just say you're hurt, we'll face the worst

@wicked park, erin + meh + libera

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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «non è neanche il tuo turno, oggi»
    «CHIUDI QUELLA BOCCA, JEFF»
    «già – chiudi quella bocca, jEFF» Erin drizzò la schiena trionfante, una gioia brillante ad illuminare sguardo e sorriso. In periodi come quello, ed una vita come quella, bisognava fare di ogni piccolo traguardo una vittoria personale: Erin Therese Chipmunks, ufficialmente Erin Timberlake Aguilera, osservando la nuca di Lydia Hadaway lasciare il locale reggendo fra le mani il tè che le aveva preparato lei!!!!!!!!!!!!, aveva scelto che ne valesse la pena, d’essere felice per il mezzo sorriso stanco che sua mamma!!!!!!!!! le aveva rivolto prima di lasciare Madama – come aveva deciso, e nessuno sarebbe riuscito a rovinare il suo sogno, che Lydia andasse a prendere il tè da Madama Piediburro perché ci lavorava lei. Non importava quale fosse la realtà, finchè la Tassorosso fosse stata contenta con le proprie headcanon. «è così bella» gongolò sottovoce, senza distogliere lo sguardo dalla figura ormai in lontananza di Lydia. «da qualcuno dovevate aver preso, te e scott – senza offesa per papà eh, bellissimo!!!&&» Lanciò un’occhiata ancora adorante sopra la propria spalla, dove una polisuccata Jess dai capelli biondi e gli occhi verdi, ancora guardava truce Jeffrey Verboom.
    Chi credeva che Madama fosse un ambiente di sole Erin, non aveva evidentemente mai avuto il piacere di incontrare il suo collega: Jeffrey Verboom, con i corti capelli color carta da zucchero ed uno sguardo apatico che quasi – quasi – poteva far invidia a Hyde, aveva ben poco a che fare con l’atmosfera dolce del locale; sarebbe stato più consono in un vicolo buio a spacciare metanfetamina o prostituirsi, ecco, ed era probabilmente il motivo per il quale era stato assunto: nessuno, neanche Jeff, meritava di vivere una vita simile, avendo alternative. «se ti ha lasciato la mancia, è mia» cookie monster (nomignolo in amicizia, molto pertinente) fece spallucce, rivolgendole il sorriso contagioso che doveva avergli fatto conquistare il proprietario di Madama anni prima. La ribelle si ritrovò a ricambiare, e, seppur nolente, a dargli la mancia che gli spettava: dopotutto aveva ragione, non era il suo turno. Era stato solo un caso che Erin si trovasse nel locale quand’era entrata Lydia; un po’ meno il caso a farla schizzare in piedi, e rubare il grembiule dalla vita di Jeff. Rimase incantata a fissare il nulla fino a che il sottile, ma sempre preciso, gomito di Jessalyn, non la centrò al fianco. «BEH? - Non tryhard – non la SEGUIAMO?»?? Dovevano??? «dobbiamo??» più uno squittio che una domanda, entusiasmo a mescolarsi all’angoscia esistenziale che, pur non essendo cresciuti con loro (né in una vita, né nell’altra), i Chipmunks dovevano sicuramente aver ereditato dai genitori. Uguali, i gemelli, lo erano davvero – la differenza era che l’ansia di Scott era più guardinga, e quella di Erin conteneva l’eccitazione di un salto nel vuoto legata ad un elastico. «abbiamo di meglio da fare?» Ricambiò la lunga occhiata di Jess, sapendo perfettamente cosa quegli occhi, in una qualunque forma e colore, volessero dirle: sì, dovevano salvare il mondo; ma no, non sempre - talvolta potevano fingere di essere normali, di volersi prendere un po’ della felicità che altri davano per scontata, e che per loro era sempre un regalo inaspettato. «immagino di no» la reticenza era qualcosa di nuovo, per la lanciatissima Erin. La riluttanza era qualcosa che il mondo le aveva imposto rifiuto dopo rifiuto, strappo dopo strappo, inducendole la paura di un salto sempre troppo alto. E voi direte: perché avrebbero dovuto volerla seguire? Le risposte potevano essere varie (dalla semplice curiosità molesta, al ma è mia mamma!!), ma solamente una sarebbe stata quella sincera: Erin Chipmunks era preoccupata. Come avrebbe potuto non esserlo? Guardare Lydia – o Sin; o Hyde e Jekyll, o dannatamente tutti - in quei mesi era come assistere al lento appassire di un fiore: non potevi percepire il cambiamento ad occhio nudo, ma lo sentivi nella differenza al tatto, nel profumo, e sapevi - sapevi - di non poter fare niente. Erin sapeva che un po’ d’acqua fresca non sarebbe bastata, ma cos’altro avrebbe potuto offrirle? A tutti loro - cos’altro poteva fare? Anche lei rivoleva Amalie, e Kieran e Murphy, e Gwen e tutta la famiglia che non aveva avuto modo di conoscere; voleva Dakota e Maeve, e tutti i ribelli spariti l’anno prima. Aveva ancora abbastanza speranza per tutti, ma per quanto ancora? Quella era una domanda per la quale non voleva risposta.
    «OKAY DAI, ANDIAMo»

    Ovviamente – cosa ve lo dico a fare! – ne avevano perso ogni traccia. Si erano divise, si erano perse, ed un’ora dopo si erano arrese all’evidenza che la loro avventura quotidiana si sarebbe conclusa in anticipo. Talvolta bisognava saper ammettere la sconfitta, ed andare comunque avanti. Alle porte del Wicked Park, con ancora indosso il grembiule che s’era scordata di rendere a Jeff, la Chipmunks sospirò alzando le mani al cielo, optando per una consolatrice mela caramellata. Aveva sentimenti contrastanti per il luna park, ed il viso cauto con il quale ne attraversò i cancelli, sarebbe bastato di suo a rendere l’idea – ma la motivazione? Quella era un’altra storia, una alla quale, senza uno Scott da stritolare al proprio fianco, preferiva non pensare.
    Perché Wicked Park era la festa a tema Ilvermorny (Murphy); perché Wicked Park era dove aveva ritrovato la migliore amica di una vita prima ed una vita sempre (Amalie). Perché sembrava il crocevia perfetto di tutte le cose perdute. Sorrise ad una bambina che teneva fra le dita un palloncino (il quale….ringhiava? #barbolloncini #mai dimenticare) cercando di non pensare che da qualche parte fra quei tendoni avrebbe potuto incontrare anche un clown – dai, a nessuno piacevano i clown. – concentrandosi invece sulle cose belle.
    Ossia:
    «CIBO»
    E
    «LABIRINTO DEGLI SPECCHI» esattamente in quell’ordine. Ci credete che Erin, Erin Chipmunks, non avesse mai fatto neanche una giostra? Lo so, scioccante - amava l’atmosfera, ma…non aveva mai avuto tempo? Non ci aveva mai pensato? Prima di poter cambiare idea, con il bastoncino della mela ancora stretto nel pugno come una diabetica bacchetta magika, s’infilò nell’attrazione sgusciando nello stretto corridoio dell’entrata.
    Non prima di aver scritto a Scott SE NON TORNO CERCAMI FRA GLI SPECCHI *emoji braccio* *emoji nerd* *emoji unicorno*, certo – filosofica ed affatto esplicativa. Come piaceva a lei!!&&
    Never forget that we were built to last
    erin t.
    chipmunks
    13.04.19
    rebel
    hufflepuff
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    un'altra?? #sì e non ho finito!! vi risparmio il post dicendovi che va nel labirinto degli specchi #fine YALL WELCOME
     
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    «IL PIÙ GRANDE SPETTACOLO DOPO IL BIGBANG SIAMO NOI!» una punizione divina. non poteva essere nient'altro, per quanto mehan non sapesse in conseguenza di cosa il fantomatico ente superiore lo stesse torturando in quel modo. Era lui quello sofferente, che si portava un peso sul cuore, eppure per qualche strano motivo la fustigazione pubblica gli toccava sempre, quasi dovesse espiare un peccato capitale commesso nella vita precedente. «ancora una nota, reggie.. una sola nota e vi lascio qui.» una minaccia debole, ma non poteva permettersi altro. Tanto lo sapevano tutti, grifondoro compreso, che non avrebbe mai tolto gli occhi di dosso ai tre primini, avvertendo l'ansia della responsabilità quasi quanto rob per le vie di pomigliano. hai voglia spingere ale per farlo camminare davanti, tenergli prudentemente la maglietta quando si affacciava oltre la balaustra sul lungo mare, proteggerlo dagli schizzi d'acqua sul bagnasciuga: il terrore che potessero rubarlo da un momento all'altro rimaneva sempre.
    E mehan soffriva dello stesso, intenso malessere, quella fitta allo sterno ogni volta che vedeva reggie saltare su un muretto a bordo marciapiede per camminarci sopra, e poco importava che fosse alto solo una ventina di centimetri. Il muretto, non reginald. «ma-!» pure le proteste. era questo, dunque, ciò che accadeva quando si diventava adulti? si passava improvvisamente dalla parte opposta del fiume, quella dove nessuno ti porta più rispetto e alzare gli occhi al cielo si trasforma in una triste abitudine? (seb e anthony in the background: yes.) iniziava a credere che i the who non avessero poi così tanto esagerato con il loro iconico i hope i die before i get old. «niente ma, james. fate i bravi o vi riporto al castello seduta stante.» mescolato alle occhiaie da stress e all'espressione tirata, quel tono di voce da mamma autoritaria riusciva quasi nell'intento di suonare credibile, tant'è che per una meravigliosa manciata di secondi i bambini parvero recepire il messaggio mettendosi diligentemente in riga; o forse, con più probabilità, a dar loro la giusta sferzata ci aveva pensato l'insegna della casa deglo specchi.
    Sì perché oltre al danno, dover fare da baby sitter ai suoi tre studenti di danza, i era aggiunta anche la beffa: mehan tryhard, notoriamente, odiava i luna park. Da sempre, o almeno da quando riusciva a ricordare. I pagliacci lo terrorizzavano a morte, le grida della gente sulle giostre gli toglieva il fiato direttamente dai polmoni, e certo la casa stregata era off limits quanto le mamme degli amici secondo il bro code. Quindi i primini dove lo avevano trascinato? «non... non state pensando seriamente di entrare lì dentro, vero?» la casa degli specchi era un ottimo posto, se si voleva finire vittime di un serial killer, o fratturarsi il naso andando a sbattere contro una delle superfici riflettenti, e comunque tra le due ipotesi il sedicenne riteneva molto più probabile la seconda; senza contare il fatto che tenere sott'occhio tutti e tre contemporaneamente sarebbe stato impossibile. A meno di non legarli insieme, ovviamente. «eddai meh! solo questo poi andiamo!» «io voglio lo zucchero filato» «stai zitto tommy» che carini quando bisticciavano. Avrebbe preferito avallare la proposta di thomas jerome, ovvero quella di dedicarsi ai dolci lasciandosi per sempre alle spalle quel luogo diabolico, ma dato che le altre due bestie di satana si erano già messe d'accordo sul come e quanto rompergli le palle per ottenere ciò che volevano, alla fine il tryhard dovette desistere. «un solo giro. e rimanete insieme!» così il serial killer può farli fuori in una volta sola, bravo meh. ugh.
    «fermi un attimo.» li bloccò prima che potessero lanciarsi verso l'ingresso buio, sfoderando tre bellissime etichette adesive ed un pennarello sempre pronto per ogni evenienza; scrisse rapidamente i nomi dei ragazzini negli spazi bianchi, aggiungendo un disperato 'in caso di smarrimento contattare il professor phobos campbell', per poi incollare ciascuna sulle loro giacche. Si sentiva già un po' meglio, mehan tryhard, sebbene la sensazione pressante che solo la responsabilità di un altro essere umano poteva dare continuasse a ballargli la tarantella sulle spalle. «okay, andiamo.» reggie, tommy e james partirono manco a dirlo come razzi, spintonandosi all'entrata che permetteva un solo passaggio alla volta, scomparendo all'interno della casa degli specchi in meno di dieci secondi. Fu quasi tentato di mollarli lì, il grifondoro, un piede oltre l'uscio e incapace di vedere qualcosa oltre al buio più nero che gli si parava davanti, ma alla fine il coraggio tipico della sua casata ebbe la meglio; quello, e l'occhiata truce del tizio del luna park vestito come un becchino il cui unico scopo nella vita doveva essere quello di far cagare sotto adulti e bambini. «si, ho capito, vado.»

    Tre minuti.
    Erano passati tre minuti solo tre minuti per perdersi i primini, esattamente come preventivato da mehan prima di mettere piede in quell'incubo riflettente. «reggie?» dov'erano finiti, merlino caro! dov'era finito lui, tanto per cominciare. ovunque guardasse, mehan vedeva solo la sua immagine più o meno distorta, a volte così perfettamente riprodotta da far venire il dubbio: sono io quello vero, oppure no? mani avanti e cuore in gola, il quasi diciassettenne fece un altro paio di passi avanti, cercando di seguire con lo sguardo i bordi visibili degli specchi per non andarci tristemente a sbattere, almeno finché a quel mehan sdoppiato non si aggiunse una seconda figura. non quella che il ragazzo si aspettava di vedere, ma certamente più gradita di ogni possibile previsione: «ERIN!?» l'aveva riconosciuta subito nonostante la penombra creata ad hoc per rendere più difficoltoso raggiungere l'uscita, un'imprevista ancora di salvezza capace di rendere il peso che il grifondoro si portava sul petto da settimane un po' più leggero.
    Nemmeno si era reso conto, il tryhard, che quella capacità erin aguilera l'aveva dimostrata sempre, sin dall'inizio, rendendo luminosa una giornata iniziata male grazie ad un solo sorriso. sì, insomma, aveva una gran cotta fategli causa. Vide erin sollevare lo sguardo e poi la mano libera per salutarlo, e quello che fece meh fu la cosa più logica e naturale - o, almeno lo sarebbe stato se si fossero incontrati all'aperto, in un qualunque altro luogo: andò incontro alla tassorosso deciso e sicuro, un sorriso di gratitudine stampato sulle labbra, dimenticandosi purtroppo della prima regola. Tenere sempre le mani avanti. Se ne ricordò soltanto quando, invece di erin, finì per sbattere contro ad uno specchio nel quale l'immagine della diciottenne si rifletteva alla perfezione, sbattendo come prima cosa il naso e poi la fronte, una vampata rossa di calore e dolore così intensa da oscurare la vista al ragazzo per una manciata infinita di secondi. «ahia» perché non si era già preso abbastanza batoste nell'ultimo mese, a cominciare da tutta quella storia ancora (sempre) per lui assurda di phobos e del fatto che il prof fosse suo padre; nemmeno raffaella carrá o maria de filippi sarebbero arrivate a tanto nei loro programmi.
    Premette entrambe le mani sul naso, che per una rara gioia non sanguinava, ruotando su se stesso fino ad intercettare la vera erin tra le lacrime che tentava disperatamente di non far sgorgare: va bene che 'ragazzi capaci di mostrarsi vulnerabili' is the new black, ma rinunciare del tutto a quel briciolo di amor proprio che gli rimaneva non rientrava ancora nella tattica di mehan tryhard. Perché ne aveva sempre una, tranne che con erin. Per questo si limitò a sorriderle di nuovo come un beota, il naso che gli faceva un male cane e le ciglia umide, nella speranza (vana) che la tassorosso non avesse assistito alla sua figura da fesso. E, per non farsi mancare nulla e dimostrarsi una persona normale, mehan non esordì con in classico come stai?, ti piacciono i luna park, non è che per caso sei single? - no: il giovane tryhard, vista la situazione, decise di optare per un più intimo «ciao!.. ho perso i bambini.» li avevate dimenticati? beh, lui no. lui mai.

    Altro che il luna park, il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi, io e te
    mehan
    tryhard
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Lasciatevi dire una cosa: il labirinto degli specchi era decisamente meno entusiasmante di quanto potesse apparire. Fra le cose che aveva tenuto in conto su quel che avrebbe potuto provare una volta entrata nell’attrazione, non aveva certamente valutato il terrore, il quale invece, in quel momento, la spingeva a stringere febbrile il dolce fra le mani, passi cauti e misurati a vibrare delicati nei lunghi corridoi scuri. Forse aveva scelto la giornata sbagliata; forse, da sola, non era poi così divertente - e forse, non avrebbe dovuto ascoltare tutte le storie che Nathan Wellington andava narrando sugli spiriti che abitavano gli specchi, e che apparivano ogni volta che, lavandosi i denti, si chinava la testa per sputare l’acqua nel lavandino.
    Tipo.
    Serrò le palpebre iniziando a camminare a tentoni, labbra strette fra loro per impedire ai sobbalzi di prendere concretezza in rapidi, acuti, strilli poco signorili. Quanto si era inoltrata all’interno del Labirinto? Abbastanza da non trovarne l’uscita? No, impossibile; se avesse tenuto sempre la destra, prima o poi sarebbe sbucata…da…qualche parte. Confidava non sarebbe morta lì dentro, Erin – aveva dei progetti, per la sua vita! Un sacco di cose da fare! «hai voluto la bicicletta? Ora pedala,» «ERIN!?» si zittì ingollando l’ennesimo batticuore, occhi spalancati nella direzione dalla quale era giunta la voce. Sopracciglia corrugate, quelle della Chipmunks, mentre di fronte a lei si stagliava la nuca di Mehan Tryhard. mEhAn tRyHaRd? Com’era possibile. Che all’interno di quelle mura ci fosse qualche strana sostanza allucinogena in grado di dar forma a?? A cosa, Erin. Un’ancora di salvataggio? Un miraggio? Perché fra tutte (ma chi, poi, chi andava ancora nel labirinto degli specchi) le persone che avrebbe potuto incontrare fra le superfici riflettenti, trovare proprio Meh le sembrava una coincidenza troppo…propizia. Non erano tanti gli amici della Chips, quante probabilità c’erano che potesse incontrarne uno lì? Anzi, considerando che si trattava del Tryhard, non dubitava potessero esserci anche gli altri…da qualche parte. Giusto? Giusto? Sarebbe stato troppo strano ed imbarazzante un Mehan senza?? Beh?? Nicky??
    ??????????? chiunque ?????????? «meh?» l’entusiasmo del Grifondoro bastò ad imporporarle le guance e tirarle le labbra in un sorriso, la mano sollevata per salutarl-«mEh??» L’aveva sentito fisicamente, il colpo dell’altro sullo specchio, un tonfo sordo che non prometteva nulla di buono. Si affrettò al suo fianco, lo sguardo preoccupato che i ribelli avevano sentito su di loro ad ogni addestramento a pesare sul sedicenne, le dita alzate meccanicamente per stringersi attorno al polso dell’altro e poter esaminare così la zona contusa. Il primo soccorso era stata una delle prime cose che aveva imparato al QG, nonché una delle poche cose che, priva di magia, poteva permettersi. «SANGUINA? STAI BENE? RIESCI A RESPIRARE? QUANTe dita vedi TI RICORDI IN CHE ANNO SIAMO??» con tanto di palpebre assottigliate ed invasione degli spazi personali dell’altro per tentare, inutilmente, di valutare il grado di dilatazione delle pupille. Ti serve una luce, Erin. Ah già. Con la mano libera, trafficò alla ricerca del telefono così da poter usare la torcia, dimentica della vergogna che fino a quel momento l’aveva sempre spinta a mantenere una discreta distanza di sicurezza; una persona normale avrebbe riso dell’esperienza di Halloween, ma Erin non era normale, e non poteva davvero - davvero - fare a meno di sentirsi in imbarazzo ogni volta che ci pensava. Era un tipo d’insicurezza del tutto nuovo decisamente al di fuori della sua portata, fatele causa. «prova a contare fino a -» «ciao!.. ho perso i bambini.» «-EH?» in che senso.gif Si bloccò con ancora la stecca di mela caramellata a pendere pericolosamente da un lato, ed una mano infilata nella tasca di jeans; gli specchi rimandavano all’infinito le cinquanta sfumature di confusione della Tassorosso, occhi verdi spalancati verso Meh. «hai perso – dei cani?» sì: Erin aveva passato abbastanza tempo con Jess perché quando qualcuno le dicesse bambini, associasse direttamente il termine alle palle pelose. «o dei – dei bambini veri» corresse, sopracciglia corrugate e labbra dischiuse in sorpresa.
    «come» tante cose, fra le quail indubbiamente come hai fatto a perderli - ma anche come hai fatto a trovarli, ed un evergreen [screeching] HAI DEI FIGLI?
    Di quei tempi, non si sapeva mai.
    Never forget that we were built to last
    erin t.
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    eeeuuu 4 mesi sono pessima. dai facciamo salto temporale e si riprende a Novembre ♡



    oh boi
    ah, sh*t, here we go again




    Mehan b tryhard // mark me down as scary AND horny

    a conti fatti, era colpa sua. solo e soltanto colpa sua.
    the risk was calculated, but man am i bad at math.
    avrebbe potuto rifiutarsi, fingere di avere la peste, inventare un qualche impegno di vitale importanza, sotterrarsi in una buca abbastanza profonda da impedire a chiunque di trovarlo, ma non esisteva ancora che mehan tryhard fosse in grado di rifiutare un favore a suo fratello. un giorno forse sarebbe arrivato quel terribile momento - per cause di forza maggiore, ovviamente -, ma non oggi.
    e mai come ora il grifondoro desideró quel giorno fosse già giunto per evitargli il ripetersi ciclico di certi eventi cataclismatici. aka, nel suo caso, ritrovarsi ancora una volta davanti all'ingresso della sala degli specchi al luna park. «Hello darkness my old friend» un bisbiglio soffiato tra i denti, iridi nocciola puntate all'insegna che capeggiava sopra le loro teste, inquietante e minatoria quanto la classica spada di Damocle, il senso di soffocamento che già ti prendeva ancora prima del fatidico primo passo. «meh-rry, non fartela sotto adesso eh!» ed eccolo lì il suo problema numero 2.
    un metro e sessanta, tutt'ossa, taglio sbarazzino e visetto da bambino, le guance infiammate per l'emozione: mehan non aveva idea di come e perché edward moonarie fosse stato rispedito tanto rudemente nei suoi anni (pre?) teen, ma sapeva bene in che modo fosse finito al suo fianco quel sabato in tarda mattinata. Barbie dice che se rimane ancora 5 minuti al BiDEt lo uccide, aveva dichiarato suo fratello, solo un'ora prima, quando il tryhard disoccupato era passato dalla yogurteria per un saluto e la solita coppetta variegata al cioccolato con gli smarties, ti va di portarlo a fare un giro? una richiesta innocua, sottolineata da una pacca sulla spalla che già di per sé avrebbe dovuto insospettire il grifondoro. perché beh aveva pure il sorriso sulla bocca, e guardava baby!eddie con un misto di adorazione e affetto, ma le occhiaie scure sul volto di barnaby e lo sguardo spiritato e il fatto che stesse cercando di pugnalare Sandwitch con una paletta per il gelato sembravano raccontare tutta un'altra storia.
    «non-- non ho paura, ok?» chiamasi solo terrore cieco «è che l'ultima volta ho preso in pieno uno specchio, tutto qui.» e aveva fatto una figuraccia proprio davanti ad erin, tra tutte. non era bastato il naso gonfio e rosso come un pomodoro, le lacrime di dolore a rendere liquide le iridi nocciola, no!, a peggiorare una situazione già triste di suo ci avevano pensato quelle bestie dei primini. e ora? ora gli toccava un edward moonarie quattordicenne in piena crisi ormonale.
    lo vide stringersi nelle spalle, un sottinteso 'sounds fake but okay' nel lieve movimento della testa, prima di voltarsi verso l'ingresso della casa degli specchi pronto a lasciare fuori il suo attuale baby sitter; a quanto aveva capito Mehan, di quelli baby!eddie ne disponeva a bizzeffe. «hasta la vista, baby!» entrambe le mani sollevate al cielo con tanto di doppio segno della pace, il ragazzino sparì infine dentro una cortina di fumo e luci stroboscopiche atte a confondere la gente ancora più di quanto i mille specchi deformanti all'interno già non facessero, una risatina inquietante che arrivava direttamente dagli altoparlanti sulla sua testa ad accompagnare la dipartita del moonarie. rip. «certo che potevi anche entrare con il tuo fratellino...» what did you just say? già sull'orlo di una crisi di nervi, il buon Tryhard fece un giro completo su se stesso, ritrovandosi addosso lo sguardo giudicante del tizio che controllava i biglietti prima di far entrare i ragazzi dentro la casa degli specchi: prominente panza da birra, barba incolta e coppola strategia a coprire la pelata, per essere davvero il top gli mancava solo la canottiera bianca con la macchia di sugo e la peluria del petto in bella vista. «certo che lei potrebbe anche farsi una ciotola di cavoli suoi.» o un pacco da sei di lattine, forse più di suo gradimento. quello inarcò le sopracciglia così tanto che Mehan poté quasi vederle fondersi con l'attaccatura dei capelli - un parrucchino, senza dubbio -, limitando poi le (giustificate?) proteste ad un borbottio sommesso. non riuscì a sentire una parola, il grifondoro, ma poteva tranquillamente intuirne la portata: questi giovani d'oggi, non c'è più rispetto, i genitori dove sono???; tutte cose che si ripeteva tra sé e sé anche lo stesso diciassettenne ogni qualvolta si trovava ad avere a che fare con bambinetti più piccoli di lui. era un generazionale circolo vizioso dal quale non esisteva scampo. «scusi eh, ma ho già abbastanza problemi.» buon vecchio spirito tryhard, impossibile da sopire. sebbene mehan fosse un po' più chaotic di suo fratello, sempre nella categoria good rimaneva; persino quando andava contro i suoi interessi, anche nei casi - nemmeno tanto rari - in cui il famoso detto 'a esser troppo buoni si diventa coglioni' finiva per diventare realtà. phobos sosteneva fosse un dono, ma meh non era più così tanto convinto.
    al tipo del luna park non poteva ovviamente fregare di un fico secco dei problemi di un adolescente qualunque, ma almeno il Grifondoro si sentiva in pace con la coscienza. iniziava persino a rilassarsi, la schiena poggiata contro la parete esterna vicino all'ingresso, le braccia incrociate al petto e un principio di sonnolenza che evidentemente non teneva conto della famosa spada di Damocle appesa sulla sua testa. Non era Barbie, il diciassettenne; non era certo Richard Quinn. non aveva la loro esperienza quando si trattava di edward moonarie, adulto o in formato ridotto che fosse. forse, se avesse chiesto consiglio in merito al suo papi biologico, avrebbe scoperto tutta una serie di informazioni preziosissime capaci di far prendere a quella giornata una piega diversa (aka, non si sarebbe nemmeno avvicinato al bidet), ma che ne sapeva Mehan degli anni in cui phobos e eddie erano stati pappa e ciccia?
    niente, per sua sfortuna.
    così abbassò le difese, pronto a godersi almeno quaranta minuti di pace mentre Sandwich girovagava tra gli specchi faticando a trovare la strada per uscirne, ma senza infine tirare nemmeno un sospiro di sollievo che fosse uno: «mmeeeehhh» cos'era, una capra? no, peggio. «MMM E / E E E E E E / E HHHH!» era il minorenne sotto la sua responsabilità che invocava il suo nome chiamando aiuto con tutta la disperazione di cui era capace. ecco lo sapevo. non dovevo lasciarlo solo. di sicuro ha trovato un maniaco e ora sta morendo. magari. no mehan non puoi pensare queste cose è solo un ragazzino ommioddio e se fosse già morto???? con quella raffica irrazionale di pensieri a rimbalzargli da una parte all'altra della scatola cranica senza un ordine logico, il diciassettenne si buttò con uno scatto felino - per quanto glielo permettessero le sue gambette corte - oltre la soglia della casa degli specchi, inspirando troppo a fondo il fumo finto ma senza quasi accorgersene: era già in iperventilazione, con la schiena sudata e il cuore a mille, quando lo vide.
    e no, non stava morendo, ma sarebbe stato meglio.
    aveva quel sorrisetto stampato in faccia, baby eddie, tipico delle bestie di Satana, affascinante e malevolo al contempo, così innaturale sul volto imberbe e assolutamente innocuo; la faccia pulita di un ragazzino per bene, capace di ingannare vecchiette sconsiderate ma non solo. non solo. qualcuno lo stava tenendo per mano, come si fa con i bambini quando si perdono al supermercato per aiutarli a ritrovare i genitori, e fu nel riconoscere la ragazza al fianco del quattordicenne che meh decise fosse arrivato il momento giusto per perdere i sensi. «guarda chi ho trovato, meh!» e mentre il sorrisetto si ampliava, e non visto da erin baby eddie gli faceva l'occhiolino, il tryhard capì che aveva sbagliato a valutare la situazione. «LA TUA CRUSH SEGRETA!» era quello il momento giusto per svenire.
    [jake peralta voice]«Oooh no. oh nononono. ohno.» come faceva ad essere ancora vivo? magari era morto e non lo sapeva. tentò di inspirare senza riuscirci, la gola asciutta e la lingua come carta vetrata, incapace persino di inghiottire, che fosse aria o saliva o il nulla assoluto. un uomo disperso nel deserto avrebbe avuto meno sete, e certamente più voglia di vivere. «NO-no, non.. edd-sandwitch non si dicono... e-erin non...eh.» cos'altro poteva aggiungere senza peggiorare la situazione? niente. ed ecco perché richiuse la bocca, mehan tryhard, mentre baby eddie inarcava scettico un sopracciglio chiedendosi come avesse fatto il grifondoro a sopravvivere senza di lui fino a quel momento: possibile che nessuno gli avesse mai dato una spintarella prima? stando a quanto gli aveva raccontato quel cucciolo di behan, la cotta per quella erin aveva origini ormai antiche, e proprio eddie non riusciva a concepire come nessuno lo avesse obbligato a sputare il rospo.
    phobos, you son of a bitch, è cosi che cresci i tuoi figli? senza nemmeno tentare di rovinare loro la vita?????????? amatour.
    meno male che c'era lui!

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    erin t. chipmunks
    Beauty queen of only eighteen
    She had some trouble with herself
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    music
    flwr pwr
    neutral
    former rebel
    18 y.o.
    Madam Puddifoot
    Si muoveva impercettibilmente, spostandosi di un millimetro alla volta senza mai distogliere l’attenzione dalla ragazza di fronte a lei: ondulati capelli di un morbido nocciola, viso tondo e pallido, labbra piene piegate verso il basso. Asciutti occhi verdi a ricambiare il suo sguardo. Deglutì, Erin Therese Chipmunks, osservando le spalle del proprio riflesso scuotersi in un singhiozzo muto, allungando impotente le mani di fronte a sé per poggiare i palmi contro lo specchio.
    Uno dei suoi nuovi, e più recenti, migliori amici.
    Era stata una ragazza vanesia ma umile, Erin Chipmunks. Passando di fronte ad uno specchio, aveva sempre dato solo una sbirciata veloce per controllare che la chioma fosse domata, che il lucidalabbra alla fragola fosse ancora al suo posto – ed aveva sorriso sempre, Erin, socchiudendo gli occhi con quel brillio entusiasta di chi fosse felice senza un motivo apparente. Si era specchiata, ma non si era mai guardata allo specchio.
    Poi era morta. Poi era morta.
    Ora, Erin, si guardava sul serio, necessitando testimonianze di esserci: si guardava per vedersi, per lasciare una traccia del suo passaggio – per esistere. Per esistere. Aveva smesso di sorridere al proprio riflesso, cessando di dare per scontato ci fosse nello scrutare le iridi muschio; aveva iniziato, invece, a sospirare. A chiudere gli occhi lasciando quella fosse l’ultima immagine impressa nella retina. Ad assaggiare ogni battito sulla punta della lingua, schiacciando i palmi sul costato per sentire il regolare pulsare del cuore fra le dita.
    Viva. Era stato difficile crederlo nel bunker, ma intollerabile non farlo quando aveva stretto le braccia attorno al collo di suo fratello: era viva - e Dio, se era felice di esserlo. Lasciarsi alle spalle la Resistenza era stato il prezzo da pagare per avere, ed ufficialmente, una seconda possibilità. Da ribelle, Erin non aveva mai avuto l’opportunità di essere Erin, schiava di un sistema dove la giustizia era un errore, e l’errore la regola: intrappolata all’interno del quartier generale, stipata in gabbie di vetro - una resistente in provetta. E che contributo aveva dato alla causa, fra quelle fila?
    Nessuno, perché esporsi avrebbe significato mettere in difficoltà i propri amici, la sua famiglia. Era rimasta ancorata, ed abbracciata, ad un guinzaglio troppo corto, perché aveva avuto paura di perdere tutto. Ma non aveva più paura, Erin: aveva Scott, aveva Jess ed Amalie, Murphy e Kieran. Soprattutto, per la prima volta in diciott’anni, aveva Erin.
    Ed aveva una seconda occasione. Non doveva far parte della Resistenza, per essere una Ribelle.
    Sospirò concedendosi di serrare le palpebre e sorridere: perché Erin Therese Chipmunks, circondata dalle decine di centinaia di Erin nella medesima, cristallizzata, posizione, era felice. Era felice di svegliarsi al mattino e trovare i pancake caldi ad attenderla; era felice di fermarsi in corridoio, un passo prima della cucina, ed ascoltare la tintinnante risata di Jess mentre cercava (e falliva) di insegnare a Dakota e Maeve a preparare la colazione. Era felice di aspettare, con il sorriso a far capolino sulle labbra, che Scott uscisse dalla stanza delle bimbe dov’era andato a controllare, ancora, che respirassero, ed insieme a lui raggiungere il tavolo dove il resto della casa era riunito. Era felice di poter ancora fare i grattini dietro le orecchie di Luna, offrirle il palmo perché vi posasse il musino nero.
    Era
    Davvero
    Grata, Erin, come mai lo era stata prima di morire. Aveva paura? Certo, sempre. Perfino più di prima, ma non abbastanza da strapparle la curva morbida sulla bocca. C’erano giorni facili, e giorni meno facili, ma quello –
    «gaSP» Aprì le palpebre e si guardò attorno, incrociando lo sguardo curioso di un ragazzino. Mentre Erin accennava un sorriso ed alzava la mano in un saluto gentile, qualcosa passò negli occhi chiari del bambino – qualcosa che Barnaby Jagger avrebbe riconosciuto subito, se fosse stato al fianco della Chipmunks; qualcosa di malvagio che non avrebbe mai, mai, dovuto vedere la luce del sole, né dei neon di una casa degli specchi.
    «stai piangendo?» lacrime. In quel momento, nel distante e sicuro BiDEt, Barbie alzò gli occhi al cielo in una muta preghiera a Dio e Superman – entrambi, non si sapeva mai. Scaltro come una faina, il ragazzino evitò tutte le superfici illusorie giungendo al suo fianco, a cui si aggrappò con (m-m-m-malignità.) disperazione. Borbottò qualcosa che suonò molto come bene, mi stavo annoiando, ma che ad una richiesta della Chips di ripetere, divenne «non lasciarmi freme, mi sono perso». aw! Gli stropicciò i capelli (barbie: HOE D-D-DON’T FALL FOR T-T-THAT) replicando l’amabile sorriso del giovinetto, a cui porse una mano per accompagnarlo verso l’uscita. «sei venuto con i tuoi amici?» «meh» No? Ok. Corrugò le sopracciglia evitando un altro specchio, scortando entrambi in direzione del corridoio verso la libertà. «i tuoi genitori?» «MMMEEEEEEEEEEEEEEEEEEHH» Oddio, era orfano? Aveva appena fatto una gaffe? Erin strinse le labbra fra loro guardandosi velocemente attorno, la stretta a farsi più decisa sulla mano del ragazzino. «io -» non volevo essere indiscreta, avrebbe continuato la Chipmunks, se solo l’altro non l’avesse stretta un po’ più forte, spintonandola con delicatezza (barbie: t-t-ti sta usando c-c-come s-s-scudo) di fronte a sé.
    Meh. Letteralmente. «guarda chi ho trovato, meh!» Erin piegò la testa di lato, lanciando una distratta occhiata al viso pulito del biondino, e poi al Tryhard. Di nuovo alla casa degli specchi, di nuovo con dei ragazzini? Che fosse, tipo, il luogo di ritrovo delle matricole di danza? Stava passando PER UNA STALKER? «oh, io – uhm, ehi» abbozzò un sorriso imbarazzato, le dita della mancina a sollevarsi per salutare. Era facile andare d’accordo con i Losers, anzi: era semplicemente impossibile non farlo, con quella loro bonaria agitazione a farli fremere come boccioli in Primavera che non vedessero l’ora di germogliare. Vibravano con la stessa frequenza, Erin e la squad. Oltre ad aver affrontato (literally xd) la morte insieme, ruolavano perfino sulla stessa piattaforma (questione di priorità). Malgrado tutto, Erin ancora non era riuscita a superare il denso grumo di disagio quando il resto della crew mancava, ed in una stanza rimanevano solamente lei e Meh – cosa che accadeva ben più volte di quanto la statistica avrebbe suggerito. Era strano, Erin voleva davvero, davvero, che fossero amici, che potessero sentirsi su wizchat (nda: canon) senza che la Chipmunks provasse ansia da prestazione ad ogni singolo, minuscolo, messaggio, e «LA TUA CRUSH SEGRETA!» - cosa.
    In che senso. «in che senso» non si rese conto di averlo domandato ad alta voce, fino a che il biondino non le rispose. «ah, acciderbola, mEH! LA TUA COTTA PER ERIN ERA UN SEGRETOH?» (barbie: nikita.mp3 @ meh) «scusa, non volevo che erin sApEsSE DELLA TUA COTTA PER LEI!» Cosa stava capitando. La mora battè le palpebre, chiudendo poi la bocca che aveva istintivamente spalancato in sorpresa. Fece scivolare lo sguardo color muschio dall’espressione innocente e D-D-D-DEMONIACA pura del ragazzino, al viso sempre più pallido e preoccupante di Mehan Tryhard, percependo il sangue affluire verso le gote. Quando posò una mano sulla guancia, la sentì bollente contro il palmo.
    Cosa
    In che
    Una cotta? Per «me?» Sembrava la scena di un film, quella. Quante - quante - volte Erin aveva fantasticato uno scenario del genere? Almeno dieci, venti volte al giorno, dato il suo costante poco scetticismo nei confronti dell’amore. Sin da quando era una ragazzina, aveva sempre voluto…aveva sempre voluto quello: il batticuore, le guance in fiamme, il nodo allo stomaco. Certo, non aveva mai immaginato sarebbe stato così debilitante, tanto che per qualche istante si domandò se fossero invero malata, ma nulla era mai come ce lo si aspettava.
    «tu non -» indicò vaga Meh, volgendo poi I propri gesticoli al biondino. Tossì per schiarirsi la voce, più nervosa di quanto qualunque eroina di qualunque serie, libro, o fumetto, avrebbe dovuto essere. «lui non - cioè» Puntò infine lo sguardo sul Grifondoro, deglutendo febbrile saliva per inumidirsi la lingua. «devi aver…» perché Mehan Tryhard non era mai stato un ragazzo timido; se fosse stato vero, era certa che lui glielo avrebbe detto….prima…in qualche …modo? L’aveva sempre fatto, perché Erin avrebbe dovuto essere diversa? «frainteso?» concluse piano, concedendosi per un istante, uno solo, il beneficio del dubbio. Fu rapida nel distogliere lo sguardo da Meh prima che l’altro potesse notare quanto, in quel tono interrogativo, ci fosse una nota implorante. «perché dovrebbe» forse un timbro un po’ troppo serio - perché -, ma fu un sorriso allegro, quello di Erin: poteva anche essere morta, ma sapeva ancora reggere gli scherzi di un bambino.
    (barbie: e t-t-t-ti dico c-c-che è s-S-SATANA!)
    …Forse.
    crush
    tessa violet
    one chance to dance
    naughty boy
    remember when
    wallows
    of the night
    bastille
    she will be loved
    maroon 5
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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    Mehan b tryhard // mark me down as scary AND horny

    «in che senso»
    ma vi pare giusto che per una volta, una volta nella vita, mehan volesse davvero - davvero! - morire e invece respirava ancora?
    per modo di dire, ovviamente.
    non aveva aria nei polmoni e per quanto il suo corpo fosse conscio di quel dettaglio insignificante, il cervello al contrario non voleva saperne di collaborare. se ne stava lì, inutile massa gelatinosa racchiusa nella scatola cranica, senza dare più segni di vita. «u-u-u» uccidetemi «uh.» no, niente da fare, gli si erano fritti i neuroni. proprio a lui che, buondio, per farlo stare zitto bisognava tappargli letteralmente la bocca, sempre pronto sparare le proprie opinioni come una raffica di proiettili - meglio ancora se non richieste e, soprattutto, mai filtrate.
    era mehan tryhard che interveniva in una conversazione quando suo fratello di bloccava incespicando sulla sua stessa lingua, era mehan tryhard che gli zii odiavano perché non conosceva l'importanza fondamentale del silenzio. ed era sempre lui quello che non si era mai fatto prendere in contropiede, sempre con la battuta pronta, a volte più piccato che divertente, mai all'asciutto. a volte parlava così tanto che gli si seccava la bocca, ma questo non lo aveva mai fermato: ora nemmeno un'intera bottiglia d'acqua fresca avrebbe potuto scollargli la lingua dal palato, ruvida carta vetrata ricoperta di sabbia.
    gli pareva di averne appena ingoiato un bel cucchiaio intero, opportunamente bloccato in fondo alla trachea.
    «ah, acciderbola, mEH! LA TUA COTTA PER ERIN ERA UN SEGRETOH? scusa, non volevo che erin sApEsSE DELLA TUA COTTA PER LEI!» due cose furono improvvisamente chiare al grifondoro, lampi di lucidità in una vita di ignoranza: innanzitutto cominciava a comprendere la necessità emotiva che spingeva la gente a commettere un omicidio-suicidio, perché era davvero lì lì per acchiappare baby eddie e lanciarsi con il bambinetto in mezzo al traffico; e poi il dubbio, banale quanto orribile - era così che si sentiva behan ogni volta che quell'EFTP di suo fratello apriva bocca? l'esuberanza di mehan, quella sua incapacità di tenersi le cose dentro e l'insistenza con cui spesso e volentieri cercava di trascinare il gemello fuori dal suo guscio avevano sul tassorosso quell'effetto debilitante? si era sentito morire anche lui tutte le volte in cui lo aveva spinto a parlare con maple quando la incontravano nei corridoi, una risatina di troppo in sottofondo?
    «sono..» cosa, esattamente, meh non lo sapeva. a quel punto erano davvero poche le nozioni elementari che il cervello del diciassettenne fosse ancora in grado di processare, e tra queste c'era il fatto che erin sembrasse perplessa quanto lui; un altro era il modo in cui le sopracciglia di eddie tendevano sempre più ad incontrarsi al centro della fronte corrugata, quasi si fosse aspettato un altro tipo di scenario.
    «innamorato? AAAWWW KE KARINO! erin, non è carino?????» bestia.
    «tu non - lui non - cioè» sentí la schiena insaccarsi (parola scelta saggiamente dal correttore del telefono) sotto il peso della classica cascata di mattoni, le spalle ora leggermente ricurve in avanti prive di quella tensione che fino ad un attimo prima le aveva bloccate in posizione da soldatino sull'attenti. sparita magicamente la paralisi, gli rimaneva un vago senso di sconforto e inadeguatezza, un contorto miscuglio di emozioni al quale purtroppo mehan tryhard si stava pian piano abituando. prima di scoprire che il professor campbell era riuscito in una sola notte ad ingravidare la sua mamma (per quanto volesse bene a phobos quello era un argomento ancora tabù) il grifondoro era un ragazzino davvero felice: mai una discussione con i genitori, mai una delusione amorosa, mai un attimo di vero disagio.
    una vera e propria ignoranza fisiologica nei confronti della vita e del karma, che gli aveva permesso di tirare avanti senza sforzi come racchiuso in una bolla di sapone. e se quella bolla fosse stata ancora integra e inviolata, allora forse avrebbe confessato i suoi sentimenti ad erin molti mesi prima, facendo scivolare con non chalance un bigliettino sul banco della ragazza per invitarla a prendere una cioccolata calda, o a vedere una partita insieme. perche era così che aveva sempre fatto, nel prima. solo che ora meh viveva nel dopo, come la maggior parte degli adolescenti non cresciuti nella bambagia, e di semplice non era rimasto assolutamente nulla - tanto meno venire a patti con un muscolo cardiaco difettoso, le farfalle nello stomaco, i sudori freddi, la paura di fronte alla morte, la lingua incollata al palato e tutte quelle parole cui pensava la sera sdraiato a letto incapaci di uscire quando servivano davvero.
    «devi aver… frainteso?» ecco quello sarebbe stato un buon momento, ottimo!, per affrettarsi a dirle che no, non aveva frainteso, ovviamente aveva una cotta per lei, come poteva essere il contrario? aveva quel sorriso caldo e avvolgente che faceva sciogliere il cuore, una bellezza atipica mitigata da un velo di timidezza sempre presente, quasi non sapesse erin chipmunks l'effetto che faceva a chi la guardava - a chi rideva con lei, a chi le si sedeva accanto osservandola di sottecchi mentre sembrava persa in chissà quali pensieri. a chi si perdeva in quegli occhi verde bosco, inevitabile eredità di famiglia e kink indiscusso per i pg di rob. «eh eh eh eh eh.. questi pre adolescenti ah ah ah!» stava bene? evidentemente no. fece un passo avanti muovendosi a scatti, il grifondoro, avvolgendo le braccia attorno ad un perplesso baby eddie così da tirarlo a sé bloccando il ragazzino contro il proprio petto - se quella merdina non fosse stata solo dieci centimetri più basso di lui lo avrebbe preso di peso e trascinato via, ma tant'é. «cosa non vanno ahahah ad inventarsi ihihi. ih.» sapeva di avere la schiena fradicia di sudore freddo e che a momenti quello strato umido sarebbe apparso anche sulla fronte rendendo impossibile mimetizzare il proprio disagio (si perché fino a quel punto non lo avrebbe detto nessuno che era nel panico. ma proprio nessuno), il che gli lasciava solo una possibilità: la <del>figafuga. «h-» rapido premette la mano destra sulla bocca della bestia, dimostrando un autocontrollo invidiabile quando il quattordicenne prese a leccargli il palmo nel tentativo - fallito - di liberarsi. «come dici sandwich? devi fare la pipì? tranquillo stiamo andando! dobbiamo trovare un bagno ah! grazie erin per avermelo riportato, è un bambino problematico sai, ha una forma acuta di ritardo mentale, sarebbe potuto rimanere lì dentro per giorni e giorni! ciao eh!» e quello continuava a leccare, che schifo.
    mehan, la cui lingua si era improvvisamente sciolta a causa dell'adrenalina e ora non riusciva più a smettere di sparare cazzate, incrociò per un istante lo sguardo di erin e si sentì morire un poco dentro, conscio che dopo quel giorno con tutta probabilità non gli avrebbe più rivolto la parola. si stava comportando come un codardo, ma quale alternativa c'erano?
    baby eddie, dal canto suo, un'idea da proporre ce l'aveva.
    «meh, posso farti una domanda?» ask for a friend. si erano ormai allontanati di una decina di metri, il diciassettenne troppo occupato a pulirsi la mano bagnata sui jeans e incapace di trovare quel poco di coraggio sufficiente per tornare indietro sui suoi passi e rimediare al danno. «no.» non voleva più sentire la sua voce, punto. ora si che capiva perché barbie saltava sul posto ogni volta che quel timbro squillante da testicoli non ancora scesi gli sfiorava le orecchie; ora percepiva la paura. «ottimo, grazie. ci tieni più alla dignità o alla vita?» Mehan, che in quel momento effettivamente sarebbe morto volentieri, si limitò a scuotere la testa, privato di ogni forza morale, fisica e psichica - erano ormai a quindici metri. «aspetta, te la rifaccio.» venti metri. quello prese a strattonarlo per la manica della giacca, e quando abbassò le iridi nocciola sul ragazzino accanto a sé meh si rese conto che nella mano libera teneva una simpatika paletta per il gelato - solo che l'estremità del panico era stata sciolta e poi schiacciata in modo da ricompattarsi a punta, un po' come certi coltelli fai-da-te creati dai detenuti con gli spazzolini. «ah.» «dignità o vita? pensaci, tanto la prima è già andata comunque.» [barbie in the background: what did i say? saTAna!] ma un satana che sapeva esattamente di cosa stava parlando. difficile dire se l'illuminazione venne dalle parole del moonarie o dalla punta acuminata dell'arma rivolta senza mezzi termini contro i suoi gioielli di famiglia, sta di fatto che nella mente di mehan qualcosa scattó: non aveva davvero più niente da perdere.
    «hai ragione. CACCHIOLINA HAI RAGIONELEVAMIQUELCOLTELLODAITESTICOLIGRAZIEEDDIE!» e solo quando si sentì vagamente più al sicuro, il diciassettenne ruotó su se stesso allargando le braccia, rivolgendosi cuore in mano ad una erin abbastanza vicina da sentire ciò che aveva da (urlarle) dirle e allo stesso tempo sufficientemente lontana da non potergli tirare una scarpa in faccia. di quei tempi non si poteva mai sapere. «NON HA FRAINTESO! ERIN, NON HA FRAINTESO!!! È VERO CHE HO UNA COTTA DOVEVO DIRTELO PRIMA MA NON TROVAVO LE PAROLE E POI SONO SUCCESSE COSE E CREDEVO CHE SCOTT FOSSE IL TUO RAGAZZO E LA COMPETIZIONE MI METTEVA ANSIA!» che bella dichiarazione d'amore in mezzo al luna park pieno di gente ♡
    poi, di base, dovrebbero fuggire, baby sitter e baby eddie, ammesso ovviamente che erin non decida di rincorrere entrambi per picchiarli, ecco.


    17 yo
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    gryffindor
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    'i hate clowns'
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    pensieve
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    headphones
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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