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Guinevre x Narah - Retro del Lilum

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    Tutto faceva credere che Gideon McPherson provasse gusto nel cambiare il proprio aspetto in quello di qualcun altro - e non una persona a caso, ma sempre la stessa - ...bè, non era proprio così. O meglio, lo era solo in parte: amava non sentirsi sè stesso ma qualcun altro per tempi brevi, amava non essere visto come l'errore umano che spesso era, amava il senso di libertà che derivava da non sentirsi costretti in un'identità e, più di ogni altra cosa, amava sentirsi privo di responsabilità. Ma al tempo stesso non gli piaceva ingannare le persone, così come la legge. Ciò che stava facendo non era giusto, al contrario era sbagliato su molti piani, quello morale per primo. E poi, il McPherson sapeva molto bene che, se lo avessero scoperto, avrebbe rischiato non pochi problemi di natura legale. Infatti, nonostante fosse registrato regolarmente al Ministero come metamorfomagus, non aveva mai dichiarato una seconda identità, come quella che era diventata Guinevre. Non più solo un'apparizione sporadica fatta per salvarsi nei momenti più difficili, ma una persona riconosciuta da più di qualcuno, ormai. Una persona autentica, sebbene misteriosa. Quando ne assumeva le sembianze non si soffermava a parlare con gli altri più del necessario, ma più passava il tempo, più aprirsi stava diventando un'abitudine. Era sbagliato, lo riconosceva. Malgrado questo, per l'ennesima volta si ritrovava a vestire quei panni larghi ed ingombranti ed al tempo stesso estremamente comodi. Quel cambio di aspetto aveva un fine, come lo aveva sempre avuto ma, con il passare del tempo, questo fine andava ad assumere sempre più il sapore di una scusa futile. In primis, dovendosi aggirare nei pressi del Lilum, ci teneva a non farlo con il suo vero aspetto. Questione di ipocrisia? Codardia? Ma no, chiamiamola solo coerenza. Il fatto che non volesse presentarsi lì con il proprio vero aspetto era strettamente legato alla seconda motivazione. In secundis, infatti, (?) l'ultima volta che era stato in quel locale aveva dimenticato la dannatissima felpa di Perses Sinclair, presa in prestito il giorno della festa a cui aveva partecipato sotto il falso aspetto di suo Zio Leopold: insomma, se Gideon McPherson non era mai stato al Lilum, che senso aveva che ci tornasse per prendere qualcosa di dimenticato? Ci teneva alla propria identità, dopotutto. Senza contare che se si fosse trovato dinnanzi alla proprietaria, Svetlana, probabilmente o sarebbe svenuto o sarebbe venuto. Delle due una. #wat
    Si sentiva in colpa nei confronti del Sinclair che, numerose volte, aveva fatto allusioni riguardo l'ormai famigerata "felpa scomparsa".
    L'hai data in pasto a tua sorella?
    Te la sei fumata?
    Ci dormi insieme?

    Ormai era diventata un fantasma nel loro rapporto d'amicizia. Ed il Serpeverde sapeva essere una goccia d'acqua che ti martellava il cranio, una vera tortura cinese, e l'ironia di tutto ciò era che aveva ragione: doveva restituirgli la felpa che aveva per lui un grande valore affettivo più che materiale.

    Si soffermò dinnanzi all'insegna del locale ancora vuoto, scrutando attraverso la porta con lo sguardo castano, per tentare di scorgere qualcosa al suo interno. Non era in piena attività perchè era ancora troppo presto per l'inizio degli spettacoli e questo dava a Gideon un certo margine di orientamento che non avrebbe avuto se avesse dovuto combattere con diecimila clienti arrapati e concentrati dentro la sala. Eppure, al suo interno sembrava già esserci più di un cliente appostato al bar.
    Fece per entrare, ma la porta rimase perfettamente chiusa ed avvolta da un alone azzurro: una linea dell'età?
    Fu allora che, da dentro il locale, un'ombra sembrò avvicinarsi, oscurando la piccola figura di Guinevre, in tutta la sua imponenza.
    Il buttafuori.
    Sei minorenne?
    Preso in contropiede, Gideon non riuscì a trovare una scusa, ed era più che ovvio che lui sapesse che fosse minorenne, e per questo la porta era rimasta chiusa, impedendogli di sgattaiolare dentro. Non voleva irritarlo con una bugia e non aveva nemmeno documenti con sè. Buonasera. Sorrise. Sì, ma non voglio assistere agli spettacoli, ho solo dimenticato una felpa tempo fa e vorrei riprenderla. Sincero, gentile, affabile. Il buttafuori non gli avrebbe certo negato un favore.
    E' la scusa più stupida che io abbia mai sentito. Voi generazione Z non sapete pensare ad altro eh? Pensa a studiare, non ai maschi!
    Inutile dire che il Corvonero ci rimase di merda, per quella risposta. E non sapeva nemmeno da quale parte della frase cominciare a smontare quella montagna di muscoli. Ma si lasciò andare ad un sorriso furbo e dolce, ribattendo solo con Mi hai beccata, devi essere un tipo piuttosto intelligente. In tal caso, posso parlare con la proprietaria? E vabbè.
    Si sta imbellettando. E detto questo, gli richiuse la porta in faccia, così forte che Gideon percepì l'aria schiaffeggiargli le guance con prepotenza.
    Rude.
    La rabbia montante gli fece drizzare i pochi peli biondi sulle braccia, il volto divenne rosso per lo stesso sentimento, e si convinse che NO, non se ne sarebbe andato senza la dannata felpa del Sinclair.
    OH BENE. Era così arrabbiato che... oh accidenti, doveva cambiare aspetto subito e prendere le sembianze di suo zio, forse in questo modo sarebbe riuscito ad eludere la linea dell'età. Ma se al contrario non ci fosse riuscito? La sua copertura sarebbe saltata per forza. Rimase a riflettere per più tempo di quanto ne avesse a disposizione. Ed alla fine, cadde in un piano folle.
    Sarebbe entrato di nascosto.
    Una volta dentro non sarebbe stato necessario chiarire la sua età, poteva benissimo avere diciassette o diciotto anni. Per la felpa del Sinclair questo ed altro. Ma come? Doveva studiare bene il perimetro, prima di buttarsi a capofitto in qualcosa che lo avrebbe visto finire in qualche segreta dispersa nel Ministero - per giunta con il suo vero aspetto.
    Aggirò la grande struttura del locale, scavalcò con discrezione una recinzione priva di incantesimi, fino a raggiungere il retro. Era presente una porta secondaria, una finestra troppo alta ma socchiusa e degli scatoloni vuoti affiancati ad un cassonetto bianco.
    Non era mai stato un tipo atletico, al contrario, era probabile che una lumaca fosse più atletica di lui. Ma...nei paraggi non sembrava esserci nessuno e da quella finestra sarebbe potuto passare senza difficoltà. Tirò un sospiro, prese coraggio e fece forza sulle mani, montando sul cassonetto chiuso. Tirandosi su, sulle gambe perfettamente femminili, si rese conto che quella piattaforma era più instabile di quanto pensasse. E, subito, si aggrappò al bordo della finestra per cercare di vedere al suo interno.
    Affacciava su un locale semibuio e ricco di casse in legno ed altro materiale in disuso. Sembrava tutto tranquillo ed un balzo non gli avrebbe nemmeno richiesto un rene ma, all'improvviso, la porta dello sgabuzzino si aprì, facendolo spaventare. Mollò le mani dalla finestra, piombando con i piedi sul coperchio del cassonetto instabile scivolò rovinosamente a terra, battendo il fianco sul terreno e, con ogni probabilità, slogandosi pure una caviglia. Portò una mano sulla bocca, per soffocare il cristo nascente compreso di urlo disumano e si maledisse. Nonostante il dolore, però, la sua unica paura era che venisse scoperto. Nessun altra.
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    Edited by selenophile. - 10/4/2019, 21:12
     
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    Lo specchio rifletteva il volto ovale di una ragazza, celato da una maschera argentata e pizzo nero trasparente laddove essa non arrivava ad eccezione degli occhi e delle labbra.
    L’effetto vedo non vedo che era venuto a crearsi impediva alla perfezione a chicchessia di svelare la sua identità, mantenendo quel velo di mistero che al Lilum aleggiava costantemente in maniera voluta e calcolata. Narah quasi non riconosceva se stessa dietro quel travestimento, l’aspetto così adulto e il vestito cortissimo e scintillante con una scollatura profonda che la metteva a disagio, fatta per provocare, solleticare l’immaginazione, far pensare alle curve coperte dalla stoffa dell’abito e delinearne con lo sguardo la forma.
    Quella non era Narah, ma faceva parte della Narah che stava cercando di cambiare e dimostrare che era capace di cambiare. Non avrebbe mai compreso come avesse fatto a rispettare le condizioni di Svetlana e racimolare la mancia da lei richiesta per convincerla a farsi assumere, ma era stato così e adesso era un membro del suo staff a tutti gli effetti. Avrebbe mentito se avesse affermato che si era abituata a ciò che faceva al Lilum, ad esibirsi e ballare sotto gli occhi avidi di sconosciuti che le mettevano i brividi.
    Le prime volte erano state una tortura e, solo a rifletterci, le tremavano di nuovo le gambe come allora; non era diventata disinibita, Narah, ma almeno non si sentiva più svenire e aveva il coraggio di mostrarsi negli abiti succinti che era costretta a indossare per gli spettacoli, sempre diversi l’uno dall’altro. C’era tanta creatività e volontà, nei retroscena del Lilum e, questo, sinceramente non se lo sarebbe mai aspettato: non sapeva quanto lavoro ci fosse dietro fino a quando non aveva iniziato a contribuire al lavoro stesso.
    Stava affrontando le sue paure, stava cercando di sconfiggere la timidezza, anche se al dire il vero aveva così poca interazione con le persone che non avrebbe saputo dire se ci stesse riuscendo o meno, ma il solo fatto di mostrarsi agli altri più svestita che vestita senza morire la diceva lunga. Nah, stavolta, era determinata a raggiungere il suo obiettivo e ce la stava mettendo tutta, senza più sensi di colpa: Jane l’aveva scoperta già da tempo e, nonostante ogni tanto le lanciasse ancora intense occhiate di rimprovero, era rimasta sua amica. Era al corrente di tutto, come Narah lo era di lui, ed erano tornate a essere sincere l’una con l’altra.
    Davanti allo specchio del suo camerino, però, spesso sentiva di dover prendersi una pausa dalle emozioni che la coglievano quando vestiva i panni di Dana – il nome con cui aveva scelto di farsi chiamare, con un preciso significato dietro di esso. Attorcigliò una ciocca di capelli temporaneamente lisci attorno alle proprie dita, rilasciando un sospiro nonostante la postura dritta e fiera insegnatale. I capelli sciolti non bastavano a coprire la porzione di pelle in vista, persino il profumo dalle note floreali non era casuale, ma scelto per lo spettacolo che si sarebbe svolto tra parecchio, dato che era abbondantemente in anticipo. Sì, doveva prendere un po’ d’aria, come ormai era solita fare prima dell’inizio delle serate.
    Si alzò dallo sgabello e uscì rapida dallo stanzino, percorrendo il corridoio con il passo più silenzioso che le scarpe col tacco le consentivano. Si tirò – invano – l’orlo del vestito verso il basso e si trattenne dal mordersi il labbro per non dover rimettersi poi il lucidalabbra. Il suo proposito di calmarsi andò in fumo nel momento stesso in cui, passato l’uscio della porta secondaria, sentì una serie di rumorosi tonfi e si girò di scatto per identificare l’origine del frastuono. Il suo cuore mancò un battito nel rendersi conto che non era stato un topo né un malintenzionato, o almeno così credette nel fissare lo sguardo sul corpo esile e dolorante di una ragazza sdraiata per terra.
    Nah sgranò gli occhi, affrettandosi ad accucciarsi – seppur con tanta timidezza – accanto alla ragazza. Aveva paura che lei potesse riconoscerla, ma l’istinto di aiutarla e assicurarsi che stesse bene prevaleva su tutto il resto. Posò timidamente le dita su un braccio della bionda, preoccupata. «Ehi, ti senti bene? Posso aiutarti?» Un altro lieve miglioramento era che Narah non balbettava quasi più, almeno non quando era troppo presa da altro per farci caso. Senza contare che ora doveva rispettare il ruolo di Dana, sarebbe stato poco professionale fare diversamente. Osservandola meglio in viso, si rese conto che non l’aveva mai vista nemmeno ad Hogwarts, e le spalle si rilassarono. Dopo qualche attimo passato a elaborare alcune opzioni, incerta si decise a rischiare. «Entra, ti faccio sedere.» Continuò a scrutarla con occhioni allarmati, in attesa di una risposta dalla biondina mentre ritirava le dita dal braccio della ragazza, sentendosi suo malgrado autorizzata ad arrossire celata dalla maschera.


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    Era finito a terra come un sacco di patate - qual’era - e sarebbe andato via dal Lilum - sempre che non lo avessero rinchiuso in qualche segreta!!! - riportando un bel livido tra fianco e cosce. Se all’inizio non l’aveva percepito più di tanto, adesso sentiva il dolore alla caviglia farsi pulsante ed avvolgerlo del tutto, caldo e martellante. Con le dita tremanti, andò a sollevare il bordo della tuta, per scoprire il lembo di pelle appena visibile sopra i calzini. Gesù ti prego, fa che non si veda l’osso. Con non poco timore, e stringendo gli occhi come se avesse paura di ciò che avrebbe potuto vedere, calò il calzino mostrando una zona del piede più rossa del resto, niente di più. Niente sangue, nessun osso a fuoriuscire dalla pelle, ma un forte dolore a suggerire una distorsione, nella migliore delle ipotesi. Non sapeva se esserne sollevato, alla fine non aveva fratture scomposte, ma forse qualcosa di peggio lo aspettava non troppo distante da lì.
    Non mentirò: l'idea di fingersi morto gli aveva davvero sfiorato il cervello. In natura funzionava.
    La porta sul retro si spalancò, dando voce ad ogni sua paura. "Ed ora? PORCO MERLINO" Pensò, indeciso se alzarsi e scappare - non sarebbe andato molto lontano, con quella caviglia - o se invece rimanere lì e... improvvisare una scusa a caso. Avrebbe finalmente messo in pratica le skills acquisite al drama club? Lo avremmo scoperto presto.
    Lo sguardo impaurito e per niente convinto si soffermò sulla figura di una giovane ragazza vestita di lustrini, tanto attillata da far credere che le venisse difficile persino respirare, là dentro. Il volto era nascosto sotto una maschera argentata e munita di pizzo per coprire quelle zone del viso che non erano gli occhi. Oh, accidenti, una ballerina? Abbozzò un sorriso non troppo convinto, completamente stravolto dalla situazione in cui era, letteralmente, caduto. Ciò che era riuscito a vedere di lei era stato abbastanza da convincerlo che non si trattasse della proprietaria: era più bassa, la pelle era più scura e certamente era meno formosa. Questo, in parte, lo rasserenò perché Svetlana - che aveva potuto ammirare solo da lontano, il giorno della festa - lo avrebbe messo senza dubbio a disagio. Ehi, scusami davvero non volevo...entrare in modi illeciti. E invece era esattamente quello che aveva intenzione di fare, bene! ...non mi fanno entrare perché sono minorenne ma un mio amico ha dimenticato una felpa e per lui è molto importante. Massì, scarichiamo tutto su Perses. Parlò veloce, sintomo del grande impaccio in cui si trovava, spiegando le motivazioni che lo avevano spinto a tentare di...entrare in modi illeciti. Si portò una mano tra i capelli biondi a sottili, per sottolineare disagio e disperazione. Adesso avrebbe fatto la spia? Avrebbe chiamato Mr Muscolo per farlo cacciare?
    La ragazza si propose di aiutarlo, chinandosi verso di lui. E lui, o meglio lei, andò a fuoco, arrossendo sulle gote.
    Era gentile, ma Gideon non voleva essere fonte di disturbo più di quanto già era, quindi scosse la testa e provò ad alzarsi, da solo.
    A fatica, riuscì a farlo, ma una volta in piedi, per sbaglio e per abitudine, gli venne istintivo provare a poggiare sul terreno il piede colpito. Pessima scelta, gravissimo errore. Delle scosse gli percorsero tutto il corpo, costringendolo a tremare e vedere le stelle. Il dolore lancinante lo fece lacrimare e, subito, si tenne alla spalla della ragazza per darsi sostegno e non cadere, costretto su un piede solo. La vicinanza al volto della ragazza, non troppo distante da lui in altezza, lo portò a concentrarsi sui suoi occhi, al di là della maschera e, solo per un breve attimo, gli parve di riconoscere uno sguardo familiare.
    "???"
    Scacciò ogni pensiero e le sorrise, dolce. Riusciva a sostenerlo alla grande e, doveva ammetterlo, gli era davvero di grande aiuto.
    Sei gentile, grazie, se hai del ghiaccio è perfetto. Credo si stia gonfiando, sento la scarpa più stretta. Essendo una delle ballerine - perché era ciò che era, no? - Avrebbe avuto senza dubbio del ghiaccio a portata, per eventuali strappi o altro.

    Ed alla fine, in un modo o nell'altro, era riuscito ad entrare al Lilum. Magari non dalla porta principale e non senza qualche dolore, ma era lì. Avrebbe voluto chiederle della felpa, ma al momento il dolore alla caviglia governava i suoi pensieri. Una volta dentro lo stanzino sul retro, Gideon arrancò a fatica fino alla sedia più vicina, sorretto dalla ragazza. Il fatto che avesse una statura minuta aiutava molto la sua altrettanto minuta salvatrice. Prese posto sulla sedia, provvedendo subito a slacciare la scarpa e levare il calzino, per mostrare un piede gonfio ed ora dall’inquietante colore blu ciano. Non era certo un medico, ma quel colore e quel gonfiore non suggerivano niente di buono. Fantastico Portò una mano tra i capelli, di nuovo, già in crisi pensando a come avrebbe fatto per tornare al castello.
    Intanto, la ragazza misteriosa teneva ancora la maschera addosso, come a voler proteggere la propria identità. Ed in quel momento Gideon pensò che non erano troppo diversi: entrambi erano nascosti dietro un’altra identità, chi sarebbe saltato fuori per primo?
    Come ti chiami? Domandò, un po’ per spezzare il silenzio, ed un po’ di più per curiosità. Anche se sapeva di star commettendo uno sbaglio, non doveva socializzare, non doveva e non poteva permetterselo.
    Pensando alla nuova figura che aveva incontrato, si ritrovò ad analizzarla, come era solito fare con le persone nuove.
    Lei non sembrava spigliata come chi lo aveva servito la sera al Lilum, al contrario, quella ragazza sembrava quasi...Riservata? Timida?
    Sembri molto giovane per lavorare qui, com'è?
    Non doveva essere facile, comunque.
    Non riusciva ad immaginare un solo multiverso nel quale lui avrebbe potuto lavorarci.
    Nemmeno uno.
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    Narah non sapeva se credere o meno alle parole della ragazza sulla felpa del suo amico. Avrebbe potuto benissimo essere una scusa per entrare di soppiatto e non farsi notare da nessuno; il suo lato dolce, però, lesse soltanto sincerità nella voce resa bassa dal dolore che la biondina doveva star provando e in quegli occhi scuri che le parevano tutto tranne che bugiardi. Certo, Nah tendeva a voler vedere il buono in tutti e sotto quel punto di vista era una totale ingenua ma davvero, non avrebbe potuto lasciare quella ragazza, oltretutto ferita là fuori, sola e dolorante. Sarebbe stata veramente senza cuore… e lei un cuore ce l’aveva, e parecchio tenero. «Ora non è importante.» Come sempre non le fu facile rispettare il ruolo di Dana e non avere traccia o quasi di esitazione e balbettio nella propria voce, ma si era allenata e, in parte, era sufficiente parlare più lentamente di quanto faceva di solito.
    No, non esisteva che lasciasse una persona in difficoltà senza aiutarla. Sperò vivamente che nessuno dei suoi colleghi avesse il pessimo tempismo di uscire proprio in quel momento e beccarla con le mani nel sacco, a far entrare una ragazza minorenne e trasgredire tutte le regole del Lilum. Scacciò la sensazione che Svetlana sarebbe venuta a saperlo in un modo o nell’altro, perché quella donna pareva avere un sesto senso fuori dalla norma e fosse al corrente di tutto quello che succedeva al suo locale ma… se si fosse data una mossa, nessuno avrebbe potuto saperlo. Senza contare che sul retro non ci andava mai nessuno, soltanto lei.
    Sentì l’ansia aumentare quando la ragazza scosse la testa e fece per alzarsi, timorosa che con movimenti azzardati avrebbe ottenuto il solo effetto di peggiorare la situazione; assecondò l’istinto di crocerossina, anche se si sentiva in imbarazzo e probabilmente sarebbe parsa una stupida, alzandosi ma rimanendole vicino nel caso in cui le fosse servito aiuto. Decise di intervenire, combattendo contro la timidezza che la faceva sentire come se avesse la bocca sigillata da un incantesimo. «Non credo tu debba sforzarti di, oh L’esclamazione le uscì sorpresa e avvertì le guance andare a fuoco, facendole venire all’improvviso un gran caldo e un forte disagio: non era abituata al contatto fisico e la bionda si era appena poggiata a lei per non cadere.
    Fu solo grazie ai propri riflessi che non si lasciò cogliere alla sprovvista e mantenne l’equilibrio, ritrovandosi a osservare due paia di occhi color cioccolato che, confermò, di cattivo – o lascivo, come il luccichio nello sguardo dei clienti del Lilum – non ne avevano neanche l’ombra. Abbassò il proprio sguardo di scatto, imbarazzata dalla vicinanza ridotta nonostante tentò con tutte le sue forze di non darlo a vedere. Decisa, Dana doveva essere decisa, e in quel caso esserlo le sarebbe stato utile per aiutare la ragazza al più presto. Ricambiò timidamente il sorriso. Aveva una cassetta di pronto soccorso nel proprio camerino, le sarebbero bastati pochi secondi per andare a prendere quella e il ghiaccio.
    Sentendosi suo malgrado contenta di poterla aiutare, mormorò un «Posso?», prima di posarle una mano sulla schiena in un tocco gentile e delicatissimo. Solo allora, con le dita che vennero a contatto con il tessuto morbido della felpa di lei, si ricordò di come fosse vestita e avvampò ancora una volta sotto la maschera, che si teneva sempre ben stretta e non si toglieva mai, perché in un certo senso era l’unica protezione che avesse in quel posto. Se riusciva a non riflettere su cosa gli altri pensassero di lei e su cosa quella che era una coetanea stava pensando, infatti era solo grazie alla garanzia di non poter essere riconosciuta.
    Giunte nello stanzino, Narah si affrettò a chiudere la porta alle proprie spalle e guardarsi intorno, assicurandosi infine che la sconosciuta si sedesse. Evidentemente doveva essersi fatta parecchio male e, dato che in fin dei conti Narah era Narah qualunque panni decidesse di vestire, non le passò nemmeno per l’anticamera del cervello che fosse tutta una finta per avere accesso all’interno del locale. Del resto, anche se avesse avuto dei dubbi questi si sarebbero subito dissolti di fronte al piede della biondina. Nah fece una lieve smorfia, avvertendo quasi il dolore al posto suo nel constatare che doveva farle davvero male. Avrebbe dovuto portarla al San Mungo? Ma come? Non poteva certo abbandonare la propria postazione, Svetlana l’avrebbe sicuramente licenziata!
    «Vado a prendere del ghiaccio, torno tra pochissimo,» la rassicurò, mordendosi di nuovo il labbro nel tragitto verso il camerino. Decisamente, al termine della faccenda avrebbe dovuto rimettersi il lucidalabbra: non aveva mai imparato a gestire del tutto l’ansia, men che meno quando di mezzo c’era qualcun altro. Fu tuttavia sollevata di rivedere la ragazza dove l’aveva lasciata – con un piede così, del resto, non poteva andare granché lontano da sola –. Le porse il ghiaccio e sistemò la piccola cassetta del pronto soccorso per eventuali fasciature al suo fianco. «Vuoi un’altra sedia per il piede?» Se le avesse risposto affermativamente, allora, gliene avrebbe avvicinata una imbottita. Per una questione di sicurezza avrebbe voluto portarla nel suo camerino, ma al momento non le sembrava in grado.
    Non le restò che sedersi accanto a lei, non prima di essersi nervosamente assicurata che il bordo del vestito fosse rimasto dove doveva stare. Non avendo nulla da dire non fece più commenti, fino a quando la domanda della biondina non la spinse a guardarla. Aveva la pelle chiara e lineamenti molto fini, forse un po’ scostanti, e si ripeté che non l’aveva mai vista, non c’era motivo di agitarsi, no? «Dana,» rispose piano, rivolgendole un altro timido sorriso. Non avrebbe dovuto parlare con lei, ma non era talmente ingenua da lasciarsi sfuggire delle informazioni sul proprio conto. Chissà se lei sapeva che quello non era davvero il suo nome. «E tu?»
    Si sfiorò la maschera con una leggera agitazione nell’accorgersi di essere osservata, imponendosi di non curvare le spalle e nascondersi come avrebbe voluto fare. Nah aveva imparato che al Lilum doveva essere Dana, una ballerina sicura di sé in grado di sostenere la pressione di una moltitudine di sguardi addosso, una ballerina che non poteva permettersi di essere riservata o piangersi addosso o, assolutamente, imbarazzarsi. Allo stesso modo, con quella ragazza doveva reagire, per quanto possibile, come avrebbe fatto Dana. Il fatto che si fosse accorta della sua giovane età non costituiva alcun pericolo per lei, poteva permettersi di rispondere. Com’era lavorare lì?
    «È...» Stressante, stancante. Ma meglio di quanto avesse creduto, tanto da rimanere sorpresa. Nessuno le aveva messo le mani addosso e non le erano successe cose sgradevoli. «Un’esperienza particolare. Non ci fai mai l’abitudine.» Oh, questo poteva assicurarlo. Si strinse appena nelle spalle, accavallando una gamba sull’altra per mettersi comoda e, sì, perché quella posizione la illudeva che le gambe scoperte fossero meno visibili.
    Poi si rese conto di una cosa e sorrise leggermente tra sé e sé, trattenendo una risatina divertita. «Se è stato il tuo amico a dimenticare la felpa, perché ha mandato una minorenne a riprenderla?» Reclinò di lato la testa, facendo quell’osservazione con molto più coraggio del solito. Senza la maschera, Narah non si sarebbe mai permessa di fare insinuazioni – per quanto scherzose come in quel caso – senza morire di vergogna. Straordinariamente, essere Dana le permetteva di essere se stessa, senza le barriere del suo guscio caratteriale. Non era certa avesse senso, ma era così. Indicò la sua caviglia, sperando non si fosse slogata o rotta nulla. «Pensi che sia grave? Hai bisogno di altro?»


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    La ragazza dal comportamento gentile e la voce pacata acconsentì a farlo entrare dal retro del locale, sorreggendolo per evitare che cadesse. La mano sulla schiena aveva un tocco insicuro e delicato, come se avesse il timore di essere troppo invadente, e Gideon si accorse che fosse in evidente imbarazzo. Gli dispiaceva. Gli dispiaceva sul serio pesare così su qualcuno e sentirsi alla stregua di un furfante molesto che cerca di infilarsi dove è vietato, in modi illeciti. Il fatto che desiderasse così tanto entrare al Lilum, e che ci stesse riuscendo accompagnato alla porta da quella ragazza, lo faceva stare male sul serio. Per giunta, poi, sapeva bene cosa significasse sentirsi sotto pressione, e l'ipotesi di star mettendo tensione a quella ragazza sul posto di lavoro lo impensieriva. Aveva già cambiato idea, avrebbe voluto trovarsi subito al castello, invece di pesare sul fianco di quella ragazza mingherlina e non troppo a proprio agio nel vedersi un'estranea addosso, capitata tra capo e collo. Si rese conto, Gideon, che crescere con Hazel aveva aveva fatto male alla sua formazione personale: stava diventando un delinquente come lei.

    Ti devo tutto. Aveva sospirato, una volta a riposo, sulla sedia presente nella stanza. Riprese fiato, trattenuto a causa del dolore che gli tamburellava la caviglia. Era certo di aver già sentito la voce della ragazza, sottile ed al tempo stesso graffiante, tranquilla con una nota di insicurezza e tanta diffidenza, ma comunque dolce. La sensazione di conoscerla aggravava la sua già precaria situazione. Non poteva certo dirle “credo di conoscerti” o ammettere che per lui avesse un’aria familiare: non aveva il proprio aspetto, e quindi anche se l’avesse già conosciuta essendo in lui, non lo aveva certo fatto nei panni di Guinevre. In secondo luogo, era chiaro che lei non avesse intenzione di farsi riconoscere. Teneva ancora indosso la maschera, come fosse uno scudo, quasi dovesse difendere il suo aspetto come una virtù, ma forse si era solo dimenticata di indossarla ancora? L'avrebbe tolta, prima o poi? Lui desiderava che se la togliesse, perchè era certo di conoscerla. Sleale, Gideon, molto sleale.

    Rimase stupito, comunque, dalla sua gentilezza. Quando incontrava persone gentili, persone come lui, sentiva di nutrire ancora delle speranze per l'umanità. L’Inghilterra non si era da subito mostrata un luogo ospitale, al contrario, Gideon non aveva dovuto attendere troppo per vederne il lato sanguinario, duro e crudele ed incontrare persone gentili accendeva in lui una speranza per quella terra.
    Dana, poi. Che nome particolare. Se non fosse stato totalmente fuori luogo e troppo preso dal dolore alla caviglia, probabilmente le avrebbe detto che il suo nome aveva un bellissimo significato, derivato dall'arabo Danah, la perla più perfetta, preziosa e bella. Ma non avrebbe mai potuto dirglielo. Insomma, lei veniva pagata anche per sorbirsi le cazzate sdolcinate dei clienti, magari ne aveva pure fin sopra i capelli.

    No! No! Non doveva pensarci, non doveva approfondire quel rapporto, avrebbe dovuto lasciarlo svanire in fretta, una volta tolti gli occhi di dosso da lei.
    Va bene così. Fu la sua risposta alla domanda di lei. Non voleva un'altra sedia. Voleva assicurarsi che non le stesse portando via tempo dal lavoro, voleva illudersi di non essere un palla al piede in quel momento. Poggiò il ghiaccio che lei gli aveva passato ed una smorfia sul viso evidenziò il disagio dato dal cambio di temperature improvviso. Si rese conto di dover rispondere alla domanda sul suo nome e il suo cuore mancò un battito. Guinevre. Tanto ormai il danno era fatto, no? Era stato lui a chiederle come si chiamasse, nella speranza di associare il suo nome ad un volto conosciuto, ma...Dana, non gli sembrava di conoscere nessuna con questo nome. Per cui...dove stava sbagliando?

    Avrebbe dovuto smettere di guardarla, ma per il momento, questo non avveniva.
    Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso per più di qualche secondo e non perchè fosse "attratto" da lei in maniera fisica, questo non c'entrava affatto - indubbiamente, appariva una bella ragazza ed era sicuro avesse anche dei bei lineamenti in viso - ma era la curiosità verso di lei, ed il fatto che si celasse, che lo costringeva a soffermare lo sguardo color cioccolato sul suo volto, come a voler scorgere qualcosa di più al di sotto di quella maschera. Voleva capire dove l'avesse già vista, scoprire quel dettaglio in più che avrebbe aperto i cassetti della memoria che non erano nemmeno troppo nascosti. Il loro incontro era avvenuto di recente. Ne era più che sicuro, e più l'osservava, più se ne convinceva, più si avvicinava alla verità. Era diventata una sfida con sè stesso. La guardava mentre prendeva posto davanti a lui in maniera ordinata, mentre portava le mani all'orlo del vestito per abbassarlo, nel terrore che per sbaglio potesse intravedersi un lembo di pelle di troppo - strano, davvero. Ad un tratto, però, si rese conto di essere rimasto a fissarla per troppo tempo, lasciando piombare tra di loro un silenzio imbarazzante. Per cui si costrinse a distogliere lo sguardo ed abbassarlo, concentrandosi sulla sacca di ghiaccio che la ragazza aveva portato, con fin troppa disponibilità.

    Giusta domanda, la sua, chissà, magari lei era una corvonero e quindi frequentavano persino la stessa Sala comune, per questo gli sembrava così familiare. Bella domanda! Si sa come sono i maschi... no, come sono i maschi, Gideon? Sono tutti coglioni. Credo abbia...bevuto un bicchiere di troppo quella sera ed abbia combinato un pasticcio (?)
    Oh sì, già lo vedeva Perses Sinclair ballare in mutande al ritmo di taki taki sul banco dei cocktail del Lilum. Un sorriso tradì quel breve racconto intriso di menzogne. Bè, l'amico in questione poteva tranquillamente essere lui stesso. Parlava di sè: la sera al lilum aveva bevuto tanto per dimenticare l'incontro con sua sorella trans (ecco il pasticcio), ed alla fine aveva dimenticato la felpa anche per questo motivo. Non era del tutto una bugia, alla fine, no? #si

    Non sembri molto a tuo agio in quel vestito.
    Constatò, e forse pareva scortese dirlo, senza neppure guardarla in volto. Pur conoscendola da meno di cinque minuti avrebbe potuto intuire la sua reazione, perchè studiare le persone era sempre stata la sua specialità. Aveva passato l'infanzia a specializzarsi in osservazione, per cui esisteva una buona percentuale di possibilità che quella domanda la ponesse a disagio, magari il tanto da distogliere la sua attenzione dalla curiosità riguardante il suo amico e la felpa scomparsa.

    Una pozione dovrebbe risistemare tutto. Ti ringrazio, sei troppo gentile e spero di non star disturbando il tuo turno di lavoro! So che la proprietaria è un osso duro e non vorrei metterti nei casini. Quindi...sei libera di sbattermi fuori quando meglio credi! Lui diceva sul serio, eh. Non doveva farsi problemi nel mandarlo via, ma era più che sicuro che lei non lo avrebbe fatto.
    Risollevò lo sguardo su di lei, questa volta osservando solo la maschera argentata.
    Questa maschera mette un sacco ansia, però è carina. Dovete metterla per forza o puoi toglierla? Domandò, in una mossa platealmente sleale. Chi pensava di essere per dire a qualcun altro di levarsi la maschera quando lui per primo la portava?
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    Guinevre, era questo il suo nome. Nah ne prese atto annuendo e, da ex Corvonero qual era, una di quelli che leggevano enciclopedie nei pomeriggi oziosi e prima di andare a dormire, le venne da fare un leggero sorriso complice dei propri pensieri: nella mitologia germanica Guinevre significava elfo splendente e Narah non faticava a immaginare la biondina come uno di quegli spiritelli benevoli e magari un tantino dispettosi che si divertivano a intrufolarsi nelle case altrui per curiosare. Un po’, in fondo, come lei aveva fatto con il Lilum.
    La telepate non aveva niente che le suggerisse che di lei si poteva fidare; anzi, per adesso gli avvenimenti andavano contro questa possibilità. Prima che lei decidesse di uscire Guinevre stava cercando di introdursi dal retro non rispettando i limiti d’età e le aveva propinato una scusa che, fondamentalmente, poteva essere tanto una verità quanto una bugia.
    Ma con Narah non c’era nulla da fare, lei avrebbe sempre dato l’occasione di spiegarsi e sarebbe sempre stata propensa a perdonare se ce n’era bisogno. Allo stesso modo, si sentiva fin troppo osservata dalla bionda – tanto da farle venire voglia di leggerne le riflessioni, nonostante non l’avrebbe fatto a prescindere –, però questo non cambiava il fatto che… Guinevre le andava a genio. Ai suoi occhi appariva ambigua, era vero, e tutto le suggeriva di non fidarsi, eppure provava una specie di simpatia verso di lei, unita a parecchia curiosità. Semplicemente, non riusciva a scorgere alcuna cattiveria e le sembrava una ragazza come tutte che, chissà, forse doveva davvero recuperare la felpa che le aveva accennato o invece voleva dare un’occhiata al locale, ma non rappresentava un pericolo.
    «Capito.» Se doveva essere sincera, non la convinceva tanto quella versione dei fatti e, a quel punto, aveva tutte le motivazioni per credere che lei stessa si fosse intrufolata la volta scorsa, tuttavia non poteva dirlo con certezza e le importava relativamente. Aveva ancora una lieve tensione a tenerla bloccata e impedirle di sciogliersi, sia perché Guinevre era una sconosciuta sia perché, da come la guardava, Narah iniziava a chiedersi perché lo facesse. Era sicura di non conoscere alcuna Guinevre e di non averla mai vista prima… pertanto la cosa doveva essere reciproca, no?
    Quando si sentì dire che non sembrava a suo agio nel vestito luccicante e corto che indossava, il sangue affluì nuovamente alle guance e dovette fare leva su tutta la propria volontà per non incrociare le braccia al petto e nascondersi. Non era affatto a suo agio e che la biondina l’avesse notato la fece sentire un po’ in colpa: non era ancora abbastanza in gamba nel proprio lavoro? Oppure era perché non era ancora salita sul palco? Da una parte si sentì smascherata, se non in viso, dell’imbarazzo che provava ad avere tutta quella pelle così in mostra, dall’altra poteva darsi che, allora, era per questo che Guinevre la scrutava tanto. In fondo era davvero strano che una ballerina del Lilum fosse timida e scostante come lei, non doveva esserselo aspettato e ciò l’aveva indotta a farci caso. Quantomeno, era la conclusione cui Narah arrivò.
    Lì per lì non seppe cosa rispondere, ma represse il gesto di abbassare lo sguardo, che rimase sui lineamenti della ragazza. Anche lei doveva essere una tipa riservata, non era parecchio estroversa, ma sicuramente non si mordeva la lingua. Avrebbe potuto offendersi; non avendo interesse nel fare l’offesa non commentò, fornendo l’unica risposta che la facesse sentire al sicuro, che non esponesse troppo i suoi punti di debolezza. «Indossarlo è il mio lavoro.»
    Dopo averle domandato se volesse un’altra sedia e aver ricevuto un diniego gentile non si sentì di aggiungere altro. Avrebbe mai imparato l’arte della conversazione? Tutti riuscivano a chiacchierare con estrema facilità, spaziando da un argomento all’altro. Lei, troppo attenta a tenere a bada il balbettio come in quel momento, non ci era mai riuscita. «...sei libera di sbattermi fuori quando meglio credi!»
    Non se ne parlava! Stupita, sbatté un paio di volte le palpebre e schiuse appena le labbra con fare perplesso. «Non mi sognerei mai di fare una cosa del genere!» Scosse la testa come a sottolineare il concetto, scostandosi una ciocca di capelli dal viso con un’insolita risolutezza. Ecco, sulla volontà di prestare aiuto non aveva mai avuto dubbi: credeva nell’altruismo, si sentiva quasi responsabile per Guinevre e, anche se sarebbe stata sufficiente una pozione, immaginarla per strada in quelle condizioni le trasmise un senso di preoccupazione.
    «Io… sono in anticipo, andrò in scena più tardi. Puoi restare.» Abbozzò un sorriso nel pronunciare le ultime parole, alzando le spalle come a farle capire che, ormai, tanto valeva restasse lì. Inoltre, aveva il timore che qualcuno si accorgesse della presenza di Guinevre e, nonostante avrebbe potuto inventare una scusa, si vedeva subito quando Narah mentiva. Sperava che più tardi la ragazza sarebbe stata in grado di raggiungere una stanza più riparata come, appunto, il suo camerino.
    Nell’atto di abbassare lo sguardo, si ritrovò a intercettare quello color cioccolato dell’altra e la sensazione di sentirsi studiata la assalì di nuovo. Si schiarì la voce, incerta. Avrebbe fatto bene a chiederle di smetterla o sarebbe parsa sgarbata? Avrebbe dovuto ragionare come Dana anche in questo caso? Prima che potesse prendere un’effettiva decisione, la domanda di Guinevre la mise davvero in imbarazzo. Non ci voleva un genio per capire che lei le stava suggerendo di togliersi la maschera.
    Cosa doveva fare? Era abituata a seguire le direttive altrui non sapendo come comportarsi. A volte Jane le dava delle dritte e, in quanto capo, Svetlana le dava dei veri e propri ordini, ma anche delle istruzioni su come apparire più sicura e sfacciata, più sciolta. Nah li aveva sempre seguiti e, adesso, allo stesso modo l’istinto le portò ad assecondare la richiesta di Guinevre. Era sicura che l’altra non frequentasse Hogwarts, perciò non avrebbe detto a nessuno che Narah Bloodworth lavorava come ballerina al Lilum. Razionalmente, non credeva nemmeno che si sarebbe divertita a spifferarlo a qualcuno – senza contare che non conosceva il suo vero nome –, ma preferiva non farlo. No, non se la sentiva.
    Le dita che erano andate a sfiorare i contorni della maschera si immobilizzarono e Narah, seppur dispiaciuta, guardò Guinevre abbassando la mano. «Sarebbe meglio se la tenessi. Ci è stato raccomandato di non far vedere il nostro viso a nessuno.» E no, non era una bugia. Il fatto che non avessero l’obbligo assoluto di non togliersi la maschera era un altro discorso. «Mi dispiace deludere la tua curiosità,» aggiunse, lanciandole un’occhiata di sbieco. Non doveva essere confortante parlare con una ragazza mascherata, però Nah aveva delle responsabilità soprattutto nei propri confronti.
    Poi si ricordò del problema principale e raddrizzò la schiena. «Abiti qui vicino? C’è qualcuno che potrà venire a prenderti?» Inutile dire che sperava di sì, o sarebbe stata una complicazione.
    «Riesci ad alzarti? Il mio camerino è vicino,» spiegò timidamente, e si permise di rilasciare un sospiro di sollievo quando Guinevre le rispose in maniera affermativa. Allora si alzò con un movimento fluido, scoprendosi impacciata su come afferrare Guinevre per sostenerla per poi improvvisare come meglio credette, afferrandola per la vita.
    Fortunatamente il tragitto fu breve e, una volta varcata la porta, Narah aiutò la ragazza ad adagiarsi su un divanetto. Di natura era una persona piuttosto ordinata ed era tutto al proprio posto, dai cosmetici sul comodino accostato allo specchio ai vestiti di scena appesi al lungo appendiabiti di ferro con due ruote. Si lisciò il vestito lungo le gambe, rendendosi conto che, sparsi per la stanza, c’erano più oggetti personali di quanto credesse di aver portato al Lilum e Guinevre avrebbe potuto vederli in qualunque momento. Un altro dettaglio era che sul divano aveva lasciato un libro di Erbologia con la copertina ben in vista. Essendo una special era chiaro che il libro non era suo, bensì apparteneva a uno studente di Hogwarts del Sesto anno che glielo aveva dato in prestito. Ulteriore specificazione, Narah non aveva avuto il coraggio di chiederlo direttamente a qualcuno, perciò era stata Jane a fare del terrorismo psicologico a un ragazzo a caso per poi passarglielo, un gesto – più o meno – carino che l’aveva intenerita.
    Non accorgendosi del libro, si andò a sedere di fronte allo specchio, rivolta però verso Giuinevre. E ora?


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    Non aveva bisogno di scorgere le sue espressioni sotto la maschera, per poter affermare con certezza che Dana non si era bevuta il suo breve racconto sulla felpa. Poteva percepirla nell’aria, quella melodia che aleggiava anche nelle sue orecchie al suon di cazzata. Il silenzio calato tra i due spinse Gideon in un vortice di disagio. Non era una persona falsa, lo era diventato negli anni, ad ogni cambiamento di aspetto. Lo era anche quel giorno, davanti ad una ragazza di cui non conosceva niente – nemmeno il nome, pensandoci, perché se non voleva far conoscere la propria identità, cosa gli faceva credere che Dana fosse il suo vero nome? - Ma non riusciva ad esserlo in modo così palese, soprattutto con chi l’aveva aiutato con sincerità e troppa gentilezza. Le mani prudevano, iniziando a sudare per il disagio e per la sua faccia di bronzo. Le sfregò tra di loro, intrecciando le dita e aprendo la bocca per parlare di nuovo.
    La verità è che sono stata qui il giorno della festa del Lilum a settembre. Ammise, finalmente. Dai! C’erano un sacco di minorenni quel giorno, lo sanno tutti. Portò una mano tra i capelli biondi, con fare intimidito, grattandosi la nuca.
    Di quella festa se n’era parlato per giorni, persino ad Hogwarts tra gli studenti. Era stato chiuso più di un occhio da parte dell’amministrazione, sul fatto che dei minorenni fossero presenti nel locale. Sperò nel suo animo buono, ma una parte di sè già si immaginava al di là delle sbarre del Ministero, in attesa di una visita di sua sorella Hazel. Aveva immaginato per anni quella scena, solo che, di solito, in quelle visioni lui si trovava nei panni del visitatore, non in quelli del delinquente. E quella sera ho dimenticato la felpa del mio amico. Me l’ha chiesta un centinaio di volte perché ci tiene davvero. Forse l’hai vista qua in giro? E’ una felpa nera, e dietro ha disegnato un pitone reale luccicante. Inconfondibile.
    Perses Sinclair ed i suoi gusti discutibili.
    La buttò lì, nella speranza che la ragazza potesse fare un ultimo sforzo per aiutarlo, e poi si sarebbe davvero levato di torno, tenendosi per sé tutti i suoi dubbi sulla sua identità.
    Aveva quasi sperato che si togliesse davvero la maschera. Aveva seguito il movimento delle sue mani che, insicure, erano andate a posarsi sulla stoffa, illudendolo. Ed invece niente, non la tolse. Rimase nascosta dietro quel travestimento. Aveva tutto il diritto di tenersi stretta la propria identità. Si odiò per aver desiderato qualcosa di evidentemente sbagliato e distolse gli occhi dal suo volto, sul quale si era soffermato con attenzione, lo sguardo spalancato ed incuriosito di scoprire chi fosse quella persona così gentile e pacata. Arrossì vistosamente, per essere stato colto in pieno desiderio. Doveva essersene accorta anche Dana, che la sua non era un’attenzione normale, ma dettata da qualcosa di più.
    Oh, in caso cambiassi idea, perché la maschera prude o fa sudare, devi sapere che se e c’è una cosa che so fare molto bene, a parte slogarmi le caviglie, è mantenere un segreto. Era la verità, Gideon poteva davvero considerarsi una tomba su questo.
    E abito lontano, ma se avete un camino di Metropolvere, posso usare quello per andare al paiolo, e da lì mi faccio venire a prendere.
    Chissà se il Sinclair aveva voglia di farsi un giretto a Diagon Alley per portargli una pozione curativa. Lo avrebbe scoperto presto – sperava comunque entro l’alba, dato che il giorno dopo aveva lezione e non voleva certo saltarla.
    Dana propose di spostarsi verso il suo camerino personale, e Gideon accettò, non solo perché lì sarebbe stato più comodo, ma anche perché sarebbe stato più vicino alla Metropolvere.
    Ma ora arrivava il pezzo difficile: doveva alzarsi. Allungò le mani verso Dana, in piedi dinnanzi a lui, come un bambino che chiedeva aiuto alla mamma per camminare. Lasciò che lei l’affiancasse, poggiando il braccio sulla sua vita per sostenerla. Varcarono la soglia del camerino, che si mostrò straordinariamente ordinato fatta eccezione per qualche cosmetico sparso sul bancone. Lo sguardo di Gideon vagò per la stanza, soffermandosi su ogni dettaglio, finché qualcosa non colse la sua attenzione più del resto.
    Una Danaus plexippus. Constatò, osservando un dipinto sulla parente che riprendeva l’immagine di una farfalla posata su una mano. Danaus / Dana? Sorrise, voltandosi verso la ragazza. Lo sguardo incatenato al suo. Vicino tanto da poter scorgere ogni sfumatura di marrone nelle sue iridi. Mostrò di saperla lunga, ma forse non tutti erano psycho come lo era lui in quanto a nomi scientifici. Non la sapeva troppo lunga, alla fine. Se anche questo particolare avrebbe dovuto aprire un cassetto della memoria, cià non avvenne. Non avvenne affatto. Soprattutto perché, una volta preso posto sul divano, la sua attenzione venne attratta da qualcos’altro.
    Un libro di erbologia! AH! Beccata! Adesso gli sembrava tutto più chiaro (no), magari frequentava davvero Hogwarts. Se questo da una parte dava una potente scossa alla sua insaziabile curiosità, dall’altra, al contrario, gli procurava una certa ansia. E quindi frequenti Hogwarts. Si permise di allungare le mani sul tomo che giaceva abbandonato poco distante da lui. L’intenzione non era certo quella di farsi i fatti suoi, ma era una brutta abitudine quella di non riuscire a tenere le mani a posto dinnanzi ad un libro. Doveva necessariamente sfogliarlo, leggere qualche argomento interessante, lasciarsi colpire dall’ispirazione di una pagina scelta a caso. Ciò che accadde, però, fu che Gideon finì direttamente sulla prima pagina dopo la copertina, quella sulla quale in genere veniva scritto il proprio nome. Jonathan Layton? Affermò, con tono più interrogativo di ciò che avrebbe voluto. Surprise. O aveva toppato alla grande, perché quello non era il suo libro, o la giovane Dana sotto il vestito nascondeva più che un paio di mutandine di pizzo.

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    Si sentiva al centro dell’attenzione, al pari di quando i suoi piedi percorrevano il palco e poi iniziavano a ballare. Narah si considerava anonima, invisibile, totalmente trascurabile e per questo stava cercando di migliorarsi e trovare la grinta per cambiare e non per gli altri, ma per sé: per non scorgere più compassione negli occhi di chi la sentiva balbettare, per non essere più presa in giro, per non sentirsi più così tanto fuori posto ad Hogwarts, nel mondo. Perché davvero, quali emozioni si pretendevano da una ragazza che aveva da sempre amato la magia, la propria casata e gli studi e da un giorno all’altro diveniva un qualcosa, un risultato di laboratorio? Non era stato facile e, su un carattere fragile come il suo, tramutarsi in una special aveva avuto delle ripercussioni. Se prima, infatti, Narah non era che una ragazza timida e riservata che non riusciva a integrarsi, adesso non apparteneva alla società che la circondava e cui apparteneva sin dalla nascita.
    Si era estraniata ancora di più e… invisibile poteva esserlo davvero, a comando. Però si era stancata, ed eccola al Lilum ad aspettare l’inizio del proprio turno di lavoro. E non capiva perché Guinevre si interessasse tanto a qualcuno che era sempre stato invisibile, o perché fosse a tal punto incuriosita dall’aspetto che si celava oltre la maschera. Poteva ripetersi tutte le giustificazioni che voleva, Nah, ma non era realmente in grado di apprendere il perché di tutta quella curiosità; avrebbe potuto farlo in uno schiocco di dita, le sarebbe bastato sondare la mente della ragazza, scovare fino a raggiungere i pensieri che governavano la sua mente. Eppure la privacy era un concetto che le era sempre stato a cuore e non sarebbe andata contro il proprio essere per soddisfare i propri interrogativi. No, sarebbe stato estremamente scorretto, soprattutto considerando che alla fine Guinevre le aveva anche raccontato la verità sulla felpa del suo amico – resoconto che l’aveva fatta sorridere, perché era la pubblicità di quella famosa festa ad averla convinta a incontrare Svetlana – e perciò era stata onesta nei suoi confronti. Aveva persino specificato che sapeva mantenere i segreti, sotto i propri occhi un po’ colpevoli e un po’ grati, come se avesse compreso il suo disagio dietro le scuse puramente lavorative che aveva abbozzato.
    A maggior ragione percepiva il netto squilibrio tra loro due che aumentava i suoi sensi di colpa: mentre lei era a conoscenza del nome e dell’identità di Guinevre, quest’ultima era svantaggiata in tutti i modi possibili, a partire dal nome falso che Narah le aveva propinato all’utilizzo della maschera. Le dispiaceva, perché era lei la bugiarda e non le piaceva affatto. Non si piaceva affatto. Non ne combinava una giusta!
    La Metropolvere. Che sciocca era stata! La special si rilassò e di riflesso fece un sorriso timidamente sollevato, affrettandosi a un cenno affermativo. «Sì, ce l’abbiamo! Non… ci avevo pensato,» ammise suo malgrado, con una risatina esitante. Ridere in presenza di qualcun altro non le riusciva naturale, la faceva sentire nuda – sì, come il suo abitino ridotto –, ma sapere che stava parlando con una ragazza della sua età che non le sembrava, be’, spocchiosa o con la puzza sotto il naso le facilitava le cose. Un pochino. Doveva ammetterlo, da quando non praticava più la magia e stava con Jane – originariamente Babbana – si era abituata a ragionare ben poco da strega.
    Non immaginava che il quadro ritraente una farfalla avrebbe attirato l’attenzione di Guinevre: la teneva in camerino per un incoraggiamento personale. In un certo senso, le ricordava chi voleva diventare e si ritrovò a puntare le iridi scure su quel dettaglio della stanza che, al momento, aveva quasi dimenticato. La biondina invece l’aveva notato subito e avrebbe pensato apprezzasse l’arte o cose del genere, se non avesse specificato il nome scientifico della farfalla Monarca, la sua preferita. «Danaus / Dana?»
    Provò un grande stupore. Cavolo, non credeva di essere così scontata. L’aveva letteralmente sgamata in cinque secondi. Sentendosi di nuovo colpevole, fece un altro sorriso venato di colpevolezza e si ritrovò a mormorare un «Sì», per poi stringersi nelle spalle come una bambina sorpresa a rubare caramelle, per poi intercettare lo sguardo di Guinevre e avvampare. Per un attimo Nah si scoprì incapace di distogliere gli occhi dai suoi, talmente scuri che avrebbe potuto continuare a fissarli per ore nel tentativo di trovare qualche screziatura più chiara… poi si accigliò perplessa, nelle orecchie sussurri ancora indefiniti che non era la sua mente a generare. Oh, no no, basta!
    Si voltò di scatto e serrò le labbra. Non aveva voluto utilizzare il suo potere da telepate, sul serio! All’inizio le era capitato di farlo per sbaglio a causa di una forte curiosità, cosa che Guinevre le suscitava istintivamente, ma adesso era abbastanza esperta da saper controllarsi. Continuò a rimproverarsi a inoltranza, nell’aiutare la bionda a mettersi comoda e nel sedersi. Certo, era consapevole che non sarebbe successo niente di male ma… era irrispettoso farlo senza il consenso della persona in questione! Se ciò non avrebbe comportato di rivelare la propria natura di special, Nah si sarebbe persino scusata, contrita. Ormai l’unica occasione in cui leggeva i pensieri altrui era quando glielo chiedeva Svetlana e già si sentiva abbastanza in colpa.
    Sentì un senso di allarme serpeggiarle lungo la schiena, nel collegare l’espressione un po’ sorpresa di Guinevre al libro che teneva in mano, e prese a contorcersi le dita. Non avrebbe potuto prevedere in alcun modo l’arrivo di Guinevre, quindi aveva trovato perfettamente normale lasciare il libro che stava leggendo sul divano. «E quindi frequenti Hogwarts.» Un’osservazione che mandò in panico lei e la sua coscienza: avrebbe dovuto dirle un’altra bugia?? Come faceva a spiegarle come stavano le cose? Dire che non frequentava Hogwarts sarebbe stata sia una mezza bugia che una mezza verità, dato che Different Lodge decisamente non poteva considerarsi Hogwarts, ma era situato nelle immediatissime vicinanze.
    «Io… non proprio.» Sotto il suo sguardo irrequieto, la sua “ospite” trovò un’altra domanda problematica da porle, ovvero il nome maschile che spiccava sulla prima pagina del tomo. Jonathan era proprio il ragazzo che le aveva prestato il libro ed evidentemente non era il suo nome.
    Okay, ora sì che si sentiva in trappola. Qualcun altro avrebbe senza dubbio pensato che Guinevre, per essere una sconosciuta, si stava prendendo più libertà del solito e voleva più spiegazioni del necessario. Ma Narah non se la sentì di darle la colpa, perché le stava simpatica e non voleva raccontarle frottole, era più forte di lei.
    Non sentendosi di sostenere gli occhi della coetanea, Nah strinse le mani tra loro e lasciò vagare lo sguardo sul quadro della farfalla appeso al muro. Aveva scelto di nascondersi sotto Dana perché questo era l’abbreviazione del nome della farfalla Monarca, una delle specie più resistenti e forti. Le erano sempre piaciute, quelle farfalle, e anche in seguito all’incontro con un ragazzo nelle serre del castello si era ritrovata quasi inconsciamente – e filosoficamente – a identificarsi con esse. O meglio, con un bozzolo che poi, con tanto impegno, si sarebbe schiuso così come lei voleva mutarsi e migliorare. Ma una volta spiegate le ali le farfalle non si nascondevano nel bozzolo da cui erano uscite. Non si nascondevano come faceva lei.
    Si sorprese a domandarsi se per crescere non avrebbe dovuto iniziare avendo il coraggio di assumersi le proprie responsabilità. Lei non era così, non mentiva, non metteva in una posizione di inferiorità gli altri, nella condizione di non poter nemmeno guardare in faccia il proprio interlocutore. Non voleva essere così.
    Con il cuore in tumulto per l’atto che stava esortandosi a fare, inspirò profondamente e lanciò un’occhiata agitata a Guinevre. La stava ancora osservando con aria confusa e, chiamatela stupida, ingenua o debole, ma capitolò non senza un panico generalizzato che le impediva di essere lucida. Si stava per mostrare come Narah in quelle vesti, vesti che non le erano mai appartenute. Aveva paura di farle una cattiva impressione. «Prometti di mantenere il segreto?» Parlò lentamente, sia per non balbettare agitata che per prendere tempo. Guinevre non avrebbe avuto tornaconti a spifferare chi lei fosse, no?
    Non era sicura che quello che stava per fare avesse un senso o fosse intelligente, ma prima di poter mostrarsi codarda e cambiare idea, stavolta aveva davvero stretto le dita attorno al bordo laterale della maschera e con un movimento veloce la sfilò via, posandola sul comodino. Si passò una mano tra i capelli. Non capiva del tutto come si sentisse, ma la cosa certa era che non si sentiva più come se stesse prendendo Guinevre in giro. «Non frequento Hogwarts, sono una special.» Sillabò piano l’ultima parola per poi ammutolire, sperando la bionda non avesse pregiudizi contro la minoranza cui apparteneva. E alzò gli occhi grandi e lucidi di ansia in quelli di Guinevre, mostrandole chiaramente il volto.


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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco

    Prometti di mantenere il segreto?
    Croce sul cuore. Portò il dito della mano destra all'altezza del cuore, sul quale tracciò una croce immaginaria. Non ci avrebbe guadagnato niente nell'andare a riportare in giro chi lei fosse, nè avrebbe provato gusto nel farlo, al contrario. Ed indovinate un po'? Avrebbe preferito che Dana la tenesse addosso, quell'identità fittizia. Perchè la sorpresa che ne seguì fu per Gideon McPherson uno shock. Lei posò la maschera sul comodino, risollevando il volto per farsi guardare. Un viso terribilmente familiare, che Gideon non impiegò molto per associare a Narah, la special che aveva conosciuto nella serra di Hogwarts qualche mese prima. Gli occhi spalancati sul suo volto ovale dai i lineamenti delicati ma decisi.
    Gesù Cristo.
    Narah. Era davvero lei?! Quella dolce ragazzina che faticava persino a mettere insieme due parole in croce? Si permise di riguardarla adesso, dalla testa ai piedi, passando soprattutto sulla gonna cortissima che metteva in mostra le gambe lunghe e sottili, la vita stretta e la scollatura importante.
    Narah.
    Gli sembrava impossibile. Non ne sarebbe rimasto sorpreso se non avesse conosciuto Narah qualche mese prima, e soprattutto se non gli fosse sembrata così diversa, quel giorno. Diversa da come gli sembrava adesso, almeno d'aspetto. Non poteva dire di conoscerla bene, ma per ciò che aveva potuto vedere, il suo carattere ed il suo lavoro cozzavano tra di loro, nella mente di Gideon. Una ballerina di un pub a luci rosse? Ma come diavolo era possibile! Come faceva a gestire i clienti che le si buttavano addosso? Essendo lui un Corvonero, aveva una mentalità del tutto aperta, ed era convinto che tutto potesse essere, ovvero, che lei poteva tranquillamente aver deciso di lavorare in quel locale, nonostante la timidezza. Di certo non la giudicava per essere una ballerina di un nightclub, ma quel giorno alla serra lei aveva avuto paura persino di farsi sfiorare da lui, aveva balbettato per tutto il tempo, impaurita ed intimidita dal suo sguardo. Come poteva aver fatto un salto così grande? Forse era proprio a causa di quel lavoro che si era chiusa ed intimidita così? Per questo aveva paura del contatto con gli altri? O forse era sempre stata così? Adesso, nella sua mente, si aprivano più piste di ciò che avrebbe voluto. La Danaus Plexippus, come lui l'aveva chiamata quel giorno, il nome Dana che lei aveva preso lì al Lilum. Non riusciva più a spiccicare parola, completamente perso nelle proprie elucubrazioni mentali. Il suo volto era un misto di stupore e confusione totale. E se...non fosse lì di sua spontanea volontà? Se fosse costretta a lavorare lì? A farsi palpare dai clienti e magari persino prostituirsi?! Non poteva pensarci, nemmeno lontanamente.
    Oh, no. Gli veniva da piangere al solo pensiero!
    Dana... La chiamò, allora, dopo un silenzio che era parso infinito. Vieni a sederti vicino a me? Per favore? Domandò, allora, con tono di voce dolce e tranquillo. Il dolore al piede era un ricordo lontano e distante, adesso aveva un dolore ben più grande, localizzato all'altezza del cuore. Non solo lei aveva sofferto per essere stata nei laboratori, essere rimasta traumatizzata ed aver visto la sua vita stravolta, ma adesso anche quel lavoro...
    Lei esitò un po', prima di alzarsi e prendere posto al suo fianco. Al chè, Gideon posò la mano sulla sua, permettendosi di stringerla forte e avvicinarsi un po', per sussurrare ciò che voleva dirle.
    Non ti obbligano, vero? Il dubbio era più che lecito, cazzo se lo era. Gli special erano trattati peggio di scarpe vecchie, sfruttati fino alla morte e, davvero, se ne sentivano troppe in giro perchè Gideon potesse escludere anche quella terribile prospettiva, la più brutta. Ne aveva sentite troppe, troppe davvero.
    Puoi dirmelo, okay? Se ti obbligano, scappiamo insieme adesso. Io e te! Troverò un modo. Accompagnò la sua mano sulla prima, stringendo quella scura della ragazza tra le proprie pallide. Non avere paura. E qual'è il tuo potere? Magari avrebbe scoperto che era più forte di ciò che appariva, e che aveva un potere forte, tanto da non farsi toccare da nessuno e farsi rispettare. Magari lo faceva comunque anche senza l'aiuto di un potere, ma gli sembrava remissiva, i suoi dubbi erano più che leciti.

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    Narah Bloodworth
    L’atteggiamento di Guinevre era stato strano fin da subito, strano ma apparentemente innocuo, perciò Narah si era convinta che fosse il suo modo di fare. L’aveva appena conosciuta, poteva benissimo essere quella la soluzione, la più semplice e ragionevole, perché altrimenti non avrebbe trovato altri fattori che giustificassero la sua ambiguità.
    E certo Nah riteneva di non avere un volto tale da suscitare tutta quella sorpresa. Era più brutta di ciò che si aspettava, più bella? La stupiva che fosse troppo giovane? La special era giunta al punto da non averne la più pallida idea, ma tolto l’ingombro della maschera non aveva molto da perdere. Non successe nulla di catastrofico ed era un sollievo dato che, inconsciamente, aveva permesso alle proprie paure di rendere grave anche la realtà che la circondava. Si rese conto che forse era stata un pochino esagerata: si sentì a posto con la coscienza, adesso non le importava di nascondersi e Guinevre avrebbe soddisfatto l’evidente curiosità che provava.
    Strofinò le mani tra loro, lasciando pazientemente che la ragazza la scrutasse con uno sgomento inaspettato, rivolta ora agli abiti appesi ora alle proprie gambe per sentire meno la pressione di essere al centro dei riflettori. Perché si era ammutolita di colpo? Aveva iniziato a pensare che Guinevre fosse rimasta attonita perché le aveva confessato di essere una special, quando lei la chiamò e, ottenuta la sua attenzione confusa, le chiese di sedersi vicino a lei. Nah batté lentamente le palpebre, esitante. Qualunque fosse la motivazione della richiesta, però, infine si alzò e prese posto accanto alla biondina, sentendosi suo malgrado quasi guardinga.
    Si sentì abbastanza confusa dal suo atteggiamento da sentirsi in diritto di chiedere spiegazioni – e Guinevre non avrebbe potuto biasimarla, viste le sue reazioni. Si mordicchiò il labbro, indecisa. «Non capisco- oh.» Ora sì che era confusa: l’altra le aveva appena preso una mano tra le sue, un gesto che a lei risultava così estraneo, poco avvezza al contatto fisico e senza degli amici fisicamente espansivi.
    Abbassò lo sguardo sul contrasto delle diverse tonalità della loro rispettiva pelle, pensando che Guinevre la stava trattando come se fossero state… amiche. Gli occhi un po’ più spalancati del solito, divisi tra curiosità e vergogna, si concentrò su cosa lei aveva da dirle e, solo a quel punto, ritrovandosi ad arrossire di colpo, poté comprendere almeno parte del suo sgomento. Si sentì così imbarazzata, e avvertì distintamente una vampata di calore infiammarle il petto e il viso dalla desolazione. Era desolata perché, tra tutte le sue fantasie sul futuro, tra queste non rientrava il dover sventare certi tipi di dubbi sul suo conto, per quanto amorevoli fossero.
    Infatti Guinevre non le sembrava disgustata, le aveva addirittura afferrato la mano! Si preoccupava per lei, ed era una cosa molto carina visto che si conoscevano da poco. In maniera del tutto inconsapevole, però, aveva dato adito a un suo timore, ovvero passare per una poco di buono, o doversi giustificare per le attività che svolgeva al Lilum. Erano dubbi comprensibili e ragionevoli, se ne rendeva conto, ma le faceva male.
    Tuttavia, intenerita, posò brevemente la propria mano su quella bianca di Guinevre in una manifestazione di conforto, prima di ritirarla come la sua riservatezza la spingeva a fare d’istinto. «No, io non...» Fai finta di niente, fai finta di niente. Non le andava di rendere palese quanto quella domanda l’avesse messa a disagio. Abbozzò un sorriso e avrebbe ripreso a parlare, se non fosse stata interrotta da una proposta che, nonostante tutto, le strappò una risatina. Guinevre doveva essere davvero una brava ragazza se si offriva di aiutare una sconosciuta in possibile pericolo. Oltre il manto di imbarazzo che aveva avvolto la sua mente si sentì anche lusingata da quell’attenzione e dalla sua dolcezza, ma per ovvietà di cose si ritrovò a scuotere la testa, cercando di apparire decisa. Di sicuro non voleva mettere nei guai Svetlana facendo credere a una persona che la obbligassero. Era vero, gli Special non contavano quasi nulla e nella stragrande maggioranza dei casi venivano trattati come scarti della società, ma non era il caso del Lilum e desiderava Guinevre non saltasse a conclusioni non vere sul locale.
    «Sei dolcissima e ti ringrazio, ma penso tu sia giunta a conclusioni affrettate. Non mi hanno costretta, sono qui di mia volontà,» le spiegò con delicatezza, trovando il coraggio di guardarla negli occhi con tutta la sincerità di cui era capace. «Io ho scelto di fare questo lavoro.» Fece spallucce e le sorrise, sperando di averla convinta. Non le aveva detto perché aveva preso quella scelta e, seppur fosse afflitta alla prospettiva di cosa le sue rassicurazioni le avrebbero fatto pensare, si era già aperta fin troppo con una sconosciuta. Erano questioni estremamente intime e personali, più del suo viso.
    Guinevre non sembrava avere pregiudizi nei suoi confronti per la sua natura, tanto che le chiese con tranquillità quale fosse il suo potere. A dire il vero, Nah si sentiva come se la bionda l’avesse presa come una giumenta imbizzarrita cui si doveva parlare con tono calmo e pacato. Se la imbarazzava? Be’, sì. C’erano poche cose che non lo facessero. «Telepatia. Sono una telepate, posso… leggere i pensieri, modificare i ricordi altrui o trasmetterne. Anche diventare invisibile.» E fece un piccolo sorriso colpevole, conscia del fatto di aver sfruttato più volte la capacità di scomparire per assecondare la propria timidezza. A riprova di ciò, alzò una mano e la osservò sparire fino al polso, per poi riapparire qualche secondo dopo. Dopodiché si strinse nelle spalle. Le lezioni per special che aveva frequentato fino al 2017 le erano state di estremo aiuto per imparare a padroneggiare il proprio potere. «E potrei persuadere qualcuno a fare ciò che voglio, ma a parte le esercitazioni non ci ho mai provato davvero Però le sarebbe tornato utile per difendersi da malintenzionati. Avrebbe dovuto convincere qualcuno a fare degli esperimenti al riguardo
    Stette in silenzio, silenzio che interruppe con incertezza. «Non voglio che tu pensi che io mi-» cercò un termine gentile per dirlo, sentendosi un po’ morire dalla vergogna. Giusto un po’. D’altronde tutti avrebbero potuto presupporre qualcosa di simile, complice il vestitino striminzito che indossava – di cui abbassò nuovamente il bordo – e la fama del Lilum. «Che mi conceda ad altri per denaro. Non è così.» Un'argomentazione debole di cui la bionda avrebbe potuto non fidarsi, ma era l'unica che possedeva.


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    Aveva un groppo in gola che sembrava non voler scendere, lo teneva con il fiato spezzato ma, ad ogni parola della special, questa stretta sembrava allentarsi, fino a svanire. Lo stomaco si era contorto, effettuando mille giravolte e, se ci fosse stato qualcosa dentro, probabilmente avrebbe dato un bel po' di più da fare alla piccola Narah, dentro quel camerino. #vomitinosempre.
    Perchè se l'era presa così a cuore? Alla fine, non la conosceva nemmeno.
    Ma non dovevano essere necessariamente amici perchè Gideon se ne preoccupasse. L'amore poteva manifestarsi in mille forme e per i motivi più vari, e così anche l'affetto verso una persona poteva arrivare dal nulla: un gesto indeciso, delle sillabe ripetute in un dolce balbettio, una particolare inclinazione nel tono della voce, impercettibili movimenti delle labbra, lo sguardo spento ma lucido per un pianto appena iniziato, la pelle sottile che sarebbe bastato un tocco poco delicato per ferirla, il rossore sulle gote che si accendeva con troppa facilità. Bastava questo, davvero.
    La delicatezza di una farfalla, la potenza di un uragano.
    Si era sentito in dovere di difenderla dai suoi pensieri più tristi, quel giorno alla serra, ci aveva provato davvero nonostante non fossero affari suoi. E ci stava riprovando quel pomeriggio al Lilum, nella convinzione che, per forza, dovesse esserci qualcosa di terribilmente sbagliato nella presenza di Narah in quel locale a luci rosse. Non gli quadrava, ma si sbagliava, e fu proprio lei a comunicarglielo, cercando le parole adatte per contraddirlo. "Sono qui di mia volontà."
    Rimase interdetto per pochi attimi, le labbra appena socchiuse per mostrare il suo stupore a quella risposta data con estrema sincerità, o così gli era sembrato.
    Ma certo. Si affrettò a dire, lasciandosi andare ad un sorriso imbarazzato, mentre Narah scostava le mani dalle proprie restituendo un bilancio alla confidenza che, per un attimo, aveva concesso loro fin troppa intimità. Gli dispiacque quel distacco. In genere non era mai lui il primo a ricercare un contatto con gli altri, men che meno con una ragazza che avrebbe potuto pensare male di lui (?). Nei panni di Guin, questo non avveniva. Non si sentiva molesto o inopportuno, al contrario, avrebbe ricercato più volentieri un contatto, per conforto di entrambi.
    Se ne sentono così tante qui in Europa che per un attimo...
    Per un attimo se ne era convinto davvero. Ma era felice di apprendere di aver toppato ancora una volta nella vita? sempre e che la realtà fosse diversa da come lui aveva pensato. Prese un profondo respiro, allentando la tensione che si era creata a causa dei suoi timori infondati, non pensando di averle potuto dare, per sbaglio, un indizio sulle sue origini non-europee.
    Magari un giorno lo avrebbe capito, quel mistero che era Narah. Quel giorno non era ancora arrivato.

    E la gamba tornò a pulsare, stavolta in maniera più fastidiosa di prima, tanto che gli venne persino il mal di testa. Sollevò la borsa del ghiaccio che aveva tenuto poggiata sulla caviglia, constatando che questa si era sgonfiata appena.
    E se il momento per un bell'infarto non era ancora arrivato, bè, non mancava molto.
    Una telepate.
    Non poteva sbiancare, Gideon, perchè il suo volto era già pallido di suo e più bianco di così esisteva solo il trapasso - chiaro il concetto, no?
    Aveva una telepate dinnanzi a lui, l'aveva guardata negli occhi e stretto le sue mani nelle proprie, dandole, senza saperlo, accesso al proprio pensiero ed alla propria identità.
    Questo lo fece sentire male sul serio, tanto che iniziò una serie di battaglie interiori più o meno psicotiche.
    "Se mi hai scoperto, Narah. Sappi che sei molto carina a non farmelo notare.
    Oh, i tuoi occhi mi mettono a disagio, non guardarmi così.
    Sai che in fondo sono una brava persona, no?
    Puoi leggerlo?"

    Abbassò lo sguardo sulle proprie dita, mettendo fine al contatto visivo con lei.
    "Se mi stai sentendo, allora saprai che è una giornata strana, questa.
    Che non volevo ingannarti ma che ormai ci sono in mezzo e cosa posso fare?
    Magari mi perdonerai, un giorno.
    Magari non stai nemmeno sentendo, ma forse vorrei che tu lo facessi."

    Ma tipo adesso? Probabilmente aveva iniziato a sudare nei suoi stessi abiti.
    "Sono Gideon McPherson, mi hai conosciuto nella serra qualche mese fa.
    Eri il Caterpillar più carino, ed adesso ti stai allenando per diventare una bella farfalla.
    Sono Gideon.
    Sono Gideon.
    Sono Gideon.
    Sono Gideon.
    Sono Gideon."

    Stava impazzendo. Portò entrambe le mani sugli occhi, a nascondere il suo sguardo e placare quei pensieri. Più ci provava, più questi premevano per uscire e farsi scovare, come se, in verità, volesse essere scoperto. Come se nel suo inconscio non volesse nascondersi. Le mani bianche a coprire alla perfezione il viso come quando da piccolo lo faceva dinnanzi allo sguardo severo di nonna Bana che, quand'ancora era presente, sembrava riuscire a leggerlo come nessuno faceva mai. Non che ci volesse tanto a leggere i pensieri del McPherson dalle sue stesse espressioni, eh, ma la nonna aveva lo straordinario dono di leggere i suoi silenzi più di chiunque altro. Mi sento un po' a disagio in questo momento. Credo che tu mi debba una croce sul cuore. Come lui l'aveva fatta per lei, avrebbe gradito tanto, ma tipo tanto che lei ricambiasse. Se puoi, non leggermi. Una preghiera, più che un ordine. Le mani ancora sugli occhi, non voleva toglierle, come se gli avessero potuto dare più protezione quando, probabilmente, non era così.
    "Non voglio che tu pensi che io mi ...Che mi conceda ad altri per denaro. Non è così."
    Le parole di Narah riguardo la sua "non prostituzione" lo rasserenarono non poco. Perchè...insomma, altrimenti gli sarebbe dispiaciuto per lei, ecco. Solo questo. Solo questo.
    Oh bè meno male! Sai che ingorgo al Lilum sennò?
    Cristo, lo aveva detto davvero? In tutto ciò, teneva ancora le mani sugli occhi, e poteva tenerle per sempre, sul serio.
    Non voleva dire proprio questo. Voleva dirle che...bè, che era felice che non lo facesse!
    "La mettiamo sul ridere, Narah? Che ne dici?"

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    Si rilassò notevolmente quando Guinevre le fece intendere che aveva creduto alle sue parole. Teoricamente avrebbe anche potuto fregarsene di quello che lei pensava, verissimo, ma purtroppo questo non era nel carattere di Narah. Venire giudicata male era ciò che più temeva, ciò che più era in grado di metterle tristezza, rovinarle l’umore e far svanire la sua autostima già di per sé inesistente. Per un attimo le era parso che anche Guinevre avrebbe compiuto il medesimo errore; al contrario di tali aspettative lei aveva accolto con apparente fiducia la sua spiegazione. Non aveva fatto nessuna faccia strana, a parte un’espressione imbarazzata che rispecchiava la sua.
    Non si pose alcuna questione sulla frase che la bionda aveva pronunciato riguardo l’Europa, prendendola un po’ come il classico modo di dire di quando si ha come argomento un posto in cui si risiede; ed era del resto ancora troppo assorta dal tema principale, che poi alla fine era la sua integrità. Narah non avrebbe mai accettato di lavorare al Lilum se il suo capo le avesse fatto intendere di dover fare qualcosa di più coi clienti! Sarebbe scappata via come un coniglietto in fuga dalla preda cattiva e sarebbe tornata alla sua cara quotidianità senza pensarci due volte.
    Scacciò quelle riflessioni tornando a concentrarsi sulla ragazza, avvicinandosi a sufficienza per dare un’occhiata alla sua caviglia, dispiaciuta che non sembrasse essersi ripresa poi così tanto. Continuava a non avere un bell’aspetto e fu certa di aver preso la decisione più giusta. Decisamente, lasciare Guinevre in quello stato a zoppicare in giro non sarebbe stata una mossa intelligente, e per nulla sensibile. Si sfiorò le labbra con le dita, pensierosa: una pozione avrebbe sistemato tutto, ma iniziò a domandarsi se all’infortunata convenisse aspettare tanto per assumerla. Avrebbe avuto un futuro come infermiera, se non fosse divenuta una special – e se fosse stata brava a gestire l’ansia.
    Incontrare una Special non era all’ordine del giorno, di Special non c’era che una ridotta principale nella popolazione del Mondo Magico. Degli esperimenti, per l’appunto, pertanto una minoranza. Non erano ancora diventati così diffusi o normali; i maghi aveva infiniti pregiudizi sul loro conto, tra cui quelli più diffusi che li additavano come pericoli ambulanti. Secondo Nah, gli Special non erano più pericolosi dei Mangiamorte, o in generale di chiunque potesse lanciare incantesimi. A causa di tali considerazioni, quindi, Narah non si aspettava una reazione così plateale da Guinevre, ma lo capiva: forse l’aveva impressionata, o… spaventata. Impacciata, la osservò mentre si affrettava a coprirsi gli occhi e questo la fece un po’ sorridere, dato che per leggerle i pensieri non necessitava del contatto visivo. Fece un colpetto di tosse per ricordarle della propria presenza, ma lei seguitò ostinatamente a tenere le mani sugli occhi.
    Oh, cavolo.
    La telepate fece un sospiro, scoprendosi tuttavia divertita da quella scenetta buffa. «No, non ho la minima idea di cosa tu stia pensando,» le confessò, provando la voglia di abbassarle le mani dal volto. Non che le stesse dando fastidio, anzi, per lei sostenere lo sguardo di qualcuno le creava sempre qualche problema – soprattutto di rossori e agitazione –, perciò avrebbe avuto tutti i motivi per farsi i fatti propri. Le dispiaceva averla fatta sentire a disagio; lei si sentiva sempre a disagio, sapeva che non era una bella sensazione e non avrebbe mai voluto essere la causa del disagio di qualcuno. Per niente. «Credo che tu mi debba una croce sul cuore. Se puoi, non leggermi.»
    Complice il fatto di essere inosservata, Narah si lasciò andare a una risatina. Poteva sembrare strano o forse no, ma lei non aveva mai usato il metodo della croce sul cuore. C’era sempre una prima volta per tutto, no? Esitò un attimo, sentendosi un po’ scema, tuttavia finendo per cedere con un sorriso divertito. «Giuro solennemente di non leggerti, croce sul cuore,» terminò dolcemente. Anche se, valutò tra sé e sé, aveva il sentore che Guinevre sarebbe stato un libro davvero interessante da leggere. Continuò a sorridere anche dopo, contagiata da quell’atmosfera un po’ bizzarra, giocherellando coi propri capelli come valvola di sfogo. Non avrebbe dovuto, Svetlana le aveva ripetuto più volte che toccarsi i capelli era sinonimo di nervosismo. Ma in fondo quella era una situazione quasi amichevole, e si rese conto che nella propria mente stava cominciando a immaginare Guinevre stessa come una specie di amica. Il che era sconveniente, considerando che con tutte le probabilità dopo quella sera non avrebbe più rivisto la bionda. Non negò di provare una punta di dispiacere: avrebbe persino potuto abituarsi a conversare con lei.
    «Oh bè meno male! Sai che ingorgo al Lilum sennò?» O forse no. Narah era sicura che di lì a pochi secondi avrebbe preso fuoco da quanto sentiva le gote bruciare e, davvero, non se ne sarebbe sorpresa affatto. Rimase immobile. Come doveva prenderla? Incerta, ritenne che forse poteva essere un… una battuta? Un complimento? Magari avrebbe dovuto essere quello, ma il modo in cui era stato espresso, be’… lasciava molto a desiderare.
    Oh Dio, che imbarazzo. Non si sentiva per nulla a suo agio in quel momento, quindi decise di sorvolare alla grande e far finta di non aver sentito, anche se entrambe sapevano che aveva per forza sentito. Era scontato. Girò il viso da un lato quasi a nascondersi, prima di rendersi conto che era un gesto inutile: Guinevre aveva ancora le mani a coprire gli occhi in quella maniera buffa e forse un pochino imbarazzata. «Per favore, potresti…?» Sospirando rassegnata, perché probabilmente Guinevre non le avrebbe mai dato retta, allungò le dita a sfiorare la pelle liscia e bianca del suo polso. Sperava di convincerla, trasmetterle un minimo di sicurezza o affidabilità. E se a disturbarla tanto fosse davvero il suo potere? Per Narah era scontato che non passasse le giornate a leggere nella mente delle persone, ma per un altro poteva essere esattamente il contrario.
    «Guinevre Pronunciare il nome di una persona la metteva sempre un po’ a disagio, ma si rese conto che aveva un suono gradevole. «Non leggo mai i pensieri della gente, non lo farò nemmeno con te. Sono sincera.» Ricercò amichevolmente lo sguardo scuro della ragazza, prima di alzarsi e dirigersi verso un mobile somigliante a un armadio a due ante, ma un po’ più basso. Aveva dato l’accesso al proprio camerino ai suoi colleghi, che le avevano chiesto se potessero mettere lì gli oggetti abbandonati dei clienti nel caso in cui fossero tornati a reclamarli. Narah aveva ben poche cose di suo in camerino e non utilizzava l’armadio in questione, perciò aveva accettato di buon grado. Aprì le ante, cercando la mensola giusta su cui le sembrava di aver visto qualche felpa. Ce n’era una rossa, una verde militare e due nere. Sbirciò quelle nere, tentando di farne combaciare almeno una con la descrizione fornita da Guinevre. Eccola! Si rigirò tra le mani la felpa con su disegnato un pitone reale, avvertendo immediatamente l’intenso profumo da uomo che ancora emanava. Doveva essere quello dell’amico di Guinevre, dubitava lei ne mettesse così tanta quantità.
    Chiuse nuovamente le ante del mobile, per poi tendere alla ragazza la felpa. «Era questa, quella che cercavi?» Le rivolse un piccolo sorriso, riprendendo posto sul divano.


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    Non era da Gideon andare nel panico dinnanzi ai problemi della vita quotidiana. Al contrario, era sempre riuscito a mantenere il sangue freddo e ragionare lucidamente anche di fronte agli ostacoli più grandi - sebbene non senza una buona dose di ansia che lo contraddistingueva. Ma la prospettiva che Narah potesse scoprire del suo segreto più oscuro non era solo “un problema”, era una tragedia. Un’enorme voragine che lo avrebbe ingoiato intero.
    Le parole della mora lo rassicurarono, tanto da portarlo a ragionare in maniera più lucida. Se gli avesse davvero letto i pensieri, non si sarebbe mostrata così tranquilla con lui, no? Sarebbe apparsa quanto meno confusa nel sapere che non stava parlando con Guinevre, una ragazzina bionda e dall’aspetto angelico, ma con un ragazzo, con un’altra persona per generalizzare, che tra l'altro già conosceva. Tutto lo portava a credere che lei fosse sincera.
    Non aveva ancora avuto il coraggio di togliere le mani dagli occhi, per cui ci pensò Narah a prendere quella decisione per lui, portando le mani sulle sue per invitarlo ad abbassarle. E così fece.
    Riaprendo gli occhi sulla mora, riprese a fissare il suo sguardo non con un certo timore dettato dalla diffidenza. Le sopracciglia corrugate in un’espressione pensierosa. Gli occhi appena più lucidi per averli premuti con i palmi delle mani.
    Ti credo, allora. Lo disse più per cordialità che per sicurezza, doveva ancora ragionarci bene! E poi, pensandoci, lei aveva giurato! Come poteva non crederci? Magari non era proprio super sincero, Gideon, e non sapeva nemmeno se quella potesse definirsi una bugia bianca - era decisamente più grave di così, aveva mentito a Perses, ad Halley ed adesso più che mai stava mentendo a Narah - ma se c’era un momento in cui non mentiva, mai, era sotto giuramento. Ci credeva, era per lui fondamentale. Sin da piccolo aveva creduto che le persone sotto giuramento non potessero mentire, e nonostante con la crescita si fosse disilluso, ed avesse capito che non sempre era così, erano rimasti in lui dei retaggi un po' infantili di quegli anni passati.
    Notò l’espressione triste e pensierosa di Nah, alla vista della sua caviglia livida, e sorrise: le importava. Non preoccuparti, non fa più male come prima ma il livido ci metterà un po’ a sparire.
    E grazie a Dio che era migliorata, perché non aveva affatto intenzione di dirigersi al San Mungo e rimanerci buttato tutta la sera.
    La mora si alzò, e Gideon la seguì con lo sguardo - dio, quelle gambe! - fino a vederla aprire un mobile e recuperare una felpa, anzi LA felpa.
    Alla vista della felpa di Perses, si illuminò di gioia. Ma sì!! È proprio lei! Sorrise radioso allungando le mani per farsela passare, e una volta che l’ebbe tra le mani non poté ignorare quanto ancora forte fosse il proprio profumo sopra l’indumento. Speziato, intenso, affascinante, con una nota di cuore molto maschile. Se Gideon aveva un difetto - sempre che tale potesse definirsi - era quello di utilizzare talmente tanto profumo che chiunque avrebbe pensato che ci facesse il bagno, usandolo al posto dell’acqua. Che volete, rimaneva un comune maschio adolescente e ci teneva che il suo profumo lasciasse un ricordo caratteristico di lui, in particolare durante le uscite speciali. Mi hai salvato per la seconda volta oggi. Ammise, rinvitandola a prendere posto al suo fianco perché si, si stava trovando bene con lei. Così bene che quasi si era dimenticato di essere Guinevre, ma era tornato ad essere solo Gideon, un adolescente particolarmente e socialmente awkward. Questo benessere era talmente forte, soprattutto dopo essersi tolto di dosso il peso della felpa del Sinclair, da sciogliergli la lingua in una parlantina spedita ed accesa.
    Dev’essere frustrante avere la capacità di leggere i pensieri degli altri ma avere una...come vogliamo chiamarla? Morale forte che ti impedisce di farlo.
    Riuscì a scorgere, forse per la prima volta, una grande differenza tra sè e Narah. Se era vero ciò che lei diceva, aveva una grande forza di volontà, un senso etico non indifferente ed una morale forte a guidarla. Lui, invece, non poteva dirsi così fortunato. Aveva messo da parte più volte la propria morale, ingannando le persone inizialmente per la felicità altrui, ed in seguito per un proprio tornaconto personale. Se io avessi questo potere, ne farei un uso sbagliato. Vivrei combattendo con la curiosità di frugare nella mente degli altri. E so che è sbagliato ma...credo cederei più volte.
    Le loro mani erano così vicine da toccarsi, sul divano. E a Gideon piaceva questo contatto non curato, non ricercato ma presente. Forse lei non se n’era nemmeno accorta, ma lui si.
    Se è vero ciò che dici. Ed inarcò un sopracciglio, per sottolineare di quanto scetticismo fosse intrisa quella frase: ci credeva perchè aveva giurato, ma poteva anche non essere come lei diceva, no? Allora questo ti fa onore. Fece spallucce. Senza contare che... puoi diventare invisibile quando vuoi?????? Cioè, è fighissimo! Sai quante volte vorrei sparire, nascondermi da qualche parte o affondare nel terreno per la vergogna? Hai un potere fantastico...Dana. Cristo. Stava per chiamarla Narah.

    this is
    a modern fairytale
    no
    happy
    endings
    GUINEVRE
    gideon mcpherson
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    metamorph.
    ravenclaw
    she isn't a girl

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    La ragazza fu così contenta alla vista della famosa felpa che Narah si sentì immediatamente rallegrata dalla consapevolezza di avere contribuito al suo stato d’animo. Be’, alla fine ne era valsa la pena! Senza contare che Nah aveva fatto un piccolo passo avanti verso la sicurezza in se stessa mostrandosi a qualcuno senza maschera: c’era sempre da considerare che l’aveva fatto perché – non prima di mille ansie e paranoie – in qualche modo si era sentita rassicurata. D’altronde Guinevre si stava avvicinando rapidamente al limite che separava la conoscenza dall’amicizia e, se questo straniva la telepate, d’altro canto le aveva rivelato il suo unico segreto e ciò contribuiva di sicuro a renderla più… rilassata. Sì, si sentiva rilassata, e questo era un bellissimo traguardo!
    Incurvò le labbra in un altro dei suoi soliti sorrisi timidi, sentendosi però a suo agio: Guinevre era partita in quarta e parlava, parlava e parlava. Dopo un attimo di spaesamento, Narah trovò un filo logico del discorso cui aggrapparsi e sbatté le palpebre, imbarazzata da quello che sembrava decisamente un complimento alla sua morale. Aveva dei problemi ad accettare i commenti positivi quindi, di riflesso, ci tenne a sminuire i propri meriti. Non c’era nulla di eccezionale nel rispettare la privacy della gente, era solo… ciò che doveva fare. «No, io… non è frustrante, non mi pesa. Se io fossi nella posizione degli altri non gradirei che si invadessero i miei pensieri, perciò non mi sento di farlo.»
    Abbassò lo sguardo sulle proprie mani e solo allora si accorse che una di esse sfiorava quelle di Guinevre. Non aveva il coraggio di togliere la propria – e nemmeno voleva, era bizzarro ma non la metteva eccessivamente a disagio –, ma sperava che Guinevre non si stesse trattenendo dal ritirarsi per paura di farla rimanere male. Sarebbe stato un po’ triste, per usare un eufemismo. «Tu cederesti perché non hai passato allenamenti interi per imparare a gestirlo, soffrendo di emicrania per giornate intere,» ridacchiò, sorridendo al pensiero di quanto impegno aveva messo anni prima per essere capace di sfruttare tutte le possibilità del suo potere. Perché sì, anche se magari non leggeva i pensieri o non diveniva invisibile quanto avrebbe voluto, era consapevole che aveva perso la magia ma acquistato delle abilità utili. Per quanto avesse rimpianto la sua bacchetta e le lezioni a scuola, questo era ciò che aveva e non era poco. Doveva adattarsi e, soprattutto, accontentarsi. Le era dispiaciuto che le lezioni per loro Special fossero state sospese – e probabilmente non ci sarebbero state mai più –; d’altra parte loro erano, appunto, Special. Nessuno si curava di loro, potevano passare tranquillamente in secondo piano rispetto ai maghi. Non importava che loro fossero divenuti tali per colpa loro e che anche lei era stata una strega, prima dei laboratori. Scacciò quei brutti ricordi, concentrandosi sulla bionda e sul suo piacevole chiacchiericcio.
    «Se è vero ciò che dici.» Oh, stava mettendo in dubbio la sua parola e la sua croce sul cuore?? Nah inarcò un sopracciglio, divertita, facendole intendere bonariamente che con la propria coscienza lei era a posto. Le piaceva parlare con Guinevre, non aveva paura di dire ciò che pensava, o almeno era quello che credeva dato che non glieli leggeva. Alzò appena le spalle per schernirsi da quel “ti fa onore”, scuotendo la testa come a sottolineare, di nuovo, che non faceva nulla di straordinario. Però non poté a meno di fare una risatina colpevole sull’argomento invisibilità. Ebbene sì, di quello era un’esperta. «Potrei aver usato l’invisibilità per nascondermi piuttosto spesso,» disse piano. Insomma, sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma sparire letteralmente era addirittura rasserenante. «È bello prenderti un po’ di tempo solo per te, senza stare sulla difensiva.»
    Quindi Guinevre pensava che il suo potere fosse fantastico? Arrossì appena, pensando che neanche lei era mai stata in grado di valutare con tali termini entusiasti la sua telepatia. All’inizio l’aveva vissuta con spavento: c’era stato un periodo in cui non si riconosceva più perché adesso era diversa, la sua mente era diversa. Aveva subito una trasformazione, non era stata tranquilla e non era stato indolore. Ora che era un pochino più matura, sapeva apprezzare la telepatia e si identificava come una telepate.
    Sentirsi apostrofare “Dana” le parve un po’ sciocco, soprattutto dal momento in cui Guinevre conosceva il suo volto. Si meritava di sapere il suo nome, il suo vero nome, non quello dietro cui si nascondeva con gli estranei. Qualcuno avrebbe potuto ribattere che Guinevre era un’estranea, ma Narah era una persona dolce e affettuosa: superate le ritrosie iniziali, per lei non era affatto difficile affezionarsi a qualcuno, ed era ciò che stava succedendo. «Mi chiamo Narah. E grazie, non tutti la pensano così,» osservò, ricordando le occhiate ricevute da alcuni – tra cui anche studenti vittime della mentalità della società – quando venivano a sapere della sua natura. Lanciò un’occhiata all’orologio appeso alla parete e strinse le labbra, dispiaciuta da dover congedarsi da Guinevre: aveva uno spettacolo tra un quarto d’ora, non poteva rischiare che un collega l’andasse a cercare e vedesse la bionda. «Scusa se ti faccio fretta… tra poco inizia il mio turno. Ti accompagno al camino?» Si alzò lentamente dal divano, accorgendosi che, quella sera, non aveva proprio voglia di abbandonare quell’atmosfera amichevole per lavorare. Mentalmente, però, si rimproverò: aveva delle responsabilità e lo faceva per migliorarsi. Porse le mani a Guinevre per aiutarla ad alzarsi, un piccolo sorriso rammaricato sul viso.


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    how dangerous a
    mask can be.
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    Pure umile? Ma ne aveva difetti? Quella ragazza veniva dal mondo delle favole, e per il McPherson non era certo una cosa negativa. Al contrario, l'adorava. Era talmente buona, carina, gentile da non sembrare reale. Esistevano davvero persone così? Ragazze così?
    Ripensando alle sue parole, ascoltando Narah parlare e spiegarsi, però, Gideon iniziò a provare un vago senso di disagio. Non riusciva nemmeno ad immaginare quanto lei avesse sofferto per avere tutti quei poteri che lui aveva elogiato tanto animatamente. Certo era che non le erano stati regalati, ma aveva sofferto, aveva sperimentato torture di ogni tipo sul proprio corpo e nella propria mente, prima di ottenerli. Per questo, si sentì vagamente fuori posto alle sue parole e ci tenne a farglielo sapere, che non era così superficiale come poteva sembrare.
    Io... non credo proprio di poter capire cosa significhi avere dei poteri come i tuoi. Puoi saperlo solo tu. Così come quello che hai passato. Fece una pausa. Forse non avrebbe dovuto continuare il discorso, avrebbe dovuto semplicemente tagliarlo lì. Mi rendo conto solo adesso che non deve essere stato facile, i laboratori, gli esperimenti, le lezioni. Non...non oso immaginare cosa tu abbia passato. E mi dispiace di aver esaltato il potere con così troppa leggerezza. Ci teneva davvero a farglielo sapere.
    Okay, aveva trovato un altro punto in comune con lei: entrambi sembravano volersi concentrare solo sul lato positivo del cose. MA FERMI TUTTI! Per quanto riguardava sè stesso, il McPherson era il pessimismo fatto persona, eh. Solo, vedeva il lato bello delle cose quando queste non lo riguardavano. Aveva visto il lato positivo di essere una special, senza rendersi conto che il risvolto della medaglia era terribile, e probabilmente avrebbe dovuto oscurare tutto il resto.
    Comunque, continuava ad invidiarle il potere dell'invisibilità, per ovvie ragioni. Certo, se avesse posseduto quel potere, probabilmente loro non si sarebbero mai incontrati e non avrebbero mai chiacchierato così, perchè lo avrebbe utilizzato per non farsi scoprire, una volta rotolato a terra sul retro del locale.
    Quando sentì che era tempo di congedarsi, si alzò dalla poltrona, aiutato dalla ragazza che lo tirò su dalle mani. Le sorrise, quando lei si presentò con il suo vero nome, fingendo di non saperne niente. E' un bellissimo nome.
    Magari un giorno le avrebbe chiesto anche il significato, ma in quali vesti?
    L'inquietudine che governava il suo cuore ad ogni passo verso il camino, sembrava mozzargli anche il respiro. Non era stato sincero, con lei, mentre lei si era aperta del tutto o quasi con lui. Si sentiva un mostro, Gideon, e probabilmente era molto vicino ad esserlo. Ma giurò a sè stesso che avrebbe fatto di tutto per rimediare a quella situazione. Prese un po' di polvere volante dalla mano di Narah. Avrebbe tanto voluto rimanere per guardarla ballare, convinto che la grazia che sembrava possedere si sarebbe espressa in tutto il suo splendore. Allora, in bocca al lupo per lo spettacolo! Cos'altro dirle? Arrivederci? Ci vediamo? Non si sarebbero viste mai più, questo era ovvio. O meglio, Narah non avrebbe più visto Guinevre. Sono sicura che sarà fantastico e...grazie per il ghiaccio.
    Chissà se lei riusciva a scorgere la tristezza nel suo volto, nella sua voce, in tutto. Perchè sì, era terribilmente triste, all'idea di non rivederla più sotto quelle vesti. Era triste per averla ingannata, malinconico per averla fatta aprire e non aver ricambiato la cosa, nostalgico perchè si era trovato bene, con lei. Per tutto, accidenti! Fu con questa consapevolezza, che lasciò il camerino del Lilum: sapendo di aver perso un'amica. Una bella persona.
    Si era ripromesso di non creare legami, aveva fallito.
    Tenendo stretta la felpa nera in una mano, buttò a terra la polvere con l'altra, pronunciando la sua destinazione.
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