If I could I would feel nothing

@aetas, libera

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    lost in the echo

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    «parli sempre così tanto?» e ce ne voleva di talento, per portare Lydia Hadaway ad un livello di non sopportazione tale da interrompere qualcuno a metà frase. Ma anche lei aveva i suoi limiti - ed Annie Baudelaire, con quegli occhi troppo verdi ed i capelli di un brillante rosso fragola sempre raccolti su una spalla, l’aveva superato mezz’ora prima. Il tonfo delle pagine del libro a richiudersi di scatto, fu più definitivo del tono seccato della storiografa, il cui cipiglio lasciava perfettamente intendere quanto la situazione l’avesse stremata. Per un, in quel momento l’avrebbe definito assurdo e stupido, motivo non meglio precisato, Lydia aveva pensato fosse un’idea brillante portare il tomo che stava studiando al Ministero, a casa degli au Baudelaire; con il peso di un segreto simile - oblivion - non se l’era sentita di trasferire il lavoro a new hovel, dove sapeva avrebbe trovato Sin, né aveva voluto rivolgersi a Nathaniel: non era brava a tenere la bocca chiusa, ma in quell’unico caso specifico, ne aveva l’obbligo. Si era detta che con gli abitanti del sotto sopra, sarebbe stato più facile; che a loro, perlomeno, in casi estremi avrebbe potuto dirlo, perché l’obbligo cessava di esistere con individui che non facevano parte del loro universo.
    Sostanzialmente, Lydia Hadaway avrebbe potuto riempire un taccuino di buoni motivi per giustificare la sua presenza lì che nulla avrebbero avuto a che fare con Dominique o Cole, ma in cuor suo – dove mentire, non era possibile - sapeva che i piedi l’avessero trascinata al loft solo per avere l’occasione di incontrarli. Cercava, perlomeno razionalmente, di prenderne le distanze; di dirsi che non importava, perché non erano i suoi e non avrebbero potuto sostituirli. Che non le facevano né caldo né freddo. Eppure, come il parente sempre dimenticato negli inviti di Natale, si ritrovava sempre a premere il naso al loro ingresso, supplicando silente che la facessero entrare solo un’altra volta. Superare le difficoltà rispetto al trovarsi di fronte Annie era stato fin troppo semplice dato che, pur essendo fisicamente identiche, erano troppo diverse perché Lydia si sentisse a disagio (più del solito, s’intendeva; il disagio era pur sempre la base delle sue quasi inesistenti skills sociali): aveva fatto il callo alla possibilità che in un’altra vita, Annie sarebbe stata lei - averne la prova concreta, non aveva poi cambiato le carte già in tavola. Non era il suo essere Baudelaire, a turbare Lydia.
    Era semplicemente Annie, ed era semplicemente fastidiosa.
    «oui» con sufficienza; non aveva neanche sollevato lo sguardo dalle proprie unghie (leggasi: artigli) cremisi, le labbra curvate verso il basso, nel rispondere alla domanda retorica della Hadaway. Inspirò dalle narici e sollevò gli occhi al cielo, allontanando la sedia dal tavolo per alzarsi. «te ne vai già?» ebbe anche il coraggio di domandarle, con quel marcato accento francese che, contro ogni logica, mancava a Lydia. Già? avrebbe voluto ribattere piccata, facendole notare che avrebbe dovuto andarsene ore prima, ma era troppo diplomatica per una così drammatica uscita di scena. Si limitò ad un sorriso tirato, infilando il tomo in borsa per chiudere la conversazione e chiarire che sì, se ne stava andando. «avevo comunque da fare» mentì, infilando la giacca a vento con una densa occhiata di circostanza – che era, a conti fatti, la fune di fuga degli adulti. Una vera fortuna per Lydia che Annie non avesse (all’incirca; secondo la Baudelaire, nessuno aveva di meglio da fare che rimanere con lei) idea di quanta poca vita avesse da vivere la rossa all’infuori dei libri. La francese fece spallucce, indicando vaga l’uscita. «sai dov’è la porta» Non riuscì ad impedirsi, Lydia, l’ennesimo guizzare di sopracciglia verso l’alto. Certo che sapeva dov’era l’uscita - dannazione, era più casa sua che non di Annie. «grazie tante» eh, delicata nelle proprie parole fino ad un certo punto: quando ci voleva un po’ di sarcasmo, ci voleva punto.
    «salutami cole e dom, quando li vedi» Ignorò volutamente lo sguardo attento – perché sotto il sovradosaggio di mascara, c’era una mente sottile e brillante, Lydia lo sapeva – della Baudelaire, non volendo sorbirsi l’usuale sufficienza pietosa con la quale accoglieva sentenze simili. Non aspettò neanche di sentire risposta, prima di uscire nella fresca, ma non più fredda, aria d’inizio aprile.

    Un tè freddo d’asporto dopo, Lydia sedeva su una delle panchine delll’Aetas con il libro poggiato sulle ginocchia. Il Grande Segreto del mondo magico non la disturbava quanto avrebbe dovuto – più che altro, la incuriosiva. Se avesse avuto ella stessa memoria della sua esistenza, si sarebbe sentita più offesa sul libero arbitrio sottratto con l’incanto; egoisticamente, ed in maniera molto meschina, si sentiva più…vicina al resto della popolazione, invece. E si sentiva, per la prima volta da quando s’era risvegliata Annie in una vasca del Paiolo Magico, importante. Non l’importanza che poteva avere per Arci, o Jay, o i suoi amici – un’importanza diversa, più…patriottica. Il senso di appartenenza derivante dall’aver fatto tutti qualcosa di sbagliato, simile – supponeva – a quello che poteva provare un credente al pensiero del Peccato Originale. Sapeva, Lydia, quanto malato fosse quel pensiero, e malgrado inizialmente fosse stata quasi felice di non poterlo condividere, ultimamente la storia stessa continuava ad angosciarla ed ossessionarla; era sicura che la risposta a tutti – tutti! – i loro problemi, fosse fra quelle pagine (la storia dopotutto si ripeteva sempre, no?) ma non… non riusciva ad arrivare un punto, ed il suo mondo era oramai fatto di virgole e spazi. «ma perché?» ripetè sottovoce, senza curarsi se ci fosse qualcuno a vedere la ragazza dalla gonna lilla e la giacca color panna intenta a parlare da sola – aveva fatto cose più assurde, Lydia, per preoccuparsi di minuzie simili; tipo perdere la memoria. «perché?» ancora. Magari a quel giro il Signore, o chi per esso, gli avrebbe risposto.
    I'm so sick of being tired I'm so tired of being sick I ain't never killed nobody
    lydia
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    13.04.19
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    baudelaire
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    YAS UN'ALTRA FANTASTIKA ROLE LIBERA - dai, non lasciatemi sola - !!!è seduta su una panchina a leggere e parlare da sola #fine CIAO VENITE A RIFLETTERE SULLA VITA!!


    Edited by anti you. - 13/4/2019, 23:22
     
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    «la prego, si accomodi» Mitchell Winston si chiuse la porta alle proprie spalle, un sorriso di cordiale circostanza dipinto sulle labbra sottili e che, di certo, faticava a riflettersi spontaneamente nelle iridi azzurre; non che Matthieu Beutel, il giovane Capo degli storiografi, potesse avere nulla di cui biasimarlo. Non era colpa sua, per carità: gli sfuggiva completamente chi egli fosse, se non a grandi linee per il ruolo che ricopriva, né tantomeno era così interessato ad approfondire la sua conoscenza, ed era perfettamente conscio di quanto il sentimento fosse reciproco. Era lì per lavoro, il vicepreside, non per prendere il tè delle cinque con il biondo dall’altra parte della scrivania; se avesse potuto, avrebbe di gran lunga evitato gli uffici del quarto piano del Ministero. In parte, per il governo stesso: aveva il sangue freddo ed era un ottimo occlumante, il ventottenne, nonché un ex dipendente di quegli stessi uffici per un breve periodo della propria vita, ma gli risultava comunque, in quanto ribelle – ed addirittura leader pro tempore della Resistenza stessa, almeno fino a quando quel cretino del suo migliore amico non si fosse deciso a tornare dalla Francia; Keanu li aveva lasciati in un bel casino, c’era da dirlo -, particolarmente sgradevole calpestare le piastrelle di lucido nero di quella struttura. Sconveniente e rischioso, ma fino ad un certo punto; il fatto è che non ce la faceva proprio, a sopportare quel luogo.
    Ma, perlopiù, avrebbe prediletto non doversi recare lì perché conosceva i tempi di attesa, la lentezza dei mal oleati ingranaggi della burocrazia, e sapeva che per chiedere un semplice favore per un professore, avrebbe perso metà mattinata. Cosa che, ovviamente, non poteva permettersi. Aveva un figlio, lasciato nelle mani di un improvvisato babysitter Newhaven Parker nel retro del locale di Niamh, al quale aveva promesso (ricevendo parole sconnesse e prive di alcun senso logico come risposta, ma se le faceva bastare) un giorno libero da passare con lui; per inciso, nel caso non fosse chiaro, quello doveva essere il suo giorno libero.
    «la ringrazio per avermi ricevuto tanto rapidamente.» convenne con il Beutel, sedendosi dall’altra parte del tavolo, e quando gli fu chiesto se gradisse qualcosa, liquidò l’offerta con un garbato cenno della mano. «magari la prossima volta.» sarebbe stato scortese, da parte sua, dirgli semplicemente che andava di fretta, e che non aveva tempo da perdere in convenevoli e digressioni filosofiche davanti ad un bicchiere di cognac. Preferiva tenersi buone certe persone, sia a livello lavorativo che personale.
    «come posso esserle utile, signor winston?» fortuna volle che, oltre ad essere stato eccezionalmente chiamato per l’appuntamento all’orario in precedenza accordato, lo storiografo pareva intenzionato a sbrigarsela altrettanto velocemente. «mi ha scritto di volermi incontrare per affari di hogwarts, giusto?» «esattamente» Mitchell annuì, distogliendo brevemente lo sguardo per portarlo alla propria ventiquattrore. La aprì e, senza troppi preamboli, sistemò i fogli che aveva portato con sé sul tavolo. «mi è capitato di notare, da quando lavoro nel castello, che molti libri segnati nelle liste della biblioteca o sono stati spostati nel reparto proibito, o risultano del tutto inesistenti - in particolare, alcuni tomi di storia della magia» quando ebbe finito di sistemare i plichi, diligentemente raccolti e relegati in fascicoli ben strutturati e precisi in ogni loro parte, riportò le iridi chiare sul dirigente di reparto. «ho chiesto al preside, il quale» se ne è allegramente sbattuto, ma anche qui non gli sembrava educato dar voce ai propri pensieri. «mi ha consigliato di rivolgermi direttamente a voi. vede, mi perdoni incalzò, allargando la piega sulle labbra, quando gli parve che l’altro volesse parlare. «ho lavorato per un periodo qui, proprio in questo livello – nella censura, per essere precisi -, e so benissimo quanto lavoro vi oberi da mattina a sera.» non che lo ricordasse realmente, purtroppo: immaginava fosse parte della burocrazia stessa, e per quanto fosse schierato contro il Regime non poteva che condividere quella scelta intelligente, modificare le memorie di chi lasciava quel lavoro. Sapeva di aver prestato servizio lì, più per il buon nome dei Winston e per una più lungimirante e proficua scalata di ranghi che non per vero interesse, ma ogni volta che cercava di ricordarsene, i ricordi parevano artificiosi, costruiti. «perciò, non mi permetterei mai di puntare il dito verso qualcuno di voi per una mancanza simile: immagino ci siano dei lavori di restauro in corso su qualche opera, o qualcosa di simile. ahimè, non è di mia competenza.» si strinse nelle spalle, accavallando le gambe e sistemandosi più comodamente sulla sedia. «ma, in quanto vicepreside, è mio compito venire qui e portarvi i reclami che mi sono stati fatti riguardo questa situazione, sperando voi possiate venirmi incontro. mi sono personalmente premurato di stilare alcune liste» amava, fare liste: compiaceva i suoi istinti animaleschi prendi nota, Marcus. «in questa» gli porse il primo fascicolo. «ci sono segnati tutti i libri che gli studenti hanno trovato irreperibili, sia nella sezione di libero accesso che in quella proibita senza previa autorizzazione;» fece scivolare sul mogano un secondo plico di fogli, senza mai abbassare lo sguardo, osservando il Capo Storiografo esaminare velocemente quello precedente. «qui ci sono invece alcuni volumi che i professori stessi non sono riusciti a trovare da nessuna parte, pur certi di averli già visti almeno l’anno scorso;» fu poi il turno dell’ultima lista, la più breve ma non per questo meno importante delle altre: seppur contasse un solo foglio, aveva comunque reputato necessario al fine della propria salute mentale riservarle lo stesso trattamento delle altre. «in quest’ultima, che la pregherei cortesemente di esaminare per prima, ho invece enumerato alcuni tomi che servono più urgentemente per alcune… lezioni speciali. di approfondimento, per intenderci.» «magari potreste approfondire di meno e limitarvi a degli insegnamenti più canonici, mh?» il Winston alzò un sopracciglio, inspirando profondamente per evitare di peccare in ambito diplomatico. Se ci fosse stato il Quinn, la cui materia aveva il netto predominio riguardo ai libri urgenti da reperire, si sarebbe dato fuoco per protesta – o per suicidio, semplicemente; sembrava sempre essere sull’orlo di una crisi depressiva, Dick: gli voleva così tanto bene! «ritengo, ed a ragione, che gli studenti oggigiorno necessitino di maggiori stimoli allo studio; tutti i nostri ragazzi sono eccezionali ed eccellenti studenti, hanno solo bisogno di qualcosa di più interattivo con cui confrontarsi.» e di nuovo, vestì il sorriso di pragmatica cordialità: non voleva sembrare rude, ma nessuno poteva dire a lui od ai suoi colleghi come svolgere il proprio lavoro. Al massimo, poteva accettare consigli da suoi simili. «sono d’accordo» mentiva? Era sincero? Ai posteri l’ardua sentenza. «vedrò cosa posso fare: forse negli archivi ci sono dei libri che ancora non sono stari rimandati indietro.» ergo: se erano fortunati, entro fine maggio avrebbero avuto tutto il necessario. Meglio di niente. «la ringrazio infinitamente del suo tempo,» si alzò, strinse la mano del Beutel. «spero di avere sue notizie presto.» e quasi fuggì, Mitchell Trevor Winston, già spaventato dalle condizioni in cui avrebbe ritrovato Bug.
    Fortunatamente, quando arrivò al Captain Platinium, lo trovò ancora tutto intero, sebbene il retro del locale sembrasse un campo di battaglia. Non volle chiedere nulla a nessuno dei presenti, che questi fossero Niamh, Isaac, Newhaven o chi per questi; decise di credere che quel nascondiglio fosse stato ridotto in tal modo da un festino alcolico al quale non era evidentemente stato invitato la sera precedente, e prima di uscire con il bambino da quel bar si disse che non aveva davvero bisogno di sapere. L’importante, era che fossero tutti vivi – il piccolo Cole, soprattutto. Aveva preso in custodia quel bambino da soli pochi mesi, dopo averlo inaspettatamente trovato a piangere nel suo ufficio ad Hogwarts, con soltanto un misero biglietto (“Si chiama Cole Baguette. Prenditene cura.”, niente più di questo) lasciato sulla scrivania, ma già lo sentiva come un figlio; non gli interessava perché fosse stato lasciato lì, o da chi e per chi, ed egoisticamente parlando preferiva non scoprirlo mai. Sapeva che dal momento che avesse scoperto qualcosa, avrebbe fatto di tutto per ritrovare la sua famiglia ed evitare un torto simile a chicchessia. Non lo voleva, ma sarebbe sicuramente andata così: già soffriva al pensiero che quando sarebbe cresciuto e gli avrebbe spiegato che lui non era realmente suo padre, si sarebbe allontanato per cercare quello vero.
    «ma perché passeggiava da qualche decina di minuti per l’Aetas con Bug nel passeggino, Mitchell, quando la voce di una ragazza lo colse impreparato. Stava… ce l’aveva con lui? Alzò lo sguardo ceruleo, coperto da un paio di lenti scure, individuando la fonte della Domanda. Oh!, quanto avrebbe voluto dirle che se lo stavano probabilmente chiedendo tutti quanti, in studio, perché. Continuò a camminare, sebbene più lentamente - inquietato? sì: non neghiamolo -, dal momento che l’attenzione della ragazza era tutta per un libro sul proprio grembo, e per nessun altro. Tuttavia, al secondo «perché?», si sentì direttamente chiamato in causa. Stava dando di matto, la rossa, ne era quasi certo. «domanda interessante,» convenne, sorridendole gioviale. «ma non sono certo della risposta. posso aiutarla in qualche modo?»
    Si ritrovò, quasi subito, ad abbassare gli occhiali da sole sulla punta del naso, le sopracciglia corrucciate - la conosceva. Di sfuggita, ma la volta in cui gli era capitato di incontrarla era impressa nella sua mente. Ricordava i capelli rossi, davanti allo specchio degli Hamilton nel cercare amici e famigliari tra passato e futuro; ricordava la voce spezzata, lo sguardo gonfio. «…lydia hadaway, giusto?» non avrebbe ricordato davvero il nome, se non fosse stato per Nathaniel che ogni volta si lamentava, durante le proprie sostituzioni a scuola, di quanto le mancasse la propria assistente. «sono mitchell winston, probabilmente non ci siamo mai presentati» anche perché, perché mai avrebbero dovuto? «e lui è bug» sorrise, aspettandosi un lamento di sorta dal bambino.
    «ah, dorme» dormiva.
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    «domanda interessante,» ecco. C’erano momenti, nella vita di Lydia Hadaway, in cui la sua coscienza decideva che non bastasse importunarla con ideologie astratte e, di conseguenza, fraintendibili, ed allora decideva di diventare concreta, e comunicare con lei direttamente a parole. Sarebbe una menzogna dire che quella fosse la prima volta, motivo per cui il pensiero che potesse essere effettivamente un altro essere umano, non la sfiorò neanche. «lo so» rispose piccata, e con una certa ovvietà, arricciando il naso e le labbra. Non era solita porsi quesiti stupidi o superflui, Lydia; per quello c’era già Nate. «ma non sono certo della risposta. posso aiutarla in qualche modo?» Quello era strano. Fu il duh alla Billie Eilish di un bambino, a farle battere infine le palpebre costringendola ad alzare lo sguardo. Gli occhi scivolarono dal passeggino all’uomo che lo spingeva, soffermandosi sul sorriso cordiale e gli occhi gentili di Mitchell Winston.
    Cioè.
    Una persona vera. Chiuse il libro con non curanza mantenendo l’espressione gradevole che il mondo l’aveva addestrata ad indossare, eredità di una vita prima, fingendo che la magika comparsa del Winston ed il bambino, non l’avessero terrorizzata. «dubbi filosofici» replicò, stringendosi nelle spalle. «le domande sono sempre più interessanti delle risposte» se c’era una cosa che Nathaniel le aveva insegnato, oltre a tutto quello che sapeva: lo amava come un fratello fare il tè e prendersi cura di un dodicenne barbuto, era confondere: era stata quella confusa così a lungo dall’Henderson, da aver infine capito che fosse tutta una strategia dell’uomo per evitare di dire NON LO SO, LYDIA, NON LO SO – ammissione che, per inciso, alla fine riusciva ad estorcergli comunque. «…lydia hadaway, giusto?» Dipende dalla scuola di pensiero, avrebbe voluto dirgli. Sorridendo, invece, annuì, un criptico «per la maggior parte» con cui tastò vaga il terreno: ancora non sapeva i vari intrallazzi, platonicamente parlando, di suo ...Cole in giro per il mondo; per quanto ne sapeva Lydia, Mitchell poteva benissimo sapere di Annie, e quella essere una tattica di spionaggio industriale.
    Quand’era diventata così paranoica. Probabilmente fra un rapimento ed un colpo di scena e l’altro; effettivamente, non poteva biasimarsi per la sua mancanza di fiducia nei confronti di chicchessia. «sono mitchell winston, probabilmente non ci siamo mai presentati» Anche perché Lydia tendeva ad evitare il genere umano quanto un germofobico i luoghi pubblici, ma quello lo tenne per sé. «difficile lavorare con will, e non aver mai sentito parlare di te» William in background: bro se avessi avuto le tette SARESTI STATO MIO PER SEMPRE FINCHè MORTE NON CI SEPARI AMEN. Deglutì, rammaricandosi immediatamente di quanto appena detto: potevano essere passati mesi, anni, ma Lydia sapeva benissimo che facesse male quanto la prima volta, il fatto che non ci fossero. Distolse colpevole lo guardo, gli occhi verdi a scivolare sul bambino addormentato nel passeggino.
    Pensa, Lydia: quella pallina di lardo, è tuo nipote. Com’è piccolo, il mondo!
    «è tuo…» corrugò le sopracciglia ramate, cambiando discorso con la fluidità di un milkshake alla ciliegia (Smirnoff: triggered). «figlio?» avrebbe potuto dire: non sapevo avessi un figlio! ma – beh. Di Mitchell Winston, non sapeva effettivamente nulla.
    E lì finirono gli argomenti di conversazione di Lydia Hadaway, che seduta a disagio sulla panchina iniziò a guardarsi attorno con l’angoscia di una Sara in un qualunque momento della sua vita. «vuoi, uh -» si spostò, quasi che la panchina non avesse avuto già di suo abbastanza spazio, indicando prima il legno e poi il Winston. «riposarti?» ??????? DA CHE. E poi perché avrebbe dovuto?? «ormai sono un’ammiratrice delle panchine, dio benedica l’anima di sin» ed ecco perché i pg di sara avrebbero tutti dovuto essere muti.
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