[mini q] taking back the crown

iscrizioni aperte fino alle 23:59 del 23.04

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    Poteva sentire il battito del proprio cuore sulla lingua, il lento e denso pulsare dal sapore dolce, ed impossibile da dimenticare, del terrore a sporcarle i denti. Erin Therese Chipmunks conosceva la paura, e sapeva non fosse quello, il gusto giusto: la dolcezza a sciogliersi sul palato ed addensarle la saliva era più primitiva, legata ad un istinto che rendeva l’uomo, seppur questi fingesse di dimenticarlo, l’animale che prima di diventare predatore, aveva scoperto la sofferenza dell’essere preda. Un terrore che non era privo di razionalità; l’irragionevolezza era materia degli esseri umani, di cui le bestie erano neglette in quanto superflua alla sopravvivenza, e quella stretta fisica allo stomaco non era completamente umana: quel panico, infatti, era del tutto giustificato.
    Ed era decisamente peggio.
    Alzò nervosi occhi color muschio di fronte a sé, osservando un punto imprecisato della parete alle spalle dei suoi compagni. Dovette obbligare il proprio corpo a respirare, perché la vista stava iniziando a risentire della mancanza di ossigeno nei polmoni -dentro e fuori, Erin; dentro e fuori - ma non provò alcun sollievo quando il petto si gonfiò forzatamente d’aria. Avrebbe voluto essere più forte, ma non sapeva come imporre alla mera volontà di avere la meglio su quel soffocante senso di disagio fra le costole; chiuse gli occhi stringendo i pugni, ed il pungente dolore delle unghie a conficcarsi nei palmi riuscì a scacciare parte, ma mai tutta, di quella paralisi.
    Non poteva smettere di avere paura, aveva smesso una vita prima di provarci, ma poteva essere abbastanza coraggiosa da andare avanti comunque – perché così le era stato insegnato, perché così aveva sempre fatto. Perché glielo doveva. Erin, d’altronde, era, coraggiosa; a suo modo, con i suoi tempi, ma la era; non avrebbe mai corso rischi stupidi semplicemente perché poteva, ma sarebbe morta, e ne sarebbe stata felice, per qualcosa in cui credeva: la Resistenza; la sua famiglia; i suoi amici. La cosa giusta. Che senso avrebbe avuto vivere, se non fosse stata disposta a combattere per qualcosa - per qualcuno - che amava? Continuò a ripeterselo mentre le mani, ora nascoste sotto il tavolo, cercavano le dita di suo fratello, stringendole fra le proprie con un bisogno ed una necessità che non dovevano essere comunicati a voce, perché Scott li comprendesse: Erin poteva aver tanti dubbi, ma Scott Noah Chipmunks non sarebbe mai stato fra quelli.
    Insieme?
    Come sempre.

    Da prima che avessero memoria, da una vita già vissuta e mai realmente persa. Sapere di averlo al proprio fianco anche quel giorno la rendeva vulnerabile, certo, perché nulla minava la sua testardaggine quanto l’idea di poterlo perdere – ma era suo fratello, ed il suo miglior amico, e ciò che la rendeva vulnerabile era anche quel che la rendeva invincibile. Ed ecco perché, in quel mattino del primo Giugno, la Tassorosso cercò ancora il conforto di Scott, prima di sollevare ufficialmente il sipario ed entrare in scena.

    20 Aprile 2019.
    «credo di sapere come salvarli»
    Erin si interruppe a metà sorso di Coca-Cola, la cannuccia ancora stretta fra le labbra. Spostò cauta lo sguardo sul resto della stanza, gli occhi a rimbalzare dai muri del retro del Captain Platinum - il locale di Isaac e Niamh - per tornare infine su Andrew Stilinski. Con Jayson e Xavier avrebbe dovuto essere avvezza a guardare le iridi cioccolato di Stiles senza aspettarsi che ci fosse effettivamente lui a ricambiare l'occhiata, ma dubitava che avrebbe mai potuto abituarsi al senso di estraneità provato ad osservare Andy, lo Stiles del Sotto Sopra. Con Jay e Xav aveva sempre saputo che non fossero degli Stiles, ma... Andy? Andy la confondeva, cambiava le carte in tavola - e no, non aiutava neanche il fatto che avesse ventisette anni e non ventidue, e che nell'aspetto fosse più differente dal vero Stiles rispetto ad un Jayson. Più spesso, più...reale, per quanto machiavellico potesse sembrare, considerando che arrivava da un'altra dimensione. «parli con me?» Ed il modo in cui la guardò, le ricordò per la millesima volta che non fosse il ragazzo goffo che conosceva e adorava, perché lui non l'avrebbe mai fatta sentire così in soggezione.
    Né così stupida, ma Erin non l'aveva mai presa sul personale: Andy faceva sentire tutti degli idioti, anche se non sembrava mai averne intenzione; era lo sguardo di un insegnante ad un allievo particolarmente indisciplinato o lento di comprendonio. Non c'era cattiveria nel sopracciglio sollevato dello Stilinski, solo «non c'è nessun altro» ovvietà, ecco. Erin ebbe la decenza di arrossire; poggiò la lattina sul tavolo di fronte a sé, perché aveva come la sensazione che non fosse opportuno sorseggiare Coca-Cola da una cannuccia quando un Adulto ™ si riferiva a lei con quel tono - trattandola da pari. «giusto» borbottò, arricciando le labbra ed abbassando gli occhi sulle proprie mani. «credo di sapere come salvarli» Ripeté ancora Andy, con una voce più cauta e morbida, chinandosi verso di lei. Erin non sollevò lo sguardo; temeva di aver capito male, di non aver seguito il discorso, e non poteva - non più - permettere alla propria immaginazione di gonfiare una speranza che, immancabile, avrebbe finito per esplodere lasciando solo cocci e polvere. Era stanca di pulire, e sembrava oramai non essere in grado di fare altro. «non ti seguo» perché preferiva passare per stupida, che per ossessionata; tendeva a capire sempre solo quel che voleva, la Chipmunks, ma era un'abitudine che stava cercando di perdere.
    «i vostri amici» Quello che avrebbe dovuto essere un denso silenzio, venne riempito dall'assordante battito del cuore di Erin. Una scossa di adrenalina la fece fremere involontariamente sul posto, offuscandole la vista per un paio di secondi. «e la mia gente»
    Lo ascoltò senza interrompere. Quando ebbe finito, una parte di lei avrebbe voluto saltare in piedi e offrire la propria spada come un cavaliere d'altri tempi, sollevata ed eccitata all'idea di poter davvero - davvero!- provare a fare qualcosa, ma la più terrena parte di Erin era riluttante a lasciarsi andare: non sapeva quanti altri colpi avrebbe potuto reggere, prima di andare in pezzi e non sapere più come aggiustarsi. Senza contare che «perchè lo stai dicendo a me?» E fra tutte le domande che avrebbe potuto rivolgergli, alla fine aveva optato per la più prevedibile - nonché una delle poche, ma Erin non poteva saperlo, per cui Andy aveva una risposta. Ed Andy, che conosceva le regole del gioco di squadra, sapeva perfettamente che malgrado la risposta fosse ampia - non mi ascolterebbero; conosci più persone di me; hai un aspetto innocuo, il che ti rende un messaggero perfetto - Erin avesse bisogno solamente di una parte della verità: la priorità dell'auror era, d'altronde, sempre stata quella di far sentire tutti importanti e necessari.
    Ecco perché «si fidano di te» Fu tutto quel che ribatté.
    E tutto quel che servì a convincere Erin Chipmunks, un sorriso brillante d'orgoglio a curvare la bocca, a provarci. «farò del mio meglio»
    «lo so.» con quelle due parole, la Tassorosso comprese cosa avesse spinto i membri del Sotto Sopra a renderlo un modello di riferimento: ci credeva davvero, Andy.

    01 Giugno 2019.
    Dal suo scarso metro e sessanta, difficilmente tendeva ad attirare l’attenzione. Salì in piedi sulla panca, eludendo i piatti nell’issarsi infine sulla tavolata dei Tassorosso, dal quale volse un’attenta occhiata ai suoi compagni. I più piccoli, dalla prima alla quarte classe, erano già tornati a casa la notte precedente; chi aveva gli esami, quinto e settimo anno, era destinato a rimanere ancora qualche settimana a scuola, mentre il sesto anno arrancava fra le mura in pietra per restare qualche giorno in più con i propri amici: perchè Hogwarts portava sangue, e lacrime e dolore, ma anche quel tipo di amicizia che s’infiltrava nelle vene e giungeva al cuore come un iniezione di adrenalina. Quel genere di legame che dava un significato alla parola lealtà, e che perfino nei momenti difficili, rendeva il più pavido fra loro il coraggioso eroe della giornata. Non era solo ingenuità, quella che spingeva Erin a credere che l’amore potesse essere abbastanza, nella vita; si basava su quel che vedeva, su quel che sapeva, e l’affetto era il combustibile di qualunque tipo di motore: il Regime lo usava per instillare paura, mettendo sulla forca famiglie ed amici di chiunque avesse avuto l’ardire di ribellarsi.
    Ma era un’arma a doppio taglio, ed era giunto il momento di usarla.
    Puntò la bacchetta alla propria gola - sonorus - alzandola poi verso il soffitto - periculum - e solo quando le ultime scintille scarlatte dell’incantesimo si spensero, ebbe l’attenzione dell’intera Sala Grande. Nessun tintinnio di posate, nessun vociare confuso – il silenzio divenne così appiccicoso da rischiare di soffocarla.
    Ma non aveva più tempo per farsi prendere dal panico, per scendere e lasciare la parola a qualcun altro.
    Nessuno di loro lo aveva. Era già troppo tardi.
    «mi chiamo erin,» iniziò, cercando di non far caso a quanto la voce, amplificata dall’incanto e seguita dall’eco, suonasse strana - e tremante, come le mani strette frenetiche fra loro. Deglutì, inspirò, e ci riprovò. «mi chiamo erin,» più decisa, più concreta - abbastanza coraggiosa da sollevare lo sguardo e farlo guizzare fra i suoi compagni, sentendo una fitta allo stomaco nel riconoscere, non per la prima volta, quanto tutti loro fossero giovani. Si permise un’occhiata al bancone dei docenti, deserto - almeno quella parte del piano, evidentemente, stava funzionando.
    Ora toccava a lei. «tassorosso, ultimo anno» Umettò le labbra, espirò lenta l’aria compressa nei polmoni. «lavoro da madama piedi burro; la mia materia preferita è erbologia» Chiuse le palpebre, facendo del proprio meglio per non sentire i commenti sputati fra i denti da chi già la conosceva o da chi, poco diplomaticamente, le faceva notare quanto poco gli interessasse. «ho diciotto anni» ingoiò saliva e bile, drizzando le spalle per fronteggiare il vero nemico della loro società: l’indifferenza. Voleva rendersi reale ai loro occhi; voleva comprendessero che lei, Erin Aguilera, non aveva nulla più di loro.
    Voleva che quando fosse giunta al punto della questione, capissero che ciascuno di loro poteva fare la differenza. «un anno e mezzo fa alcuni dei nostri compagni, dei nostri insegnanti - e amici, e famigliari – sono stati denunciati come traditori, e dichiarati morti dal preside di Durmstrang.
    Aidan Gallagher, il vostro prefetto»
    si volse verso i Grifondoro.
    «Barrow Cooper» un’occhiata ai Corvonero. «Sersha Kavinski, CJ Knowles» Guardò i Serpeverde ed I Tassorosso, abbracciando poi l’intero studentato. «l’assistente infermiere sehyung park; l’assistente psicomaga amalie shapherd.
    Ragazzi come noi, ragazzi che conoscevamo - ragazzi che non hanno avuto alcuna scelta sulle guerre da combattere, ma che hanno lottato comunque
    Attese un paio di battiti di cuore. «e che hanno vinto.
    Non sono morti come ci hanno fatto credere: sono prigionieri. Sono intrappolati a cent’anni di distanza dalle loro famiglie, dai loro amici – da noi. Sono vivi, ma non possono tornare a casa.
    E con loro il preside di Salem, William Lancaster, e Jeanine Lafayette di Beauxbatons. Perché ve lo sto dicendo? Perché hanno bisogno di noi, e noi abbiamo bisogno di loro.
    Avete letto un giornale, di recente? Vi siete guardati attorno? Il mondo sta cambiando, e non in meglio. Abbiamo rimandato, e rimandato, ma non possiamo continuare a scaricare l’onere sugli altri, o aspettarci che siano i soli adulti a salvarci solamente perché siamo ancora studenti: la nostra vita, è anche una nostra responsabilità. Oggi è il momento di fare qualcosa; oggi è il momento di cambiare la storia. oggi salviamo i nostri amici, e salviamo noi stessi.
    Non dovete credermi sulla parola, ma datemi – e dateci - una possibilità: non vi chiedo di combattere per qualcosa, ma per qualcuno
    Fece un cenno con il capo, e dai margini della stanza apparve la cavalleria, celata fino a quel momento da occhi indiscreti: mangiamorte e ribelli, special e maghi, au e canon, purosangue e mezzosangue.
    «non siamo solo l’esercito di amalie» asserì seria, spostando orgogliosi occhi verdi sugli studenti. «non siamo solo il nostro sangue, o la nostra razza: siamo esseri umani.
    Potete scegliere di rimanere e combattere, ma potete anche scegliere di andarvene e non saperne nulla - capite? potete scegliere; potete perfino decidere di uscire da quelle porte ed unirvi alla repressione. Siete liberi - ma spetta a voi prendere in mano la situazione, nessuno può farlo al vostro posto. non lasciate che qualcuno lo faccia per voi. »
    Scese dal tavolo per avvicinarsi alle due ceste portate dal loro cavallo di troia, l’una contenente le armi, e l’altra colma di maschere di ogni forma e dimensione. Ne studiò una stringendola fra pollice ed indice, le labbra strette fra loro.
    Infilò la maschera, dalla quale erano visibili i soli occhi verdi, e mise a tracolla una faretra.
    «ci saranno due gruppi: il primo seguirà andy - il ventisettenne volse un cenno con la mano alla Sala Grande. - al ministero, e dovrà introdursi al quarto livello alla ricerca di un libro che permetterà agli au di tornare a casa, ed a noi di riprenderci i nostri amici: non oggi, magari neanche domani o fra un mese, ma è comunque qualcosa in più rispetto a quanto abbiamo adesso.» Andrew annuì dividendosi dal gruppo, ed Erin continuò. «gli altri rimarranno ad hogwarts, e faranno da diversivo.» Solo in quel momento la Chipmunks permise ai propri occhi di farsi tristi - e seri, e terribilmente adulti. «mancano trenta secondi» Prese fra le braccia un arco, il capo a muoversi impercettibilmente in un cenno d’assenso. «alcuni dei nostri professori stanno prendendo tempo e disattivando le difese di hogwarts; dovrebbero raggiungerci fra -» «venti secondi» «venti secondi.» Espirò, chiuse e riaprì i pugni. «non siete soli. non siamo soli» Fu in quel momento che il primo, ma non ultimo, boato fece tremare il pavimento, costringendo la Tassorosso ad aggrapparsi al primo braccio disponibile per mantenere l’equilibrio.
    Per salvarla, stavano distruggendo Hogwarts. Ricambiò l’occhiata di Frankie Cobain, uno dei ragazzi provenienti dal sotto sopra. Pallido, terrorizzato - e strinse di più la presa, Erin, promettendo silente che ci fossero dentro insieme.
    E ne sarebbero usciti insieme.
    Un altro boato. Incoccò una freccia premendo le spalle contro il muro, indicando con la mano libera il portale per giungere al Ministero, ed il passaggio segreto adiacente che li avrebbe invece portati al sicuro. Sorrise incoraggiante a Nathan, in piedi vicino alla seconda porta – lui era incaricato di accompagnare gli studenti al luogo protetto dal quale avrebbero poi potuto tornare a casa – e spostò quello stesso sorriso incerto su Andrew Stilinski.
    Si girò un’ultima volta verso i suoi compagni, perfettamente consapevole che avrebbe potuto essere un’Ultima Volta con le iniziali maiuscole – e l’aveva accettato, e le andava bene.
    Perché lo faceva per Amalie e Kieran, per Murphy e Dakota, per Jay e Gemes; lo faceva per tutti coloro che un anno prima avevano perso tutto. Lo faceva per un mondo che aveva più bisogno d’eroi come loro, che di Erin Chipmunks. Lo faceva per Scott e Jess, per Lydia e Sinclair – lo faceva perché gente come Gideon, Hazel, Amelie o Dante, avesse una possibilità in più di farcela il giorno dopo.
    Ma lo faceva anche per se stessa.
    «mi chiamo erin, e ho fatto la mia scelta»
    «dobbiamo andare – ORA»
    «adesso tocca a voi.»
    We are the warriors who learned to
    love the pain
    frankie cobain
    hufflepuff
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    cop
    upside down



    //: SURPRISE BITCHES, BENVENUTI UFFICIALMENTE ALLA MINI QUEST.
    – trama. Partiamo dal principio (ora e sempre, nei secoli dei secoli, amen).
    DICEMBRE 2017 (quest07): alcuni pg sono stati dati per morti, ma in realtà sono (quasi tutti) vivi ed intrappolati nel 1919, e nel 2119, trascinati a spasso nel tempo dal Chro ed il Nos, le magike giratempo di Lancaster (preside di Salem) e Lafayette (preside di beauxbatons).
    APRILE 2018 (miniquest): tali personaggi hanno fatto visita all'au (universo alternativo) con il quale erano già venuti in contatto come /Purgatorio/ nel primo salto temporale che li ha sbalzati nel passato e nel futuro; qui hanno distrutto il Kattivo (ciao seth) (di cui, ricordo, gli au non hanno più memoria) aiutando gli abitanti di quel mondo a vincere la guerra. Lancaster è rimasto nell'au per "ricaricare" le giratempo così da poter riportare a casa il Popolo™ dicendo loro che sarebbe passato a recuperarli quando fossero state pronte: spoiler, non l'ha fatto.
    LUGLIO 2018: nell'au sono passati cinque anni (siamo al 2023). A causa di un /incidente/ con le loro giratempo (uguali alle Tre Magike dei Tre Presidi nel nostro universo; le giratempo, come si scopre a fine mini quest, Sono tipo dei ...sigilli che tengono intrappolato Seth, /usciti/ dalla Prigione quando questa è stata messa in sicurezza) sono stati sbalzati nel mondo canon. (vedi indagini, quando tutti i pg hanno iniziato a /muoversi/ per cercarli)
    GIUGNO 2019: al Ministero hanno qualcosa in grado di riaprire i portali fra au e canon, per questo viene organizzata una missione di recupero (tutti coloro che si dirigeranno al ministero) ed una di diversivo (coloro che rimarranno a "far kasino" a Hogwarts così da distrarre dall'obiettivo principale). Sono tutti dotati di maschere per non farsi riconoscere (per la forma della maschera, potete scegliere quella che vi pare).
    – tempistiche. avete tempo per iscrivervi (si, iscrizioni flash) fino alle 23:59 del 23.04. il post di iscrizione non è obbligatorio, va benissimo scrivere solo uno spoiler.
    – regole. bando alle fasce PE, siamo ribelli: tutti avranno 15 PA/PD indipendentemente dal potere / reale fascia di punti esperienza. Valgono le solite regole a cui, lo so, siete particolarmente affezionati: (1) l’attacco vale 48 h, dopodiché se non vi sarete difesi né alcuno l’avrà fatto per voi, perderete tanti PS quanti PA offensivi. (2) sono ammesse combo in difesa, ma non combo in attacco. (3) potete fare combo con voi stessi a patto che siano due post differenti. (4) potete scegliere l’arma che preferite, e non avrete le limitazioni su proiettili / granate / quant’altro. (5) i PE andranno al player, non ai gruppi PE (quindi riceveranno gli stessi pe tutti i vostri pg).
    – iscrizioni. potete iscrivere un massimo di 4 pg (+ relativi bonus, es, come vedete nello schema, Erin + Frankie). Il bonus non dev'essere per forza un au, può benissimo essere un personaggio canon. Potete anche iscrivere fittizi (personaggi che ancora non hanno una scheda) sia come principali, che come bonus. Cosa significa avere un personaggio bonus? Che durante la mini quest potrete difendere / attaccare con l'uno o l'altro pg indifferentemente, ma saranno entrambi in uno stesso post, ed avranno entrambi gli stessi punti salute (varranno, quindi, come pg unico).

    Per iscrivervi dovrete postare in questa discussione. Potete fare un post, oppure rispondere semplicemente sotto SPOILER. Compilate il seguente modulo:
    CODICE
    [color=#334E58]<b>➝ nome pg (principale):</b>[/color]
    [color=#334E58]<b>➝ nome pg (bonus):</b>[/color] (può essere canon o au; non è obbligatorio)
    [color=#334E58]<b>➝ gruppo:</b>[/color] (ministero / hogwarts)
    [color=#334E58]<b>➝ armi:</b>[/color] (scegliete quella che preferite, può essere diversa da un pg all'altro)
    [color=#334E58]<b>➝ sei pronto ad accettare le conseguenze?</b>[/color] (certo che sì / ovviamente / non vedevo l'ora di morire)
    [color=#334E58]<b>➝ incoraggia i tuoi compagni:</b>[/color] (ossia campo a caso ed assolutamente non necessario)



    Se avete (e le avrete, lo so; cavoli, ne ho anche io #wat) domande, o avete bisogno di chiarimenti, sapete dove trovarmi - nel mentre, hurry up per le iscrizioni!
     
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    ➝ nome pg (principale): Sylvester Lancelot Tragott
    ➝ nome pg (bonus): Dante Renzo Rinaldi
    ➝ nome pg (principale): Cassius Fabian Dallaire (AU di Viktor)
    ➝ nome pg (bonus): Yulia Brigitte Icepotatoes (AU di Aaron)
    ➝ nome pg (principale): Viktor Asmodeus Dallaire
    ➝ gruppo: Sylvester, Viktor e Dante a Hogwarts/Cassius e Yulia al Ministero
    ➝ armi: Syl una cintura con pozioni varie, Cassius un pugnale, Dante una mazza da baseball, Yulia una pistola calibro 50 e Viktor un pugnale (un coltello in mano a Sylvester dovrebbe essere dalla punta arrotondata, perché rischierebbe di conficcarselo nel piede. #grazia)
    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? non vedevo l'ora di morire, ovviamente.
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: Facciamo bordello come gli Avengers a Sokovia. SPACCHIAMO TUTTOH E NON PAGHIAMO I DANNI.


    Edited by wishy/washy - 23/4/2019, 19:21
     
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    ➝ nome pg (bonus): cillian lestrange (au)
    ➝ gruppo: ministero
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? non vedevo l'ora di morire
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: ao
     
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? no????? cosa???????? si muore????%%%
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? non vedevo l'ora di morire #godric
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: io l'ho data tre volte e non ho ancora capito, pensa


    Edited by wait‚ wat? - 23/4/2019, 22:23
     
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    «sei sicuro di volerlo fare?» avrebbe voluto che la richiesta suonasse ironica quant’era sua intenzione. Avrebbe voluto sorriderne sghembo, Fergie Jackson, di quel quesito che quasi un anno prima aveva punto la lingua del Cobain nella sua direzione; avrebbe voluto trovare divertente ritrovarsi, mesi dopo, con la vecchia domanda di rito a cui sapeva perfettamente cosa l’altro avrebbe risposto.
    Ma non riusciva a trovarlo divertente. Lo osservava di sottecchi, abbastanza vicino da non dover alzare la voce ma non da toccarlo, e nello sguardo perseguitato da fantasmi antichi e sempre bastardi del guaritore, non riusciva a trovare un solo quarto di motivo per cui sollevare gli angoli della bocca verso l’alto. Che vita di merda. «fottiti» Non aveva mai sentito la voce di Franklyn Cobain così sottile e angosciata, strappata dalla gola con pinza e mera forza di volontà – ed avrebbe voluto non sentirla mai, Fergie, il cui tatto non era poi più sviluppato di quello di un bicchiere di scotch.
    Avrebbe anche voluto non gliene fottesse una sega, ma a quanto pareva non solo non si poteva avere tutto dalla vita, non si poteva avere proprio un cazzo. Malgrado ogni cellula del suo corpo lo supplicasse di farlo, non distolse gli occhi scuri dal profilo di Frankie. Gli sembrava una mancanza di rispetto non guardare, quando qualcuno aveva abbastanza coraggio da mostrarsi vulnerabile di fronte a lui – poco importava che nel loro contesto sembrasse non esserci altra scelta, perché Ferguson sapeva che una scelta ci fosse sempre. Aprì la bocca per correggerlo, ancora, sull’ultima sillaba (evidentemente sbagliata) di quel fottiti, ma non ne uscì alcun suono; Fergie Jackson amava il suono della propria voce quando poteva dire cazzate, ma quando si trattava di verità scomode, era il primo a portare via le palle. Ma quand’era diventato così patetico?
    Per quella domanda, una risposta – seppur di merda – la aveva.
    Non poteva incolpare l'alcool, Fergie, per quello che aveva fatto la notte di Capodanno. Era immune a qualunque genere di acido - ed anche se così non fosse stato, non l'avrebbe fatto per principio: non si era mai fatto pregare per nulla, ed aveva sempre attuato il mantra vivi una volta sola senza precludersi qualcosa solamente perché incerto o pericoloso. Aveva ignorato la mezzanotte, festeggiando insieme agli altri - ed aveva aspettato ancora, sicuro che quell'impulso si sarebbe affievolito con il passare del tempo e delle ore.
    Non l'aveva fatto. Era l'alba del primo gennaio, e nel cortile della villa presso cui si era tenuta la festa, c'erano solamente lui ed alcuni pavidi fiocchi di neve. Soffiava il fumo verso il cielo, cercando di sciogliere i cristalli prima che potessero toccare terra. Il Jackson rimase immobile e silenzioso anche quando la porta si aprì alle sue spalle, deciso ad ignorare chiunque fosse giunto a rompere la sua bolla di quiete.
    Ma riconobbe il passo. Riconobbe la voce dal basso fischiettare, dai grugniti per il freddo. Si volse strisciando un piede sull'erba, un sibilo che attirò l'attenzione del nuovo arrivato. Frankie Cobain spalancò gli occhi sorpreso, una sigaretta a pendere morbida dalle labbra. La luce proveniente dalle finestre illuminava i corti capelli bruni, il mento sfuggente ed il naso dritto, il fisico asciutto ma concreto. «credevo-» Fergie non avrebbe mai saputo cosa Frankie non credesse, perché non gli aveva fatto concludere la frase. Aveva annullato la distanza fra loro con passi rapidi e sicuri, a ritmo con il proprio battito nello sterno, e quando si era trovato abbastanza vicino al Cobain, aveva allungato entrambe le mani per stringergli il viso fra i palmi. E non gli aveva dato tempo di far niente, né di sottrarsi né di allontanarlo, stringendo le guance fino a quasi fargli male, schiacciandolo su di sé fino a quasi farsi male, strappandogli la sigaretta dalla bocca per sostituirla con le proprie labbra. Aveva stretto le ciocche scure fra le dita, registrando l'improvviso irrigidimento delle spalle del Cobain in ogni muscolo ed ogni osso - e non gli aveva comunque tempo di andarsene, di pensare, nell'alzarsi verso di lui per trattenerlo su di sé. Aprì la bocca respirando sulla sua pelle, le difese del ragazzo a vacillare sotto quel minimo soffio, le mani di Frankie ad arrampicarsi senza esitazione sulle sue spalle. Fu Fergie a non aver tempo di stupirsi, o domandarsi se l'avrebbe allontanato: Frankie lo afferrò come se ne andasse del suo equilibrio, i polpastrelli affondati nella carne, spingendolo contro il muro più vicino per schiacciare il petto contro al suo.
    E nessuno dei due parlò, e Fergie gli lasciò prendere il comando, dischiudendo le labbra per lasciarlo entrare. Respirava Frankie in ogni mezzo fiato strappato a quel bacio, sicuro che, comunque, di quell'ossigeno non se ne facesse niente, intrecciando la lingua con la sua fino a non sapere più dove finisse uno ed iniziasse l'altro. Lo schiacciò ancora più contro di sé, il naso a scavarsi un solco nella pelle, sorridendo dei denti a schiantarsi in quel bacio disperato e necessario, umido e bollente. Quando un soffocato verso di gola lasciò la bocca del Cobain, Fergie decise di averne abbastanza, spingendolo in modo che fosse l'altro ad avere la schiena contro il muro: non voleva se ne andasse.
    …E si era detto fosse stato uno sfizio, niente di più; il puro principio di poter avere qualcosa fino a quel momento solo immaginato, mai neanche realmente desiderato. Non aveva creduto sarebbe cambiato qualcosa, il Jackson – ed alla fine era stato bravissimo a fottersi da sé.
    Perché, pochi giorni dopo, -
    «cosa ci fai qui?» Non lo sapeva. Fergie non lo fottutamente sapeva. Tenne il capo chino e la bocca chiusa, entrambi atteggiamenti che poco gli si addicevano, immobile nel piccolo cortile di fronte alla casa di Nicky Winston. Dovette sforzarsi per curvare un angolo delle labbra, sentendo pungersi addosso gli occhi poco discreti che dal salotto sbirciavano fra le tende: sapeva che, in qualunque altro frangente, avere i Cooper come spettatori l'avrebbe fatto sorridere, così come percepire l'improvvisa rigidità delle spalle di Frankie Cobain, ma non quella notte. Lo sguardo di Meara e Barrow lo faceva sentire nudo, il tono secco e sbrigativo del Cobain assurdamente vulnerabile. Fragile, lui che mai lo era stato e mai avrebbe pensato di esserlo. Il solo pensiero gli diede il voltastomaco, e per puro principio si obbligò ad alzare la testa verso gli occhi scuri del poliziotto. «non hai mai risposto ai miei messaggi» riuscì a dire, suonando un poco più se stesso, drizzando la schiena ed immergendo le mani nella tasca del cappotto. Frankie sbuffò stringendo le braccia al petto, una spalla poggiata allo stipite della porta. Indossava solamente una maglia sgualcita e pantaloni della tuta di un opaco grigio scuro, decisamente un abbigliamento poco consono a quel gelido inizio gennaio, ma non dava segno di sentire freddo. «non lo faccio mai» Vero. Ma questa volta avresti dovuto. Sorrise di facciata, sentendo i muscoli rispondere all'impulso ma senza mettere nella smorfia alcuna allegria. «perchè?» Fu il Cobain il primo a distogliere lo sguardo, le spalle a stringersi fra loro. Per un motivo non meglio precisato, quel distacco fece torcere qualcosa nello sterno dell’ex Serpeverde, il quale mantenne comunque il sorriso cortese e derisorio – si viveva d’apparenze, nel suo mondo. «perché avrei dovuto? non è che ora siamo amici, jackson» santa-fottuta-verità, sempre quella a bruciare sulla lingua e la pelle.
    In effetti, chissà perché aveva pensato diversamente. Non aveva alcun cazzo di senso. Sfiorò con il pollice il labbro inferiore, e non gli sfuggì la rapida occhiata con cui l’altro seguì il gesto. Arcuò le sopracciglia ed ampliò il sorriso, cosciente dell’effetto che aveva, e sempre aveva avuto, su di lui – e finse di non domandarsi il perché quello non potesse bastare. «e dire che sembrava ti piacessi parecchio» portò una mano al cuore e sporse il labbro all’infuori, sentendo un sorriso decisamente Fergie curvare la bocca. In momenti simili, così surreali, era piacevole e confortante ricadere nella propria pelle e nelle vecchie abitudini. Metodo che mantenne quando, anziché evitare il pugno sul braccio del Cobain, afferrò la mano nella propria ed approfittando della spinta lo tirò a sé. Avrebbe potuto scagliarlo al suolo, ma dove sarebbe stato il punto? Lo tenne invece premuto contro il proprio petto, il braccio immobilizzato fra i loro corpi e pochi fiati a separare l’uno dall’altro. «è una guerra che non puoi vincere, cobain» sibilato con più astio del voluto, del pensato, con ancora il ricordo del suo sapore a solleticare lingua e palato. «wAtCh mE» il calore del suo respiro a bruciare bocca e carne.
    E Ferguson Jackson, liberandolo dalla presa con una spinta ed allontanandosi da quella cazzo di casa, l’aveva guardato.
    Ed anche in quel momento, lo guardò. Ne osservò il colorito pallido, l’aspetto asciutto e spaventato, il flebile tremore delle spalle. «non sei obbligato a venire» e come la prima volta in cui gliel’aveva ricordato, sperò che accettasse il suggerimento e portasse via il cazzo. Per pragmatismo, eh: in quelle condizioni sarebbe stato più di peso che d’aiuto. Lo vide umettare le labbra, socchiudere le palpebre, raccogliere se stesso in un battito di cuore. «l’ultima volta che mi sono ritrovato in una situazione simile, sono m-morti quasi tutti i miei amici» Fergie mantenne l’espressione impassibile anche quando il Cobain gli permise di osservare l’intero peso delle dolenti, ed arrabbiate, iridi scure. «scusa tanto se non sono particolarmente eccitato all’idea di una replica» Ferguson Jackson all’epoca aveva avuto quindici anni, e non aveva partecipato alla Rivoluzione. Se gliel’avessero permesso, l’avrebbe fatto - perché, malgrado fosse una rinomata testa di minchia, credeva nella giustizia più di quanto non credesse in sé stesso, ed a conoscerlo almeno un poco sapreste di quale paragone si trattasse. Era stato uno dei primi a proporsi per la Missione, nel loro mondo; ed era stato uno dei primi, Fergie, ad assicurare la sua presenza in quella, un sorriso torbido e sporco d’intenzioni promesso ad una causa che non lo toccava particolarmente, perché lui una casa se l’era trovata anche lì - ma l’etica e la morale, ah!, roba con il quale non scherzare. «per quella, possiamo rimediare» Gli rivolse il migliore dei suoi ghigni, sopracciglia arcuate e mani sollevate in segno di resa, ma non ricevette l’osservazione né che quel commento meritava, né che Frankie sarebbe stato solito offrirgli. Il guaritore si limitò, troppo serio, a ricambiare l’occhiata, tacendo abbastanza a lungo da far credere al Jackson (lui, extra di natura) di aver esagerato. Anche lì, perché avrebbe dovuto interessargli? Non era che avesse qualcosa da perderci, in ogni caso. «se ti chiedessi di promettermi di non morire, lo faresti?» Battè le palpebre interdetto, colto alla sprovvista. Nell’entrare nei cancelli di Hogwarts insieme al resto dei loro compagni, gli offrì l’unica risposta che una domanda simile meritasse: «prometto di non morire, frankie»
    Una menzogna. Ma l’altro annuì, ed entrambi se lo fecero bastare.

    Aveva mai detto quanto i maghi fossero esibizionisti? Mai abbastanza, a quanto pareva. Jane Gabriel Darko, nel silenzio della Sala Grande rotto solo dal monologo di Erin Aguilera, continuò a masticare i suoi cereali affatto impressionata, lo sguardo a guizzare dalla ciotola alla ragazza in piedi sul tavolo. Non capiva perché gli adolescenti magici non potessero comportarsi civilmente e mandare, boh, inviti su facebook come qualunque altro essere umano, o offrire volantini come i fast food sotto marca. Sembrava sempre seguissero un copione, quasi gli altri fossero una platea che moriva dalla voglia di assistere al loro spettacolo.
    E sì che Jane era una ragazza curiosa, ed in effetti era sempre affascinata da tali messinscene quindi apprezzava il pensiero, ma davvero le sfuggiva il perché non potessero semplicemente chiedere. In qualunque altro contesto, la diciottenne sarebbe stata solo ridicola, rincorsa da risate e sbeffeggi – ed invece no, capite? La gente la prendeva sul serio, neanche fossero stati nel Medioevo di fronte al giuramento di un nuovo cavaliere. Cioè – assurdo. Quando la panca le tremò sotto il culo, si lasciò sfuggire un sentito «merda» degno del pathos della circostanza, un grugnito seccato nell’osservare il contenuto del suo bicchiere sulla propria divisa.
    Potevano anche avvisare, eh. La gente crepava d’infarto per molto meno. Riempì nuovamente il bicchiere di succo d’arancia, le iridi zaffiro ad osservare una Sala Grande decisamente sovraffollata. Stava avvicinando il bicchiere alla bocca, quando un’altra cazzo di scossa decise bene che NO, non era destino bevesse il suo succo. «ma che cazzo con tanto di stizzito gesto di alzarsi, giusto per rendere l’idea. Era TANTO voler BERE DEL MALEDETTO SUCCO?
    A quanto pareva, sì.
    «adesso tocca a voi» e drama a parte, Jane aveva realmente colto il fulcro della situazione; ridendo e scherzando – più la seconda della prima – nell’intrinseco cinismo con cui osservava il mondo, l’aveva capito che fosse roba seria. Non significava che l’avrebbe affrontata con sguardi fieri e patti di sangue alla finchè morte non ci separi best squad 4e, ma neanche che si sarebbe voltata e li avrebbe lasciati crepare tutti senza di lei: se doveva morire, tanto valeva farlo in quel momento, prima che la situazione per i babbani andasse ancora più a puttane.
    Senza contare che da quando aveva visto l’altro Jane in Sala, aveva deciso si sarebbe unita al Diversivo Kamikaze; non avrebbe dormito serena sapendo che il ragazzo dell’altro universo avesse abbastanza (istinti suicida) palle da mettersi in gioco, mentre lei scrollava la home di tumblr.
    Era una questione di fottuto principio. «che tipi» fu l’unico commento con il quale si congedò da Narah e Fitz, prima di dirigersi verso la pila di maschere. Un po’ le dispiacque di non percepire il vibes PER NARNIA che sembrava unire gli altri verso la lotta al Bene Superiore – ma ehi, era lì, no? Contava il pensiero. «e comunque, bastava chiedere “per favore”» Un mezzo sorriso sghembo, gli occhi a ruotare verso Erin. Beh? Qualcuno doveva dirglielo.
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    ➝ incoraggia i tuoi compagni: (continuando da sopra:) NON è VERO, PEGGIORA SEMPRE

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    Edited by idk‚ man - 20/4/2019, 16:52
     
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? CHE BELLO SI MUORE YASSSSSSSS
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: che il fato sia con voi, e con il vostro spirito (fato: oh, hell no, bitches)


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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? BUON COMPLEANNO!!!
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: AYAYAYAYAY
     
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? ECCERTO DUDE!
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: #COUSCOUSRICCOMICIFICCO!

    (posso iscrivere gli altri piu avanti cosi intanto ci penso? #wat)
     
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? Per tutti i polli alle mandorle, sì ???
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: DAI, COSI' CI PACCHIAMO DAL RIDERE!!!!


    Edited by [censured] - 20/4/2019, 16:56
     
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    ➝ gruppo: hogwarts
    ➝ armi: Bacchetta & Scudo - Gideon || Pistola semiautomatica - Guin
    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? non vedevo l'ora di morire
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: la sofferenza è piacere (c)



    Edited by selenophile. - 20/4/2019, 18:43
     
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? Sono nato pronto #wat #no
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: OGGI È ER GIORNO TANTO ATTESO


    Edited by Anchor(less) - 20/4/2019, 17:26
     
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    «ma hai per caso lasciato la tv accesa?» la semplice presenza del ragazzo in quella stanza bastava a farla innervosire. Ancor di più, poi, se si metteva a fare domande idiote. «non la guardo la tv, sai cosa ne penso del mondo dello spettacolo di questo universo» Brad non era mai stato con George, Fedez aveva lasciato Giulia Valentina per Chiara Ferragni: non si sarebbe mai abituata ad una simile situazione. «magari erin o scott-»«sono già ad hogwarts»«allora forse je-»«ANDIAMO PER FAVORE?» Doveva assolutamente portarlo fuori di lì, prima che si accorgesse della reale fonte di quelle grida in sottofondo. Così, dolce e delicata come al solito, la ragazza afferrò il Cooper per un braccio, trascinandolo verso la porta d'ingresso «aspetta magari saluto ophel-»«DORME» perché era sempre così difficile cacciare barrow da casa sua?? Per una volta che Amalie stava uscendo insieme a lui, poi!! Non aveva calcolato una simile resistenza. Erano quasi - e dico, quasi - arrivati alla porta, quand'ecco che la voce della ragazzina si fece più forte. Più chiara: aveva forse trovato una bacchetta nella stanza?? Dubitava che nel bagno ce ne fossero. O forse aveva semplicemente gridato con tutto il fiato che aveva in gola??? «FAMMI USCIRE!!» Merda. Lanciò uno sguardo preoccupato verso Barry, sperando in cuor suo che continuasse ad esser convinto della teoria televisione-lasciata-accesa. E invece... «ma è ROW???» [sweat nervously.gif] Poteva ancora convincerlo?? Dai sì, il ragazzo di solito credeva a tutto quello che usciva dalla bocca della Dallaire. «no, ma ti pare! saranno i vicini» quali? Dovevano esserci, da qualche parte. «amalie» a giudicare dallo sguardo del ragazzo, non le credeva. Anche perché i colpi sulla porta iniziavano a sentirsi sempre più forti e aveva quasi paura che da un momento all'altro potesse sfondarsi. Come faceva un corpo così piccolo a contenere una tale quantità di energie??? «posso spiegare, è che..»«MI HA CHIUSA IN BAGNO E TOLTO LA BACCHETTA» damn, come faceva ad avere così tanta voce??? Avrebbe dovuto insonorizzare la stanza, prima di andare: era un'idea che non le era passata per la testa, anche perché era stata sicura di uscire da casa senza problemi, lasciando la ragazzina bloccata dentro. Mica per sempre, sia chiaro: aveva chiesto ai Quinn di venirsela a riprendere una volta che la missione fosse già iniziata. «hai chiuso NOSTRA FIGLIA in bagno?!» doveva sempre enfatizzare così tanto la parola nostra??? «le ho lasciato del cibo!! E dell'acqua! Ed ho detto a Vic dove lascio le chiavi, mi ha rassicurata che qualcuno verrà a riprendersela» Insomma, aveva fatto tutto con criterio! Aveva capito dal momento in cui Rowan si era presentata a casa sua, lo sguardo sorridente e chiaramente pronto a qualunque cosa, quali fossero le sue intenzioni. Ed Amalie era stata investita da un senso di responsabilità che mai aveva avvertito prima, in maniera così intensa, nei confronti della ragazzina. Non le avrebbe permesso di partecipare a quella missione, non quando le ferite dell'ultimo scontro a cui aveva partecipato bruciavano ancora, seppure a più di cinque anni di distanza. Non poteva correre il rischio di perderla. «VOGLIO VENIRE CON VOI» «CI DOVEVI PENSARE PRIMA DI DIRMI CHE SEI MIA FIGLIA» «..nostra figlia» Lo doveva dire ogni volta? Ogni santa volta. Perché poi qualche attimo prima aveva quasi sentito il bisogno di giustificarsi per quello che aveva fatto?? Era sua madre, e stava agendo unicamente per il bene di quella ragazzina. Strinse ancora di più la presa sul braccio di Barrow, trascinandolo a forza verso la soglia d'ingresso «non dire altro e andiamo» non avrebbe accettato critiche, non quando sapeva di aver fatto la cosa giusta «TRA POCO QUALCUNO ARRIVERÀ AD APRIRTI, SMETTILA DI PROVARE A SFONDARE LA PORTA» Era sempre una porta, e Rowan, per quanto potesse tentare, aveva comunque il fisico di una sedicenne. E la ragazza sapeva che, mettendosi ad urlare, era anche riuscita nel suo intento di terrorizzare Barrow e, finalmente, farlo uscire da casa. «ROW TI VOGLIAMO BENE, SEI NOSTRA FIGLIA» Oh, ogni fottuta volta. Ma, sfortunatamente, la Dallaire lo amava così.
    Non che avesse alcuna intenzione di rivelarglielo, sia chiaro.
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    (post inutile, avevo soltanto voglia di scrivere qualcosa :sisi: )

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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? no. (pt.2)
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    Edited by (kind)le - 21/4/2019, 18:39
     
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    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? lasciare dei figli orfani di padre? ihihih #oblivion
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    «è inaccettabile» nessuno, guardando Billie Dallaire, avrebbe mai potuto immaginare che da quella gola sottile potesse uscirne un verso tanto graffiato ed animalesco, ma c’era ben poco del volto grazioso e la corporatura snella, in quel ringhio proveniente direttamente dall’inferno. «non spetta a te decidere» Non spettava - non spettava a lei decidere? Con tutto il rispetto, ma «STICAZZI!» Neanche il furente pugno contro il muro fu abbastanza da scomporre Andy Stilinski, un sopracciglio sollevato e le mani strette attorno al caricatore del fucile; ci voleva ben più di un’incazzata Billie per smuovere il ventisettenne, ed andava certamente a suo favore il fatto che oramai fosse abituato agli scoppi d’ira della Dallaire. Non era certo famosa per il suo savoir faire, d’altronde. «non è una tua scelta» privo d’inflessione, svuotato di quello che su altri avrebbe potuto essere tristezza o senso di colpa – Andrew era la persona più pragmatica e snervante che conoscesse: una volta che si metteva il cuore in pace, nulla lo faceva tornare sui propri passi. Si fermò a metà passo, le mani strette lungo i fianchi e le spalle a vibrare di rabbia impotente; assordata dalla sua stessa tachicardia, l’unico sussurro che riuscì a permettersi senza crollare definitivamente, fu «è già morto una volta, andy, non posso -» «ho detto basta, billie» Non nascose il dolore nelle iridi fiordaliso quando l’altro si decise infine a ricambiarne l’occhiata, lasciando che il suo frère d'arme capisse la necessità insita in quella furia che, neanche troppo sottilmente, era solo malcelata disperazione.
    Ma quando Andrew Stilinski le diceva basta, Billie la smetteva. Sigillò le labbra e fu la prima a distogliere lo sguardo, il capo chinato in una derisoria sottomissione militare. «oui, monsieur» e se l’altro colse il tono di scherno, non diede segno di farci caso. Si congedò con un cenno, abbandonando la stanza prima di fare qualcosa del quale in seguito si sarebbe pentita, ma neanche infilarsi nel piccolo corridoio bastò ad allentare la pressione dei denti sull’interno della guancia. Dubitava che, al mondo, esistesse qualcosa in grado di farlo. Se avesse avuto meno dignità ed amor proprio, avrebbe mandato tutti quanti a farsi fottere, scivolando sul muro ed il pavimento fino a raccogliere le gambe al petto, e nascondere la testa fra le ginocchia; se avesse avuto meno paura, Arabells Dallaire sarebbe rimasta nelle retrovie ed avrebbe lasciato quella guerra ad altri - ma la aveva, paura. Il solo fatto che ne fosse così vilmente terrorizzata, significava che dovesse partecipare. Poco importava che fosse lo stesso fottuto incubo che la perseguitava da cinque anni a quella parte; chi non aveva dimenticato fingeva di averlo fatto, come se non avessero impiegato giorni interi a liberare Hogwarts dai corpi senza vita dei loro amici. Non poteva permettere che Bells perdesse il suo Jeremy; non poteva lasciare un altro Elijah senza Nathaniel e Eugene. Non poteva neanche pensarci. Si svegliava la notte, in quelle poche ore in cui riusciva a prendere sonno, ricordando il peso vuoto del petto di Jeremy Milkobitch sulle proprie gambe; vedeva, e rivedeva, gli occhi chiari del suo fottuto migliore amico farsi opachi ed assenti, e sentiva - sempre, come la prima volta - il vuoto fra le costole di uno strappo che non avrebbe mai potuto rimarginarsi. E non contava un cazzo che non conoscesse quel Jeremy – che per il suo, fosse tardi. Non avrebbe mantenuto quel briciolo di sanità che l’aveva trascinata ai ventiquattro anni, se avesse dovuto vederlo morire un’altra volta.
    Non che a qualcuno fottesse una sega di quel che Billie Dallaire pensasse o meno. Dicevano fosse una loro battaglia – dicevano fosse il loro mondo - e non capivano quanto ci fosse da perdere. Credevano di saperlo; anche una Billie diciottenne aveva creduto di saperlo.
    Poi Jeremy era morto.
    Scivolò in una delle stanze vuote al primo piano, percependo il primo singhiozzo scuoterle i polmoni e la schiena. Ma perché cazzo nessuno la ascoltava? Era furiosa, Billie; era furiosa e seccata.
    Ma soprattutto, era distrutta. Si sedette sul letto con la testa fra le mani, le dita intrecciate ai corti capelli corvini. Chi non l’avesse conosciuta avrebbe potuto credere che il suo infilarsi al Ministero dipendesse dalla cieca adorazione nei confronti di Andy; qualcun altro, ricordando la squadra migliore, avrebbe immaginato che Billie volesse evitare succedesse di nuovo. In parte, era così – ma la verità era più meschina ed egoista, ed aveva gentili occhi azzurri e lunghi capelli d’oro bianco. Perché se fosse morto anche quel Jeremy, Billie ci avrebbe perso la testa, ma se davanti ai suoi occhi fosse morta Amalie Dallaire, Billie sarebbe morta con lei. Sapeva che ci fosse quella possibilità - lo sapeva meglio di molti altri - e sapeva che, con se stessa presente o meno, l’eventualità rimaneva concreta; sapeva anche che fosse infantile e codardo non volerci essere, se qualcosa fosse andato storto.
    Ma tant’era. Sapeva che la sua partecipazione non avrebbe potuto cambiare le cose, era già successo, e se avesse dovuto stringere sua sorella mentre soffiava l’ultimo fiato sul cielo sopra Hogwarts, non…non ce l’avrebbe semplicemente fatta. E lo sapeva. Alzò gli occhi solo al cauto bussare sulla porta aperta, asciutti ma non completamente a fuoco; la mente ed il cuore di Billie erano, e sempre sarebbero rimasti, ad il battito in meno di cinque anni prima. «che hai fatto?» Frankie Cobain si strinse nelle spalle premendo l’indice sul livido già in via di guarigione sulla mascella, sedendosi al suo fianco senza attendere un invito. «ci ho provato, billie» che poteva non sembrare una risposta, ma sapevano entrambi la fosse. Chiuse la mano a pugno sulla zona impattata, riconoscendo da un’altra vita quella che avrebbe dovuto essere la forma delle proprie nocche. «i dallaire picchiano duro, dovresti saperlo» ma neanche quel flebile tentativo di far sorridere il Cobain bastò a curvare le labbra dell’ex Tassorosso; solo le spalle calarono d’un altro millimetro, schiacciato su se stesso a comprimersi in un punto. «non capiscono. Non sanno. Non - » Ricordava l’ancora quindicenne Franklyn Cobain con il sorriso leggero e la chitarra al petto; ricordava l’entusiasmo negli occhi scuri, nelle braccia alzate al cielo in promessa ingenua del trionfo. Un ragazzino - ma quel che sedeva al proprio fianco, non lo era da un pezzo. Lo interruppe stringendolo a sé, la testa bruna schiacciata sulla spalla e le labbra a sfiorare i capelli. «lo so» a premere un po’ più forte, perché loro due c’erano già passati: Gwen e Jeremy; i Lowell; Eugene e Jade. Frankie condivideva il peso del senso di colpa – la schiacciante perdita del sopravvissuto. «non posso -» «shh» respirò il profumo familiare del guaritore, che a Guerra passata era rimbalzato dalle loro cure a quelle di Roy come un frisbee con sindrome dell’abbandono. Avevano solo due anni di differenza, ma la Dallaire li aveva sempre sentiti più spessi, come se Frankie fosse una sua responsabilità più di altri. Forse una parte di lei lo sapeva, fosse tutto quel che le era rimasto di Jeremy. «ho paura» ancor più giovane, e vulnerabile - e prezioso, perché Billie sapeva che non l’avrebbe ammesso ad altri, preferendo la smorfia sorniona ed il saluto segreto ai Grigi. Era un tipo coraggioso, Frankie Cobain. Ed aveva promesso di fare il bravo. Ingoiò la saliva impedendosi di seguire l’esempio del più giovane e piangere; lo sentiva tremare piano fra le proprie braccia, con una silente dignità che non le avrebbe suggerito un pianto se solo non l’avesse tenuto così stretto. E cosa poteva offrirgli? «lo so Comprensione.
    Perché anche lei, aveva paura.

    «Isaac, sentimi il cuore - sentimi il cuOrE» con Excalibur sotto braccio, afferrò la mano del Lovecraft per premerla contro il proprio petto, dove un principio d’infarto stava per avere la meglio sui suoi (assenti) nervi saldi. «ZITTO» hashtag billie mi fa così paura. Fece rimbalzare offeso gli occhi scuri dal(la?) Dallaire alla Sala Grande, dove si erano infiltrati come ninja in attesa dell’inizio delle danze.
    Quasi - quasi - rimpiangeva tutto, Andrew Stilinski. Umettò le labbra ed annuì, pallido e chiaramente terrorizzato all’idea che potesse essere tutto vero. E voi, del tutto lecitamente, direte: ma che cazzo ci fa Stiles LI? Una lunga storia che lascerò al prossimo POV, vi basti sapere ci fosse. «isaac, sto mo-» «ti uccido, cazzo» ah, L’AMORE! Immaginava fosse esattamente quello il motivo per cui, a seguirlo come un’ombra, fosse Billie Dallaire e non Andy, la sua contro parte dell’altro universo; ci voleva un po’ di aggressività con gli Stiles del mondo, e Billie sembrava aver preso a cuore l’incarico. Quel che sollevava il Tassorosso, era che la sua Dallaire l’avesse preso come un affronto personale: non credeva neanche di piacerle così tanto fino a che, dalla sua bellissima bassezza, non si era frapposta – letteralmente – fra una particolarmente rissosa Billie ed un confuso (strano!) Stiles. La leggenda narrava che Arabells Dallaire fosse una bulla possessiva, e solamente lei potesse attuare violenza psico-fisica sulle sue vittime designate.
    A quanto pareva era vero, ci fosse sempre un fondo di verità in ogni leggenda. La faccenda Stilinski(x2) era stata la prima reale questione d’attrito fra le Dallaire(x2), le quali avevano vissuto in pace ad amore platonico fino al Confronto, e, onestamente, Stiles non era certo se fosse lusinghiero, o se dovesse sentirsi in colpa. Nel dubbio, optava per entrambe, che non si sbagliava mai con la doppia scelta.
    «dobbiamo andare – ORA»
    «ma – ora ORA?»
    «s t i l e s.»
    «VADO»
    We are the broken ones who chose to
    spark a flame
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    Ad un certo punto si smette di credere alle coincidenze, a tutto ciò che è comunemente riconosciuto come un puro caso del destino. Ad un certo punto si smette di credere e basta, in realtà, perché le fondamenta della vita umana e della sua memoria sono così fragili da costruire un terreno instabile, pronto a crollare, e sono poche le persone disposte a camminare su quella lastra scricchiolante, così poche che alla fine il senso di tutto si disperde in chissà quale angolo della psiche umana. Eppure Stephen Gallagher lo fece. Ci camminò sopra, cercò un contatto reale, provò a dirsi che forse se fosse caduto non sarebbe stato poi così male anche se non aveva idea di cosa sarebbe accaduto perché, di cosa da perdere, non ne aveva più. Non aveva più un fratello, i suoi genitori, una casa in cui si sentisse tale, suo fratello, un futuro a cui sperare, allora perché si alzò dalla tavolata dei serpeverde quando le parole di Erin Chipmunks riecheggiarono in tutta la sala comune?
    «Pensi che sia la strada giusta? Posso finalmente chiudere Wikideath? C’erano troppe pubblicità sul vendere la propria anima in cambio di 20 centimetri di pene in più.» le labbra si schiusero, sussurrando quelle parole a Meph che se ne restò beatamente sotto il mantello della divisa, le sopracciglia si distesero in preda ad un'incredulità senza precedenti anche se lui aveva tentato di addentrarla in essa lentamente, poco alla volta, con una premura che nemmeno lui sapesse di avere,
    nonostante effettivamente non fosse stata l'uscita più felice di tutta la sua vita, anche se immaginava che non ve ne fosse davvero una più ilare. «…meow, qualcuno finirà per piangere, probabilmente io, ma almeno si prospetta qualcosa di interessante, no? Era quello che cercavi, ringrazia il fato prima che ti fotta la ciotola di croccantini da sotto il naso.» pronunciò il demone gatto che scivolò tra le sue gambe per saltare sul tavolo e sedersi erroneamente sulla purea di patate di uno studente seduto lì vicino, portandolo ad imprecare.
    Cominciava quasi a credere che il tempo stesse rallentando soltanto per aumentare quel senso di attesa che tanto gli stava facendo venire i capogiri, perché mai avrebbe immaginato che un giorno sarebbe stato lì per una cosa del genere, ancor meno per debellare quella questione che nel bene o nel male gli era appartenuto in maniera viscerale, ma che forse, o almeno così iniziava a sospettare, non aveva mai pienamente accettato, perché in fin dei conti che ci fossero stati problemi di comunicazione tra lui ed Aidan nell’ultimo periodo, non importava. Aveva fatto di tutto per cercare di mettersi in contatto con lui, perché lo sentiva, diamine, sapeva che suo fratello fosse vivo e non un traditore seppellito in chissà quale buco di fogna; ed in quel momento si sentì anche un po’ idiota, ripensando a come tutti i punti di quella situazioni si collegassero perfettamente, e di come sacrificare galline per avere informazione da qualche demone giocherellone fosse stato inutile.
    Stephen lo avrebbe riportato indietro, perché nessuno aveva il diritto di mandarlo in giro per il tempo senza il suo permesso, soprattutto senza sapere nemmeno in quale epoca fosse! E se fosse finito in epoca medievale? O IN QUELLA DEL RE SOLE? No, no.
    «Io ci sto.»

    Ancora pensava alle parole che Self gli aveva sussurrato ad un orecchio prima di varcare la soglia della sala grande, “Dovresti amare le vibrazioni positive che il modo emana, Away”. Certo, come no. Gli sembrava tanto una di quelle campagne pubblicitarie di Greenpeace o del WWF, roba che oramai era così a rischio estinzione da non essere nemmeno più presente nelle pubblicità di instagram. Non faceva parte di lui, punto. Le vibrazioni positive, l’amarsi, il godersi la vita come avrebbero dovuto fare tutti gli adolescenti di quella terra, ma no, Take Away pensava sempre al peggio, ed anche in quella situazione non si smentì affatto: quella che sarebbe venuto dopo quella missione non sarebbe stata una festa per la liberazione dei dispersi, bensì un funerale, ma giacché esso stesso è un’esaltazione della vita ecco che diventava a sua volta un giubilo. E a lui andava bene così perché aveva il costante bisogno di farsi il sangue amaro per dimostrare a se stesso di essere ancora vivo, ed anche lui lo sapeva, in fondo, che alla fine la verità risiedesse nel fatto che fosse poco resiliente. Lui non si piegava, lui si spezzava a basta. Lo faceva nella maniera più brutale, diretta, perché era stato così che aveva imparato a campare sin da bambino, e in fondo quell'ombra infantile se la trascinava ancora dietro. Avrebbe tuttavia voluto non esserne così cosciente, soprattutto davanti a lui.
    «Dovremmo dare il nostro contributo,» iniziò con il dire il biondo, innalzando un sopracciglio in direzione del maggiore che per tutto il tempo lo tenne stretto contro il proprio fianco, poggiando il suo braccio sulla spalla più minuta del Take «se tu fossi disperso farei di tutto per farti tornare a casa, quindi… » lasciò morire lì il resto della frase, portando il proprio corpo a fare qualche passo avanti prima che la mano andasse a cercare la sua per poter intrecciare le falangi alle sue, quasi a sottolineare ciò che aveva detto, «ed immagino che non ci sia molto da pregarti, ah? Sembra quasi che tu già lo sapessi», fanculo. Lo pensò con un sorriso, uno dei pochi che concedeva a se stesso, sardonico e tirato, prima di portare la mano libera a sistemarsi i finti occhiali rotondi a e s t h e t i c che aveva comprato da qualche sito cinese; era stato attratto dalla descrizione sbarazzina, come avrebbe potuto rifiutare? «E poi dai, magari è la volta buone che ci finisco secco, l’ultima volta che c’ho provato sono rimasto attaccato alla corda ma con i piedi a terra, non ho preso bene le misure.» quelle parole uscirono come uno sbuffo dalle labbra del grifondoro, non tanto rivolte a Self, ma a qualche forza divina in ascolto, sperando che essa non faccia i suoi stessi errori.



    例えどんな闇に消されても
    救い出すよ必ず
    君は独りじゃない
    Away
    Take
    17 y.o.
    gryffindor
    rebel
    the suicidal
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    ➝ nome pg (principale): Stephen Gallagher (mago)
    ➝ nome pg (bonus): Away Take (mago)
    ➝ gruppo: hogwarts
    ➝ armi: falce + martello
    ➝ sei pronto ad accettare le conseguenze? tanto entrambi pensano di non arrivare ai 20 anni, quindi
    ➝ incoraggia i tuoi compagni: meh
     
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