I am drowning into you

Hunter x Viktor

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Wizard
    Posts
    523
    Spolliciometro
    +927

    Status
    Offline

    Previously: Mustard or Worcestershire Sauce?


    Alla fine ci aveva provato, no? Si era messo in gioco, si era esposto e quello era l’importante. Nella vita bisognava avere il coraggio di rischiare e da tutto quel marasma di sentimenti, prima o poi, avrebbe imparato che ogni esperienza era importante, anche la più disastrosa. Si sarebbe detto che ogni volta sarebbe stato più semplice, che alla fine avrebbe saputo cosa aspettarsi e che non avrebbe più fatto male. Perché, a lungo andare, ci si faceva il callo alle delusioni, si aspettavano talmente tanto le aspettative che ci si sarebbe accontentati di qualsiasi cosa, della compagnia di chiunque. Perché sarebbe stato solo sesso, una volta che Hunter avrebbe tolto ogni emozione dall’equazione. Perché i suoi sentimenti erano talmente fragili e rovinati che non li avrebbe più concessi a nessuno. Sarebbe rimasta solo la sua Missione e, una volta svolto il suo dovere, si sarebbe potuto concedere qualche sfizio, qualche soddisfazione effimera. Ci sarebbe sempre stato, sì, ma per quei pochi che sarebbero riusciti a scalfire quella corazza di grafene che avrebbe costruito giorno dopo giorno.
    Drammatico? No, solo risoluto. Non aveva idea del perché facesse così male, non era conscio del motivo per cui Viktor avesse un tale ascendente su di lui, ma sapeva non fosse tutto collegato al terrore di restare solo, alla folle paura di perdere l’ennesimo legame. Era a conoscenza di soffrire della cosiddetta Sindrome dell’Abbandono da prima ancora che il suo psicologo gliela diagnosticasse. Non era riuscito a sbarazzarsi del peluches che utilizzava per dormire quando era ancora un bambino, meno che mai sarebbe riuscito a passare indenne il rifiuto del francese. Sentiva lo stesso brivido di angoscia quando varcava la soglia del San Mungo con Halley tra le braccia, quasi quella potesse essere l’ultima volta in cui sarebbe stato in grado di sentire la sua voce, di vederla viva al suo fianco. Faceva davvero fatica ad accettare quella situazione ed era rassegnato a metterci anche la parola fine. Non avevano fatto altro che rincorrersi per qualche mese e, ogni volta che Hunter aveva fatto un passo della direzione dell’altro, ogni volta che lo aveva sfiorato, che aveva creduto di aver fatto un piccolo, seppur minuscolo, miglioramento, si era immediatamente reso conto di quanto l’altro fosse distante, impalpabile. Era come un miraggio nel deserto. Era la sua oasi irraggiungibile.
    O quasi.
    Perché, per quanto avesse colto di quel bacio, per quanto ci si fosse immerso, per quanto in quel contatto ci avesse messo tutto se stesso, non aveva capito niente. Perché quando si trattava di Viktor non capiva mai niente. Perché bastava sempre così poco per perdersi, per fraintendere anche ciò che era semplice e chiaro come quella luna che li osservava dall’altro, godendosi quello spettacolo in silenzio.
    Ci mise troppe lacrime a capire che il Grifondoro non aveva mai avuto l’intenzione di allontanarlo, di scrivere quel punto che lo stava terrorizzando. Hunter, per quanto potesse sembrare sempre sicuro di sé - almeno per quanto riguarda la conoscenza teorica -, in realtà era fragile, insicuro. Si era sempre mostrato forte, giudizioso, perché era l’unica cosa che gli era stata concessa. Che si era concesso. Non c’era margine di errore, non con Halley, non quando sentiva la responsabilità di un’altra vita sulle sue spalle. Non quando aveva giurato di proteggerla. Poteva non ricordare nulla di Uran, ma c’erano dei giuramenti, dei patti di sangue, che prescindevano le leggi della fisica o dello stesso universo.
    Era lo stesso con Viktor. Più si ostinava a non sbagliare, più cercava di essere impeccabile, più mandava tutto in frantumi. C’erano cose che non poteva calcolare, sentimenti che non poteva prevedere e aveva la necessità di avere delle certezze, dei punti fissi, invariabili. Aveva bisogno di essere seguito passo passo, di sentirsi dire le cose, piuttosto che lasciarle alla sua interpretazione. Perché le sue paure e le sue insicurezze avrebbero preso, ancora una volta, il sopravvento. Perché aveva un tale terrore che Viktor sparisse dalla sua vita che era in grado di sabotarsi da solo.
    Eppure… Eppure lo sentiva quel cuore pulsante sotto il suo palmo. Lo sentiva battere forte, così forte, che stupidamente si chiese se fosse per lui. O per la rabbia. O una fibrillazione atriale. Percepì il metallo sotto la sua pelle e chiuse gli occhi a quel contatto, a quel calore che, lentamente, lo stava tranquillizzando.
    Annuì in silenzio, lo sguardo basso. Chiuse gli occhi, facendo scivolare un’altra lacrima, incredulo per quella rivelazione. Ed era da stupidi, perché sapeva di piacere a Viktor, ma non aveva mai avuto la confidenza necessaria per crederci davvero. Era stato un idiota a pensare anche solo per un istante che Viktor volesse separarsi da lui, soprattutto ora che i loro cuori avevano iniziato a battere all’unisono, ora che stava iniziando a fare più attenzione a quella sfera che aveva ignorato per anni.
    Sentì le mani dell’altro afferrargli il volto, costringendolo così a guardarlo negli occhi, colpevole di aver rischiato di rovinare ogni cosa per non aver visto oltre, di non aver prestato più attenzione a quel bacio che gli aveva sfiorato l’anima, che gli aveva mostrato l’intero universo di cui Viktor faceva parte.
    Quella morsa faceva male, percepiva la frustrazione dell’altro, ma non si azzardò a fiatare, né a lamentarsi, perché Viktor aveva ragione, perché sapeva che se non fossero stati chiari l’uno con l’altro, sarebbero arrivati all’ennesimo litigio, all’ennesima incomprensione, all’ennesima rottura.
    Voleva davvero che tutto fosse più facile, che tutto si limitasse alla semplicità di un abbraccio. Per questo restò in silenzio, senza fiatare. In ascolto di quella storia che lo stava spezzando, di quel passato che aveva tanto voluto conoscere e che ora lo stava pugnalando.
    Ti prendono, ti usano, alle volte non ti chiedono neanche il permesso e ti rovinano così.
    Sgranò gli occhi man mano che il francese andava avanti con il suo discorso, le frasi che gli restavano incastrate nella carne come lame avvelenate.
    ... anche se dici “no” ormai è troppo tardi.
    Sentì una lacrima rigargli nuovamente il viso. Sentì la forza scivolare via dal suo corpo. Non era in grado di parlare, non sapeva cosa dire e non c’era niente che avrebbe potuto fare per cambiare quanto ormai era accaduto. Si sentì impotente, ingrato, stupido. Stupido come non si era mai sentito prima.
    Le dita libere andarono a cercare il volto dell’altro, sfiorandolo piano, accarezzando quei lineamenti spigolosi con delicatezza. Voleva stringerlo a sé, voleva baciarlo, rassicurarlo, tenerlo stretto al proprio corpo, proteggerlo. Gli sorrise appena perché volevano le stesse cose, perché, nonostante tutto, nonostante quel macigno che portava sulle spalle, Viktor si fidava di lui. Quel permesso, quella possibilità, era quanto di più importante qualcuno gli avesse mai concesso.
    Inclinò la testa di lato, la guancia che andava a sfiorare la mano poggiata sul suo collo. Aveva il cuore di Viktor tra le dita e aveva smesso di avere paura.
    “Scusami.” Mormorò piano, le dita che si andavano a intrecciare a quelle dell’altro. “Scusami.” Ripeté ancora, baciandole piano. “Scusami.” E in quel mantra c’era tutta la sua vergogna e il suo imbarazzo. Chiedeva perdono per quella domanda infelice che gli aveva rivolto al parco, perché non avrebbe dovuto porla, non se avesse conosciuto la sua storia. Chiedeva scusa per le sue fragilità, per non averlo capito, per aver dato per scontato il suo addio. Per non aver dubitato di lui, del fatto che sarebbe rimasto. Per avergli fatto pressioni per conoscere il suo passato, per averlo sempre messo nella condizione di dover ricordare. Per non averlo capito. Per non aver creduto che potesse davvero essere interessato in qualcuno strambo come lui. Per non essere ancora in grado di ricambiare quel sentimento così puro. Per essersi convinto che negargli anche solo un bacio avrebbe fatto del bene ad entrambi. Per tutto quello che aveva sbagliato fino a quel momento. Perché ci aveva messo troppo, troppo, tempo a capirlo, a comprenderlo, ad accettarlo.
    E lo voleva. Voleva il francese ancora di più. Lo voleva a un livello che prescindeva il piano meramente fisico. Voleva Viktor. Nonostante i suoi limiti, nonostante i loro limiti. Perché forse l’amore era più semplice di quanto pensassero, perché forse era lì, davanti a loro, in attesa di essere raggiunto.
    Mosse lentamente la mano che aveva sotto il maglione, sfiorando il capezzolo dell’altro, giocando con il piercing che non sapeva avesse anche lì. Non lo aveva mai notato prima e aveva visto quel corpo nudo già innumerevoli volte, tra una medicazione e l’altra. Scosse piano la testa, l’ombra di un sorriso a increspargli il viso: Viktor trovava sempre un modo per stupirlo. Distese le labbra ancora di più quando sentì l’insulto dell’altro, le sue labbra sul collo, ritrovando nel Grifondoro quella verve in grado di ipnotizzarlo, quella determinazione tipica dei seguaci di Godric.
    “Lo so.” Annuì ancora, avvicinandosi un po’ di più al Dallaire, la mano che scivolava sulla sua gamba, spingendo il bacino dell’altro contro il proprio per percepire il suo calore oltre quella stoffa che stava tornando ad essere nuovamente di troppo. Il dito di Viktor lasciava una scia di brividi e pelle d’oca, di aspettativa, di desiderio. “So che non sarà solo sesso, ma…” soffia piano, troppo conscio della vicinanza del francese per poter pensare, per poter districare un qualcosa da quel mix di sensazioni che lo stavano facendo tremare. “... ma sei tu. Solo tu.” Articolò a fatica, le labbra strette tra i denti intente a trattenere un sospiro. “Nessun altro, Viktor. Tu.” Non Gideon, non quella cotta ormai dimenticata. C’era posto solo per lui nei suoi pensieri, nei suoi desideri, nelle sue voglie più nascoste. E doveva dirlo, doveva metterlo in chiaro, doveva esporsi per cancellare il dubbio che ci fosse qualcuno ad occupare la sua mente. Per avere anche suo il cuore c’era ancora troppa strada da fare, ma era pur sempre un inizio. Strinse il piercing tra il polpastrelli, tirando leggermente i capelli dell’altro per sollevarne il viso, raccogliendo quel gemito di frustrazione nella sua bocca, confondendolo con il suo. Sentiva il palmo dell’altro bruciare sul proprio membro ed era… elettrico
    Accarezzò il fianco di Viktor, incastrandolo in un bacio che, più che una richiesta di pietà, era una dichiarazione di guerra. Perché bramava ognuno di quei tocchi, perché voleva essere dentro di lui, perché lo desideravano entrambi. Lo spinse contro di sé, facendolo completamente aderire al suo corpo e lo sollevò quel tanto che bastava per consentire alla sua mano di scivolare nei pantaloni dell’altro per stringere quella natica perfetta. Spostò entrambi sulla prima sedia, lasciandosi andare contro lo schienale, il peso del più grande sul suo petto, la mano libera che superava l’orlo dei boxer fino ad incontrare i testicoli dell’altro.
    Interruppe il bacio solo per riprendere fiato, le dita che massaggiavano curiose l’entrata del maggiore, senza spingersi fino in fondo. Aveva lo sguardo liquido, oscurato dal piacere, l’azzurro chiaro delle sue iridi ormai solo un ricordo lontano.
    “Viktor…” chiamò l’altro, beandosi della visione sopra di lui, del rossore che gli imporporava le guance. “Viktor…” gemette ancora, più gutturale, mordendo appena la stoffa sul suo capezzolo, richiamando l’attenzione del Dallaire prima che fosse troppo tardi.
    “E se fosse il mio letto?” la voce roca uscì a fatica per quella domanda. “Se tu fossi così bravo che ogni volta che proverò a toccarmi - o dormire - non potrò fare a meno di desiderare che tu sia lì come me?” di svegliarmi ancora una volta con te. “So che non è il bagno dei Prefetti ma…” perifrasò guardandosi attorno, finalmente conscio di avere la mano umida di Viktor sulla sua erezione, in Biblioteca, in un posto praticamente accessibile a chiunque fosse di ronda quella notte. Si avvicinò al collo dell’altro, baciandolo delicatamente, salendo piano fino al mento. “... ma non voglio che qualcuno ci becchi, che ci disturbi... che ti veda così. O tra le mie gambe.” arrivò alle sue labbra e le morse piano, con una punta di gelosia, prima di appropriarsene quasi fosse affamato “Solo io.”
    There are no winners
    when the die is cast
    There's only tears
    when it's the final task
    Focused | Ink | Prankster
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Hunter
    Oakes
     
    .
  2.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Di cosa si stava scusando, Hunter? Perché sembrava tanto mortificato? Non lo sapeva, ma non credeva nemmeno che fosse così importante, non quando quelle labbra gli stavano baciando le mani con dolcezza. Non c’erano più lacrime a rigare quel volto, né paura di essere abbandonato, né il dispiacere di non essere abbastanza; le falangi dell’Oakes ad accarezzargli il viso non tremavano, non stavano esitando a porsi domande futili, prive di qualsivoglia utilità, ma erano decise. Erano piacevoli e, come un gatto randagio, lui le accoglieva con bisogno; aveva la necessità di sentirlo, di percepirlo reale e solido contro di sé, perché per troppo tempo aveva convissuto solo con il fantasma di quello che avrebbero potuto avere e che, invece, si erano ostinati ad oscurare, timorosi forse di annegare in quel marasma di sentimenti. Era bastato un niente per accendere la miccia; un nonnulla. Un semplice, banale, abbraccio alle spalle e poi era divampata la fiamma o, per meglio dire, era stato appiccato un incendio. Sebbene fosse stato solo un piccolo gesto per potersi avvicinare, alla fine avevano ceduto, esplicando così a parole quanto desiderato. Perché sì, voleva che il Corvonero si sedesse su quei gradini, che gli permettesse d’insinuarsi tra le sue cosce e di prendergli il sesso tra le labbra, fino in gola, per sentirlo bruciare, come cocente era l’immagine, il pensiero, che quei fianchi avrebbero potuto spingere, e spingere, afferrandogli i capelli e strattonandolo fino a fargli male.
    Era una bella immagine, dopotutto. Era una fantasia che era nata nell’esatto momento in cui Hunter gli aveva accennato del Bagno dei Prefetti, del fatto che conoscesse la parola d’ordine, a meno che questa non fosse stata cambiata, e che fosse più che disposto a portarglielo. E Dio, se non fossero stati entrambi così complicati, se non fossero stati delle frane totali, probabilmente già da un pezzo avrebbero sperimentato insieme le gioie del sesso.
    Aveva abbastanza esperienza alle spalle da poter dire con certezza che avrebbe fatto venire l’Oakes solo ed esclusivamente con l’ausilio di un dito. Non una sega, né un pompino. U n d i t o. Ed Hunter, così scientifico e posato, si sarebbe sciolto, non una, non due, infinite volte. L’avrebbe torturato in modo piacevole, si sarebbe divertito, perché era certo di riuscire a farlo supplicare. Oh, la prostata, la migliore amica degli orgasmi, specie se uno dietro l’altro.

    «Solo tu. Nessun altro, Viktor. Tu.»

    Il che poteva anche sembrare una cosa da niente, vista nella prospettiva della mano intenta a masturbare Hunter, afferrandogli il membro tra le dita e pompando deciso, ma quella dichiarazione era ancora meglio del sentirsi dire “ti voglio” o “mi piaci”. C’era solo lui. Nessun altro a riempire i pensieri dell’Oakes; nessun intruso, nessuna cotta, nessuna preoccupazione. Era abbastanza, indubbiamente, per mettere una pietra su quanto fosse accaduto al parco, a quella tristezza che in quel momento non esisteva e che si era spenta. Non voleva più sentire il suono della voce di Hunter velato dal dispiacere, dalla vergogna, perché non avrebbe mai dovuto vergognarsi per quello che era. Per chi era. Nessuno avrebbe dovuto farlo sentire inadeguato o farlo soffrire, sebbene sapesse che, prima o poi, il suo atteggiamento autodistruttivo lo avrebbe posto in una situazione scomoda. Non avrebbe parlato, perlomeno non in quel momento, delle sue smanie notturne; non avrebbe nemmeno accennato a quella traccia di autolesionismo che, più di una volta, era riuscita ad essere la sua compagna nelle notti solitarie.
    Magari, quelle serate passate in compagnia del sangue si sarebbero trasformate in un abbraccio stretto e nel capo poggiato sul petto di Hunter. Magari tutto ciò che si teneva dentro, quel demone con cui ormai aveva fatto amicizia, si sarebbe quietato lasciandolo in pace, smettendola così di farlo passare per pazzo.
    Quelle ustioni si sarebbero dissolte, così come le torture.

    «Hunter…»

    Quella volta, probabilmente, si sarebbe ritrovato nella condizione di totale abbandono. Lasciarsi andare così, fidarsi tanto ciecamente fino a perdersi era… qualcosa d’impensabile. Aveva sempre avuto il controllo della situazione, decideva lui se dare spazio o se prendersi tutto. Dava solo l’illusione di comando, ma la verità era sempre che fosse tutto sotto controllo. Ma con l’Oakes non era così; le dita a tirare il piercing al capezzolo proprio non se le aspettava. Come non si sarebbe mai aspettato l’audacia del minore dell’afferrarlo per i capelli, tirandogli le ciocche corvine per cibarsi, letteralmente, di quel gemito di frustrazione che non era riuscito ad ingoiare.
    Si sentiva ubriaco, totalmente perso. Se gli avessero chiesto il suo nome non avrebbe nemmeno saputo articolare una frase di senso compiuto, troppo impegnato a chiedersi se, effettivamente, stesse accadendo davvero. Se Hunter lo stesse sollevando di peso, se si fossero appena spostati sulla sedia e se effettivamente si trovasse a cavalcioni sul minore, intento a pensare che fosse una cosa saggia non dargli il tempo di prendere fiato. Quale fiato? Non ne aveva più, nemmeno per lasciarsi andare a sospiri di compiacimento. In quella posizione non aveva modo di toccarlo, risultava scomodo e poco pratico, in compenso Hunter aveva pensato bene di ignorare bellamente la sua erezione, accarezzandogli i testicoli e, solo dopo avventurandosi ancora più in là, sfiorandolo tra le natiche, ma senza mai spingersi dentro.

    Era perso. Liquefatto, tanto da non riuscire a reggere il peso del capo, accasciandosi alla spalla del minore e mordendone la stoffa della maglia, solo per soffocare un gemito acuto. Oh, perché era vocale nel sesso e non era nemmeno scena la sua, come molti pensavano che fosse; non riusciva a contenersi. Diventava solo un ammasso di lamenti e preghiere, che per alcuni equivaleva all’innalzamento a divinità, per Hunter—beh, non ne aveva idea di come l’avrebbe presa. Si sarebbe sentito lusingato da quei vocalizzi? Disturbato? D’altro canto, era bene che si abituasse ad insonorizzare l’ambiente prima di qualsiasi risvolto bollente; senza bacchetta, l’unico modo era quello di soffrire cercando di fare il meno rumore possibile. No, probabilmente avrebbe comunque attirato l’attenzione di qualcuno, perché non bastava di certo mordere la spalla del ragazzo per trattenere un gemito così disperato, ma…

    «Viktor…» no, non in quel momento. Stava così bene in quel limbo dato dal piacere, dalla frustrazione, dal-- «Viktor…» il suono gutturale della voce di Hunter a richiamarlo alla realtà lo porta a sbattere le palpebre un paio di volte, abbandonando con un suono di strappo la stoffa della maglia incastrata tra i denti. Si umetta le labbra, mettendosi a sedere a fatica sulle gambe altrui, il respiro affannato e gli occhi lucidi, quasi che stesse per piangere. Al contrario, più che piangere, sentiva di volerne ancora.

    «E se fosse il mio letto?»

    Santo Iddio.
    Il Bagno dei Prefetti era sicuramente un luogo eccitante. Le bollicine e i profumi speziati erano intriganti, così come l’idea di un bagno condiviso con l’Oakes, nella quiete spezzata solo dal suono dei loro baci. Non avrebbe dovuto aggiungere altro, Hunter, perché era bastato “il mio letto” per fargli salire il sangue al cervello, eppure il «Ma non voglio che qualcuno ci becchi, che ci disturbi… che ti veda così. O tra le mie gambe. Solo io.» aveva avuto l’effetto di una bomba, tanto da rispondere a quelle chiare provocazioni con un bacio languido e le dita strette ai capelli. I fianchi strusciano contro quelli del minore, la stoffa a fare d’attrito, un’anticipazione.

    «Il tuo letto?» mormora, a fior di labbra, rauco. In realtà non gli importava un cazzo di essere scoperto in Biblioteca tra le gambe di Hunter. Avrebbe continuato. Magari, avrebbero solo apprezzato lo spettacolo che, gentilmente, si stavano prodigando ad offrire. Era tutto fuorché timido, non possedeva pudore «non abbiamo le bacchette» si struscia nuovamente, sospirando, con gli occhi socchiusi puntati in quelli dell’altro «I tuoi compagni di Casa potrebbero sentirci. E se tornassero dalla cena sul più bello? E se domani mattina avrò ancora voglia?» la guancia va ad accarezzare quella del ragazzo, prendendogli poi il lobo tra i denti, lappando alla fine la zona martoriata «ti eccita il pensiero che possano sentirci?» oh, perché a lui sì, maledettamente. L’idea delle tende del baldacchino tirate, della confusione degli altri Corvonero intendi a domandarsi cosa diamine stesse facendo Hunter, con chi; dei gemiti trattenuti a stento, mordendo il cuscino per evitare di essere troppo palesi «potrei essere un tantino… entusiasta» ridacchia, affilando le palpebre sornione e poggiando le braccia sulle spalle dell’Oakes, dandogli qualche bacio distratto sul mento, adesso appena più lucido grazie alla mancanza di quei tocchi audaci «mon amour, ti conviene farmi strada adesso» suonava come una minaccia? Forse perché lo era. Una positiva, chiaramente, ma pur sempre un avvertimento. Lentamente, scivola via dalla presa di Hunter, leggero, ma traballante. Sentiva le gambe fatte di burro, la testa leggera—forse perché il sangue era andato a defluire tra le cosce, piuttosto che collegare le sinapsi «perché quel tavolino potrebbe diventare un ottimo letto, a breve» gli sorride, malandrino, cercando di sistemarsi i capelli alla bene e meglio. Avrebbero dovuto comunque attraversare mezzo Castello per arrivare al dormitorio dei Corvonero e di certo farsi beccare così scombinati e con delle erezioni in mezzo alle gambe… beh, sarebbe valso come a dire apertamente che avessero intenzione di darci dentro. Che, attenzione, per la stessa legge di poco prima, non gli interessava poi molto del pensiero della gentaglia; avrebbero visto solo due ragazzi intenti a nascondere (nel suo caso nemmeno poi così tanto) l’evidenza.

    Alla fine, si morde il labbro inferiore, senza nascondere un sorrisetto malizioso e sfuggente, sparendo nella sala opposta per recuperare i libri e la tracolla frettolosamente. Oh. Dio. Stava davvero per seguire Hunter nel suo letto… Merlino. M e r l i n o. Non era pronto. Oppure lo era. Non lo sapeva nemmeno. Non poteva essere reale. Non aveva senso. Eppure lo aveva perfettamente. Approfittando della momentanea solitudine, stringe gli occhi e si posa entrambe le mani sulle guance bollenti, rosse come dei pomodori maturi; non era mai stato così colorato come in quell’esatto momento, sempre pallido e fatto di porcellana.

    Viktor Asmodeus Dallaire
    You can't study the darkness
    by flooding it
    with light.
    17 y.o.
    Gryffindor
    Studying
     
    .
  3.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Wizard
    Posts
    523
    Spolliciometro
    +927

    Status
    Offline
    Non credeva che il suo nome, sulle labbra del francese, potesse avere un effetto così devastante. O che potesse essere pronunciato in un modo così sensuale da fargli desiderare di averne altri dieci, solo per sentirsi chiamare con la voce traboccante di lussuria. Stava diventando davvero impossibile, per Hunter, mantenere quel minimo di compostezza che lo stava trattenendo da quell’istinto che gli urlava di smetterla di giocarci attorno e di farsi prendere dal Dallaire lì, su quella sedia; di strappargli i pantaloni di dosso solo per mischiare le loro mani, i loro ansiti, i loro umori. Teneva la testa poggiata sul capo dell’altro, respirava dalla bocca perché l’aria stava diventando rarefatta o, più semplicemente, aveva dimenticato come si facesse a inspirare, a far entrare ossigeno nei polmoni. Sentì una scossa andare dritta nel suo basso ventre quando il maggiore aveva morso la sua maglia e la sua carne, quel gemito ovattato che gli era andato dritto nelle vene, spingendo il cuore a pompare ancora più sangue, mandandolo quasi in estasi. Era sovrastimolato e sapeva, era conscio del fatto che quello era niente; che Viktor sarebbe stato in grado di spingerlo oltre il limite solo schioccando le dita. Era ferino, il Dallaire, era diretto e aveva come la sensazione che si stesse quasi trattenendo, che stesse salvando il meglio per dopo. Perché lui, Hunter, sapeva che la vendetta gli sarebbe stata servita fredda. Tuttavia, vederlo così, sentirlo bisognoso delle sue attenzioni, incapace di emettere un suono che non fosse un lamento di piacere, era più di quanto potesse immaginare, più di quanto avesse mai potuto sperare.
    Annuì, piano, accarezzandogli la coscia, graffiando appena sulla stoffa dei pantaloni, perdendosi nell’azzurro fuso delle iridi del più grande. “Non è un problema.” Disse trattenendo un verso di dubbia provenienza nella sua gola, mentre l’altro era come un gatto sul suo ventre. Non sapeva se lo stesse provocando, se fosse intenzionato a prendersi una piccola rivincita per quell’interruzione non richiesta e si disse che forse, in quel momento, non aveva poi così importanza. Non che il Corvonero fosse in una posizione migliore per poter fare qualcosa in merito, troppo concentrato a carezzargli la schiena con la punta delle dita. “A volte suono il pad di batteria portatile in camera e… Viktor pigolò assentandosi un attimo dalla realtà, scivolando nuovamente in quel mondo in cui i sensi erano relativi, in cui il suo corpo era talmente sensibile da tradirlo. Portò entrambe le mani sui fianchi del francese, impedendogli qualsiasi movimento che potesse in qualunque modo farlo venire. Perché ci era tremendamente vicino. “E avevo lanciato un incantesimo affinché nessuno potesse essere disturbato dalla musica. Non lo rinforzo da quando siam tornati a Hogwarts, ma si potrebbe sempre provare.” Scrollò leggermente le spalle, il volto illuminato da un sorriso furbo. Non aveva mai pensato che quella magia potesse tornargli utile anche in altre occasioni. “Se domani mattina avrai ancora voglia, vorrà dire che avrò un meraviglioso risveglio.” Si voltò appena, liberando il suo lobo e baciando la bocca del Grifondoro. “Mi ecciti tu.” Soffiò a fior di labbra. In realtà non sapeva se fosse più tipo da dare spettacolo o se fosse morto solo all’idea che qualcuno potesse scoprirli. Se, in quel momento, non avesse avuto Viktor tra le gambe, avrebbe sicuramente detto la seconda, ma gli ci era voluto veramente tanto per ricordare dove fossero. Quindi entrambe? Solo a livello inconscio? Non lo sapeva, era piuttosto riservato, ma tutto quello… beh, tutto quello non lo avrebbe fatto se non fosse stato per/con il maggiore. Tuttavia, preferiva essere l’unico spettatore.
    “No, potrebbe diventarlo solo quando sarai completamente guarito.” Lo corresse, sorridendogli di rimando, schioccando un bacio sulle labbra dell’altro e dandogli una pacca sul suo sedere poco prima che si allontanasse. Perché, con i sensi, stava ritornando anche tutto il resto: la paura di essere scoperti e di rivivere l’esperienza in sala torture, la preoccupazione per le ferite di Viktor che ancora avevano bisogno di cure, la fame. No, non l’appetito sessuale. La fame, quella vera. Perché Viktor aveva finito il suo panino, lo stesso non poteva dire Hunter.
    Restò seduto qualche istante sulla sedia, la testa poggiata all’indietro sul ripiano della libreria. Nonostante Viktor si fosse allontanato, lo sentiva ancora caldo sulla pelle, sentiva l’eco dei suoi movimenti, l’eccitante fastidio lì dove lo aveva morso, i suoi respiri. Portò una mano a coprire gli occhi, incredulo di quanto stesse accandendo, sconvolto della sua stessa audacia. Si alzò quando fu certo di non barcollare, quando si sentì abbastanza sicuro di riuscire a camminare quasi normalmente. Raggiunse il Dallaire lì dove avevano lasciato i libri, quasi non fosse accaduto niente in quel lasso di tempo. Si avvicinò al tavolo, contento che la sua cena fosse ancora lì.
    “Sicuro di non volerne?” chiese al compagno addentando il pane morbido e porgendo l’altra metà al francese. “Andiamo?” Domandò dopo aver sistemato lo zaino, sfiorando la spalla di Viktor. Non sapeva che fare: prenderlo per mano? Passargli una mano sulla spalla? Prenderlo in braccio e correre fino alla torre di Corvonero sperando non incontrasse nessuno dei suoi amici? Camminare distante ma non troppo? Merlino fino a cinque minuti prima aveva un dito in esplorazione nel suo sedere mentre l’altro lo stava masturbando e ora… ora non sapeva come comportarsi! Soffiò via tutta l’aria dai polmoni, decidendo infine di intrecciare le dita a quelle del Grifondoro, trascinandolo via dalla Biblioteca. Era vermiglio sul volto, la realizzazione di quello che stavano per fare che lo colpì all’improvviso come un treno. Si fermò un attimo lungo il percorso, voltandosi per accertarsi che anche l’altro fosse ancora lì. Lo baciò incapace di trattenersi oltre, con urgenza, perché aveva bisogno di dirgli tante cose, soprattutto che, qualsiasi cosa fosse successa quella notte, sarebbe stata la prima volta. E non gli importava se fossero andati fino in fondo o meno. Sperò che Viktor cogliesse quell’informazione che aveva troppa vergogna di pronunciare.
    “Promettimi solo che non riderai di me.” Disse dopo essere entrati nella Sala Comune - non aveva mai odiato il sistema a indovinelli che ne consentiva l’accesso fino a quel momento - e gli fece strada fino alla sua stanza. “Quello al centro.” indicò al Grifo il suo letto, restando qualche passo più indietro rispetto a lui. Non che fosse difficile indovinare quale fosse il letto di Hunter, era quello più… da Hunter, appunto: il baule perfettamente allineato ai piedi del baldacchino, le lenzuola tirate, la coperta con i pianeti, le carte astrali e le foto con Halley e i suoi amici appese sul muro. C’erano libri sul comodino e sulla sedia, ma ogni cosa sembrava fosse perfettamente al suo posto. “Dammi solo un minuto.” Lasciò andare la mano di Viktor, sparendo dietro la porta del bagno. Sentiva il cuore in gola e l’ansia stava iniziando a fare capolino. Era nervoso e aveva il terrore di sbagliare. Era inesperto e non sapeva cosa fare. Si guardò allo specchio, scorgendo per la prima il suo riflesso: era sfatto. Aveva i capelli sparati in aria, gli occhi lucidi, l’espressione di uno psicopatico. Morgana, neanche l’acqua gelida sul viso stava riuscendo a calmarlo. Respirò piano, sedendosi sulla prima superficie a disposizione, spazzolando i denti per tranquillizzarsi e per evitare che il suo alito sapesse ancora di salsa worcestershire; non che prima fosse un problema ma voleva avere solo il sapore di Viktor sulle labbra. Bastò questo pensiero a farlo calmare, a regolarizzare il suo respiro.
    Uscì dal bagno e si fermò sull’uscio della porta, socchiudendola appena. Guardò incantato la figura di Viktor, illuminata dalla pallida luce della luna che filtrava dalla finestra, rendendolo quasi etereo. Si avvicinò con calma, cercando di racimolare quel briciolo di controllo che gli era rimasto. Sentiva il tremore del suo corpo a ogni passo, l’ansia leggera che cresceva pian piano che accorciava le distanze dall’altro. Lo avvolse con le sue braccia, così come aveva fatto in Biblioteca, la schiena del Grifondoro contro il suo petto. Lo tenne stretto per un attimo a sé, reale tra le sue dita e non frutto della sua immaginazione, prima di allentare di poco la presa. Posò un bacio tra le ciocche corvine e poi un altro sulla linea morbida del collo. Poi un altro e un altro ancora. Chiuse gli occhi, continuando quella lenta e dolce litania. Ogni volta che sfiorava la pelle delicata del francese era un prenditi cura di me, un completo affidarsi a lui, un battito impazzito di quel cuore che non ne voleva sapere di rallentare la sua corsa.
    Era tutto vero. Vero come i suoi palmi che si insinuavano sotto il maglione del più grande, che si appropriavano del suo calore. Vero come il respiro sulla pelle umida, come le dita che sfioravano i fianchi dell’altro, che stuzzicavano i capezzoli turgidi. Non sapeva cosa stesse facendo, non ne aveva la benché minima idea. Si faceva guidare dai sospiri dell’altro, dalle reazioni di quel corpo che voleva conoscere, studiare, scoprire, far impazzire.
    Lo fece voltare appena, catturando le sue labbra ipnotiche in un bacio casto. Un lento sfiorarsi, senza la fretta di approfondire nulla. Voleva godersi quella tranquillità, quella calma che lo stava sciogliendo, che stava allentando piano la tensione che lo aveva attanagliato in una morsa. Sciolse l’abbraccio a fatica, cercando di prolungare quanto più possibile il contatto velato delle sue dita sul corpo dell’altro, fino a intrecciarle con quelle di Viktor, guidandolo piano verso il suo letto dopo avergli sfilato il maglione. Si sedette sul bordo, un sorriso impacciato a segnargli il volto. Lo guardò leggermente impaurito, la gola improvvisamente secca. Voleva dirgli che non sarebbe stato il massimo, che avrebbe fatto meglio a non avere nessuna aspettativa con lui, che era prossimo a un arresto cardiaco, che gli sarebbe andato più che bene si fossero addormentati abbracciati, le labbra ancora vicine col ricordo dell’ultimo bacio. Eppure… Eppure c’era qualcosa nello sguardo di Viktor che gli dava il coraggio di continuare, di provare, ti tentare. Aveva il potere di tranquillizzarlo, nonostante quella presenza così ferma e solida che gli toglieva il respiro. Passò una mano sui segni delle ustioni, tracciandoli delicatamente, seguendone i disegni su quel corpo che, ancora, si stava riprendendo.
    Gli sbottonò i pantaloni, avvicinandolo a sé; lasciò che la forza gravitazionale facesse il suo corso, troppo impegnato a sfiorare con la punta del naso la pelle appena scoperta. Azzardò un bacio sulla stoffa dei boxer, lì dove le forme erano più accentuate. Lo baciò ancora, lungo tutta la lunghezza, le mani che si appropriavano delle gambe del Grifondoro, dei suoi glutei. L’odore di Viktor era pungente, riempiva le sue narici facendolo quasi boccheggiare. Era bastato quel tocco, quel sentirlo reale tra le sue dita, per risvegliarlo, per far pulsare il suo sesso, per farlo contrarre alla ricerca di attenzioni.
    Alzò gli occhi verso l’alto, cercando lo sguardo del francese, schiudendo le labbra e premendole un po’ di più attorno al suo membro. Si chiese se lo stesse guardando, se si stesse prendendo gioco di lui o se fosse eccitato tanto quanto Hunter lo era in quel momento.
    Si sentiva accaldato, imbarazzato e tante di quelle cose che non riusciva neanche a descrivere. Si portò leggermente indietro col busto, osservando la bellezza dell’altro, incapace di nascondere l’ammirazione nel suo sorriso. Lo tirò a sé, facendolo sedere sulle sue gambe, tornando a seminare baci sul suo petto, troppo occupato per pensare, per fare altro che non fosse leccarlo, sfiorarlo, adorarlo.
    Un ”Mi fai impazzire. sfuggì dalla sua sua bocca prima che potesse rendersene conto, restando incastrato tra le loro labbra, in un bacio che esprimeva quel concetto più di quanto non ne fossero in grado le parole.
    There are no winners
    when the die is cast
    There's only tears
    when it's the final task
    Focused | Ink | Prankster
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Hunter
    Oakes
     
    .
  4.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    «Sicuro di non volerne?»

    Il suono della voce di Hunter era stato più che sufficiente per mandargli un brivido lungo la schiena. Non che avesse detto niente di eccitante, nulla che potesse fargli ricordare cos’avessero appena condiviso in quell’anfratto buio della Biblioteca, ma era bastato per fargli traballare le gambe come un ubriaco. No, non avrebbe mostrato all’altro quanto lo rendesse debole, incapace di pronunciare una frase di senso compiuto e, di conseguenza, limitarsi ad un cenno di diniego con il capo. Non riusciva a parlare. A dire mezza parola. Era bloccato a fissare l’Oakes mangiare, a chiedersi come diamine fossero arrivati a quel punto quando, una manciata di settimane prima, avevano deciso di andarci piano e di non affrettare le cose. Non si stava lamentando, affatto, ed era abbastanza stupito dall’audacia del Corvonero, ancora intontito dai baci e dalla facilità con cui fosse arrivato ad accarezzarlo intimamente, tra le natiche, senza mostrare il minimo accenno di pudore. Era stato intenso, così tanto da mandargli il cervello il black-out e non permettergli nemmeno di recepire il limite, il confine che li separava dall’imminente orgasmo. Perché se Hunter non avesse posto quel freno, proponendo di andare nel dormitorio, sarebbe venuto nei pantaloni; avrebbe fatto la figura di merda più imbarazzante della sua vita. Era spaventoso come, con l’Oakes, perdesse completamente la testa. Non aveva nemmeno capito come si fosse ritrovato a gemere, a mordere, a chiedere tacitamente all’altro di dargli quella frizione in più, capace di mandarlo all’Inferno con un solo tocco. Sarebbe bastato strusciarsi le ultime volte per macchiare i boxer di sperma. Non aveva tenuto in conto, non si era mai nemmeno azzardato ad immaginarlo, che Hunter potesse controllarlo così fottutamente bene. Che avesse perso il controllo che in genere possedeva, lasciandolo avvicinare in modo spontaneo, senza chiedersi il perché o se fosse giusto; senza domandarsi se l’Oakes si sentisse per primo tra le nuvole.

    Il pomeriggio di studio, gli alieni disegnati sul viso, la carta del panino abbandonata dentro la tracolla… erano solo ricordi sfumati, completamente sovrascritti dalle mani del minore, dal suo respiro sulla pelle, dai baci che, finalmente, gli aveva dato senza più trattenersi. E non sapeva come facesse l’altro ad addentare quel panino, masticarlo e buttarlo giù, quando il suo stomaco era chiuso, stretto dal nervosismo.
    Una volta arrivati alla Torre dei Corvonero avrebbero ripreso da dove si erano interrotti? Sarebbero stati nudi su quel letto? Oppure avrebbero perso lo slancio? Si sarebbero guardati in imbarazzo come in quell’istante o, semplicemente, si sarebbero ritrovati nuovamente a desiderarsi come due disperati?
    Non sapeva cosa aspettarsi ed era… agitato. Era la prima volta, nella sua vita, che si sentiva in quel modo. Non aveva idea di come comportarsi: doveva essere se stesso e osare, oppure avrebbe rischiato di dare ad Hunter l’impressione che le voci sul suo conto fossero vere? Avrebbe pensato che fosse un poco di buono? Si sarebbe rifiutato di stare con lui, una volta scoperto il suo modo di approcciarsi al sesso? Aveva esagerato?
    In genere, tendeva a non prestare attenzione a quelle sciocchezze. Lui era chi era, non avrebbe mai dovuto giustificarsi con nessuno, né dare peso al parere degli altri. Eppure, aveva il terrore di mostrarsi troppo, di fare troppo, di essere troppo e che Hunter, quel troppo, non lo avrebbe apprezzato.
    Forse, in quel momento, spettava a lui il nome Bambi, per via degli occhi appena più lucidi, velati di quella preoccupazione che non l’aveva nemmeno toccato, impegnato com’era a perdersi nelle mani del minore; un po’ si vergognava per essere stato tanto rumoroso, ma… non era colpa sua. Non lo faceva di proposito o per essere al centro dell’attenzione, era il suo corpo a fargli esternare il piacere in quel modo. A renderlo un fascio di lamenti, preghiere, suppliche che difficilmente esternava con partner di cui, francamente, non gli importava poi molto. Forse Hunter era il secondo? ad averlo fatto gridare senza nemmeno sfiorarlo.

    «Andiamo?»

    Il panico. Totale, sconvolgente, disarmante panico.
    Era assurdo che stesse reagendo in quel modo quando, solo qualche minuto prima, aveva detto all’Oakes di volerlo in bocca. Di volergli succhiare via l’anima. Di desiderarlo dentro di sé. Ed ora era come paralizzato; anni e anni di esperienza non l’avevano preparato a quello, ad essere l’oggetto del desiderio di qualcuno che… gli voleva bene? A cui interessava? Che lo stava trattando come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto?
    Le dita ad intrecciarsi con le proprie lo fanno appena sobbalzare, stupito. Non avrebbe mai creduto che Hunter gli avrebbe preso la mano in quel modo e non che non l’avesse fatto, durante il piacevole incontro di poco prima, ma era diverso. Un conto era farlo nell’intimità, lontano da occhi indiscreti, mentre toccarsi era la normalità delle cose; un altro era intrecciare le dita con la consapevolezza che qualcuno avrebbe potuto vederli.
    Il suo povero cuore non avrebbe potuto reggere ancora per molto, ormai prossimo ad un collasso. Gli sembrava che stesse per scoppiare, che ogni fibra del suo corpo si sarebbe potuta accontentare di quello, che si potesse chiudere tutto con la consapevolezza che Hunter non si vergognasse di lui, come pensava sarebbe successo.
    Perché tutti, ad Hogwarts, sapevano chi fosse. Che avesse lavorato al Lilium. Che non fosse un bravo ragazzo, che fosse facile. E di certo, quella nomina, era ciò che più lo spaventava nel rapporto costruito tanto faticosamente con il minore. Cosa avrebbero detto gli altri? I suoi amici? Sua sorella? Soprattutto Halley. Oh, dio. Perché doveva pensare a quelle cose in un momento così delicato?

    Non sapeva se Hunter avesse sentito i suoi pensieri o, semplicemente, si fosse fermato a metà strada per riprendere fiato o, peggio, se stesse pensando di lasciarlo lì come un cane abbandonato in autostrada, ma sapeva solo che quello fosse servito a tagliare il filo di quelle dannatissime elucubrazioni mentali, capaci soltanto di peggiorare lo stato d’ansia in cui versava.
    Il bacio dell’Oakes, inaspettato, lo porta appena a sgranare gli occhi, fissandolo poi interrogativo.

    «Promettimi solo che non riderai di me.»

    Ridere di lui? Come avrebbe potuto?
    Lo guarda, deciso a rispondergli, ma prima che possa emettere un fiato, la porta del Dormitorio si apre, rivelando i letti a baldacchino. Si morde il labbro, individuando subito lo spazio di Hunter, prima ancora che l’altro potesse indicarglielo. Era palese. Era così riconoscibile che, se fosse stata un’altra situazione, avrebbe riso. La coperta con i pianeti diceva più di quanto potessero fare il baule allineato perfettamente ai piedi del letto o le carte astrali appese al muro.

    «Dammi solo un minuto.»

    Era una saetta, quell’uomo. Spariva, entrava, usciva ad una velocità che lo stava mettendo in agitazione, impedendogli di proferire parola. Di dirgli “okay, va bene” o, semplicemente “per favore, stai fermo un attimo”. Rimanere da solo in quella stanza era… intimo. Ed era strano, a pensarci bene, perché in quel luogo dormivano altri studenti, altre persone con cui a malapena aveva condiviso qualcosa. Era simile al dormitorio dei Grifondoro; ovviamente appeso al muro, piuttosto che il fiero leone rampante simbolo della sua Casa, c’era il Corvo, su uno sfondo blu acceso. Erano bei colori, dopotutto, e si domandava come mai il Cappello Parlante, per lui, non avesse scelto Corvonero. Avrebbe avuto successo, lì, visto il suo potenziale. Si sarebbe fatto vanto di essere uno di loro, perché in quella Torre si sentiva a casa. Forse era solo l’idea che ci fosse anche Hunter a farlo sentire così bene, a proprio agio tra i baldacchini. In cuor suo, però, sapeva che Grifondoro fosse stato un bene per lui. Non era coraggioso, non aveva a cuore nulla se non la propria vita, ma era diventata presto una bugia: c’era Hunter, adesso. C’era Charles, disperso chissà dove, Mortimer… e forse era stato quello lo scopo dello Smistamento. Fargli comprendere quanto avesse e quanto fosse disposto ad annullarsi, per i suoi amici. Quanto avrebbe rischiato per difenderli e proteggerli. Scoprire di essere capace di cedere la propria vita per loro, a qualsiasi prezzo.
    Fissare il letto vuoto di Iden, l’unico spoglio in quella camera piena di oggetti personali, era una pugnalata al petto. Un ricordargli la preoccupazione che, ogni giorno, lo divorava per il Dumont.

    Ma non era lì per struggersi disperato. Per una volta era lì per se stesso, per i suoi desideri, per il suo cuore.
    Per questo, lentamente, si avvicina alle fotografie appese, a quello spazio dedicato al minore. Sorride, rilassato, osservando i volti degli amici del ragazzo intenti a festeggiare; di Halley e Hunter stretti in un abbraccio, con i sorrisi ad illuminarne il viso. Erano belli ed erano felici. Erano tutto quello che lui non aveva mai avuto.
    Il solo pensiero di stringere così uno dei suoi fratelli gli faceva salire la pelle d’oca, eppure avrebbe voluto. Avrebbe voluto non sentire quella cocente delusione fargli pizzicare gli occhi, distogliendoli frettolosamente da quelle foto. Per questo, si ritrova a posare lo sguardo sui libri, che sfiora con la punta delle dita, ma che non prova nemmeno a sfogliare, certo di non riuscire a tenerli saldi tra le mani. Gli tremavano.

    Un minuto era passato da un pezzo e a quel punto stava iniziando a pensare che Hunter avesse richiamato la scopa con un Accio e se la fosse data a gambe levate nella notte, spalancando la finestra del bagno. Sarebbe stata una scena ilare, se solo non avesse avuto il dubbio che fosse più verosimile di quanto si potesse credere. E lo capiva, davvero, perché probabilmente si sarebbe trovato nella stessa posizione, a parti invertite.
    Aveva paura che lo prendesse in giro, che giocasse con la sua inesperienza; la verità era che, in quel momento, giocavano ad armi pari. I colpi erano gli stessi, le paure simili, il tremore perfettamente identico.
    Fissare fuori era un modo per spegnere ogni singolo dubbio, ma era talmente assorto da non rendersi conto della presenza dell’altro, intento a fissarlo.

    Poi di nuovo, come in Biblioteca. Le mani di Hunter ad avvolgerlo, il profumo a solleticargli le narici, il senso di abbandono ad ogni respiro. Ogni bacio dato sapeva di dolcezza, di erotismo e non poteva fare altro che sospirare languido, chiudere le palpebre e godersi la sensazione d’essere avvolto da quelle braccia. Si era preoccupato per nulla, perché percepiva nuovamente l’eccitazione scorrergli nelle vene, il desiderio di voltarsi e spingere l’Oakes su letto, fargli perdere la testa e supplicarlo di dargli di più. Era di nuovo lì, l’erezione a premere fastidiosa sul tessuto dei pantaloni, compressa dai boxer di cui avrebbe fatto a meno.
    Non gli interessava nemmeno opporre resistenza, inopportuna in quel momento; non era un gioco, non era nemmeno tempo di fare i dispetti. Non c’era spazio per una frivolezza simile, non quando poteva alzare lo sguardo e trovarvi quello di Hunter, famelico, quasi che lo volesse mangiare.

    In realtà avrebbe voluto tenere il maglione, per quanto stupido potesse sembrare. Hunter l’aveva visto più di una volta in boxer a causa delle medicazioni, ma non c’era mai stata quella tensione, o meglio, qualcosa che andasse oltre il legame tra medico/paziente. Non c’era stata lussuria o voglia di toccarsi in quei momenti e non aveva mai tenuto conto del fatto che essere guardato nell’intimità potesse metterlo così a disagio. Avrebbe voluto dare all’Oakes il corpo di prima, quello liscio, curato, perfettamente lindo e non… quell’ammasso di cicatrici, striature, macchie a sporcarlo.
    Non poteva, però, tenerlo indosso a causa del caldo, che avrebbe solo peggiorato la situazione. L’unica cosa da fare era ignorare il disagio e provare a concentrarsi sulle labbra arcuate del minore, seduto sul letto a guardarlo dal basso.

    Risponde di rimando con un piccolo sorriso, lasciandolo fare, permettendogli di tracciare i segni delle ustioni, di sentire la pelle liscia sotto i polpastrelli; nel frattempo, la mano destra si posa tra le ciocche chiare, in una carezza rassicurante, mentre l’altra tira le tende, deciso a non volere delle interruzioni. Se fosse arrivato qualcuno in quel momento, si sarebbero ritrovati punto e a capo e, davvero…

    Lascia scivolare i pantaloni sul pavimento, trattenendo il respiro al bacio sulla stoffa dei boxer, alla vicinanza con il sesso teso, duro da far male. Malediceva quell’impedimento, quel mancato contatto con la pelle nuda, perché mentre lo osservava muovere le labbra su tutta la lunghezza, l’unico desiderio che riusciva a sentire era quello di fottergli la bocca. Di farlo gemere, di sentire il palato umido far scivolare la sua erezione fino a venirgli, immaginando con una certa precisione nei dettagli, sul viso. Avrebbe pagato oro per vederlo con gli occhiali, quelli che in genere teneva su per leggere, corrucciato e con l’espressione da maestrino, intento a masticare una piuma di zucchero; sarebbero stati bene, sporchi di seme.

    Se stesse guardando? Poteva di certo distrarsi? Forse fantasticare, sì, ma non aveva perso nemmeno un attimo, nemmeno un momento perché Hunter era così eccitante che, se non avesse smesso subito di suggere il suo sesso, lo avrebbe ribaltato su quel fottutissimo letto e al diavolo la delicatezza.
    Fortunatamente per entrambi, l’Oakes aveva deciso di porre fine a quella tortura, chissà se perché volesse di più o perché avesse percepito il cambiamento nell’aria.
    Il pollice si avvicina alle labbra del Corvonero, accarezzandole con gli occhi velati di eccitazione, le proprie appena dischiuse in contemplazione. Si lascia guidare fino a sedersi a cavalcioni, nuovamente invaso dai baci, dalle lappate, dall’intraprendenza di Hunter.
    «Ti faccio impazzire?» domanda, mellifluo all’orecchio dell’altro, afferrando i lembi della maglietta del minore e sollevandoli, deciso a non essere il solo nudo, a lasciarsi trascinare come un pupazzetto. Butta la maglia sul pavimento, incurante e poi solleva di poco il bacino, così da poter insinuare la mano tra di loro e far scendere la stoffa della tuta, tirandola via senza troppe cerimonie.
    Con entrambe le mani lo spinge dalle spalle per farlo distendere, soddisfatto di poter troneggiare, ristabilendo così una sorta di confort zone «Fai il bravo, porcelet» gli rivolge un sorriso malizioso, per la prima volta godendosi Hunter nudo sotto di sé. Era come… se gli angeli del paradiso fossero scesi in Terra e avessero deciso di cantare in coro. L’Oakes era bello. Così sfatto, con i capelli in disordine, il viso accaldato, le labbra rosse, gli occhi lucidi…

    Basta così, si dice. Non avrebbe retto ancora, non con la consapevolezza di averlo alla propria mercé senza poter fare niente se non fissarlo come un idiota.
    Lentamente, si china sul collo del minore, facendo vagare le mani sui fianchi, stringendoli tra le dita, mentre inizia a suggere la zona, tirandola con i denti. L’avrebbe riempito di succhiotti impossibili da nascondere; l’avrebbe tinto di viola, così che la promessa di essere il solo sarebbe stata più che rispettata. Non avrebbe potuto fare a meno di vedere quei marchi e masturbarsi pensando al dopo, alle sue labbra intente a scendere verso il petto, sul capezzolo che sugge senza esitazione, lappandolo e strusciando gli addominali contro l'erezione del Corvonero. Non si sarebbe potuto dimenticare i denti a giocare con l’elastico dei boxer, né lo sguardo di fuoco.

    «Non ti azzardare a fermarmi» mormora, roco, un chiaro monito riguardo al fatto che, se anche fosse venuto, avrebbe dovuto farlo nella sua bocca.
    Le falangi scostano la stoffa dell’intimo e si ritrova a deglutire, la salivazione d’improvviso più pesante, come se avesse l’acquolina. Come se solo l’idea di poterlo sentire sul palato fosse abbastanza per invogliarlo ad agire. Non gli importava nulla della propria erezione in mezzo alle gambe, del piacere personale, dell’appagamento dell’orgasmo; come aveva detto ad Hunter, voleva solo che fosse lì, nella sua bocca. Che quel sesso, adesso svettante e libero, fosse tra le sue labbra.

    Lentamente, lo accarezza con le dita, finalmente chiaro ai suoi occhi, non più nascosto dall’inutile stoffa; poi, ne lecca la base, le venule a pulsare, fino ad arrivare in cima. Il sapore della pelle dell’Oakes, velata dal sudore, era stordente. Lo faceva traballare, sebbene fosse appena disteso, intento a succhiare la punta, a lasciare che questa gli accarezzasse il labbro inferiore. a tracciarle come se fosse un rossetto. Le iridi azzurre, ogni tanto, ricercano quelle dell’altro, per accertarsi che andasse tutto bene.
    Non pensava di avere premura o che ci fossero limiti di tempo, a parte forse la resistenza di entrambi, ma era così nel sesso e gli piaceva leccare, strusciare, macchiarsi le labbra con l’umido dell’eccitazione, prima di fare qualsiasi cosa.
    Ala fine, si sistema meglio, prendendogli il polso e posandogli la mano tra i capelli corvini, intimandogli di stringere. Se avesse voluto, avrebbe potuto guidarlo.

    «Hunter… fottimi la bocca. Per favore» supplica in un mugolio, ormai perso nel sesso, prima di perdersi nuovamente tra le cosce del minore, questa volta con più decisione, spingendoselo in gola e succhiando, emettendo un gemito di appagamento.
    Viktor Asmodeus Dallaire
    You can't study the darkness
    by flooding it
    with light.
    17 y.o.
    Gryffindor
    Studying
     
    .
  5.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Wizard
    Posts
    523
    Spolliciometro
    +927

    Status
    Offline
    Non sapeva come fossero arrivati a quel punto. Non aveva idea di cosa fosse successo nel giro di quelle ore per passare da semplici amici a quello. Ok, forse semplici non lo erano mai stati, sopra le righe fin da subito, dal momento in cui Hunter aveva fatto coming out. Non aveva detto a nessuno, prima di Viktor, di essere gay. Ammetterlo ad alta voce a quello che era un estraneo, fu una delle esperienze più liberatorie della sua vita. Lo aveva detto chiaramente, senza giri di parole, diretto come al solito e, all’improvviso, gli sembrò che quella scoperta facesse meno paura, che non fosse poi tanto spaventosa. No, non è vero. Non era successo all’improvviso, non era bastato esternare quel segreto per renderlo più alla sua portata: era stato il Grifondoro, inconsapevolmente, a farsi carico di una parte di quel fardello. Non lo aveva giudicato, non lo aveva deriso, non lo aveva umiliato. Lo aveva ascoltato. Ed era tutto quello di cui Hunter avesse bisogno in quel momento così delicato, quando non aveva neanche la forza di affrontare se stesso, di guardarsi allo specchio e di ammettere che gli piacessero gli uomini. Se sapesse delle voci sul conto di Viktor Asmodeus Dallaire? Ovviamente. Hogwarts non era poi così grande e, per quanto potesse sembrare strambo o stravagante, con la testa persa nel suo mondo, non era il tipo di persona che andasse a chiedere in giro se facesse male essere penetrati. Dubbio legittimo il suo, specialmente se stai cercando di informarti su come due uomini fanno sesso e non riesci ad avere accesso a del materiale decente. Certo, avrebbe potuto a chiedere a Mehan di spiegargli qualcosa ma non credeva il Tryhard avesse delle conoscenze specifiche in quel determinato ambito e, soprattutto, ancora non aveva detto nulla a sua sorella. Viktor, fin da subito, era stato l’eccezione a ogni regola.
    Non lo aveva mai, neanche una volta, giudicato. Potevano non essersi capiti, potevano aver avuto problemi di comunicazione, potevano essersi scontrati l’uno contro il muro di silenzi dell’altro, potevano avere un’infinità di cose non dette, ma mai Hunter aveva espresso una sentenza sulle esperienze passate del Dallaire. C’erano pettegolezzi, commenti, addirittura scommesse che gravavano sulle spalle dello studente più grande, ma al Corvonero non interessavano, perché non stava ad altri raccontare la storia del Grifondoro, o le sue memorabili gesta; solo a Viktor, se avesse voluto condividerle con lui. E Hunter lo avrebbe ascoltato, come aveva fatto fino a quel momento, perché non esprimeva giudizi, non alimentava maldicenze. Era sicuro che il francese avesse le sue ragioni, le sue spiegazioni, i suoi traumi da superare e che ogni singola scelta avesse dietro una motivazione più profonda, che si avvicinava tragicamente a quanto sottinteso in Biblioteca, a una storia di abusi che molti non avrebbero neanche potuto lontanamente immaginare o, ancor meno, sopportare.
    Se fosse preoccupato che qualcun altro potesse vederli camminare mano nella mano? Merlino, aveva già superato la fase della morte per vergogna quando era stato beccato a baciarlo nel parco e stavano per dare spettacolo in un luogo potenzialmente frequentato da altra gente. Certo, se li avessero beccati sarebbe morto dentro, ma non avrebbe mai attribuito quel senso di disagio o soggezione alla presenza del più grande al suo fianco.
    Se fosse stato vittima di uno sbalzo ormonale o se fosse accaduto tutto troppo in fretta? Ne dubitava fortemente, perché già quando si erano baciati in infermeria, più di un mese prima, si era dovuto trattenere dall’iniziare a strusciarsi sul corpo bendato dell’altro, tutto per un bacio in cui aveva rischiato di metterci troppo entusiasmo. Ma ora… adesso che sentiva la connessione con l’altro farsi più salda, che avevano iniziato a vedere oltre il muro delle apparenze, che avevano scelto entrambi di essere più fisici, gli sembrava fosse tutto naturale. Giusto. Che dovessero essere lì.
    Per quanto, poi, agli occhi del Corvonero potesse sembrare tutto così surreale: dall’istinto che guidava la sua mano ai vocalizzi dell’altro, dai denti che graffiavano la sua carne alle dita strette sui muscoli dell’altro, a quelle fantasie che avrebbero facilmente potuto prendere vita.
    Hunter si sentiva spaesato, in balia delle emozioni, eppure perfettamente ancorato alla realtà, al fatto che Viktor fosse reale e non avrebbe mai smesso di stupirsi per questo. No, non l’oggetto di scherno delle chiacchiere altrui, non il fantoccio che andava bene solo se si voleva fare del buon sesso e non si cercava alcun legame, ma Viktor. Quello che si perdeva nelle serre e che ne usciva ore dopo coperto di terriccio perché c’era sempre qualche ramo da potare o qualche pianta che aveva bisogno del suo aiuto; quello che eccelleva nella Trasfigurazione e che avrebbe anche potuto insegnarla per quanto la sua conoscenza fosse approfondita; quello che aveva il volto macchiato di inchiostro e la risata tanto bella quanto rara. Quello che non aveva tradito il cugino, sopportando la peggiore delle torture. Era quello il Viktor che a lui interessava, quello che voleva continuare a conoscere e se si fosse stancato di lui… beh, avrebbe provato a capirlo, per quanto potesse far male.
    Tuttavia, non era un problema che avrebbe dovuto affrontare nel breve termine, non quando il corpo del francese era voglioso sopra il suo. Era perfetto. Ai suoi occhi era fottutamente meraviglioso. Nonostante i segni della punizione, nonostante tutte quelle imperfezioni che lo rendevano unico. Erano le tracce di una storia dolorosa, di una notte da dimenticare, ma, se possibile, quella sera lo facevano risultare ancora più irraggiungibile. Eppure così vicino, tangibile. Avrebbe dubitato della sua stessa mente, credendo gli stesse tirando un brutto scherzo, se non lo avesse sentito reale al tatto, se la presenza del francese non fosse così vicina da mantenerlo vigile, alzando la sua soglia d’attenzione all’inverosimile. Osservava Viktor, imprimendo ogni immagine nella sua mente, rimpiazzando le sue fantasie con i gesti dell’altro, con i suoi gemiti. Si era chiesto più volte quale intonazione avrebbe avuto la voce del Grifondoro spezzata dal piacere o se invece fosse stato un tipo più silenzioso. Se lo avesse guardato negli occhi, se lo avesse cercato, se avesse chiamato il suo nome.
    Hunter traboccava di gioia ed era difficile credere che potesse esserlo per qualcosa che aveva sempre ritenuto fosse meccanico, un sistema collaudato per impedire l’estinzione della specie. Non lo avrebbe mai detto apertamente, ma un po’ iniziava a credere che il Dallaire avesse ragione, che ci fosse altro dietro il sesso. Forse non arte o poesia, ma sicuramente qualcosa che era disposto a scoprire.
    Si lasciò spogliare senza opporre resistenza, dimenticando persino di mettere a posto la felpa che ormai giaceva sul pavimento e non piegata sul suo baule. C’era solo Viktor nella sua mente. I suoi sensi erano pieni dell’altro: lo vedeva nudo su di sé, sentiva il suo soffio sull’orecchio, percepiva il suo calore mandargli a fuoco ogni terminazione nervosa, l’aria aveva il suo odore e le labbra conservavano il suo sapore. Era talmente perso nell’altro che gli ci volle qualche istante per rendersi conto di quel che stava succedendo, del brivido che gli corse lungo la schiena davanti a quel sorriso carico delle peggiori promesse. Non sarebbe mai stato in grado di resistergli. Non quando Viktor lo guardava come se fosse l’unico al mondo, come se fosse suo. Ed era ipnotico, magnetico. Hunter non sarebbe stato in grado di distogliere lo sguardo neanche se lo avessero messo sotto Imperio. Si accorse di aver smesso di respirare quando sentì la lingua del più grande stuzzicare la sua areola e morì più di una volta nel vederlo scendere, sempre più giù. Chiuse appena gli occhi quando sentì l’aria accarezzare la sua erezione, accompagnata dalle dita dell’altro. Non lo avrebbe fermato, come avrebbe potuto? Era perso sotto il suo tocco. Era disperato. Era Hunter e non lo era più. Abbandonò la testa sul materasso, stringendo appena la coperta, incapace di emettere alcun suono che non fosse un verso carico di piacere. Sentiva i muscoli contrarsi sottopelle, sentiva la pallina di metallo percorrerlo lungo tutta la lunghezza, sentiva il respiro di Viktor sul suo sesso ed era un susseguirsi di brividi e piacere. Non poteva più sostenere lo sguardo dell’altro, perché si stava sciogliendo lentamente, perché se avesse visto ancora la punta del suo pene sfiorare le labbra del francese sarebbe venuto ancor prima che l’altro potesse fare qualsiasi cosa. E ci era così vicino, che quell’attesa lo stava sfinendo. Stava per implorare il più grande, quando l’altro lo anticipò, divorandolo.
    Sgranò gli occhi, sollevandosi appena, i polmoni che tornavano a riempirsi d’aria all’improvviso. Strinse leggermente la presa sulle ciocche d’inchiostro, supplicandolo di rallentare, perché quel gemito gli era salito dritto fino al cervello. Hunter si prendeva sempre il suo tempo: si toccava piano, facendo particolare attenzione alla base, per poi risalire lentamente sulla punta e man mano aumentava il ritmo, giocando con se stesso prima di spingersi oltre il limite. Ma… così. I suoi fianchi scattarono in avanti, privi di alcun ritmo, incapaci di restare fermi, assecondando i movimenti di quella bocca da cui non riusciva più a distogliere lo sguardo. Sentiva il piacere crescere a ogni spinta e l’orgasmo lo travolse dopo pochissimo, lasciandolo interdetto, con il nome dell’altro rimasto sospeso tra loro. Il suo corpo, scosso ancora da piccoli tremiti per l’intensità di quel godimento, era abbandonato sul letto, la mano libera a coprirgli il viso, l’altra che accarezzava delicatamente la nuca di quella realtà che aveva disintegrato ogni sua fantasia.
    “Viktor…” mormorò piano, la testa leggera, la voce impastata di piacere. Riuscì a puntellarsi sui gomiti dopo qualche tentativo, prima di sporgersi in avanti, baciando quelle labbra che lo avevano liquefatto. Gli franò addosso, ridacchiando, continuando a tempestare di baci qualsiasi parte del francese gli capitasse a tiro. Si morse il labbro, tastandolo piano con le dita, rendendosi conto solo in quel momento che avesse un sapore leggermente diverso, un po’ più salato del solito. Lo guardò con occhi sgranati, comprendendo cosa fosse effettivamente successo. Continuò a fissarlo stordito per qualche istante, la mano persa nuovamente tra le ciocche corvine, prima di tornare a baciarlo con rinnovata passione, schiacciandolo sotto il suo peso. Il palmo destro scivolò sul corpo del francese, carezzandolo lieve, superando la stoffa che ancora bloccava il suo membro e lo avvolse con le sue dita. Si muoveva con calma, con lentezza, sfiorando i testicoli, stringendoli appena, prima di scorrere deciso lungo tutta la lunghezza dell’altro, massaggiandone poi la punta. Mosse leggermente i fianchi, ancora non del tutto in sé, ancora pervaso dal piacere. Iniziò a percepire il suo tocco farsi più umido, più bollente sul sesso turgido del francese. Sorrise famelico nel bacio, nutrendosi di ogni respiro, di ogni reazione positiva che recepiva dal corpo dell’altro. Era in uno stato di euforia tale che tutto il resto non aveva senso. Stava scoprendo un intero universo, chiuso in quel baldacchino, che nessun libro avrebbe mai potuto rendere a parole. Si spostò su Viktor, sistemandosi tra le sue gambe, sollevandole appena. E Merlino lo fulminasse in quel momento se quella davanti a lui non fosse stata la visione più erotica della storia: le ciocche corvine sparse sul cuscino, il volto dell’altro stravolto dalla lussuria, il pene eretto sotto il suo sguardo ammaliato e sorpreso, la trama della coperta che si muoveva attorno a lui, quasi il Grifondoro fosse il centro di quel sistema e sì, ogni singolo pensiero di Hunter ruotava attorno al Dallaire. Si chinò in avanti, affondando il viso tra le cosce dell’altro, mordendo la parte più interna e sensibile, i capelli che andavano a solleticare il membro apparentemente dimenticato. Lambiva quella porzione di pelle, marchiandolo lì dove nessun altro desiderava lo vedesse, distraendolo dal movimento della sua mano che tornava tra le natiche del più grande, le dita ancora impregnate del liquido preseminale. L’indice scivolò dentro, tastandone piano le pareti, cercando il suo punto più dolce. Iniziò a pomparlo con il palmo libero, infilando un altro dito dentro il Grifondoro, beandosi di sua reazione, studiando quel viso che aveva il bisogno fisico di baciare, di nutrirsi di quei versi di piacere che sfuggivano dalle labbra dell’altro. Si chinò in avanti, impossessandosi della bocca del più grande, interrompendo qualsiasi cosa stesse facendo. Perché non era solo sesso. Perché non era il capriccio di una notte, non per lui. E perché voleva baciarlo fino a consumarsi.
    Fece incontrare i loro bacini, strusciando contro l’altro un po’ impacciato, la mano che andava a raccogliere entrambi. Lo guardò negli occhi e, ancora una volta, si perse nel suo sguardo.
    There are no winners
    when the die is cast
    There's only tears
    when it's the final task
    Focused | Ink | Prankster
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Hunter
    Oakes
     
    .
  6.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Era così… eccitato.
    Aveva la bocca piena di Hunter, l’eco dei suoi sospiri a riempire il silenzio, interrotto solo dallo schioccare liquido, ritmico del membro altrui a fottergli la bocca. Le dita strette nelle ciocche corvine, la consapevolezza di essere ad un passo dal venire senza nemmeno toccarsi. Era completamente diverso dai partner avuti in precedenza, dalle esperienze di una notte; quello che sentiva per l’Oakes si trasmetteva nel sesso, nel desiderio di averlo senza però distogliere lo sguardo, amando il modo in cui lo osservava stupito, con le iridi azzurre velate dall’orgasmo imminente. Perché era quello tutto ciò che voleva: essere guardato con quell’espressione di puro, semplice, godimento. Come se non ci fosse nient’altro nel mondo d’importante se non le sue labbra strette intorno all'erezione altrui, delle dita a strattonargli i ciuffi neri come la pece, di quelle spinte talmente ritmiche da farglielo arrivare dritto in gola. Non sentiva di volersi scostare, non pativa l’idea di essere dominato. Al contrario, l’Oakes avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa e lui sarebbe rimasto lì, a lasciarsi sbranare, divorare da lui, senza opporre la minima resistenza. Se l’avesse afferrato con ancora più forza, sbattendogli il cazzo sul viso o se avesse addirittura pensato di farlo implorare, non avrebbe fatto altro se non accontentarlo. L’avrebbe pregato di darglielo. Avrebbe supplicato, persino con le lacrime, di venirgli in bocca, perché lo voleva come non aveva mai voluto niente nella vita. A lui avrebbe permesso di farlo, perché non a tutti concedeva una simile occasione. Hunter era il suo tutto. La stella più luminosa del cielo. Era il ragazzo di cui si era innamorato, per cui era capitombolato con un colpo di fulmine. Era quello che gli aveva stretto la mano per rassicurarlo, che si preoccupava di cambiargli le bende ogni giorno. Era gentile, le sue mani erano sempre state delicate, trattandolo come se fosse fatto di porcellana pronta a cadere in pezzi al minimo errore. Era stato il primo a voler andare oltre al sesso e sebbene in quel momento fossero presi a gemere, incuranti di aver bruciato le tappe, era tutto perfetto. Non avrebbe cambiato una virgola, si sarebbe fatto trascinare allo stesso modo, lasciandosi avvolgere dalle braccia del Corvonero, esplorare, baciare, perché non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio. Non c’era niente di sbagliato in quelle azioni, nulla di meccanico, niente che potesse far credere ad entrambi di essere andati troppo oltre, di essere stati precipitosi.
    L’aveva voluto dal primo sguardo, quando con quegli occhi da bambino gli aveva confessato d’essere stato rifiutato; aveva capito di desiderarlo intensamente, con ogni fibra del proprio corpo, nel momento in cui gli aveva lanciato quello sguardo di fuoco in Sala Torture; si era innamorato quando quelle mani gentili l’avevano curato, abbracciato e fatto sentire protetto.
    Ed ogni giorno dopo quello, quel sentimento non aveva fatto altro che crescere, strabordando dalle sue labbra come un fiume in piena. Nel momento in cui aveva pronunciato il fatidico “mi piaci” tutto si era quietato. Non c’erano stati litigi, non avevano fatto altro che stare vicini, in silenzio, con sorrisi appena accennati, conoscendosi un po’ di più, un po’ più intimamente. I piccoli modi di fare dell’Oakes erano diventati una quotidianità, la sua voce un modo per trovare la pace, la sua risata il motivo per cui aveva deciso di stringere i denti e non farsi del male.
    Ed ora era contento di non aver fatto nulla per distruggersi, perché se Hunter avesse visto il dolore che si portava dentro, il disgusto che sentiva verso se stesso, si sarebbe preoccupato. Avrebbe posto fine a quello e non avrebbe potuto sopportarlo.
    Perché voleva che lo avesse. Voleva le sue mani sul corpo, le sue labbra sulle proprie, il respiro a solleticargli il viso. Voleva tutto, senza dovervi rinunciare per la sua inettitudine.

    Il gemito strozzato e la tensione delle dita strette tra suoi capelli, lo portano a chiudere gli occhi, consapevole che l’altro stesse raggiungendo l’orgasmo. Senza scostarsi, stringe una mano sul fianco di Hunter, l’altra la posa alla base del sesso altrui, mugugnando soddisfatto al sapore salato sulla lingua. Sentire l’Oakes così sconvolto venire a causa propria, era il suono più eccitante che avesse mai ascoltato. L’avrebbe registrato, si sarebbe ammazzato di seghe solo per quel mugolio sconvolto, per il ricordo del seme a macchiargli le labbra.

    Ingoia, scostandosi con lentezza, prima di mettersi sulle ginocchia, scosso dai brividi, completamente devastato, come se a venire fosse stato lui e non il minore. Si passa un dito all’angolo della bocca, conscio di aver fatto fatica a raccogliere tutto il piacere, decisamente più abbondante di quanto si fosse aspettato; era forse l’eccitazione? Il fatto che fosse stato il primo a toccarlo e fargli un pompino? Forse, ma era abbastanza certo di volerlo rifare e che non si sarebbe fatto problemi nell’averlo nuovamente in gola.

    Il proprio nome, pronunciato con quell’abbandono, appena mormorato, sapeva di dolcezza così tanto da fargli allungare il braccio per accarezzargli i capelli, sparati in ogni direzione. Sembrava così indifeso, con il petto ad alzarsi ed abbassarsi per riprendersi, per ritrovare la stabilità «Dis-moi, mon petit» sussurra, accogliendo il bacio con uno schiocco umido, languido, lasciando che gli franasse letteralmente addosso e finendo disteso lungo il letto, fortunatamente con la testa sul cuscino. Si ritrova a ridacchiare, contagiato dall’euforia di Hunter, completamente ignaro che di lì a breve avrebbe dovuto letteralmente mordersi per non urlare, per cercare di mantenere il silenzio e non allarmare eventuali persone al di là della tenda, nonostante l'incantesimo di silenzio.
    Si ritrova a fissare lo sguardo incredulo dell’Oakes, le labbra appena dischiuse, le iridi a ricercare una risposta ad una domanda che non conosceva. Dopo, la realizzazione. Che si fosse reso conto di averlo baciato con il sapore del suo sperma a riempirgli la bocca? Che ne fosse così schifato da pensare ad uno modo per tagliare tutto e mettere la parola fine a quell’incontro? In effetti, non aveva nemmeno chiesto ad Hunter il permesso; come sempre si era preso quello che voleva, incurante di poter risultare troppo sfacciato.
    Addirittura, era stato così tanto egoista da intimargli di non interromperlo.

    «Hunter—mi dispiace—non volevi?»

    Mugugna, nel panico, ma non tanto certo che l’altro lo stesse effettivamente degnando di considerazione. Sembrava in un altro mondo, perso, com’erano le sue dita tra i capelli corvini. C’era qualcosa, in quelle occhiate, che sembrava quasi preannunciargli una tempesta; gli avrebbe gridato contro? Si sarebbe alzato intimandogli di lasciare il baldacchino? Lo avrebbe apostrofato con un epiteto colorito, a cui ormai era abituato? No, Hunter non l’avrebbe mai fatto.
    E allora, perché continuava a fissarlo come se avesse davanti a sé un alieno?
    Prima che possa nuovamente aprire bocca si ritrova letteralmente assalito dall’Oakes. Le sue mani ovunque, le sue labbra a baciarlo con così tanta irruenza da togliergli il respiro, annaspando per l’aria. Poi, un gemito gli sfugge senza controllo, il nome del minore intrappolato in un singulto, la consapevolezza inaspettata che l’altro avesse preso a masturbarlo senza nemmeno attendere oltre, incapace di togliergli le mani di dosso. Era schiacciato dal peso dell’Oakes, sopraffatto dalle mille sensazioni diverse a fargli solleticare la pelle, dal calore intossicante di quel corpo. Il fiato corto alla realizzazione che l’altro si stesse strusciando, che cercasse ancora di appagarsi, come se non ne avesse avuto abbastanza.
    Hunter si era eccitato nuovamente al sapore dello sperma sulla lingua, forse ancora di più all’idea che fosse il proprio e che lo avesse ingoiato. Era rimasto—stupito, ma non glielo aveva accennato, in Biblioteca, che se gliene avesse data l’occasione, gli avrebbe succhiato via anche l’anima?
    Eppure, sembrava come se il Corvonero volesse fare altrettanto, perché si era così tanto distratto dal pensiero di volerlo avere ancora, che non aveva nemmeno pensato ad una simile eventualità; un dito di Hunter tra le natiche, a scavarlo dall’interno, deciso e netto, umido per via degli umori di cui si era macchiato.

    Sgrana le palpebre, scioccato, aggrappandosi con tutte le forze alle lenzuola, stracciando i pianeti disegnati nel pugno, gemendo forte e non riuscendo a trattenersi. Poi un altro dito ad aggiungersi al primo, la mente appannata dalla voglia di sentire il terzo, forse addirittura il quarto ad aprirlo, a scoparlo. O, perché no, che quelle falangi lasciassero il posto al cazzo di Hunter, già lucido di saliva. Che lo scavasse dentro, che lo prendesse per le cosce come aveva fatto in quel momento, sollevandolo dal materasso, e lo fottesse forte. Ogni spinta una preghiera, un lamento di piacere. Si sarebbe aggrappato ai suoi fianchi con le gambe, avrebbe reclinato il capo all’indietro e si sarebbe lasciato trascinare dall’orgasmo. Avrebbe fatto tutte quelle cose, perché già il suo bacino andava incontro a quelle dita, ricercandole come se non volesse altro, completamente incredulo dell’audacia del Corvo. In automatico, una gamba si posa sulla spalla del minore, sollevandola per sentirlo meglio dentro, mentre i denti vanno a mordersi la spalla, quasi lacrimando per quanto tutto quello fosse frustrante. Gli veniva da piangere, perché voleva venire così tanto, ma allo stesso tempo quello che più desiderava era solo che quella tortura non finisse mai.
    Poi, il vuoto. Un «no!» a sfuggirgli disperato, un rantolo simile ad una supplica, riuscendo solo a socchiudere le palpebre, ritrovandoselo subito dopo nuovamente a strusciarsi, scoordinato, sopra di sé.
    Le unghie si piantano violente sui bicipiti altrui, sentendo il sesso di Hunter stretto al proprio per masturbarli entrambi. Il piacere sembrava montare come un’onda, ancora di più, fino ad esplodere tra i corpi di entrambi con un mugolio, stringendo quelle spalle come se fossero l’unica ancora di salvezza.

    Si sentiva sbronzo, tanto da accasciarsi sul cuscino, il viso sconvolto, le iridi perse e lucide. Le labbra schiuse alla ricerca di ossigeno. Era vivo? Era morto? Sapeva solo che il proprio corpo ne desiderava ancora. Che sebbene fosse distrutto da quella sega, non avrebbe smesso di volerne. Perché… era assurdo che, solo toccandolo, gli avesse causato un simile piacere. Solo con una mano.
    Si domandava quindi cosa avrebbe provato nel sentirlo spingere dentro, se quell’istinto che lo aveva guidato a violarlo avrebbe fatto capolino facendolo diventare un amante passionale. Si sarebbe aspettato di tutto, ma non quello; per carità, l’Oakes da sempre gli era sembrato un ragazzo intrepido, coraggioso, ma così? C o s ì?

    «Sei di nuovo duro» mormora, smarrito, per l’ennesima volta ritrovandosi a pensare a quanto fosse stato fortunato. Perché, davvero, Hunter in quelle condizioni era il sesso. Era la rappresentazione fisica dell’erotismo e non c’era mai stato nessuno come lui, in grado di farlo ansimare in quel modo, veramente, senza fingere. Forse era tutto diverso perché provava qualcosa per lui, perché lo voleva, perché si sentiva protetto, desiderato nel modo più sincero che avesse mai potuto credere. Aveva sempre pensato che non avrebbe trovato nessuno da amare, eppure eccolo lì, perso in quegli occhi azzurri a chiedersi come avesse vissuto senza di lui.

    Dopo aver preso fiato, posa la mano su quella dell’altro, non volendo che continuasse a masturbarsi «aspetta» era la sua voce quella? Sembrava come se non ne avesse più, roca e bassa, completamente stravolta.
    Sospira, languido, approfittando delle gambe ancora strette alla schiena di Hunter per far leva e ribaltarli, trovandosi così sopra di lui. Si mette a sedere sul bacino dell’Oakes, stiracchiandosi con un mugugno e sorridendogli ferino, simile ad un enorme gatto a fare le fusa. La sentiva l’erezione del minore a premere sulla carne del gluteo, ne percepiva il calore. Avrebbe davvero voluto sollevarsi e spingerselo dentro, così, senza nemmeno dargli il tempo di elaborare, anche a costo di spaccarsi in due. Ne sarebbe valsa la pena farlo scivolare dentro di sé, bollente, appropriandosi di quello sguardo e della sua bocca, sopprimendo il dolore in ansiti di piacere. Ma non l’avrebbe fatto.
    Non sapeva il perché, forse non era ancora tempo, forse era qualcosa che voleva che desiderassero entrambi e Hunter era ancora così inesperto che privarlo di tutto ciò che c’era prima gli sembrava un insulto. Il sesso, quello vero, era un qualcosa che voleva condividere con l’Oakes una volta trovata la loro stabilità; era stupido? Forse. Ma aveva scopato con troppi estranei senza nessun sentimento in ballo, e fare del banale sesso con Hunter… gli sembrava che non fosse giusto. Né per se stesso, né per il minore.
    Voleva sentire l’amore scorrere nelle vene di entrambi, voleva che l’altro lo desiderasse in modo intimo, con la passione e non con la curiosità di un ragazzo eccitato. Aveva sentito la scintilla da parte del Corvo, eppure…

    Le dita percorrono il petto di Hunter, pensieroso, arrivando allo sperma a macchiarne il ventre. Lo raccoglie tra il pollice e il medio, mentre la mano libera va a toccare l’erezione dell’Oakes da dietro, masturbandolo lentamente nel pugno.
    «Com’è che si chiamava?» domanda, schiarendosi la voce, mantenendo un tono ingenuo, con tanto di occhioni a fissarlo, persi ancora nell’orgasmo precedente. Si sposta, lasciando che il membro dell’altro strusci sulla sua entrata, ma senza mai spingere davvero, solo un assaggio di quello che non aveva tentato poco prima, scivolando via dopo qualche istante, tra le sue cosce «Quella salsa?» il medio si fa strada tra le natiche di Hunter, accarezzandolo e pressando appena, sornione «Ti andrebbe di ripetermelo, mon amour?» prima che l’altro possa aprire bocca, lo penetra lentamente, ma non del tutto. Giusto il minimo per toccare il punto più sensibile, iniziando a stimolarlo senza pietà «Proprio mi sfugge.»

    Vendicativo? Lui? Nel modo più piacevole che Hunter potesse immaginare.


    Viktor Asmodeus Dallaire
    You can't study the darkness
    by flooding it
    with light.
    17 y.o.
    Gryffindor
    Studying


    Edited by Fancy|Bitch - 17/2/2019, 01:12
     
    .
  7.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Wizard
    Posts
    523
    Spolliciometro
    +927

    Status
    Offline
    Hunter aveva seri problemi nel credere che tutto quello che stesse vivendo in quel momento fosse reale. Una, seppur minima, parte di lui continuava a suggerirgli fosse tutto un sogno, che fosse capitata una piuma di zucchero speciale nel suo sacchetto e che ora stesse avendo delle allucinazioni degne del miglior trip della storia. Perché tutto quello non poteva essere vero. Non Viktor che gemeva per il suo tocco, che andava incontro alle sue dita, che premeva con la gamba sulla sua spalla per approfondire il contatto, per farlo andare più a fondo. Non Hunter che lo mordeva piano, il palmo libero che andava a toccare quanta più pelle possibile, che lo teneva stretto a sé quasi potesse fuggire. Non poteva essere vero neanche il suo nome che si trascinava dietro una carica erotica capace di devastarlo, di farlo andare più a fondo, di far arcuare leggermente l’indice per stimolarlo meglio, per massaggiarlo dall’interno. Non poteva credere al fatto che fosse lui a eccitare Viktor, che il suo tocco fosse in grado di rendere l’altro nient’altro che spinte e urla di piacere.
    Non poteva essere vero e la sua mente si rifiutava di processare, di accettare quella realtà, di perdersi completamente e vivere il momento andando fino in fondo. C’era una zona d’ombra nella sua mente, il pensiero ancora non elaborato che quella parentesi nascosta dalle tende del baldacchino non fosse altro che una fantasia non realizzata.
    Tuttavia, c’era quello sguardo intenso che lo riportava con forza nel mondo reale, che lo costringeva a non guardare altrove, ad essere concentrato solo su di lui, sulle labbra appena dischiuse, su quel corpo che aveva patito un dolore più grande di quanto non fosse in grado di sopportare. E ogni fibra di quel corpo sembrava desiderarlo, quasi invocasse il suo nome.
    Viktor lo stava mandando in tilt, lo stava disintegrando pian piano, stava distruggendo ogni briciola di buon senso solo respirando la stessa aria bollente che gli riempiva i polmoni.
    Le iridi azzurre di Hunter erano fisse sulla figura dell’altro, intente a imprimere nella retina ogni espressione, ogni movimento, ogni guizzo, ogni spinta verso l’altro. Non avrebbe potuto distogliere lo sguardo da quella visione neanche se lo avessero costretto. Non si era mai sentito così… tanto prima. Non sapeva cosa, non sapeva come, solo che fosse vivo, mosso da quella frenesia, da quella voglia che lo spingeva a osare, a voler vedere il Grifondoro esplodere sotto di lui, per lui.
    Vide l’orgasmo di Viktor, più che percepirlo sulle dita. Vide la testa reclinarsi all’indietro, sentì l’altro aggrapparsi a lui, la sua voce spezzarsi per il piacere e ne restò completamente estasiato. Perché il francese era perfezione, pura e semplice. Si perse in quello sguardo trasparente appannato dal desiderio, abbandonato sul suo cuscino, deglutì appena quando i suoi occhi incontrarono le labbra dell’altro, alla disperata ricerca di ossigeno. E ne voleva ancora di quella visione, di quel senso di fiducia e di abbandono, di piegare Viktor fino a farlo gemere indistintamente il suo nome, che non aveva mai avuto suono più bello, se non distrutto da quelle labbra incapaci di pronunciarlo, di ricordarne l’intonazione perché era lui stesso a distrarle, a impedire svolgessero il loro dovere.
    Erano così vicini che sentiva il respiro del più grande sulla sua pelle ed era talmente incantato da quella visione che dimenticò di avere ancora i membri di entrambi tra le mani, che fosse talmente duro da avere la necessità di venire ancora. Ma non voleva macchiare quella visione così bella. Viktor sembrava quasi fosse un’opera d’arta, una scultura estratta dal marmo più pregiato. Si domandò se qualcuno lo avesse mai visto così, se si fosse fermato, anche solo per un istante, ad ammirarne la bellezza, perdendosi in essa, contemplandolo come fosse una delle meraviglie del mondo.
    Se Viktor non avesse parlato, se non avesse attirato la sua attenzione, avrebbe continuato a fissarlo sorpreso, ammaliato, felice.
    Si rese conto di volerlo. Si rese conto di voler essere toccato dal Dallaire, di volerlo sentire sotto i palmi, di venire per mano sua. Si rese conto di volere quello sguardo di fuoco solo per lui, di essere l’unico ad essere ridotto in cenere da quegli traboccanti di lussuria. Di essere ribaltato con facilità disarmante e di essere dominato dall’altro. Finché era Viktor, andava bene tutto: dal collo livido per i troppi baci, ai graffi, alle unghie piantate nella carne quasi non volesse lasciarlo andar via, quasi fosse realmente il suo unico appiglio.
    Ed era una visione che, egoisticamente, non avrebbe voluto condividere con nessuno. Levò lo sguardo per incontrare quello languido dell’altro, prendendosi il suo tempo per osservare le linee, a tratti spigolose, del corpo dell’altro, indugiando sui capezzoli, reprimendo il desiderio di giocare con quel piercing che lo faceva impazzire. Voleva baciarlo, voleva divorare il ghigno beffardo che gli stava rivolgendo, ma era bastato incontrare le iridi trasparenti del francese per restare fermo, in attesa che l’altro facesse di lui quel che voleva. Hunter sarebbe potuto anche venire così, trafitto dagli occhi del più grande che promettevano qualcosa di indimenticabile. Non che fosse difficile, non quando il ricordo di quella notte gli aveva già marchiato la pelle.
    Si sentiva ingrossarsi sotto di lui e più Viktor fregava la sua intimità contro il suo sesso, più Hunter desiderava, pregava, di annullarsi tra le sue gambe, nel punto più profondo che potesse raggiungere. Nonostante fosse sbagliato, nonostante sapesse quanto, probabilmente, si sarebbe pentito di quella scelta, di quella pulsione momentanea dovuta agli stimoli del momento. Perché se da un lato voleva che il Dallaire lo accogliesse dentro di sé, che lo montasse come se il sole non dovesse mai sorgere, che lo spingesse oltre il limite di qualsiasi soglia umana; dall’altro aveva il terrore di rovinare quel momento, dimostrandosi come tutti quelli prima di lui. Né più, né meno di un animale che voleva solo appagare i propri istinti, di chiunque avesse rubato al più grande l’innocenza. Ci doveva essere altro. Voleva ci fosse altro.
    Si morse il labbro, trattenendo qualsiasi suono volesse sfuggire dal suo controllo, l’espressione stravolta, le iridi cobalto che seguivano i movimenti della mano di Viktor sul suo petto, prima di sparire dietro le palpebre serrate, mentre si scioglieva sotto il tocco di Viktor. Era ancora troppo sensibile per l’orgasmo precedente, la mente che gli proiettava ancora le immagini delle labbra del francese attorno al suo membro che seguivano il ritmo lento di quella mano che lo stava mandando in frantumi. Gemette forte, quasi disperato, quando l’istinto gli fece sollevare i fianchi, spingendo appena contro l’entrata dell’altro, tradito dal proprio corpo e dalle proprie pulsioni.
    Sgranò gli occhi sorpreso di quell’intrusione, sentendosi liquido, completamente fuso, come se di lui non fosse rimasto che il nome. Era tutto un brivido di piacere, una costante scarica di godimento che andava ad annullare la sensazione di essere violato, che rilassava la sua entrata al posto di serrarne i muscoli.
    “Viktor” Non riusciva a dire altro, a fare altro se non chiamarlo, cercarlo, o assecondare quel movimento per volerne di più, per raggiungere il picco più alto dell’orgasmo con quella tortura e lasciarsi andare, completamente, all’altro. Intoccato.
    Portò una mano a coprire il viso, nascondendone parte tra le coperte, incapace di volgere lo sguardo verso il Dallaire. Si sentiva nudo, più di quanto già non fosse, privo di ogni qualsivoglia difesa. Era vulnerabile.
    “Worcestershire.”
    Mormorò appena, ancora scosso dalla potenza dell’orgasmo, la mente appannata dal desiderio, dalla sensualità che il più grande trasudava a ogni movimento. Continuò a sottrarsi alla vista dell’altro, invano, provando a racimolare i pensieri e le parole, trattenendo appena il respiro. Ed era stupido, veramente stupido, dopo tutto quello che era accaduto in quel letto, ma non riusciva a guardarlo, la paura di essere deriso si era impossessata di lui dopo quella breve tortura.
    Allungò appena la mano, sperando l’altro l’afferrasse, bisognoso quanto mai di sentirsi all’altezza di qualcosa, di qualcuno.
    “Viktor…”
    There are no winners
    when the die is cast
    There's only tears
    when it's the final task
    Focused | Ink | Prankster
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Hunter
    Oakes
     
    .
  8.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    La verità, quella che non poteva ammettere nemmeno ad Hunter in quel momento tanto delicato, era che avesse fatto violenza su se stesso per non impalarsi sul sesso umido e ancora pregno di umori del minore. Aveva il terrore di prendersi più del dovuto, di essere solo uno qualunque nella vita dell’Oakes; la prima volta da ricordare con nostalgia una volta chiusa la porta alle spalle.
    Sentirlo gemere sotto di sé al tocco del glande sulla sua apertura era stato come ricevere un pugno in pieno viso, violento come lo era il desiderio di essere suo. Di nessun altro. Perché era così bello, così meraviglioso, con le labbra dischiuse per i gemiti eccitati, con le guance arrossate dal secondo orgasmo, il sesso rilassato contro il ventre macchiato del godimento liquido che l’aveva colto senza nemmeno toccarsi.
    Era estremamente piacevole sentire il calore di Hunter sulle dita; l’idea che fosse stretto, bollente e che nessun altro vi si fosse mai avvicinato prima. Avrebbe passato la vita tra quelle cosce, solo per potersi beare dei suoni che l’altro sembrava in grado di produrre e che non si rendeva nemmeno conto fossero così maledettamente eccitanti da spedirlo verso la pazzia. Lo avrebbe leccato nel punto più sensibile, avvertendo sulla lingua il sapore della sua pelle, per poi scavare con le dita umide di saliva per prepararlo ad accoglierlo, perché era un desiderio così forte da fargli stringere lo stomaco in una morsa dolorosa. Voleva Hunter in ogni modo: chino sui libri a leggere l’ennesimo tomo di Astronomia, con le sopracciglia aggrottate per la concentrazione; voleva il suo sorriso, la sua risata, come quella di poche ore prima, cristallina e velata da un affetto che non credeva nemmeno di meritare; voleva le sue lacrime e il suo dolore, quello che aveva mostrato in Infermeria parlando della sua famiglia; voleva essere protetto da quelle spalle larghe, perché con lui si sentiva bene e non temeva di essere accoltellato nell'anima per l’ennesima volta. Lo voleva tra le lenzuola sfatte, con il capo poggiato al cuscino ed i ciuffi castani sudati, con il petto ad alzarsi ed abbassarsi per la foga dell’istante. Voleva spalancargli le gambe e farsi spazio dentro di lui. Ma, soprattutto, avrebbe voluto che Hunter lo afferrasse e lo scopasse su quel letto già sfatto, fino a fargli dimenticare il suo nome.

    Nonostante avesse avuto la mente appannata dall’orgasmo, si era reso conto dello sguardo che Hunter gli aveva rivolto. Come se il mondo intorno a loro non esistesse, come se tutto ciò che fosse importante risiedesse nei loro occhi uniti, nella dolcezza e nella devozione che l’Oakes sembrava provare nei suoi confronti. Non era mai stato guardato in quel modo. Nessuno si era mai fermato ad osservarlo quasi che sotto di sé avesse un’opera d’arte. Era potente, una sensazione assurdamente spiazzate, come il sentore che Hunter non volesse condividerlo con nessuno; e nemmeno lui voleva che altri lo toccassero.
    Voleva il Corvonero come non aveva mai desiderato altro nella vita. Aveva paura di sporcarlo, di coinvolgerlo nella merda che era la propria vita. Al tempo stesso, non riusciva a non pensare che fosse diventato una parte così importante da non volersene separare; perché la verità era che ormai fosse ben lontano dal mero concetto di interesse fisico, che il suo cuore ne fosse coinvolto più del corpo e che parlare di “mi piaci” fosse riduttivo. Non era abbastanza, non lo sarebbe mai stato per far comprendere ad Hunter quanto ne fosse rimasto abbagliato.
    Quando stava con lui tutto il resto sfumava via come polvere al vento; c’erano solo le sue labbra fini arcuate in un sorriso, quegli occhi celesti carichi di parole non dette, ma così belli da levargli il fiato ogni singola volta e che non poteva vedere a causa del braccio altrui a coprirli.

    Si stava nascondendo da lui?
    Più probabilmente, com’era capitato in Biblioteca, Hunter stava mostrando tutta la sua fragilità, la paura di essere allontanato o peggio deriso «Viktor…» il suo nome sembrava miele se pronunciato dalle labbra del minore, colante e lucido, dolce e bisognoso. Non aveva pensato nemmeno per un istante di negargli quel conforto che sembrava ricercare, in attesa che gli afferrasse la mano. L’aveva portata alle labbra per baciare ogni falange, posandola poi sulla guancia per fargli comprendere che non sarebbe andato da nessuna parte, fintantoché lui l’avesse voluto nella sua vita.
    Era stato sciocco a pensare di poter utilizzare la provocazione verbale, perché era abituato ad avere a che fare con persone più esperte, che non si facevano problemi nell’usare le parole durante il sesso; Hunter era piccolo ed indifeso tra le sue braccia. Non era qualcosa imputabile all’altezza o all’età, era solo una questione d’esperienza. Avrebbe dovuto tenere a mente che fosse stata la prima volta per l’Oakes, che lui fosse il primo ad aver osato tanto, avvicinandoglisi e toccandolo in un modo talmente intimo da farlo sciogliere.

    «Hunter…» chiama il suo nome, sfilando via le dita dall’entrata umida dell’altro, abbandonando per un momento anche la mano stretta nella propria. Con delicatezza, leggero e attento, si mette a cavalcioni sull’Oakes, afferrandogli il braccio e scostandolo con gentilezza. Aveva bisogno di vedere quelle iridi chiare. Voleva che lo guardassero e che ritrovassero quella complicità che li aveva uniti poco prima, dove si era perso e che era valso tutto «sei bellissimo» si china a baciargli la guancia, poi il naso, il mento «Sei. Bellissimo.» scandisce, ancora una volta, passandogli una mano tra i ciuffi umidi, per poi posarla sulla guancia di Hunter, dolcemente «Mon amour… Tu es la plus belle chose qui me soit arrivée dans ma vie» gli occhi azzurri vagano sul viso del minore, imprimendo nella memoria ogni piccola imperfezione della pelle che, a suo modo, lo rendeva perfetto. La spruzzata di lentiggini sul naso, le labbra rosse di baci, le ciglia lunghe ad incorniciare lo sguardo da bambino. Gli faceva male il cuore per quanto fosse… splendido «Sei…» sospira, accasciandosi su di lui, incurante di macchiarsi con i rimasugli dello sperma, di insozzarsi ancora di più. Era qualcosa di totalmente irrilevante, arrivati a quel punto. Perché avrebbe voluto dirgli quanto si sentisse bene tra le sue braccia e che non aveva mai provato nulla di così simile all’amore prima di conoscerlo. Che averlo nella sua vita fosse come essere stato ripagato di tutto il male subito, perché gli bastava un suo sospiro per essere felice.
    Avrebbe voluto dire che l’amore che provava nei suoi confronti fosse così grande da non riuscire nemmeno ad esprimerlo a parole e che gli aveva rubato il cuore con una facilità disarmante, quando era stato sempre così bravo da incatenarlo impedendosi di provare affetto.
    C’erano così tante cose da poter esplicare, ma nessuna per cui trovasse un minimo di coerenza.

    «Hunter…» mormora, avvolgendolo con le braccia, le labbra a baciargli il petto nudo, vicino al cuore «Hunter…» ripete, senza separale dalla pelle altrui, lappando con estrema lentezza il pettorale, poi salendo verso le clavicole ed infine al pomo d’Adamo. Era appena salato sulla lingua, ma nulla che non fosse piacevole «Non vorrei essere con nessun altro se non con te… mi piaci. Mi piaci quando sorridi» mormora, prima di baciargli il collo e risalire sulle labbra che bacia, liquido come si sentiva ancora dopo l’orgasmo «quando sei concentrato sui libri» baciarlo era tutto quello che desiderava; non c’era sesso che avrebbe mai potuto essere paragonato alla sensazione della bocca di Hunter premuta contro la propria; della lingua a guizzare per un contatto più audace, della lentezza con cui mordicchiava o accarezzava quelle labbra fini «quando ti mostri fragile» poggia la fronte su quella del minore, chiudendo per un attimo le palpebre e lasciandosi andare ad un sospiro dal naso «quando desideri essere dentro di me» gli dà un bacio leggero sul naso, prima di continuare «quando vieni e gemi il mio nome» sussurra, languido «e non devi mai nasconderti. Per me, sei bellissimo, Hunter Oakes» in tutte le sue sfumature.
    Viktor Asmodeus Dallaire
    You can't study the darkness
    by flooding it
    with light.
    17 y.o.
    Gryffindor
    Studying


    Edited by Fancy|Bitch - 2/3/2019, 19:20
     
    .
  9.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Wizard
    Posts
    523
    Spolliciometro
    +927

    Status
    Offline
    Hunter Oakes era gay. Decisamente gay.
    Il che, arrivati a questo punto, potrebbe essere una considerazione superflua da fare, soprattutto alla luce degli ultimi sviluppi di quella serata che aveva tutta l’aria di restare impressa, in modo indelebile, sulla pelle e nella memoria del Corvonero.
    Eppure, ribadire quest’affermazione non aveva nulla di scontato, non per quel ragazzo che aveva scoperto della sua sessualità da pochi mesi, da quando aveva deciso di aprire gli occhi e rendersi finalmente conto di quel Dorsorugoso di Norvegia nella stanza che tanto aveva ignorato fino a quel momento. In fondo, aveva sempre ritenuto le relazioni umane un di più, qualcosa di contorno alla propria vita. Gli bastava Halley, gli era sempre bastata Halley da quando era solo un bambino e si era chiuso nel suo bozzolo, tenendo alla larga il mondo. Diffidava degli adulti, gli stessi che lo stavano crescendo quasi fosse un’arma e che, al contempo, erano troppo presi della Missione per occuparsi di tutto il resto, per prendersi cura di lui. E quel bambino che serbava nello sguardo i riflessi del cielo, si era perso in esso. la sua mente viaggiava lontano, esplorava il mondo attraverso i libri e si teneva a contatto con la realtà con la sorella, le cui spalle minute erano più forti di quanto ci si potesse aspettare. Erano sempre stati loro due, anche quando avevano iniziato a frequentare i quartieri della Londra babbana insieme al loro ristretto gruppo di amici. Halley era brava a fare amicizia, lui era un mago dello skateboard, divenuto quasi la sua unica ossessione. Perché Hunter Oakes era così, si immergeva nelle sue passioni con lo stesso stakanovismo di un uomo in carriera, di chi, passo dopo passo, aveva creato il suo impero. Il Corvonero non aveva certo un business milionario, ma aveva un palazzo mentale che vantava una miriade di informazioni, un posto in cui nascondersi quando il mondo diventava troppo buio e pericoloso. Un castello che aveva iniziato a scricchiolare negli ultimi mesi. Ci stava provando, ce la stava mettendo tutto ad aggiustarlo, perché da quando era arrivato a Hogwarts aveva trovato qualcuno con cui forse poteva condividere tutto quello spazio, con cui condividere la propria solitudine. C’erano i Losers e, quasi senza accorgersene, anche Viktor era arrivato a bussare al battente d’ingresso. Lo aveva fatto in un modo del tutto inatteso, quasi inconcepibile per uno come Hunter, che non aveva molto da offrirgli se non un cuore spezzato. Non che un organo potesse spezzarsi, eh, ma alla gente piace parlare in modo figurato, perdersi in inutili giri di parole senza mai raggiungere una conclusione.
    Hunter Oakes era gay e quella conferma lo aveva colpito come uno schiaffo in pieno volto, risvegliandolo da quel tepore dato dalla sua presunta asessualità. Perché se nessuna delle ragazze che negli anni era stata in grado di fargli provare qualcosa, facendolo quasi arrivare a credere di non avere nessun tipo di pulsione, lo stesso non poteva dire per Viktor, che aveva smosso qualcosa, che lo aveva ridotto in un ammasso di gemiti e desiderio. Voleva Viktor nel senso più carnale del termine e non avrebbe barattato quel corpo per un paio di tette e una vagina. Non era quello a risvegliarlo, a spingerlo a realizzare quanto un fisico piatto e asciutto lo eccitasse, alla voglia irrefrenabile di prendere il membro dell’altro tra le dita e pompare fino a fargli pronunciare il suo nome in toni bassi e gutturali. Ed era proprio quella scoperta, l’aver aperto il vaso di Pandora in un campo era stato un inutile tabù a spaventarlo, a imbarazzarlo. Perché se da un lato non aveva esperienza ma la curiosità di provare e sperimentare, dall’altro aveva paura di ferire una delle persone più fragili che avesse avuto modo di conoscere. Non voleva ridurre il Dallaire a un mero oggetto, non voleva sfogare su di lui il più basso degli istinti, vederlo soltanto come un corpo in grado di soddisfare le sue pulsioni. Eppure… eppure desiderava vederlo stravolto dal piacere ancora una volta, voleva sfiorarlo ancora, fargli capire che avrebbe sempre cercato Viktor oltre le ustioni, che per quanto fossero pregne di ricordi orribili, per lui era sempre bellissimo. Faceva paura dirlo e, ancor di più, pensarlo. Ed era imbarazzante ammetterlo, credere che se solo il Grifondoro si fosse specchiato nei suoi occhi, vi avrebbe trovato ogni sua debolezza.
    Sentiva il calore del più grande sul suo palmo, la pelle morbida del viso contro quella leggermente più ruvida delle sue mani. Si mosse appena, sfiorandone i lineamenti, accarezzandolo con un tocco leggero, ancora tremante per i baci appena ricevuti. Non si spiegava quell’effetto o, forse, preferiva non andare oltre, restare nel limbo per paura delle conseguenze di ogni sua azione. Perché aveva così paura di essere abbandonato che, alla fine, era sempre lui ad andare via per primo, a fuggire da ogni situazione che potesse coinvolgerlo un po’ di più. Un lamento sfuggì dalle sue labbra quando Viktor sfilò via le sue dita, lasciandolo con una sensazione di vuoto che a stento riusciva a sopportare. Sarebbe stato egoista, da parte sua, chiedere di restare così ancora un po’ più a lungo, di essere riempito ancora da quelle falangi che lo avevano quasi umiliato, battendo lì dove era più sensibile? Non si sarebbe mai azzardato a chiedere altro in quel momento, nonostante il desiderio ad annebbiarne il giudizio. Non aveva le forze per opporsi alla volontà dell’altro, neanche quando gli spostò il braccio dagli occhi, le palpebre ancora serrate e il viso piegato di lato, con l’intento di sfuggire a quello sguardo trasparente che più di una volta lo aveva ammaliato. La sua fuga durò poco, giusto il tempo impiegato dalle parole del Dallaire di piantarsi nella sua mente, inchiodandolo lì, le iridi cobalto che fissavano sconvolte quelle chiare dell’altro, intento a riempirlo di baci. E avrebbe voluto crederci, voleva davvero riuscire a vedersi con gli occhi dell’altro e, soprattutto, che Viktor si vedesse con i suoi. Non era in grado di dirglielo, di articolare una semplice frase, ma se fosse stato in grado di guardarsi nello stesso modo con cui lo faceva Hunter, allora forse avrebbe capito, sarebbe stato più facile incontrarsi a metà strada e quel sei bellissimo non avrebbe fatto poi così male, così come l’incapacità di dargli una risposta. Perché Hunter non voleva sminuirlo, svuotarlo di significato, dirlo semplicemente perché si doveva dire qualcosa, perché era giusto rispondere anche tu. Doveva prima sentirlo, provare quel desiderio irrefrenabile di farlo sapere anche all’altro, prima di esplodere. Doveva esserne certo, doveva essere inconfutabile, doveva essere più forte di ogni sua paura e non essere la principale fonte di questa.
    Si perse ancora una volta nello sguardo del francese, la mano che tornava a sfiorargli il viso prima di vederlo adagiato su di lui, di sentire il suo corpo pressato contro il proprio. Era una bella sensazione, sentiva il calore irradiarsi piano dentro di lui, per la prima volta troppo concentrato sulla figura di Viktor e suoi suoi movimenti per pensare ad altro, allo sporco di entrambi, a quello che qualcun altro avrebbe potuto pensare di loro nel vederli così. Trovò la forza di cingere il corpo minuto dell’altro con le braccia abbracciandolo, tenendolo stretto quasi avesse paura scivolasse via dalla sua presa. Posò un casto bacio tra le ciocche corvine, rendendosi conto di quanto intimo fosse quel gesto, di quanto volesse proteggerlo e cancellare via dalla memoria ogni persona che aveva abusato di lui, che non si era mai fermata a cogliere la bellezza che giaceva oltre le apparenze. Si chiese se qualcun altro lo avesse mai tenuto così, la pelle nuda contro la propria, e se avesse sentito il forte bisogno di baciarlo, quasi fosse l’ossigeno che mancava nei polmoni. Si rispose che non aveva importanza, che non voleva sapere, che gli bastava l’illusione di essere il primo, l’unico, a vederlo così. Fece scivolare una mano sulla schiena dell’altro, fino a raggiungere gentile il fondo, fermandosi a disegnare delle piccole spirali, le dita leggere sulla pelle ancora troppo delicata per osare qualcosa in più.
    Poi, quasi avesse sentito i suoi pensieri, Viktor spezzò quell’incantesimo, quella breve tregua in cui gli unici a parlare erano i loro respiri. Sentiva la propria pelle andare a fuoco dopo ogni bacio, quasi il suo corpo fosse benzina e le labbra del Grifondoro fuoco vivo.
    Soffiò piano, muovendosi lentamente, la testa che si inclinava per scoprire più pelle, per allungare quella dolce tortura, le dita che lo allargavano appena, perché non voleva soccombere ancora, non voleva essere l’unico a tremare di aspettativa, a bramare che quelle labbra carnose si poggiassero sulle sue. Voleva essere divorato, perdersi, annullarsi in quel contatto. Le parole di Viktor lo sciolsero, fondendogli il cervello, privandolo della ragione. Sentì le lacrime scivolare dagli occhi, perdendosi tra le ciocche castane, perché nessuno lo aveva mai trattato così, nessuno si era mai spinto così tanto in là con lui. Non era Hunter che piaceva alla gente, non era Hunter con cui si voleva fare amicizia. Non era Hunter il bambino che trovava una famiglia, ma era il ragazzo alla disperata ricerca di quell’amore che gli era stato da sempre sottratto. E non voleva confondere quel bisogno con altro, doveva fare chiarezza, non poteva permettersi che qualsiasi cosa ci fosse tra lui e il francese fosse ombrata da quella mancanza, da quell’incapacità di provare sentimenti che lo teneva con i piedi puntati a terra per paura di cadere. Aveva così paura di spiegare le ali che non aveva mai provato l’ebrezza del volo.
    Ancora una volta, sarebbe bastato poco, veramente poco. Perché avrebbe custodito la risata di qualche ora prima in Biblioteca quasi fosse un oggetto prezioso, perché voleva prendersi cura di lui anche quando le ferite disseminate sul suo corpo si sarebbero del tutto sanate, perché voleva dividere con lui quel fardello che si portava dietro solo per vederlo sorridere ancora. Perché, prima di ogni cosa, lo considerava un amico.
    Sfiorò il volto di Viktor con una mano, pendendo dalle sue labbra, provando a credere a quelle parole più dolci del miele. Perché era vero che voleva prendersi ogni cosa che Viktor avesse da offrirgli, ma sarebbe stato terribilmente ingiusto. Sarebbe stato un nome tra tanti. Mosse piano la testa, catturando la bocca del francese in un bacio, tirandolo a sè per non farlo allontanare. E lo avrebbe baciato, lo avrebbe fatto tutta la notte, non solo per la paura di quello che avrebbero potuto dire quelle labbra, ma perché non c’era niente di più intimo di quella carezza continua, di quel contatto così agognato. Lo baciava perché non sapeva cosa dire e perché la risposta era tutta lì, in quel movimento lento, in quel gioco innocente. Lo baciava perché sperava capisse tutto quello che era rimasto in sospeso tra loro, con la speranza che lo accettasse ugualmente, che gli piacesse ancora. Perché stava muovendo i primi passi in un terreno impervio e sconosciuto e l’ultima persona che voleva far soffrire era la stessa che stava stringendo a sé. Hunter Oakes era il controsenso vivente, eppure non voleva privarsi di quell’opportunità. Tutto ciò che chiedeva era solo un po’ di tempo e sapeva fosse una richiesta troppo grande. Sapeva che Viktor prima o poi si sarebbe stancato, che non lo avrebbe aspettato all’infinito.
    “Viktor…” lo chiamò piano, il respiro corto a causa del bacio, le dita perse tra le ciocche corvine. “Viktor, io…” si umettò le labbra, gli occhi ancora troppo lucidi ma fissi in quelli dell’altro, l’altra mano che massaggiava lentamente la sua entrata, premendo appena. “aspettami, non so quanto ci vorrà o se…” sarò mai in grado di ricambiare. Si insinuò con delicatezza, beandosi in quell’antro stretto e bollente, scavando gentilmente, cercando il punto più sensibile, quello che lo avrebbe sciolto. Forse stava giocando sporco, forse voleva solo fargli capire che ci fosse, che era lì, che se non poteva prenderlo per come avrebbe voluto, non per questo si sarebbe fermato. “Aspettami.” Aggiunse un terzo dito, rubando quelle labbra ancora una volta, travolgendolo in un bacio che stava risucchiando ogni sua forza, ogni sua energia. Si stava giocando il tutto per tutto e sperava, pregava, non fraintendesse il suo silenzio. “Ti prego, aspettami.”
    There are no winners
    when the die is cast
    There's only tears
    when it's the final task
    Focused | Ink | Prankster
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Hunter
    Oakes
     
    .
8 replies since 14/2/2019, 00:10   287 views
  Share  
.
Top