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.“Non sono qui perché tu mi faccia una lezione di vita.”
Le iridi ghiaccio dell’uomo si soffermarono su quelle scure del suo interlocutore. Era, in un certo qual modo, infastidito dal suo atteggiamento saccente e dall’aria di superiorità che gli stava rivolgendo. Portò una mano tra i capelli, scombinandoli appena, consapevole del fatto che le ciocche sarebbero tornate al loro posto naturalmente, quasi non potessero assumere una forma diversa o schizzare in ogni direzione. Era sempre, da sempre, perfetto. Era addirittura riuscito a non restare sfigurato quando la madre, scoperta l’ereditarietà della sua malattia, aveva tentato di ucciderlo: di quel giorno era rimasta una cicatrice sul volto, quell’unica fossetta che gli segnava la guancia quando le sue labbra si tendevano in uno dei suoi sprezzanti sorrisi.
“Per la cronaca, non ho infranto nessuna regola.” Seguì un suono particolarmente acuto e, grazie ai suoi riflessi, si spostò di lato evitando di essere colpito. Gettò un pezzo di pane a terra, esasperato. “Ehi. Non c’è scritto da nessuna parte che io mi sia ammorbidito sol perché sia andato oltre la quinta uscita, non si va ad Azkaban per questo.” Avrebbe voluto aggiungere che si va in prigione per molto meno, ma non voleva intavolare una conversazione che andava a toccare i massimi sistemi del mondo magico. Non ne aveva le forze, né la voglia. Doveva solo sfogarsi e quello era l’unico modo per farlo senza essere giudicato, o così credeva. “No, non è una bambina.” Sì, tecnicamente lo era. “… e, soprattutto, non vanta l’esclusiva.” Poteva anche essere uscito più volte con la bionda, poteva dire che provasse una sorta di piacere perverso nell’essere sedotto da una ragazzina, nel vederla lottare per non cedere il controllo, per non lasciar trasparire nulla in quel gioco al comando che stava caratterizzando le loro uscite (no, non appuntamenti, erano entrambi troppo orgogliosi da ammetterlo). Era sfacciato, Alister Black, tanto quanto la Serpeverde che entrava nell’ufficio col solo intento di spogliarlo. Era sfrontato, perché non si faceva scrupoli nel relegarla sotto la scrivania, né quando si trattava di provocarla in pubblico, di scoprire quali fossero i suoi limiti per vedere se fosse in grado di superarli, se fosse in grado di affrontare la fame di Alister e, soprattutto, quella del lupo. Se Heather sapesse della sua malattia? No. Non era così stupido. Le bastava sapere che ci fosse per una scopata, per una cena o una bevuta al bar. Ammesso non fosse impegnato in altro. Perché proprio lei? “È un piacere da guardare,” La Morrison rispecchiava i suoi canoni di bellezza: minuta, i seni ben proporzionati e sodi, molto curata e con un fisico tonico. “ha piena consapevolezza del suo corpo e sa come usarlo.” Per provocare, sedurre, far godere.. Il che non era scontato, soprattutto a quell’età. “E potrebbe essere utile per far fuori la vecchia... Non nell’immediato, sia ben chiaro.” Aggiunse immediatamente dopo, con una scrollata di spalle. In realtà, c’era un altro dettaglio che non riusciva ad ammettere ad alta voce, perché sarebbe stato aggiungere troppo, sarebbe stato come esporsi, caratterizzandola, dandole un giudizio più personale: era intelligente e non era mai banale, scontata. Sapeva come tenere alta la sua attenzione, e non solo quello. Era sveglia, stakanovista e con un’ambizione che, sicuramente, l’avrebbe portata lontano. Questo, se da un lato la rendeva pericolosa, dall’altro lo intrigava. Se avesse mai sentito il desiderio di conoscere il buco che si fotteva? No, ma, a quanto pare, ci sono sempre le eccezioni.
Senza contare che no, Berenix era ancora troppo utile per toglierla dai giochi, era una protezione che gli faceva da scudo, ma non per questo non poteva regalarle un infarto presentandosi a una cena di famiglia con una neo diciottenne, accusata di aver preso parte a una mini rivolta a scuola finita in semi-tragedia. Avevano dato parecchio da fare al Ministero per insabbiare la questione, ma erano una macchina ben rodata, pronta a manipolare la mente dell’opinione pubblica, portandola sempre a loro favore. Sapeva del marchio sul polso della ragazza e, soprattutto, che lei era troppo intelligente per farne menzione, primeggiando tra i tirocinanti cacciatori e cancellando, man mano, il motivo per cui, in principio, fosse stata mandata lì.
“Tornando al motivo per cui sono qui…” Allungò le gambe prima di sporgersi in avanti, le braccia incrociate sulla ringhiera, lo sguardo incuriosito. “… come va con Gianna? L’ho vista un po’ nervosa prima. Dici a me, ma anche tu dovresti fare delle scelte, non puoi continuare a… vivere arcobaleno? Devi renderti utile alla causa, lo devi alla tua specie!” Sospirò piano, spostandosi per evitare di venire beccato dritto sulle labbra per aver portato nuovamente alla luce il discorso in via d'estinzione. “Sì, lo so. Sono bellissimo, ma abbiamo, come dire, problemi di incompatibilità di specie. Io lupo, tu struzzo, sai com'è... Tuttavia, sono più che convinto che il nostro amico Percival sia più che elettrizzato all’idea di farsi un altro giro con te.” Posò una mano sul becco dello struzzo, accarezzandolo piano, ruotando di poco il suo muso per osservare al meglio il riflesso nei suoi occhi di pece, le dita nascoste dal suo corpo strette attorno alla bacchetta. A quanto pare, avevano visite.
“Ti do tre secondi per dirmi chi sei, cosa vuoi e, soprattutto, da quanto sei qui.” Si voltò piano, il sorriso ferino che prometteva solo tempesta e che non smorzava la sottile minaccia. Quella vera, in fondo, stava per arrivare. “Se non lo fai, beh, Carlo I non vede l'ora di ridurti in poltiglia.” Perché negare il divertimento a quello che, dopo San Valentino, era a tutti gli effetti il suo nuovo migliore amico?Silent secrets, quiet hands
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BlackSPOILER (clicca per visualizzare)La role è ambientata al Carrow's District, vicino le gabbie degli struzzi magici, nello specifico di Carlo I.
Chi è Carlo I? Un attore non protagonista dell'Oblinder, nonché fido destriero montato con maestria da Percival per raggiungere il pub Testa di Porco e, soprattutto, nostro caro amico.
Edited by b l a c k w o l f - 9/4/2019, 22:39. -
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.Lo sguardo di ghiaccio si posò sulla donna - dai, la si poteva già considerare una MILF! - davanti a lui, mentre la presa sulla bacchetta si faceva più leggera. Tra tutte le persone che avrebbe potuto incontrare, di certo non si sarebbe mai aspettato di vedere lei alle sue spalle. Il frutto proibito, come amava tanto chiamarla Berenix Black ogni volta che era costretta, per necessità, ad accompagnare il nipote in America per passare del quality time con l’altra parte della sua famiglia. La feccia, per essere educati.
Alister ricordava nitidamente il giorno in cui la donna scoprì che anche il più piccolo dei figli della sorella di Eva Parker fosse un lupo mannaro. La vide cambiare volto in quello di una megera, minacciando la distruzione degli Hilton a chiunque, in quel momento, fosse nel raggio di 10 miglia. Era per colpa loro se il buon nome della sua famiglia rischiava il declino, per quell’omissione che anni prima avrebbe fatto sì che nessuna unione fosse celebrata. Perché un licantropo, nella sua famiglia, era un’onta troppo grande da poter sopportare.
Tuttavia, era comunque una donna che aveva fatto della strategia e della lungimiranza i suoi punti di forza e, se avesse potuto, avrebbe colto ogni minima debolezza di quella famiglia per ridurli al lastrico, uno dopo l’altro, fino a farli completamente estinguere.
Per questo aveva fatto sì che Alister coltivasse e mantenesse i rapporti con i suoi cugini, impedendo però che questi fossero estesi agli altri membri della famiglia di americani, troppo yankees e rozzi per i suoi gusti raffinati. Troppo alternativi e fin troppo filo-babbani per i gusti della Purosangue. Rischiava la contaminazione, capite? Rischiava di essere additata dall'elite magica come la donna che non solo non aveva permesso che suo figlio scopasse con una puttanella qualunque, dando così alla luce a un essere immondo, ma che avesse anche contatti con chi nella loro piramide sociale fosse ben sotto le fondamenta. Berenix conosceva anche le tendenze del nipote, la sua smania di sentirsi grande, quella superiorità innata che lo spingeva a pretendere che tutto gli fosse dovuto, che ogni cosa su cui poggiasse lo sguardo gli appartenesse. E lo aveva visto, in passato, lo sguardo dell’adolescente assottigliarsi davanti a una Hilton qualunque, forse la più intelligente, ma non di certo abbastanza da farla spiccare tra tutti gli altri. Perché per Nonna Black erano tutte uguali, tutte identiche, tutte pedine che potevano essere sfruttate a suo piacimento. E lei, beh, lei semplicemente non voleva che la bestia si calasse i pantaloni in una stalla qualunque, dando vita a uno scandalo che avrebbe voluto evitare, soprattutto perché non sarebbe servito a nulla. Anche perché poi, il tempo, le avrebbe dimostrato quanto quella ragazzina fosse veloce a sfilare i propri slip e a darsi al primo riccone di turno. Brillante sì, ma ingenua al punto da restarne scottata.
Berenix Black aveva altri piani per Alister e, in questi, non c’era spazio per la scialba Philadelphia Sutton Maribel Soledad Hilton.
“Non credo, sai? Yale morirebbe pur di passare del tempo con Carlo I. Letteralmente.” Inclinò la testa di lato, studiando la figura davanti a lui, soffermandosi sui suoi lineamenti(eh, è proprio vero: non c’è cosa più divina che scoparsi la cugina [di chi? Boh, una a caso])storcendo appena il naso al pensiero che il cugino potesse allungare le sue mani su una creatura tanto intelligente e perfetta come il suo struzzo magico. A Yale, in fondo, era stata destinata una gallina e questo la diceva abbastanza su quale fosse il suo posto nel mondo: ovvero sotto le zampe di Carlo, non sulla sua regale groppa.
“Lui è il migliore.” Sorrise appena, rivolgendo quello che poteva essere tranquillamente definito un buffetto affettuoso, ma che noi chiameremo virilmente bro fist sull’ala del pennuto. “Tra gli struzzi magici presenti in questo zoo, lui è il piùaggressivoveloce e… Mh?” Avrebbe continuato a parlare del suo BFF per ore, se non fosse stato per l’interruzione di Pennyou’re so rude!!!e per l’entusiasmo di quella scoperta che… davvero… non capiva. “Io?” Domandò perplesso, la confusione visibilmente palese sul suo volto e le sopracciglia aggrottate nell’invano tentativo di seguire il filo logico nascosto tra i pensieri della ragazza.
Ammesso ci fosse della logica.
Ammesso ci fossero dei pensieri.
“Credo di avere anche un nome, sai?” Portò una mano al petto, melodrammatico. “Mi ferisce che tu lo abbia dimenticato.” Feriva più il suo orgoglio, il fatto che la sua presenza non fosse rimasta impressa in maniera indelebile nella mente e nei ricordi dell’americana, ma c’erano ben altri modi, ben più piacevoli, per ovviare a questa mancanza.
“Nah, è stato un colpo di fulmine.” Rispose, seguito da un verso orgoglioso e da un’arruffata di piume da parte di Carlo, gli occhi dello struzzo leggermente lucidi al ricordo di come si fossero incontrati e dell’epico momento in cui Percival, il suo fido cavaliere, aveva vinto la sua personalissima battaglia contro l’insegna della Testa di Porco.
Tuttavia, c’era una domanda che ronzava nella mente dell’uomo e un dettaglio che non riusciva davvero a ignorare.
“Da quando, invece, una Hilton si è ridotta ad essere una sguattera? A meno che tu non abbia deciso di bruciare completamente il tuo futuro.”e diventare una MILF per accrescere il mercato di Harvard.Silent secrets, quiet hands
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Black
Edited by b l a c k w o l f - 3/12/2019, 00:40. -
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.Alister Black non aveva mai avuto peli sulla lingua. Poteva averli ovunque, soprattutto nei giorni in cui la sua malattia si manifestava in tutta la sua brutalità, ma non era il tipo di persona che si sarebbe mai potuta fare il benché minimo scrupolo. Era tutto studiato, calcolato, tutto faceva parte di quel grande gioco per combattere la noia. Oscillava tra il desiderio di deridere e umiliare il prossimo e quello di torturare senza mostrare un briciolo di pietà il primo Special che gli capitava a tiro, semplicemente perché poteva. Perché il licantropo, per quanto inferiore, per quanto costantemente messo davanti al fatto che fosse soltanto una bestia, era sempre una spanna sopra gli altri, sempre tre passi avanti a tutti. Conosceva le regole, il bon ton, qualsiasi altra stronzata gli avessero insegnato e inculcato fin da quando era bambino, e per questo motivo provava un piacere quasi viscerare nell’infrangerle, nel vederle sgretolare davanti ai propri occhi, solo e soltanto per puro diletto. Avevano sempre additato quelli della sua categoria, aveva sempre puntato il dito contro quelli della sua stessa specie, con la consapevolezza di puntarlo contro sé stesso, contro quel ghigno beffardo che l’immagine riflessa nello specchio gli rimandava. Odiarsi non faceva altro che aumentare il desiderio di rivalsa. Odiarsi era solo un modo per andare avanti e alimentare quei bassi istinti che giustificavano ogni azione, anche la più becera. Era un circolo vizioso, una spirale che non faceva altro che sprofondare sempre più in basso, che scavava oltre il fondo, fino a nuovi livelli di brutalità e bestialità. Tutto per provare qualcosa che non fosse noia. Tutto per provare qualcosa. Punto.
Il cinismo e il nichilismo avevano svuotato i suoi occhi, raschiando via quel poco che era rimasto della sua anima, facendo di quel corpo così perfetto, eppure così profondamente danneggiato, un guscio vuoto che, col tempo, era stato riempito da ogni vizio. Li aveva tutti, Alister Black, e non riusciva a farne a meno.
Nessuno diceva niente, nessuno era in grado di poter metter bocca nella sua vita, in quelle abitudini che racchiudevano e rappresentavano ogni eccesso. Poteva essere nato lupo, certo, ma al mondo aveva sempre omesso quel dettaglio, mostrandosi per quello che gli altri volevano vedere: un Ministeriale, un Mangiamorte, un Purosangue, un Black. Era quello il suo lasciapassare, era quello il motivo e la ragione per cui tutto, ogni cosa, gli era ampiamente concesso. Anche la risata caustica che fuoriuscì dalla sua bocca, pregna di disprezzo.
“Cafone. Sul serio? È questo il meglio che sai fare, principessina?” Caricò quell’appellativo con una punta di sarcasmo, guardando la Hilton dall’alto verso il basso. Aveva sempre considerato la Hilton l’unica con la mente più acuta e affilata e, in tutta onestà, odiava sbagliarsi. Eppure, la donna non gli lasciava altra scelta. Spostò le iridi di ghiaccio sul bambino, osservando la sua figura paffuta e… infantile, chiedendosi cosa la gente ci trovasse di particolarmente interessante in quelle creature incapaci di intendere e di volere, utili esclusivamente a gonfiare il proprio ego, classificabili al pari delle fidanzate trofeo da mostrare agli amici: ugualmente rumorosi, bisognosi di attenzioni e a lungo andare particolarmente irritanti.
“Il tuo futuro? Wow. Entusiasmante. Dopo questa frase ad effetto vuoi il premio come madre dell’anno? O un applauso?” Batté piano le mani, con una lentezza quasi estenuante, le sopracciglia sollevate in un’espressione fintamente entusiasta. Chi fosse lui per giudicare la vita altrui? C’era davvero bisogno di un titolo per doverlo fare? Doveva conseguire una laurea? Titolo di studi: criticatore seriale. “E in che modo pensi che Mr Pannolino possa gratificarti? Parlate tanto di girl power e poi? Poi siete le prime a inginocchiarvi per un passeggino.” Perché, in fondo, era quello il loro posto, era quello l’ordine naturale delle cose.
C’erano argomenti che lo Stratega non avrebbe mai potuto comprendere, legami che non aveva mai vissuto sulla propria pelle. Non c’era stato calore nella vita del lupo, neanche quando faceva parte di un branco. Era sempre stato un sottoposto, mai del tutto padrone della sua vita. Qualcun altro aveva sempre deciso per lui, muovendo così i fili di quella marionetta che altro non era l’ex-Serpeverde. Non gli era mai stato concesso neanche il lusso di credere che non ci fosse qualcuno a tenerlo stretto per le palle, mai manipolato abbastanza da fargli credere che effettivamente desiderasse ciò che chiedeva, ciò che aspirava, ciò che ambiva. Era quello il suo gioco, quel cappio che si stringeva attorno al suo collo fino a quasi perdere il respiro, rendendosi conto in questo modo di quanto tutti, in realtà, fossero schiavi di qualcosa o di qualcuno.
Si spostò in avanti di qualche passo, quel tanto necessario da abbandonare la ringhiera e trovarsi davanti al passeggino in cui vi era il bambino, allungandosi quel poco che bastava per sfiorargli il dito con il dorso del dito.
“Patetico.”Silent secrets, quiet hands
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Black. -
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.Doveva batterle le mani? No, davvero, Alister era quasi, quasi, commosso dal discorso di Pennsylvania Soledad Maribel Sutton Hilton. Sentiva il liquido lacrimale condensarsi all’angolo dell’occhio, diventare quasi grande abbastanza da scivolare giù, lungo il profilo squadrato dell’uomo. Diamine, era bastato così poco per fargli cambiare idea, quell’appellarlo un campagnolo ad essere così rivelatorio.
Avrebbe dovuto seguire prima i reality show sugli Hilton solo per comprendere appieno il percorso catartico di Penn e poterne gioire con lei. Si sentiva così… così… blessed a respirare la sua stessa aria, a condividere con lei quell’ambiente così angusto che a stento riusciva a contenere la magnificenza della Hilton. Anche lei al terzo giorno era risorta dal pisolino di bellezza? W o w! So impressed. Allora era davvero una cosa da tutti. Perché, in fondo, al Black non interessavano quelle parole dozzinali, quel recitare a memoria la parte di un copione che ogni neo mamma era fiera di esibire ovunque. Erano solo parole, vuole e prive di ogni significato. Il concetto di maternità era talmente estraneo al Black che non faticava a vedere la Hilton, di lì a pochi anni, annegare nell’alcol i dispiaceri che Bang le avrebbe procurato. Se fosse stata fortunata, se avesse continuato ad avere abbastanza soldi per pagare un intero staff di tate e bambinaie, forse avrebbe evitato al piccolo numerosi traumi, forse non avrebbe mai avuto l’istinto di ucciderlo, così come non si sarebbe mai abbandonata ad esso.
Alister avrebbe voluto avere quella fortuna. Forse quella di morire, ma anche quella di non essere una delle cause della depressione della propria madre. Inutile rivangare il passato, certo, ma l’immagine di una madre felice lo disgustava. Oscillava tra la pena per il bambino e il biasimo della madre, giungendo sempre alla conclusione che avrebbe preferito la castrazione al dover fottersi una milf. Moda ormai già passata, bisognava tenersi aggiornati.
“Bla, bla, bla.” Fece il verso alla Hilton non tanto perché fosse immaturo, quanto perché riteneva ogni sua sillaba l’ennesima stronzata detta da chi ormai ripeteva ormai le stesse cose a chiunque per auto-convincersi che il proprio bambino avesse reso il mondo un posto migliore. “Stronzate”, sempre la solita stessa, inutile, solfa che non faceva altro che fargli scoppiare i coglioni.
Le iridi fredde si poggiarono sul suo dito, osservando le labbra del piccolo stringersi attorno al suo dito. Avrebbe potuto tirarlo via talmente forte da strappargli il dentino, avrebbe potuto sfregiarlo per l’affronto, avrebbe potuto ponderare l’idea di maledirlo e di strapparlo così dalle braccia della Hilton, ma non fece niente di tutto questo. Restò fermo, immobile, fino a quando il bambino non si stancò del suo sapore – davvero non capite niente in questa famiglia, eh? - e: “Insegna l’educazione a tuo figlio, o dovrà farlo qualcun altro.” Asciugò l’indice sulla stoffa dei pantaloni, portando lo sguardo a incrociare quello di Pennsylvania. “Nessuno vorrebbe un altro Yale in famiglia.” Non lui, almeno. E poi… che disgrazia, già uno era abbastanza rumoroso da non far desiderare a nessuno che trovasse il modo di riprodursi… o duplicarsi. “Non sono io a correre rischi. Ma è vero, non si sa mai da chi può essere morso.”
Perché se Bang era certo non attaccasse la rabbia, lo stesso non si poteva dire col Black e la licantropia.
In fondo, nulla vietava che il piccolo Hilton potesse ululare insieme a lui alla luna.
“Vigilanza costante.”
E, con uno schiocco sonoro, Alister svanì.Silent secrets, quiet hands
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