Beaver dad tell me a story

Ham x Al

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    E così che il baldo giovane arrivò sul cavallo bianco per poter salvare il suo amato. Aveva conosciuto il principe in un castello, era stato un colpo di fulmine, almeno per il baldo giovane. Si era presentato e....
    «Cazzo»
    «Shia Ryan Hamilton II» quando sua madre lo chiamava col nome intero non era mai un buon segno, voleva dire che aveva fatto qualcosa che non doveva o, come in quel caso, quando diceva le parolacce; odiava quando il ragazzo imprecava e lui lo faceva praticamente tutti i giorni. Quella volta gli era uscito così spontaneo, ma capitelo, il libro del baldo giovane cambiava più spesso di quanto Lele cambia presta volti ai propri pg e questo lo stava mandando fuori di testa. Amava quel libro ma ogni giorno qualche pagina diventava bianca e vederlo sparire senza che potesse fare niente lo faceva sentire impotente e lui non lo era mai stato. A buon intenditore....
    «Le pagine stanno diventando bianche!» disse Ham, perché così si faceva chiamare e non come il suo avo, che comunque adorava, ma insomma quel nome era così da vecchio mentre Ham era da figo capite.
    «Ancora con questa storia, è un vecchio libro, ci sta che sia rovinato.»
    «Madre tu non capisci! Il miglior ricordo che ho di mio zio è qui. E sta sparendo, sicuramente è colpa degli stranieri» il biondo era sconvolto ma a sua madre non sembrava importare eppure doveva allarmarsi, la storia delle loro famiglia stava scomparendo. «Shia «Ham» Shia. Devi smetterla con questa storia. Il libro è solo un libro.»
    «Io esco.» non ascoltò neanche le parole che la madre gli aveva riservato, non era importante in quel momento quello che aveva da dire, non si meritava la sua attenzione, aveva sminuito “le avventure del baldo giovane” considerandolo semplicemente un libro, quando era evidente che quello era il lascito di suo zio; anche suo nonno glielo diceva e pure il padre del padre. Insomma era un cimelio di famiglia e sua madre non lo apprezzava, era davvero molto deluso dal suo comportamento.

    Un volo e forse pure qualche giorno dopo
    Era arrivato a Parigi da qualche ora o forse di più, diciamo che da quando era atterrato era passato del tempo ma non aveva tenuto il conto; aveva persino dimenticato il motivo per il quale era partito. Gli piaceva quel posto, era decisamente più calda di Londra e iniziava a domandarsi come mai vivesse ancora nella terra più piovosa d'Europa se il sole era quello a cui era destinato, magari doveva cambiare casa. Perché ancora non lo aveva fatto, vi chiederete (ma anche no). Forse perché era solo un diciottenne che non sapeva come andava davvero il mondo, troppo preso a drogare gli altri. Già, il ragazzo aveva il potere di creare gli acidi e di quel dono ne aveva fatto un business dall'età di 15 anni e stava fruttando davvero molto bene, aveva una vasta clientela di tossici che andavano da lui per farsi toccare. E no, non in quel modo quindi smettila di pensare male perché lui non toccava le persone come avrebbe fatto suo zio; per lui era solo un lavoro e drogare lo stava arricchendo, quindi per il momento non avrebbe fatto altro.
    Alla fine però era arrivato a destinazione, cioè presso villa Leonard, niente da dire al riguardo, perché lui era un Hamilton e in quanto tale, il lusso era nel suo dna. Suonò alla porta, domandandosi se la foto che aveva in mano corrispondesse alla realtà. Ma, come faceva ad averla? L' aveva trovato in un baule insieme al libro di nonno Hamilton, un giorno in cui non aveva voglia di stare coi parenti; a volte erano così chiassosi. Chiedendo in giro aveva capito che quelli nella foto erano Sin, Al e Shia, ma l'immagine era così sbiadita che a stento si vedevano i volti. Questo non lo aveva fermato però, aveva deciso comunque di tentare e poi non avrebbe creato danni. Forse; ma il biondo voleva sapere come mai quel vecchio libro stava diventando sempre più scarno di storie ed Aloysius era lì, avrebbe chiesto direttamente a chi c'era nelle storie. chissà se era come veniva descritto nei libri #wat, pensò mentre un'ombra si parò davanti a lui, quando la porta si aprì.
    Fece un grande sorriso alla persona davanti a lui «Ciao. Sono Shia Ryan Hamilton II, ma per gli amici Ham e sono qui perché ho bisogno di parlare con Aloysius Crane.» chissà chi gli aveva aperto la porta, forse proprio lui, ma la verità era che lui era poco fisionomista e poteva essere lui come no.


    "Perfection is reached not when there is nothing more to add, but when there is nothing left to take away."
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco

    Ham

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    aloysius angus crane
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    Teneva gli occhi chiusi, il Crane, l’indice ed il medio a premere sulla tempia dolorante; al «mi stai seguendo?» di Leonard Hamilton, sputato con più scazzo e sufficienza di quanto fosse necessario e consono, nemmeno ritenne opportuno schiudere le palpebre per osservare, fosca e confusionaria, la bacheca preparata dall’ufficiale. Non lo stava decisamente seguendo, e scuotendo la testa glielo fece notare – anche se, immaginava fosse già abbastanza evidente. «intendi farlo?» la risposta onesta, sarebbe stata un bel no, tanto secco e convinto da non lasciare adito a riprese: voleva farlo, davvero, ma era più difficile del previsto – ed “il previsto”, era che tutto fosse estremamente facile. «mh mh» grugnì invece, annuendo piano e portando le iridi verdi sull’uomo. Almeno in teoria: Gesù Cristo, era colpa di Sin se improvvisamente sentiva l’impellente bisogno di un paio d’occhiali da vista? Era diventato così vecchio? Si dette un paio di schiaffi sulle guance, coperte da una sottile barba dorata, nel tentativo di darsi un contegno – e, soprattutto, una svegliata.
    Ci riuscì? Niente affatto.
    Si notò? «stai una merda» beh, prendiamolo come un enorme . Non che potesse in alcun modo obiettare le parole del padrone di casa: Aloysius non ne faceva un segreto, del proprio e pessimo stato di salute, sebbene cercasse sempre di farlo notare il meno possibile. Soprattutto dentro casa, laddove avrebbe potuto tranquillamente crogiolarsi nella sofferenza di non avere il fratello e Shia al proprio fianco, rotolandosi nel suo malessere fisico ed esistenziale fino a che la fine dei suoi giorni non fosse giunta; c’erano le bambine, e Dio solo poteva sapere quanto poco avesse voglia di stare male di fronte a loro: che non fosse il loro vero padre, non cambiava il fatto che voleva essere per loro una figura di riferimento – almeno, fino a quando ne avesse avuto l’opportunità; anche senza che Amalie gli rivelasse che, nella sua realtà passata, una famiglia la erano stata sul serio. Le aveva viste nascere, ed era affezionato a loro ancor prima di poter assistere all’evento.
    Aveva permesso che sua figlia finisse nel fottuto Far West, ed aveva lasciato River nella loro Londra senza un papà a crescerlo: non era evidentemente tagliato per fare il buon genitore, ma che costava provarci?
    Non poteva abbandonare anche loro, anche Maeve. «credo di aver bisogno di alcol» spontaneo lo sbuffo a sgusciare tra le labbra, il palmo della mano a premere sulla faccia, ignorando il fatto che «non avevi smesso?» aveva smesso. Tragico, davvero: si era limitato ad un paio di birre la settimana, e senza l’imposizione di nessuno; assurdo, non ci credeva nemmeno lui. Un po’, vuoi perché l’alcol francese gli faceva un po’ schifo – armagnac, cognac, vi prego uccidetemi -; un po’, perché non era sicuro che con la morte in corso fosse il caso di ubriacarsi. Prima o poi avrebbe spirato, e nei suoi sogni di gloria sarebbe finito in un coma etilico, ma… ecco. Voleva evitare al Sinclair e all’Hamilton un decesso per cirrosi epatica – anche perché Shia nemmeno poteva bere; oltre al danno, la beffa. Anche per le gemelle, certo: Run era già un’alcolizzata, nel biberon di River aveva più volte corretto per errore il latte con del whiskey – ancora si chiedeva, sulla soglia dei trent’anni d’età, come avesse fatto a sbagliare così tanto - e, se aveva preso anche lui dal papà, gli dava una decina d’anni prima della sbronza sverginatrice; Lewis e Carole non condividevano, per loro immensa fortuna, lo stesso patrimonio genetico marchiato Crane, e potevano ancora essere salvate dalla nefasta influenza dell’uomo. Il francese schioccò la lingua sul palato, le palpebre pesanti a rendere il suo sguardo una mezzaluna di stanca rassegnazione color cioccolato e le braccia incrociate al petto. «ascoltami, io voglio davvero aiutarti,» non mentirò, dicendo che la calata della voce diede ad Al l’impressione di quanto tutto quello gli pesasse: sorvolò, talmente abituato a convivere con degli Hamilton ventiquattro ore su ventiquattro da sapere quanto in realtà fossero delle patate, solo un po’ scorbutiche – e sadiche, certo; effetti collaterali. «ma se non ti impegni ad imparare tutte le leggi che devi quantomeno rispettare tu per primo» a quanto pareva, ammanettare gente a caso solo per il gusto di farlo non era molto legale - soprattutto quando al Capo non lo dici, e ti trascini un povero innocente fino alla centrale. Almeno poi si era rivelato essere uno spacciatore di Cullen, quindi non era andata poi così male. Anche se, ad Al, lo avevano comunque ammonito; dov’era la giustizia? «mi metti in difficoltà nel prendermi la responsabilità di averti come agente in prova.» severo ma giusto. Il Crane strinse le labbra tra loro, piegandone gli angoli appena verso il basso: non aveva nulla da dirgli in sua discolpa. «forse devo soltanto riposarmi un po’, se non è un problema» «levati subito dalle palle» che, tradotto dall’hamiltoniano all’inglese, voleva dire: “sì certo, figurati caro! vai pure a fare una dormita, non preoccuparti!”
    Li si amava così.
    Scivolò fino alla stanza delle gemelle, tappa obbligatoria del Crane prima di fare qualsiasi spostamento; non aveva idea di dove fosse Maeve – al bagno? aveva un lavoro? chi lo sa: non Al o forse lui sì, è Lele ad essere confuso -, e controllare che fossero vive oh, chi voglio prendere in giro, qui non si sa mai vive era il minimo che potesse fare. «no cucciola, non piangere» per favore. Prese subito dalla culla Carole, che chissà per quale motivo aveva iniziato a lamentarsi. «spero solo tu non abbia fame, non posso allattarti» la Winston aveva bocciato il prototipo di seno maschile per far allattare gli uomini che aveva brevettato (Robert De Niro in Ti Presento i Miei) con Eugene, quindi eh, niente latte.
    Esattamente, non seppe cosa successe in seguito: dal prendere la bambina al sdraiarsi sul letto con lei sul torace, era stato un tutt’uno; aveva chiuso gli occhi ancor prima di poter realizzare che con il proprio battito aveva calmato la neonata.

    «al?» «ggggg» quanto era passato. Un’ora? Un giorno?
    No, dieci minuti: si sentiva un po’ un gen z, con quel troppo poco tempo di power nap a donargli morte dell’anima ed adrenalina pura. Chissà come funzionavano, i ragazzi (male). «ti cercano» ma chi? Uno: chi aveva parlato – Maeve? Amalie? Leonard? Chi altri viveva dentro quella casa?
    Ma soprattutto, chi poteva mai cercarlo. «mi hanno scoperto?» ??? per cosa. Chi lo sa – ancora, non lui. Strinse Lewis al petto nel tirarsi su come uno zombie nel video di Thriller, cercando di non svegliarla nemmeno nel riporla nuovamente nella culla assieme alla sorellina.
    Se solo avesse saputo, Aloysius Angus Crane avrebbe finto di non esserci in casa; col senno di poi, avrebbe saputo che trascinarsi fino alla porta d’ingresso della villa era una pessima idea – che gli si sarebbe spezzato il cuore, di lì ad un mese. Che avrebbe fatto male. «mi cercavi?» purtroppo, per fortuna!, non aveva il dono della chiaroveggenza. Studiò dalla testa ai piedi il giovane, le sopracciglia corrugate e lo sguardo un filo di giada a scrutarlo. «hai un je ne sais quoi di familiare» si morse le labbra, cercando di capire.
    Nemmeno ci si sforzò troppo: già detto che aveva appena dormito dieci minuti e non sapeva nemmeno com’egli stesso si chiamasse? Lo ripeto. «beh, che fai? entra» si scansò dalla porta così che potesse valicare la soglia, infilandosi una Marlboro tra i denti prima di precederlo lungo il corridoio e portarlo… da qualche parte. «sono io al, comunque» sia mai. «posso fare qualcosa per te?»
    They say I should be a strong man
    But baby, I'm still filled with fear
    Sometimes I don't know who I am
    Sometimes I question why I'm here
     
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