[oblinder] Love Me Like You Do

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    accipigna
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    Siete pronti per un appuntamento FA-VO-LO-SO-H?
    Certo che sì! Altrimenti non sareste stati così disperati da rivolgervi a noi! Se non lo avete fatto, potete comunque star certi di essere dei casi quasi persi o, più plausibile, che non siate al corrente di quanto la vostra situazione sia effettivamente TRAGICA!
    Tranquilli, la nostra agenzia per cuori solitari è quello che fa al caso vostro, armata delle peggiori migliori intenzioni e delle ultime tecnologie per far tornare a battere il vostro ancora per poco cuore!
    [prompt #1] Il giorno di San Valentino, un esercito di Eros Piumati (ibridi magici potenziati) viene liberato nel mondo magico per far scoppiare l’amore in ogni angolo del Regno Unito e far trovare a ognuno la propria anima gemella! I simpatici volatili si illuminano ed emettono un suono particolarmente insistente quanto più questa è vicino. Troverete una pergamena attaccata alla loro zampa, sulla quale verrà indicato il luogo dell’appuntamento non appena anche l’altro uccello avrà compiuto la sua magia MLMLMLML
    Potete:
    - Esservi recati di vostra spontanea volontà da Mara Myoncki e Christian Maljoeyo e aver ricevuto in anticipo la pergamena con il luogo dell’incontro non appena avvenuto il match;
    - Essere stati iscritti da qualcun altro in agenzia;
    - Essere stati colpiti in pieno dall’Eros Piumato.
    E ALOOORA! Datevi una mossa che con questa ricerca dell’amore ci avete rotto i maroni!
    bancone
     
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    Iscriversi a quell’evento era stata, senza ombra di dubbio, una delle scelte peggiori e tra le più compromettenti che Brandon Keith Lowell avesse mai preso in quasi trentaquattro anni di vita, e per così tanti motivi che se si fosse fermato ad enumerarli uno per uno sul proprio taccuino, a serata conclusa ancora non avrebbe finito di scrivere la lista. Primo tra tutti, che ve lo dico a fare, il fatto che fosse ancora ricercato dall’intero Ministero della Magia britannico in quanto pericoloso fuggitivo: era quasi un anno oramai che era costretto a vedere, in qualunque forma decidesse di vivere la propria giornata, la sua faccia dipinta su di una pergamena, ed una taglia per la sua cattura stampata a caratteri cubitali sotto il mezzobusto. Muovendosi sotto una falsa identità era abbastanza sicuro che sarebbe riuscito a farla franca ed eludere la sorveglianza, cosa nella quale era egregiamente riuscito fino ad allora ed anche per i (molti e fallimentari.) colloqui di lavoro che aveva avuto, ma sarebbe stato stupido da parte sua credere di non correre in assoluto alcun pericolo: non sapeva molto delle tecniche del Ministero magico, ma non ci voleva una gran scienza per sapere che in un modo o nell’altro avrebbero potuto aggirare la sua metamorfosi e scovarlo comunque - come?, non gli interessava e non lo avrebbe interessato fino a che non sarebbe stato troppo tardi. Ancora più stupido, ovviamente, decidere di correre comunque il rischio, ma era troppo stanco di passare le proprie giornate allo zoo senza uno scopo, aspettando che il Governo decidesse per grazia divina che non fosse colpevole di alcun crimine, e che poteva tornare a circolare tranquillamente per le strade di Londra - anche perché, se non lo era prima della sentenza lo era diventato in seguito, ma questa è un’altra fantastica storia.
    Aveva soltanto bisogno di uscire un po’, fare quattro chiacchiere, prendere appunti per un articolo così che magari, magari!, prima o poi riuscisse a trovare un lavoro per un giornale – uno qualsiasi, a quel punto aveva perso ogni tipo di aspettativa al riguardo: il prossimo passo era tornare a dedicarsi allo scadente romanzo che aveva iniziato mesi addietro, e che Manny custodiva gelosamente (Manny era un babbuino, ed il posto in cui custodiva il manoscritto del Lowell era probabilmente sotto il suo culo roseo) (non aveva molti altri amici, sapete) -; al massimo, se qualcosa fosse andato storto, avrebbe sempre fatto in tempo a trasformarsi in qualsiasi bestia minuscola e fuggire via, tornando dalla sua adorata Lilly (un adorabile ippopotamo, anche molto brava con la manicure) (sempre se vogliamo così chiamare un ippopotamo che si getta nel fango per lanciarne un’onda anomala sulle zampe degli altri; se accettiamo una tale definizione, Lilly era un’artista) (la solitudine è una brutta bestia, e chi si accontenta di ciò che trova gode).
    Poi, andiamo!, gli era capitato un appuntamento al buio al Fiendfyre. Al Fiendfyre! Passava più serate lì o al Lilum – , la sua vita aveva preso una strana piega prima ancora che potesse accorgersene, ma non se ne dispiaceva particolarmente – che non… da qualsiasi altra parte. Sapeva come muoversi al suo interno, come passare inosservato se necessario.
    Non poteva andare così male.
    Credeva: era il suo primo appuntamento, ed a quell’età si vergognava troppo per chiedere consigli a chicchessia su come doveva comportarsi. Si sarebbe affidato al caso – come al solito. Prese posto al bancone, come suggerito dal biglietto che gli era stato recapitato poche ore prima, scrutando tra la folla ancora rada qualcuno tanto spaesato quanto lui. «buonasera, posso servirla?» si voltò verso la barlady sorridente, scuotendo appena la testa. «non ancora, grazie. sto aspettando…» chi? boh. «qualcuno?» qualcuno. «accipigna.» sia nickname che esclamazione, nel dubbio.
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    «Mi scusi.» si rivolse alla barlady, grato che il volume della musica non fosse ancora talmente elevato da costringerlo ad urlare per sostenere anche la più banale delle conversazioni. «Per caso, ha notato una ragazza sola?» domandò, con disarmante naturalezza, mentre sul volto della donna si dipingeva un’espressione di puro disgusto. «Si vergogni.» battè le palpebre, spiazzato da quella reazione così brusca. Erano diventati fin troppo insolenti i giovani, loro e l’irrefrenabile impulso di sparare sentenze non richieste. Di cosa avrebbe dovuto vergognarsi, di preciso? Oh, giusto, quel piccolo dettaglio. Quello e il modo in cui aveva posto la domanda, probabilmente, tanto da dare l’idea di essere lì per approfittare della confusione generale e del disperato bisogno d’amore – che accompagnava quella giornata di festa – per adescare giovani fanciulle. Tuttavia, il fatto che lei fosse convinta di avere davanti uno stupratore seriale, non lo rendeva certo tale. «Anche noi meritiamo di ricevere amore!» concluse, gridando in direzione della figura ormai lontana e agitando il pugno per aria.
    Irritato, portò il bicchiere alla bocca, mandò giù un sorso di whisky incendiario e lasciò che le iridi scure vagassero su quell’eterogeneo gruppo di esseri umani che avevano deciso di trascorrere San Valentino in una discoteca, a ballare e ubriacarsi fino a perdere i sensi – ben pochi, considerato l’orario in cui aveva messo piede all’interno del locale, non abbastanza per far sì che la sua presenza passasse inosservata. In circostanze normali sarebbe stato infastidito da quelle attenzioni indesiderate e avrebbe risposto ad ognuna con un’occhiataccia, un gentile invito a trovare qualcuno o qualcosa di più interessante da fissare; quel giorno, invece, Elwyn Huxley si limitò a mantenere un’espressione neutra – figlia della generale apatia che caratterizzava la sua persona – e catalogare quegli sguardi a seconda del livello di lucidità dei soggetti in questione: c’erano quelli più opachi, appartenenti a chi aveva deciso di lasciarsi sopraffare dallo sconforto e alzare il gomito ancor prima di varcare la soglia del Fiendfyre – un modo di affrontare la vita che l’ex-corvonero non disdegnava affatto –; quelli divertiti, ancora in grado di rendersi conto quanto il mercenario risultasse fuori luogo in quell’ambiente, ma non abbastanza sobri da porsi domande di senso compiuto; infine, c’erano sguardi sorpresi, quelli più veri, legittimi, perché la presenza di un ottantaduenne al bancone di una discoteca, il giorno di San Valentino, era un evento in grado di far affiorare qualche domanda. Perché?, ad esempio.
    Il motivo per cui l’ex-giocatore di Quidditch aveva scelto di non presentarsi con il suo reale aspetto era legato, in ordine, a una pergamena, a una fede nuziale e all’alcol. Il primo oggetto gli era stato recapitato da uno sgargiante pennuto, discreto come poteva esserlo una gigantesca, lampeggiante e rumorosa freccia puntata sulla testa – non esattamente il massimo quando si tentava di pedinare la gente e passare inosservati. Un breve messaggio che aveva tutta l’aria di essere un invito per un appuntamento al buio. Impossibile, Elwyn non conosceva nessuna persona sana di mente o disperata a tal punto da decidere di trascorrere una serata romantica – o peggio, l’intera esistenza – con un individuo così polemico accomodante, burbero affabile e tirchio galante – soltanto una, a onor del vero, ma la sua sostenitrice dalla chioma fiammante rientrava più nella categoria dello stalking. Più tardi, quel giorno, aveva scoperto che si trattava di un’iniziativa da parte di un’agenzia matrimoniale sull’orlo del baratro, ma tra uno scherzo di pessimo gusto e un incontro messo in piedi da due ciarlatani non ci vedeva alcuna differenza sostanziale; entrambi costituivano un potenziale pericolo. E presentarsi con un aspetto alternativo – e con largo anticipo per sondare il terreno – gli era sembrata una precauzione sufficiente.
    Il secondo campanello d'allarme era dovuto al fatto che l’ultima volta in cui aveva deciso di partecipare ad un evento pubblico, si era ritrovato con un anello al dito, senza alcuna memoria della sera precedente e con un articolo di Polgy come unico indizio su ciò che era realmente accaduto. Una storia per un altro momento, tuttavia non voleva finire tra le colonne di quel giornale di gossip né modificare ancora il suo status: da uomo mediamente virile a ballerina di burlesque, da single a sposato; gli risultava difficile immaginare quale potesse essere il successivo, ma morto iniziava a sembrare l’opzione più desiderabile.
    E poi c’era l’alcol, la causa di e la soluzione a tutti i suoi problemi. Si era ripromesso di non alzare troppo il gomito e di non utilizzarlo come anestetico per sopportare il mondo circostante, ma non era così sicuro di riuscire a rispettare quel proposito; e mantenere una forma diversa da quella reale gli avrebbe garantito di non rendere più profonda la fossa che aveva iniziato a scavarsi da tempo.
    Si guardò attorno, per l’ennesima volta quella sera, e finalmente udì uno stralcio di conversazione che avrebbe potuto fare al caso suo. «non ancora, grazie. sto aspettando…» «qualcuno?» Ruotò la testa in direzione della sua presunta anima gemella e posò gli occhi velati da un leggero strato di cataratta su un ragazzo di circa trent’anni. Non era difficile capire perché quell’agenzia fosse sul lastrico.
    Si alzò dallo sgabello, passò le mani sulla giacca in tweed per cancellare pieghe inesistenti e andò a sedersi accanto al giovane, poco lontano dalla sua precedente posizione. «Accipigna, mh. Molto educato.» commentò quell’esclamazione, ignaro del fatto che si trattasse del nick con cui era stato registrato da Mara Myoncki e Christian Maljoeyo. Trovava sorprendente che qualcuno utilizzasse ancora simili termini, «Ma anche un po’ infantile.» non gli avrebbe certo suggerito di darsi al turpiloquio, ma faceva fatica ad immaginare che espressioni come cavoletti di Bruxelles! o per tutti i Pixie della Cornovaglia! potessero conferirgli una certa credibilità agli occhi di un potenziale partner e del resto del mondo. «È uno dei motivi per cui sei qui, solo, a San Valentino?» continuò, piatto, come se la sua fosse una domanda più che lecita, una curiosità che non aveva come scopo quello di ferire il suo interlocutore. Lo fissò per qualche istante e proseguì. «Norman.» una delle tante trasformazioni incluse nel repertorio del mercenario. Una delle più facili, ad essere onesti, perché per interpretare il ruolo del burbero, insofferente e insoddisfatto di tutto e tutti non doveva fare alcuno sforzo – al contrario, poteva essere considerata un’accurata rappresentazione della sua vita di lì a cinquant’anni: raggrinzito come una prugna secca e con lo stesso caratteraccio di sempre; e solo, inutile specificarlo. Allungò la mano in direzione dello sconosciuto. «Credo di essere il tuo appuntamento.»
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    Si era ripetuto come un mantra così tante volte, picchiettando nervoso le dita sul bancone del Fiendfyre, che dopotutto non poteva andare così male, che a un certo punto, nell’attesa della sua presunta anima gemella, aveva quasi iniziato a crederci sul serio. Il quasi, in questo caso, va sottolineato molteplici volte: era naturalmente cosciente che più minuti passasse a pensarci, più le probabilità di malriuscita aumentavano esponenzialmente – la legge di Murphy non era affatto discutibile, e non sarebbe di certo stato Brandon Keith Lowell il primo ad opporsi ad essa. Tempo addietro ci avrebbe persino provato, ostentando il proprio ottimismo di fronte ai tentativi della vita di gettarlo sempre più a fondo nel baratro, ma a quel punto riteneva più consono non rischiare: avevano iniziato a strapparglielo via quasi diciassette anni prima, lenti e metodici come il Bacio di un Dissennatore a risucchiare l’anima di un povero essere umano, e più doveva nascondersi per continuare ad essere “libero”, meno sperava in una buona riuscita.
    Ma si trattava soltanto di un appuntamento al buio al quale si era iscritto unicamente per divertirsi un po’, giusto? Analizzando la situazione in maniera vagamente più oggettiva, il massimo che potesse capitargli di male era un accoppiamento con una persona che non lo poteva interessare nemmeno per una blanda conoscenza – o che l’altro non si presentasse proprio, certo. Avrebbe potuto tornare (allo zoo.) a casa triste e sconsolato, con niente di concluso tra le mani; demotivante, ma niente di nuovo né di catastrofico. Valeva la pena, quasi crederci.
    «accipigna, mh. molto educato.» ci mise fin troppo, il metamorfo, a comprendere che quel commento fosse rivolto a lui e ad alzare gli occhi nocciola verso l’uomo – sia perché aveva già dimenticato l’esclamazione in sé e per sé, sia perché quella voce sembrava essere particolarmente fuori luogo, in un posto come quello. Lungi da lui giudicare la clientela del discopub, sia ovvio, ma era comunque… insolito; non di certo qualcosa che si sarebbe mai aspettato di sentire al Fiendfyre. «ma anche un po’ infantile.» ok, rude. Piegò appena la testa, boccheggiando alla ricerca di una risposta valida – e mordendosi, infine, le labbra nell’insuccesso: come dargli torto? Dopotutto, sia il nome che il Lowell stesso erano infantili. Nessuno dei due, per scelta sua. «è uno dei motivi per cui sei qui, solo, a san valentino?» oh ma, guarda te ‘sto vecchio. «innanzitutto,» alzò il pollice tra sé e l’ultracentenario – probabilmente?, i maghi vivono incredibilmente a lungo (in teoria, poi di quei tempi era già tanto se arrivavi alla soglia dei quaranta: non era sinceramente sicuro di aver visto un cinquantenne in tutta la sua vita) -, preparandosi ad un elenco molto lungo ma che, conoscendosi, avrebbe finito dopo l’indice. «accipigna è un nome – o un soprannome, non lo so ancora -; secondo,» avrebbe volentieri alzato l’indice, ma sarebbe stato imbarazzante continuare su quell’onda: perciò, lasciò cadere il braccio sul bancone, girandosi completamente verso l’anziano. «non sono solo,» ho me stesso!, citando Chris Traeger. «sto aspettando una persona per un appuntamento.» si morse le labbra, abbassò il capo. «mi dispiace, sono nervoso: non ho mai partecipato ad un appuntamento al buio» e soprattutto, perché lo stava dicendo a quel vecchio?
    Semplice: perché, tornando al discorso di prima, quell’uomo era al pari di una figura mitologica e, per quanto considerabile una strana e discutibile apparizione, il Lowell riteneva trasudasse saggezza da tutti i pori raggrinziti. «norman.» arcuò le sopracciglia, osservando la mano dell’uomo tesa di fronte a lui. «credo di essere il tuo appuntamento.»
    Cosa?
    Cosa.
    Aprì la bocca, sorrise e la richiuse, corrucciando la fronte e assottigliando lo sguardo.
    Non può andare così male.
    Beh. «lei… sarebbe accipigna?» ed era il suo appuntamento. Doveva esserci un errore. Credeva?
    Lo avevano accoppiato ad un ottantenne - doveva… doveva per forza esserci uno sbaglio. Non capiva. «non… è ciò che mi aspettavo?» una domanda, un’affermazione – chi lo sa. Di certo non Brandon: l’unica cosa di cui era certo, in quel momento, era che quella appena detta non fosse una cosa così piacevole da dire ad un appuntamento. Pensava; non era più sicuro di nulla. «cioè, io… intendevo dire…» ??? esattamente quello che aveva detto. Aveva un anima da vecchio? «tutto ciò è imbarazzante» non migliori la situazione, Bran. «intendevo, per me – immagino?» vabbè dai, magari era uno scherzo di Jericho: un modo come un altro per socializzare con il fratello maggiore!
    Spoiler: no.
    Si grattò il capo, e prima che potesse dire altro di stupido sorrise, stringendo la mano dell’altro. «mi scusi, è stato molto… inaspettato» com’era ovvio che fosse un appuntamento al buio, immaginava. «newton, è un piacere!» ma non ne era ancora certo. «prende - prendi? - qualcosa da bere?» una tisana? O una camomilla?
    Come funzionavano i vecchi.
    Dio santissimo: Norman lo aveva rotto.
    «mh… allora… come mai si è iscritto a questa… cosa?»
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    accipigna
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    Le melodie del DJ Magic!Piff sono, letteralmente, ammalianti e vi costringerebbero a compiere azioni che non avreste mai pensato di fare prima! Accipigna, vans02, concedeteci il ballo dei veri soulmates. Anche perché non potete fare altrimenti.
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    Il caos, la confusione, la musica martellante, i corpi accaldati che strusciavano gli uni contro gli altri… tutto quello era Svetlana. Era il suo mondo. Aveva lasciato il Lilum per ritrovarsi in un locale che rispecchiava a pieno la sua vita. Era una notte brava, era il desiderio carnale, era un semplice sguardo. Era l’ultimo cocktail alzato verso il cielo, consapevoli del fatto che ce ne sarebbe stato un altro. E un altro ancora, fino a quando le gambe non avrebbero smesso di sorreggere il peso del corpo. Fino a quando la lucidità non sarebbe svanita con l’ennesimo sorso.
    Era tutto questo. Quell’ambiente era parte di sé, quanto lo era Svetlana.
    Il problema, quel giorno, era capire chi fosse: Svetlana, Margaret o Maggie? Da quanto tempo, ormai, la differenza tra le tre era diventata un abisso? Per quanto ancora si sarebbe nascosta dietro una maschera di sorrisi e tocchi delicati? Non lo sapeva. Eppure, qualcosa in lei stava lentamente scricchiolando. Non c’era sete di rivalsa, non c’era neanche il desiderio di vendetta per quell’innocenza che era stata costretta a perdere anni addietro tra quelle mura che avrebbero dovuto proteggerla.
    Fingere, recitare, interpretare personaggi sempre differenti era il suo lavoro e, sebbene volesse prenderne le distanze almeno per qualche ora, non riusciva a non cadere nuovamente in errore, a nascondersi dietro quelle apparenze che aveva sapientemente costruito.
    Se Margaret avrebbe sollevato la mano, portandola alla tempia per massaggiarla e convincersi ci fosse un errore, che tutto quello fosse uno scherzo sapientemente architettato; Svetlana e Maggie la costrinsero a un sorriso di cortesia, a indossare i panni della ragazza a cui, effettivamente, importava qualcosa. Bastava essere frivoli, superficiali, sorridere. Non faceva altro ormai – tranne quando si imponeva sui fornitori o preparava i suoi spettacoli, attenta a ogni singolo dettaglio – e, dopo anni, era diventato stancante. Facile, automatico e profondamente sbagliato.
    Sfortunatamente, “Sì, sono io e non ho dubbi ci sia stato un equivoco!” provò a non sembrare troppo delusa, non che lo fosse, sia chiaro. Aveva da tempo abbandonato l’idea di un amore platonico, quello delle favole, con principi e principesse che finivano con lo scambiarsi quel per sempre che li avrebbe uniti per la vita. Era per l’amore carnale, per la passione sfrenata, per la chimica e… beh, la donna davanti a lei non rappresentava niente di tutto questo, sgretolando i suoi canoni con un solo battito di ciglia. Era carina? Forse, ma non abbastanza, non per lei. E non era questione di sesso o colore della pelle. Aveva imparato a conoscere le persone con uno sguardo, e la sua prima impressione di amorfati32 fu quella della vittima, dell’agnellino sacrificale che sarebbe stato sbranato dalla tigre. Se le avessero chiesto chi avrebbe visto al suo fianco, sicuramente la risposta non avrebbe rispecchiato la persona che aveva davanti. Margaret aveva bisogno di sentirsi viva, di essere sfidata, di vivere sul filo di una relazione e sentirne il brivido della fine. Era bacchetta al collo e mano sul culo in un gioco che non avrebbe avuto né vincitori, né vinti. Era tutto e il contrario di ogni cosa.
    Per questo tra spring_roll e amorfati32 non avrebbe mai funzionato. In una scala di grigi, Yunhee era troppo bianca e pura per poter essere macchiata.
    Stava per voltarsi e andar via quando nel privé portarono da bere e aveva davvero bisogno di qualcosa che la aiutasse a fine serata.
    Poteva aspettarsi di tutto anche un fedifrago Huxley che sputava sui suoi obblighi e doveri coniugali alla ricerca dell’appuntamento perfetto col volto di un 80enne meno che un drink corretto.
    Era un colpo basso, il tradimento del patto di fiducia tra il fornitore di un servizio e i suoi clienti. Era… TUTTO FANTASTICO.
    Si sentì leggera come una piuma, la testa svuotata da ogni pensiero, i muscoli rilassati. Ciondolava a tempo di musica, il sorriso drogato stampato sulle labbra che avevano iniziato a dire cose.
    “Sugar&Daddy sono adorabili, ti danno davvero tutto quello di cui hai bisogno!”
    Il che sarebbe stato pienamente fraintendibile se l’interlocutore non fosse a conoscenza del fatto che avesse da poco adottato due tigrotti. E che li avesse chiamati come le caramelle!
    Continuò parlando del nulla, di cosa le piaceva fare nel tempo libero - allenarsi, leggere e sfogliare riviste di moda -, dei suoi sogni, delle prospettive future del Lilum, dei migliori prodotti di bellezza sul mercato, del calendario frutto della collaborazione con Fray, riempiendo quel vuoto tra loro di parole che, probabilmente, Yunhee non avrebbe neanche sentito, sovrastata dalla musica. Ed era proprio lei il motore del suo corpo, ciò che la muoveva e che le faceva sciorinare informazioni sulla sua persona che, normalmente, non avrebbe detto a nessuno. Perché non aveva nessuno a cui raccontarlo.
    Poi, quasi per incanto, la musica cambiò - in realtà erano in discoteca e DJ Magic!Piff sapeva fare il suo lavoro, ma fingiamo che accadde per volere del destino - e sentì le prime note della sua canzone preferita. Non pensò più di qualche secondo prima di stringere le mani della ragazza e di portarla con sé al centro della pista, prima, e sul palchetto vicino la console, dopo. Sentiva una voglia irrefrenabile di danzare con quella che, a tutti gli effetti, era stata la sua compagna e la sua salvezza negli anni più bui. Per una volta, non le interessava come si stesse muovendo, non le interessava nulla del pubblico che aveva davanti a sé. Non erano sui clienti e non doveva studiare ogni mossa per realizzare uno scopo. Faceva oscillare la testa da una parte all’altra, saltava a ritmo, muoveva i fianchi quasi anticipando ogni nota per l’euforia. Teneva stretta la mano dell’orientale, facendola danzare, costringendola in quei movimenti dettati dalla gioia artefatta, da quel cocktail speciale che aveva, forse, sbloccato una situazione di impasse.
    L’intero Fiendfyre era il suo palcoscenico.
    SVETLANA + YUNHEE
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    Se fosse stata soltanto una questione di prudenza, Elwyn Huxley avrebbe potuto limitarsi a ricalcare i lineamenti di una persona anonima, replicare fattezze che gli avrebbero garantito di non riconoscere le proprie tra le pagine di un giornale di cronaca, il mattino seguente. Benché restasse quella la sua principale preoccupazione, c’era dell’altro dietro la scelta di presentarsi ad un appuntamento nei panni di un uomo con un piede nella fossa: semplicemente, aveva voglia di divertirsi. A suo modo, in quella maniera contorta e vigliacca che lo portava a nascondersi dietro una maschera e trascinare la sua vittima in situazioni scomode, a stuzzicarla e osservarne le reazioni. Non si trattava soltanto di modificare il proprio aspetto, dunque. Si trattava di interpretare un ruolo, una parte per uno scopo. E ci aveva pensato a lungo, il mercenario, aveva preso in considerazione le infinite trasformazioni che avrebbero potuto rendere quella serata memorabile – soggetti che ben pochi si sarebbero augurati di incontrare al primo appuntamento. Un parente, ad esempio ciao Tryhard, ciao Hilton, ma non aveva alcuna informazione sulla persona davanti a sé e, a dirla tutta, non avrebbe potuto escludere con certezza che l’incesto non rientrasse tra le sue preferenze. Aveva pensato di trascorrere una serata tranquilla, per poi rivelare al ragazzo che la loro conversazione lo aveva convinto ad abbracciare una vocazione più alta, ad abbandonare i piaceri effimeri e dedicare il resto della vita alla preghiera – non il massimo per l’autostima, certo, ma non era ciò che cercava. Aveva immaginato di impersonare il ruolo di un uomo losco, arricchendo il personaggio con macchie di sangue raggrumato sugli indumenti e sforzandosi di restituire uno sguardo talmente inquietante da generare dubbi sulla sua capacità di sbattere le palpebre come il resto degli esseri umani. Aveva pensato anche di presentarsi come una donna alla disperata ricerca di un padre per il pargolo che avrebbe potuto sfornare da un momento all’altro, oppure di inventare di avere bizzarri fetish o, ancora, disturbi che lo avrebbero portato ad urlare frasi sconclusionate nel bel mezzo della conversazione – opzione, quest’ultima, che non aveva ancora scartato del tutto. Alla fine aveva optato per Norman, connubio perfetto tra i maggiori timori che accompagnavano un appuntamento al buio e il luogo che era stato scelto per loro. E l’espressione confusa del giovane gli diede la conferma di aver fatto centro.
    Gli concesse qualche istante per metabolizzare la notizia e si sforzò di restare serio e impassibile, come se la delusione e la sorpresa dipinte sul volto del ragazzo non lo avessero minimamente sfiorato. Oppure, come se non avesse compreso il reale significato di quei farfugliamenti a causa della musica in sottofondo, della demenza senile o di un ego smisurato a tal punto da non dubitare del suo fascino, neppure a ottant'anni suonati – sarebbe stato Newton a trarre le sue conclusioni. «Non essere imbarazzato, giovanotto.» tentò di metterlo a suo agio con voce calma e uno di quegli appellativi che gli anziani amavano utilizzare per indicare chiunque avesse un’età inferiore ai cinquant’anni. Un cliché, un atteggiamento cristallizzato nel tempo e nell’immaginario collettivo, qualcosa di certo nella confusione che affollava la mente del mutaforma. Qualcosa che avrebbe potuto tranquillizzarlo. «Anche tu non sei male.» aggiunse, per spazzare via ogni possibile sicurezza acquisita. Voleva aiutarlo ad avere una migliore opinione di sé o ci stava forse provando? Nessuno avrebbe potuto dirlo. «Dammi pure del tu. E va bene tutto, purché ci mettano uno di quegli ombrellini colorati. E una cannuccia.» temeva che lasciargli una così ampia libertà di scelta avrebbe portato Newton a ordinare per sé l’intruglio che gli avrebbe permesso di perdere i sensi nel minor tempo possibile, mentre al mercenario sarebbe toccato un estratto di verdure e radici varie dalle proprietà antiossidanti, dall’aspetto discutibile e dal sapore rivoltante. Avrebbe corso il rischio. «Volevo spuntarlo dalla lista di cose da fare prima di tirare le cuoia.» replicò con semplicità alla successiva domanda e rimase in silenzio per qualche secondo, domandandosi per quale motivo quei pennuti catarifrangenti li avessero visti come una buona accoppiata. Il giornalista sembrava fin troppo educato e rispettoso per poter sopportare un individuo come Elwyn al suo fianco. Non che l'ex-corvonero si aspettasse di trovare l’anima gemella quella sera – non aveva idea neppure di come dovesse essere – e non considerava attendibile un’agenzia alla disperata ricerca di clienti, ma era ugualmente incuriosito da lui e dalla possibilità che potessero avere davvero qualcosa in comune. «Non ho intenzione di farlo presto, ma sai come va il mondo oggi. Persino tu potresti morire da un momento all’altro.» un piacevole e leggero argomento di conversazione. «Potresti scivolare e battere la testa.» banale. «O strozzarti con l’anello di fidanzamento infilato in un cocktail destinato a qualcun altro.» continuò, con tono piatto. «O potresti essere morso da una pericolosa creatura che qualcuno sta contrabbandando qui, in questo esatto momento.» da vero paranoico, come ogni anziano con una lunga vita di fregature alle spalle. «Dovresti pensare anche tu ad una lista. C’è qualcosa che vorresti fare oggi? Considerala la serata delle infinite possibil–»
    I got this feelin' inside my bones.
    It goes electric, wavy when I turn it on.

    Prima di poter concludere la frase, venne attraversato da un’improvvisa scarica di energia. Se fosse stato davvero un raggrinzito mucchietto di ossa, avrebbe pensato che qualcuno dei suoi organi avesse ripreso a funzionare a dovere o che, nel suo corpo, avesse ricominciato a scorrere un po’ della linfa vitale persa da tempo – una sensazione di calore che lo allontanava dal freddo bacio della morte. O, ancora, avrebbe considerato la possibilità di essere vicino ad un infarto, ma era piuttosto certo che non fossero quelli i sintomi.
    Se fosse stato un ottantaduenne, ma Elwyn aveva solo ventiquattro anni.
    E il totale controllo del suo corpo.
    O almeno così credeva.
    Got that good soul in my feet.
    I feel that hot blood in my body when it drops.

    Spostò le iridi scure verso il basso e, con sommo orrore, si accorse che il suo piede aveva iniziato a muoversi a ritmo di musica.
    Per
    Quale
    Ragione.
    Doveva essere stato drogato.
    Doveva essere vittima di qualche pozione diluita nel cocktail – perché, andiamo, avrebbe invitato la sua dolce metà a ballare soltanto per metterlo in imbarazzo, ma era fin troppo presto; e poi, avrebbe scelto un lento.
    Doveva essere tutta colpa di Newton, un modo come un altro per liberarsi di lui.
    Cercò di incrociare lo sguardo del ragazzo, pronto ad inchiodarlo sul posto e costringerlo a confessare le sue trame diaboliche, e tutto ciò che vide fu lo stesso smarrimento che traspariva dai suoi occhi. E, soprattutto, lo stesso inspiegabile spasmo trasporto. «Non sei stato tu quindi?»
    Si alzò dallo sgabello e tentò di mettere un piede sopra quello irrimediabilmente compromesso, ma tutto ciò che ottenne fu dare avvio al contagio.
    I can't take my eyes up off it,
    movin' so phenomenally
    Room on lock, the way we rock it, so don't stop

    Le ultime parole della canzone furono accompagnate da un movimento che non sarebbe mai riuscito a ripetere con la stessa grazia sprizzata dai quei pori intasati – non che lo volesse, sia chiaro. Portò una mano alla testa, mentre l’altra disegnava un arco a partire dal lato opposto del suo cranio pelato fino a poggiarsi morbidamente sul fianco ossuto; il tutto accompagnato da uno sculettamento da parte a parte e interrotto nell’esatto istante in cui la melodia ebbe uno stacco netto.
    In una posa da diva, si ritrovò a fissare Newton e domandarsi cosa avesse fatto di male, nella sua precedente reincarnazione per meritare una punizione simile. Dopo il Lilum, anche quello. Doveva aver dato fuoco ad una scuola di ballo, probabilmente.
    Nowhere to hide when I'm gettin' you close
    When we move, well, you already know

    Si sfilò la cravatta e sperò che il passo successivo fosse strangolarsi la fece aderire alla nuca della sua anima gemella per avvicinarlo a sé.
    Troppo.
    Decisamente troppo.
    Sapeva che non avrebbe dovuto abbandonare la compostezza insita nel suo personaggio e mostrare eloquenti espressioni da per Merlino e Morgana, che diavolo sta succedendo?, ma – per Merlino e Morgana, che diavolo stava succedendo?
    Quando il ritmo si fece più incalzante, spinse via lo sgabello con il piede e, spalle al bancone, appoggiò le mani sulla viscida superficie il legno.
    Nothin' I can see but you when you dance, dance, dance!
    Entrambi iniziarono a far ondeggiare il bacino a tempo e disegnare tre cerchi con la testa, in un movimento incredibilmente simile ad una certa gif con rana e cavallo fluido e ipnotico. Se avesse avuto una folta chioma lucente, sarebbe stato perfetto.
    A quel punto, Elwyn si arrese.
    Non che avesse scelta, certo, ma si convinse che non avrebbe potuto far altro che attendere la conclusione della canzone e, insieme, di quella stregoneria. Si voltò in direzione del suo nuovo compagno di ballo e accennò un sorriso, sperando di fargli credere che non trovasse poi così male la piega alternativa che aveva preso la sera, mentre in realtà si sentiva lentamente morire. «Non ci resta che – piangere – divertirci!»
    I can't stop the feelin'
    So just dance, dance, dance!

    Galoppò al centro della pista, con una mano a reggere briglie immaginarie e l’altra a schiaffeggiare le natiche un tempo sode. Da lì in poi fu un susseguirsi di movimenti che nessuno si sarebbe mai aspettato da una persona della sua età, non senza immaginare ripetuti crack di sottofondo e di doverlo poi raccogliere con scopa e paletta.
    Ooh, it's something magical
    It's in the air, it's in my blood, it's rushin' on
    I don't need no reason, don't need control.

    E quando vide una familiare chioma bionda, ebbe la certezza di essere all’inferno.
    ELWYN NORMAN + NEWTON
    METAMORPHMAGUS
    24 82 Y.O.
    SCORPIO
    PAIN IN THE ASS
    DIRE SEMPRE LA SUA + CRITICARE TUTTO E TUTTI + CURARE LE SUE PIANTE MANIACALMENTE + STARE SULLA POLTRONA E FISSARE IL PULVISCOLO ATMOSFERICO PER ORE + LEGGERE + COMMENTARE AD ALTA VOCE LE NOTIZIE SUL GIORNALE
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