo, da quel momento, non sarebbe stato per sé ma per ognuno dei suoi compagni, per ognuno dei suoi amici, per ogni studente che aveva scelto di combattere, per chi era stato ferito. Per Kain.
“Everte Statim!” Avrebbe scagliato l’incantesimo contro il Pavor che aveva scelto di puntare il suo migliore amico e avrebbe aggiunto un “Awww! Finalmente stai imparando come usare la mazza! Mantieni rigido il polso la prossima volta, devi muoverlo quasi fosse una frusta!” qualora la loro difesa sul Tassorosso fosse andata a buon fine. Se il ragazzo non avesse capito le sue parole… beh, non le aveva capite neanche lei. C’erano troppi Mangiamorte sul fuoco magari e aveva ancora meno voglia di pensare. Tutto quello che voleva fare era menare chiunque di santa ragione e sapere che Kain stesse bene. Perché stava bene, giusto? Non gli piaceva lo sguardo che le aveva lanciato, né la paura che aveva percepito quando si era avvicinata a lui. Ammesso questa non fosse il riflesso del terrore che provava all’idea di perderlo. Avrebbe voluto parlargli ancora, ma era pur sempre la Morte Rossa e, fino a quel momento, ci era andata piuttosto piano.
“NOT MY CARACAL, BITCH!”
Con questo grido di battaglia, la Weasley prese la rincorsa, i muscoli delle gambe contratti dalla fatica (e dall’aver sostenuto il peso di Fitz, che per quanto piuma si faceva sentire) costretti all’ennesimo sforzo della giornata. Balzò sul tavolo, affiancata da un’altra amazzone e, lanciando l’ennesimo urlo di battaglia, prese lo slancio necessario per saltare sul Pavor che stava attaccando il Signor Tragott, le dita strette attorno all’impugnatura della mazza come fosse l’elsa di una spada, l’intento di abbattersi su di lui con la forza che le restava in corpo. Se quello non fosse bastato a far desistere il Mangiamorte dal desiderio di far esplodere il bibliotecario, se neanche l’intervento di Brooke fosse stato efficace a difendere l’uomo – altra fumata che aveva seguito il suo esempio e le stava già simpatica solo per questo -, allora avrebbe ruotato il polso, facendo scivolare la sua fedele amica fino ad impugnarla dal lato opposto, affondando la parte solita della presa nel costato dell’uomo.

Hunter