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Charles x Dante

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    Scappare da Hazel e Chelsey era diventato il suo sport preferito.
    Era una lotta alla sopravvivenza, un tentativo disperato di mettere quanta più distanza possibile tra lui e quelle pazze psicopatiche. Voleva bene ad entrambe, davvero, ma alle volte diventavano troppo da gestire e lui, in quanto cavaliere dall’armatura splendente, non aveva assolutamente intenzione di difendersi facendole letteralmente volare dalle scale. Sarebbe stato un piano perfetto, ma poi non avrebbe potuto dormirci la notte e quindi l’unica opzione valida era la fuga.
    Si sarebbe anche accontentato di nascondersi sotto il letto, cercando di non respirare e di fare in modo di costruirsi una vita insieme alla polvere e ai tentativi di quest’ultima di strozzarlo, ma era certo che in un modo o in un altro lo avrebbero comunque beccato.
    La Weasley si era fissata con il fatto che dovesse fare il provino per entrare nella squadra di Quidditch dei Grifondoro ma, oltre a sembrargli un’enorme perdita di tempo, dato che ormai era al suo settimo anno, quello sport non gli era mai piaciuto. Dirlo ad alta voce avrebbe significato morire per mano della Morte Rossa e dell’altra nana da combattimento della McPherson, per questo si era sempre prodigato a trovare scuse per evitare di affrontare l’argomento. O sparire dalla circolazione per ore, fino a permettere alle due di cambiare soggetto d’interesse o discorso.
    E poi, a dire la verità, aveva altri pensieri per la testa, a cominciare dai M.A.G.O. imminenti, dal fatto che stare con i Golden diventava sempre più complicato, ma soprattutto della sensazione di aver lasciato le cose a metà con l’assistente del Campbell. Di non essere riuscito ad avere tatto, tanto da fargli girare i tacchi per evitare una conversazione strana, decisamente poco consona tra alunno e insegnante.

    Certo, il Lacroix avrebbe potuto tranquillamente spegnerlo con una sola parola, d’altronde faceva parte del corpo docenti e sebbene non avesse le stesse qualifiche di un’insegnante era comunque una figura da rispettare. Il pacchetto di sigarette che gli aveva lanciato prima di svignarsela, comunque, la diceva lunga sulla personalità controversa di Eméric e di come ci fosse qualcosa di… assurdamente interessante in quei modi strambi, in quelle confessioni che erano scappate ad entrambi senza nemmeno pensare.
    Avrebbe mentito a se stesso non ammettendo che l’idea di aver trovato qualcuno con cui discutere non fosse rincuorante, perché si era sentito per un attimo meno solo, ma poteva davvero?
    Lui, che a stento riusciva a capirsi, poteva aiutare qualcun altro?

    Alla fine, dopo aver passato il pomeriggio a ricercare rifugi sicuri – sì, proprio come Bear Grylls ad arrampicarsi sugli alberi nella giungla – si era arreso all’evidenza: era inutile continuare a far finta di poter fuggire dal suo destino, tanto valeva attendere la morte comodamente sdraiato sul letto.
    Ma, era evidente, il fato aveva grandi cose in serbo per lui, tipo… ritrovarsi Eméric seduto sul letto di Viktor a confabulare con quest’ultimo. Così vicini da pensare quasi che stessero per baciarsi. Il che era assurdo, perché il Dallaire aveva una pseudo tresca/boh con un Corvonero, mentre il Lacroix… beh, non era consono. Non lo era, vero? Aveva interrotto qualcosa?

    Era rimasto impalato davanti la porta, le labbra strette e gli occhi puntati in quelli azzurri del francese, penetranti tanto da farlo sentire a disagio. Sembrava quasi volesse dirgli “hai interrotto un discorso serio(Viktor: «Hai mangiato? Stai sparendo. Mangia. Non mangi? Devi mangiare. Ti imbocco.») per poi puntarli in quelli neri dell’altro, trovandovi solo un accenno di sorpresa.
    Oh boy, in che guaio si era andato a cacciare?

    «Ehm, scusate—volevo solo--» con fare impacciato indica il proprio letto, vicino a quello di Viktor, tentennando per il disagio. Raramente aveva visto l’altro accennare un sorriso e si era quasi stupito quando, con un occhiolino, aveva dato una pacca sulla spalla a Eméric sussurrandogli qualcosa all’orecchio «Tranquillo Mario, non hai interrotto nulla. Stavo giusto andando in Biblioteca» mh. Ancora con quella storia… era stato ingenuo a credere che il compagno avesse dimenticato l’accenno a Super Mario fatto qualche settimana prima «No ma—davvero--» niente da fare. L’aveva osservato alzarsi, darsi una sistemata alla divisa e uscire dal dormitorio senza nemmeno una parola in più da spendere.

    Ora non sapeva dire se fosse ansia quella ad attanagliargli le viscere o solo l’assurda sensazione di essere stato di troppo, sta di fatto che rimanere impalato lì a fissare il ragazzo seduto sul letto del Dallaire non era qualcosa di fattibile «Non volevo interrompere—cioè, non credevo che tu e Viktor--» gesticola, muovendosi verso la propria postazione, nascondendo sapientemente il viso dentro il baule per evitare di fronteggiare lo sguardo dell’altro «per carità—potete fare quello che volete, solo magari silenziate il baldacchino, okay? Mi basta Ryan a fare casino e—sai. Beh, non pensavo. Cioè vi ho già visti insieme a parlottare, ma—non mi aspettavo di vederti qui» non dopo che era letteralmente sparito, lasciandolo con il dubbio che forse aveva detto qualcosa di sbagliato. Ma, era evidente, aveva avuto di meglio da fare. Buon per lui.

    «Tranquillo. Non ho intenzione di dire niente--» non era suo interesse fare gossip, inoltre non sapeva nulla del loro rapporto, se fosse effettivamente quello che sembrava o meno—bah, non ci voleva pensare. Non erano affari suoi e lui aveva altri problemi per la testa senza pensare a chi si portasse a letto Lacroix «Ah—giacché sei qui» gli lancia il pacchetto di sigarette, perfettamente intero; non ne aveva presa nemmeno una, neanche per sbaglio. E non perché non avrebbe voluto farlo, solo—aveva sperato di fumare in compagnia.
    Era stato stupido? Beh, sì. D’altronde Eméric rimaneva uno sconosciuto e fidarsi della parola di un estraneo era un comportamento da creduloni; non pensava nemmeno che lo avrebbe aiutato ad entrare nella Resistenza, non quando aveva preferito far finta di niente e ignorarlo la maggior parte del tempo. Ma andava bene, probabilmente era stato impegnato a provare imbarazzo per le cose dette al Cortile.
    «Ho il mio. Non era necessario che me lo lasciassi. Volevo tornartelo prima, ma—sai» sventola la mano in aria, pratico, afferrando il libro di Storia della Magia e buttandolo sul materasso. Almeno avrebbe avuto del tempo per studiare.

    Dante Renzo Rinaldi
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    Non usciva mai dalla sua stanza Eméric Lacroix, salvo per adempiere ai doveri imposti dal suo ruolo o per fumare una sigaretta in cortile. Non che quella sorta di clausura non gli stesse stretta: gli mancavano le fughe da Hogwarts, le uscite furtive dopo il coprifuoco, la possibilità di andare a trovare sua madre al San Mungo con una certa frequenza. A volte sentiva l'aria venir meno dai polmoni, le pareti della camera farsi tanto vicine da poterlo schiacciare senza alcuna pietà - eppure resisteva, perché conosceva bene i rischi d'un qualsiasi passo falso, per sé stesso e per coloro che, nonostante tutto, avevano scelto di restargli vicino. Camminare per i corridoi era un rischio, lanciare un qualsiasi incantesimo era un rischio, recarsi da Amélie o da Viktor era un rischio. E fino a che si trattava di mettere in pericolo sé stesso, per quanto non intendesse certo morire, poteva comunque sopportarlo, ma la sua famiglia - quello non poteva permetterselo. Non tanto per il senso di colpa o perché conscio di aver già fatto abbastanza per rovinare le loro vite, ma perché proteggere loro era l'unica ragione per andare avanti, l'unico scopo rimastogli.
    Però, a volte, cedeva.
    Perché non era mai stato così forte Charles Dumont, perché - sebbene odiasse ammetterlo - era un essere umano. Restare al proprio posto gli era tremendamente complicato, sforzarsi di star bene quando tutto era soltanto un gran casino era quasi impossibile, ed a volte non poteva semplicemente sperare che passasse restando da solo. A volte aveva bisogno di qualcuno, nella maggior parte aveva bisogno di Viktor.
    Non è che gli dicesse mai di star male, o che lo raggiungesse per subissarlo di lamentele, no: per lo più si mostrava sereno come sempre, talvolta persino strafottente, quasi che il suo mondo non fosse mai andato letteralmente a pezzi, come fossero stati ancora i Viktor e Charles di un tempo. Era più semplice così.
    Invero, non credeva che il Dallaire fosse tanto sciocco da non comprendere il suo malessere, ma aveva quel tatto, che a lui invece era sempre mancato, tale da fargli rispettare gli spazi altrui, i silenzi, più di quanto probabilmente Amélie o chiunque altro non potesse fare.
    Con Dante, invece, era stato totalmente diverso, per certi versi inaspettato. Con lui non aveva bisogno di mettere in chiaro la propria necessità di tenersi ogni cosa dentro, perché le parole uscivano ancor prima di poterle frenare, quasi fosse normale, quasi non fossero terribilmente dolorose. Per questo aveva paura. Vederlo avrebbe significato aprirsi ancora, mostrarsi debole, alimentare una complicità che non avrebbe giovato a nessuno dei due. Una parte di sé agognava per qualcuno così da ormai diverso tempo, l'altra continuava a ricordargli quali fossero le sue responsabilità.
    Ecco perché la soluzione era sempre Viktor.
    «è perché non mi hai visto sotto» le sembianze di Eméric potevano anche apparire dimagrite, ma quello di Charles era messo anche peggio. Prendeva un po' di polisucco ogni ora, regolarmente, ma al mattino dare un'occhiata al suo vero sé riflesso sullo specchio era inevitabile, lo scoraggiava sempre così tanto.
    Sì, comunque, c'era senza dubbio un pizzico di malizia nelle sue parole: non a caso aveva ammiccato subito dopo, scuotendo il capo divertito.
    «Ehm, scusate—volevo solo--»
    Sollevò lo sguardo con uno scatto, incontrando il viso del Rinaldi con un'espressione piuttosto confusa. Impercettibilmente, si voltò a guardare il cugino, sperando forse di trovare in lui una soluzione all'equivoco; in effetti, come cazzo avrebbe spiegato la sua presenza lì?
    «Stavo giusto andando in Biblioteca»
    «ah sì?» si lasciò sfuggire con un certo nervosismo, fulminandolo con lo sguardo pur non aggiungendo altro, seguendolo con gli occhi lasciare la stanza.
    Ora, forse la cosa giusta sarebbe stata scusarsi ed andar via di rimando, evitando ogni forma di spiegazione. E, per quanto gli dispiacesse voltare le spalle a Dante come se non ci fosse mai stato il minimo accenno di rapporto fra loro, era quasi sul punto di farlo davvero, se solo le sue parole non l'avessero fermato dall'alzarsi dal letto del Dallaire.
    «Non volevo interrompere—cioè, non credevo che tu e Viktor--»
    «dante» non poté fare a meno di sorridere a quell'insinuazione: ah, se solo il Rinaldi avesse saputo!
    «per carità—potete fare quello che volete, solo magari silenziate il baldacchino, okay? Mi basta Ryan a fare casino e—sai. Beh, non pensavo. Cioè vi ho già visti insieme a parlottare, ma—non mi aspettavo di vederti qui»
    «dante» provò ancora, indeciso fra il continuare a godersi il flusso di pensieri del grifondoro e l'arrestarlo prima che si spingesse decisamente troppo oltre - tipo ridandogli indietro le sue sigarette.
    «dante.» ripeté con maggiore fermezza, afferrandogli un polso per impedirgli di tornare al proprio letto. «hai frainteso» sillabò, guardandolo dritto negli occhi «viktor è francese, io sono francese, abbiamo delle conoscenze in comune, niente di più» non era una giustificazione, semplicemente non gli andava che circolassero insinuazioni tanto pericolose sul rapporto che aveva col Dallaire. Non che non si fidasse del Rinaldi, al contrario, ma la prudenza in quei casi non era mai troppa e - beh, sì, non voleva che l'altro pensasse una cosa del genere, fine della questione.
    «e queste erano per entrambi, non per beneficenza» sorrise, amabile, mollandogli il polso ed allungandosi per poggiare il pacco di sigarette sul suo comodino. «es-tu jaloux?» sollevò un sopracciglio, continuando a fissarlo con cipiglio divertito «tranquille, il mio cuore appartiene a soltanto uno dei grifondoro di questa stanza» e, ironicamente, si portò una mano al petto, reclinando il capo indietro con fare melodrammatico. Distese a quel punto le gambe dinanzi a sé, stiracchiandosi appena prima di alzarsi in piedi, poggiando la schiena allo stipite del baldacchino e sforzandosi di tornare serio.
    «comunque» si schiarì la voce, facendo schioccare la lingua contro il palato «ho fatto quello che mi hai chiesto, ho parlato con un po' di gente, e forse c'è una cosa che potresti fare per - boh, diciamo per iniziare» chissà se era davvero una buona idea (spoiler: no) «ma è roba pericolosa, perciò sentiti libero di tirarti indietro».
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    La stretta sul polso, ferrea tanto quanto le parole di Eméric, era riuscita a bloccare il flusso di parole sconnesse e mettere a tacere l’idea sbagliata che si era fatto della situazione. Non che gli interessasse, d’altronde erano entrambi adulti (o quasi) e non avevano di certo bisogno della sua benedizione per fare quello che volevano, ma poteva ammettere che fosse un sollievo sapere che non avesse interrotto nulla se non una chiacchierata amichevole tra conterranei? Sapeva quando i francesi fossero uniti, forse più per la lontananza da casa che per reale spirito patriottico, ma con tutti gli inglesi intorno a mal tollerare il loro modo di parlare o di esprimersi, poteva comprendere il desiderio di avere qualcuno con cui poter parlare senza doversi trattenere.

    «e queste erano per entrambi, non per beneficenza» avrebbe davvero voluto rispondergli a tono, ricordandogli che non fosse stato lui a dileguarsi nel vuoto cosmico, ad evitare ogni situazione che potesse rivederli da soli a parlare; non era stato lui ad averlo evitato come la peste, forse per codardia o magari per non farsi beccare a fumare con uno studente. Non lo sapeva, ma di sicuro non era stato—come dire—maturo agire come 007 in missione super segreta pur di non farsi vedere. «ah sì? Quindi le avremmo fumate insieme? Dopo il mio diploma o dopo il pensionamento?» era sarcasmo quello? Sì, ovviamente. Ne erano la prova le sopracciglia sollevate, l’espressione dubbiosa e la poca, pochissima voglia di riafferrare il pacchetto per rimetterselo in tasca «es-tu jaloux? Tranquille, il mio cuore appartiene a soltanto uno dei grifondoro di questa stanza» se oltre al baule, decisamente troppo pesante per essere sollevato, avesse avuto qualcosa di abbastanza leggero da lanciare, non avrebbe assolutamente perso tempo nel scaraventarlo addosso al Lacroix. Zittendolo. Una volta per tutte. #rip

    Andiamo. Lui, geloso? E di cosa!? Certo, poteva dire che invidiava la sicurezza del Dallaire, il fatto che se il compagno avesse voluto avrebbe potuto ammaliare Eméric solo sbattendo quelle dannatissime ciglia lunghe a contornare degli occhi assurdamente azzurri; e quel portamento da fotomodello? Boh, non sapeva nemmeno come descriverlo diversamente. Era di una delicatezza che non credeva nemmeno esistesse, ammorbidita ancora di più dalla pelle bianchissima e dal contrasto con i capelli corvini; e forse sì, dai, avrebbe voluto possedere un minimo di quel fascino per poter fare la stessa cosa con Ryan, okay? Per dire “We! Non sono uno sfigato, magari anche io potrei avere chiunque se solo mi impegnassi!” ma c’era chi l’aveva il dono della bellezza, e chi no. Lui no. Non era stato baciato da cotanta fortuna, perché sì—aveva gli occhi azzurri, ma affilati. Le spalle troppo larghe, le ginocchia troppo storte, le labbra troppo fini. Era tutto un troppo e tutto troppo nei punti sbagliati; sicuramente, nel pacchetto “Dante” non era compreso il dono delle skills sociali, dato che era riuscito ad apparire stupido agli occhi del Lacroix non una, ma ben due volte nel giro di pochi minuti. E poi, persino Eméric era affascinante, nel suo essere un perfetto imbecille; se anche avesse provato a fare il SeCs, cercando di imitare Viktor (e non che avesse fatto nulla, prima, per essere considerato tale, era proprio—così di natura) avrebbe raggiunto un effetto abbastanza mediocre, risultando ancora più stupido. Non era capace. Non ce la poteva fare a farcela.

    «S i m p a t i c o» borbotta in italiano, nascondendo l’imbarazzo dell’essersi lasciato scappare più parole di quante ne servissero, chiudendo con un tonfo il baule ed alzandosi in piedi «i grifondoro sono troppo per te, chiunque essi siano, quindi sorry not sorry» boom bitch. Prendi e porta a casa, Beauxbatons di sta ceppa. Il momento di “vendetta vera non finirò in galera” – cit viene interrotto quasi immediatamente dall’affermazione del francese; lo sguardo, dapprima corrucciato, si fa immediatamente attento, quasi sorpreso. Le iridi azzurre si puntano sulla figura del ragazzo, avvicinandoglisi d’istinto, completamente attento «sei serio?» lo era? Aveva aspettato quel momento per settimane «lo farò» afferma, subito, con decisione. Non avrebbe mai avuto alcun ripensamento, non era possibile arrivato a quel punto. Pericoloso o meno, era il suo momento per schierarsi dalla parte di quelli che, ne era certo, avrebbero finalmente ribaltato la situazione del mondo magico. Forse non subito, magari sarebbero anche passati anni, ma… che cosa c’era di sbagliato nello sperare che qualcosa, finalmente, cambiasse? «Non è il caso di parlarne qui, potrebbero arrivare altre persone e sarebbe controproducente. Vuoi andare da un’altra parte? Per spiegarmi cosa dovrei fare? Quando?» era esaltato? Contento? Forse anche troppo. Aveva creduto che il Lacroix si fosse dimenticato di lui, della parola data ma… alla fine, nonostante l’attesa, qualcosa finalmente stava iniziano a muoversi.

    Dante Renzo Rinaldi
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    L'aveva fatto consapevolmente? Difficile a dirsi. Qualcuno avrebbe potuto dire che il Dumont fosse un codardo ma, se davvero così era, allora si trattava senza alcun dubbio di un codardo poco convenzionale. Invero, un codardo avrebbe dovuto sfuggire a tutte le situazioni potenzialmente pericolose per la propria incolumità, ma chi mai avrebbe potuto affermare tanto di Charles dando un'occhiata anche soltanto superficiale alla sua vita? Era sfuggito al controllo delle regole di Hogwarts infinite volte tempo addietro, e certo non si sarebbe azzardato a camminare per i corridoi del dormitorio Grifondoro con due bottiglie di alcol strette al petto soltanto per ubriacarsi con Aidan se avesse avuto tanta paura delle conseguenze. Non avrebbe osato sgattaiolare fuori dal castello senza averne il permesso, non avrebbe neppure pensato a ideare un'occupazione in un luogo più simile ad una caserma militare che ad una scuola. Persino fuggire con Iden, evitare la punizione che certo l'avrebbe colpito e non doversi confrontare con le proprie responsabilità, non erano state cose dettate dalla codardia, bensì dall'imprudenza, dall'irresponsabilità, dal puro istinto.
    E non che non avesse paura, al contrario: era fottutamente terrorizzato all'idea di essere scoperto, di venire torturato, di finire ad Azkaban o, chissà se meglio o peggio, morto. Tremava al solo pensiero che sua madre, o Viktor, o Amélie, o uno qualunque dei suoi amici venisse punito per i suoi errori, e la sola idea di restare da solo gli stringeva lo stomaco come una dolorosa morsa.
    Di Dante non aveva paura: era sé stesso che temeva.
    Era diventato Eméric per riavere indietro uno straccio di vita che non somigliasse a quella di un fuggitivo con la costante ansia di essere scoperto, come se quella nuova identità potesse in qualche modo permettergli di ricominciare - ma più andava avanti, più gli era evidente che non fosse così.
    Come avrebbe mai potuto permettersi di costruirsi un'esistenza dignitosa senza correre il rischio di mandare tutto a puttane? Avrebbe anche potuto costruirsi una carriera dignitosa, ma non sarebbe stato Charles Dumont a farlo. Avrebbe potuto innamorarsi, ma conscio di dover mentire ogni giorno per non rischiare di far del male a sé stesso ed all'altra persona. Avrebbe potuto partecipare alle cene di famiglia persino, ma senza mai sentirsi davvero a casa perché ogni passo falso avrebbe potuto sentenziare la sua condanna a morte.
    E dunque, a che pro instaurare un rapporto con qualcuno? Perché aprirsi col Rinaldi, condividere i propri pensieri con lui, o anche soltanto una sigaretta? Soltanto per vederselo sfumare tra le dita una volta raggiunta una precarietà impossibile da ignorare? Non poteva permetterselo, non di nuovo.
    Forse non aveva pensato di evitarlo, ma alla fine l'aveva fatto davvero. Era più semplice procedere a piccole dosi, non lasciarsi travolgere dal senso di sicurezza del poter riallacciare un legame con qualcuno senza dover pensare alle conseguenze. Ma poteva capirlo, non era mica uno sciocco, che per quanto fosse semplice per sé, certo non doveva essere lo stesso per Dante; eppure non poteva spiegare, non poteva dire una sola parola a riguardo, poteva soltanto sperare che andasse bene così il più a lungo possibile.
    Per questo non rispose a nessuna delle provocazioni del minore, sebbene avrebbe voluto: non l'avrebbero comunque portato da nessuna parte.
    «chill petit rebelle» represse un sorriso dinanzi all'entusiasmo del Grifondoro, staccandosi dal baldacchino del Dallaire per affiancare Dante «se dovesse entrare qualcuno, possiamo sempre fingere una liaison multiculturale, ti assicuro che funziona sempre» ottobre duemilasedici, dormitorio tassorosso, studentessa del quarto anno spagnola: funziona sempre «in ogni caso, non ho alcuna intenzione di averti sulla coscienza, perciò vedi di starmi a sentire» abbassò il tono della voce, sussurrando quasi, ed avvicinandosi maggiormente al Rinaldi perché riuscisse a sentirlo chiaramente.
    «a breve ci sarà un gran casino da queste parti e, se sei convinto di volertici trovare in mezzo, non devi fare puttanate» non che Dante gli sembrasse un tipo particolarmente irresponsabile - conosceva qualcuno decisamente peggio - ma, come si dice?, la prudenza non era mai troppa «resta a hogwarts per i primi di giugno, esercitati con un po' di incantesimi offensivi e difensivi, e vedi di procurarti qualcosa che somigli ad un'arma - va bene anche la tua roba babbana» e fin lì era facile, la parte complicata comprendeva praticamente tutto il resto «io non sarò qui» perché non poteva sputtanare anche l'identità di Eméric, non la sua unica carta per restare tra la gente senza venire additato come traditore «ma questo non significa che ti mollerò da solo» non di nuovo «ci sarà un bel po' di gente, e ho detto ad un amico di tenere un occhio su di te, di coprirti le spalle se necessario. Non perché non pensi che tu possa essere in grado di farcela, ma semplicemente perché è sempre meglio avere qualcuno» thanks for the tragedy miniquest, i needed it for my art «ah, e sarebbe carino se smettessi di avere così poca fiducia in me, giusto perché potrebbe intralciare questa cosa - poi puoi anche continuare senza problemi» stava facendo il risentito? Forse.
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    Se avesse saputo la verità, probabilmente, avrebbe dosato meglio le parole, scegliendole con più cura, facendo caso ai particolari ed evitando di porsi sulla difensiva, come se Eméric fosse il cattivo della situazione e non colui che gli stava dando un’occasione per dimostrare il suo valore. Non era facile fidarsi di qualcuno, non dopo la Sala Torture, ed era certo che anche l’altro sapesse perfettamente quanto doloroso fosse stato perdere senza nemmeno riuscire a lottare: erano stati sciocchi, incauti e si erano dovuti arrendere all’evidenza che il Regime fosse subdolo, tanto da utilizzare dei ragazzini per ingannare la massa e girare la situazione a proprio vantaggio. Avrebbe davvero voluto credere alle parole del francese, ma era difficile, perché alle volte sembrava mancare di sostanza e lui aveva bisogno di essere tenuto in piedi, di avere qualcuno – un adulto, in quel caso – che gli dimostrasse qualcosa di concreto; forse il Lacroix non era sparito per paura, ma per mancanza. Non era una condanna, la sua, solo una constatazione di fatto.

    «in ogni caso, non ho alcuna intenzione di averti sulla coscienza» erano quelli i momenti in cui avrebbe voluto solo sospirare, alzare gli occhi al cielo e chiedergli con sincerità il perché pensasse che la sua vita fosse in qualche modo una responsabilità per lui. Non era la sua balia, non doveva proteggerlo se non in battaglia ed era quella la parte fondamentale, il capire che ognuno di loro sceglieva consapevolmente di far parte della Ribellione, con tutte le conseguenze annesse. Non avrebbe tradito i suoi compagni nemmeno sotto tortura, piuttosto avrebbe preferito uccidersi per portare i segreti nella tomba.
    Eméric non lo conosceva, come lui non aveva idea di chi il francese fosse. Erano due estranei che si erano ritrovati a parlare e confidarsi, ma non credeva che ci fosse altro tra di loro.

    «Cosa accadrà?» era una domanda lecita la sua, perché sarebbe rimasto, ovviamente, a difendere Hogwarts. Ma per cosa avrebbero combattuto? Era una missione dei Ribelli? Aveva a che fare con la riconquista della scuola? «Io non sarò qui» e dove? «Hai un altro compito?» bisbiglia, curioso, mantenendo la vicinanza con il ragazzo per evitare di essere sentiti; non voleva che i suoi compagni di stanza si interessassero delle sue faccende, ed era più semplice far finta che ci fosse qualcosa tra loro, piuttosto che parlare della ribellione, di un tradimento. Inoltre, non aveva assolutamente voglia di coinvolgere nuovamente Ryan, Jack e Godric in quegli affari. In primo luogo perché non credeva nemmeno che l’avrebbero appoggiato, soprattutto l’Osbourne, ma in secondo… non voleva assolutamente che si compromettessero o che rischiassero la vita solo per stargli accanto. Era sbagliato. Non sarebbe stato corretto utilizzare la loro amicizia per assoldarli; certo, ricordava bene la mano dell’Allen posarsi sulla spalla del Dumont nel tentativo di dimostrargli che non fosse solo, ma poteva fidarsi? Poteva dirgli qualcosa senza compromettersi? Era convinto che Ryan non avrebbe atteso molto prima di parlare con il Corvonero. Non poteva dirlo a nessuno.

    «ah, e sarebbe carino se smettessi di avere così poca fiducia in me, giusto perché potrebbe intralciare questa cosa» si ritrova a sollevare entrambe le sopracciglia in un chiaro “pardon?” dall’aria perplessa. Era ilare che, alla fine, fosse passato dalla parte del torto solo per aver espresso silenziosamente dei dubbi riguardo alla serietà dell’altro. Era da biasimare? «Riesco a mettere da parte i dubbi personali all’occorrenza, quindi non ti preoccupare. La missione non sarà compromessa, cercherò di fare del mio meglio» oh. Adesso chi stava facendo il risentito? «Anche tu hai avuto dubbi su di me. Sono tempi difficili, chiunque potrebbe essere un pericolo» il che era un’ovvietà, una costante di ciò che era il non accettare un Regime e fare di tutto per vederlo crollare a favore della libertà.

    Per un attimo rimane in silenzio, mordicchiandosi il labbro inferiore sovrappensiero, incrociando le braccia al petto e fissando Eméric con sguardo neutro. Uhm. Doveva chiedere o no? Beh, ormai era lì, tanto valeva farlo «Hai detto che devo allenarmi con gli incantesimi offensivi e difensivi» si accarezza il mento, per un secondo, cercando di nascondere il nervosismo «e dato che, in teoria, sei l’assistente di Campbell—potresti insegnarmi qualcosa di nuovo, non solo a livello magico—anche fisico. Potremmo andare nella Stanza delle Necessità quando sei libero—anche per, come dire-- aumentare la fiducia tra di noi?» dato che sembra scarseggiare, avrebbe voluto aggiungere «Mi piacerebbe allenarmi con qualcuno e non da solo, perché quello che mi hai proposto sembra pericoloso e voglio essere al massimo per evitare di creparci» scosta la schiena dal baldacchino, tornando a fronteggiarlo, ma non prima di essersi guardato intorno «e non devi sentirti responsabile per me. È una mia scelta—quindi non farti venire sensi di colpa» accenna alla fine un piccolo sorriso, quasi che volesse tranquillizzare il maggiore. Non aveva alcuna intenzione di morire ed avrebbe lottato fino alla fine, con o senza bacchetta.

    Dante Renzo Rinaldi
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    Intendiamoci, Charles non aveva mai avuto lo spirito da buon samaritano. Sebbene avesse di recente cominciato a preoccuparsi per la sua famiglia all'infuori di sé stesso, difficilmente avrebbe preso tanto a cuore la vita di qualcun altro senza alcun interesse personale. Dante era, per così dire, un caso particolare. Innanzitutto, sentiva di avere un debito in sospeso con lui per via di quanto accaduto in Sala Torture mesi prima. Assieme al senso di colpa, per altro, c'era una certa riconoscenza nei suoi confronti, perché non aveva affatto dimenticato il viso del Grifondoro tra quelli che gli erano rimasti accanto fino alla fine. Poi c'era il fatto che, a quel punto, il minore era la cosa più simile ad un amico rimastagli, il che lo rendeva in qualche modo indispendabile. Ed ultimo, ma non per importanza, restava il fatto che il Rinaldi gli piacesse. Non era un piacere dettato dall'istinto fisico o da un qualche contorto tornaconto personale, ma da una pura ammirazione nei confronti del suo genuino coraggio. Li aveva sempre un po' snobbati i Grifondoro, forse per via dell'eterno pregiudizio che intercorreva tra la sua casata e la loro, ma Dante non aveva la loro tipica arroganza, né la stupida avventatezza: aveva entusiasmo piuttosto, degli ideali fermi, caparbietà.
    Per questa ragione, se da una parte non riusciva a immaginare nessuno meglio di lui tra le file di chi avrebbe potuto fare la differenza, dall'altra non voleva rischiare di perderlo. Non l'avrebbe perdonato a sé stesso, non l'avrebbe perdonato a lui, sarebbe tornato a sprofondare nell'oblio. Perché in fondo, sì, sebbene si fossero parlati non più d'un paio di volte, in qualche modo quegli incontri erano stati un ancora di salvezza per Charles in quei giorni di vuoto.
    «une attaque contre le ministère» sussurrò, e chissà perché il francese riusciva sempre a farlo sentire più al sicuro «et hogwarts sera utilisée comme une diversion» continuò, pregando di non doversi in alcun modo pentire di una tale confessione «io - sì, più o meno» annuì, non sapendo come altro spiegare perché non sarebbe stato presente. Ecco, in verità ci sarebbe stato, solo non come Eméric.
    Aveva ponderato l'idea di confessargli la propria vera identità, si fidava abbastanza da poterlo fare. Sapeva che era un rischio, per sé stesso e per Dante, ma aveva dannatamente bisogno di dire qualcuno la verità, qualcuno che non fosse Viktor, Phobos o Amélie. Eppure, farlo avrebbe con tutta probabilità significato attirarsi l'ostilità del Rinaldi, così com'era stato con tutti coloro che aveva rivisto dopo la sua fuga, e non poteva permetterselo così come non poteva permettergli di morire.
    «Anche tu hai avuto dubbi su di me. Sono tempi difficili, chiunque potrebbe essere un pericolo» beh, come dargli torto? Il suo risentimento nasceva esclusivamente da un eccessivo bisogno di vicinanza, dettato dall'estrema solitudine in cui verteva. D'altro canto, non c'era nessun motivo per cui Dante dovesse riporgli alla cieca la sua fiducia, né per cui dovesse dargli amicizia: in fondo si trattava soltanto di un mutuo interesse, no? Il Rinaldi voleva entrare in contatto con la Resistenza, lui aveva bisogno di qualcuno con cui fumare una sigaretta di tanto in tanto. Semplice.
    «hai ragione, è giusto così» scrollò le spalle, perché non poteva certo dirgli che ce l'avrebbe messa tutta per non tradire ancora una volta la fiducia di qualcuno, che avrebbe sacrificato sé stesso pur di non lasciar morire qualcuno per colpa sua.
    «Potremmo andare nella Stanza delle Necessità quando sei libero—anche per, come dire-- aumentare la fiducia tra di noi?» sollevò un sopracciglio, divertito, cogliendo senza troppi problemi dove il Grifondoro volesse andare a parare.
    «scherzi? Quando vuoi, davvero» annuì sereno, conscio d'aver bisogno a sua volta di allenarsi con qualcuno, sotto ogni punto di vista «e non è che mi senta responsabile» d'accordo, magari un po' sì «è che sembra fare tutto un po' meno schifo quando mi sei tra i piedi, perciò vorrei evitare d'incasinare tutto come per il resto delle cose della mia vita» un mezzo sorriso gli si dipinse sulle labbra, la sensazione di essersi in qualche modo tolto un peso dallo stomaco.
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