it's only you and me, all the doors are closed

mac + harper

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    «n-non affezionarti t-t-troppo, r-ragazzino» Mac alzò il capo, distogliendo lo sguardo dalla tazza stretta fra entrambe le mani. Le dita strizzavano la ceramica in cerca di calore e conforto, qualcosa di concreto a cui aggrapparsi in un mondo che si sfaldava di secondo in secondo. Gli abiti sottili dell’Hale non presentavano alcun dettaglio particolare, e di suo avrebbero dovuto mostrare quanto poco si sentisse a suo agio: più passavano i giorni, i mesi, più Mckenzie Leighton Hale si sentiva stanco, svuotato, ed allo stesso tempo sempre teso come la corda di un violino. Barnaby Jagger sedeva sulla sghemba sedia di legno della sua cucina come se nulla potesse toccarlo, le gambe della seduta a dondolare pigre ed un piede poggiato sul tavolino, e fosse una roccia immutabile ed imperturbabile sulla strada di un fiume in piena; invidiava quella solidità, Mac. Quel sentirsi al proprio posto, intoccabile agli eventi che tentavano di scalfirlo. «q-q-quando ne avranno l-l’occasione, s-se ne andranno» Strappò gli occhi azzurri dal profilo bruno del Jagger per riportarli al proprio grembo, non volendo mostrare quanto quelle parole andassero a premere sulla carne più delicata ed esposta. Si era ritrovato sempre più spesso, senza neanche volerlo, nei dintorni di Barbie, Floyd e Madelaine, la medesima compagnia che, anche quel pomeriggio, sedeva attorno al piccolo tavolino del Jagger. Sapeva perché l’inconscio spingesse sempre i propri piedi verso di loro, ma non significava che volesse accettarlo.
    Lo sapeva anche lui, che gli altri se ne sarebbero andati: Darden ed Heidrun sarebbero tornate dalla loro vera famiglia, chiudendo la parentesi Bodie così come l’avevano aperta – per un errore di calcolo. La vita sarebbe tornata normale, con il tempo a scorrere correttamente; non avrebbero avuto motivo di preoccuparsi di Mac, o Margareth o Ernest, morti cent’anni prima della loro nascita.
    Sarebbero stati loro, a soffrire l’assenza di qualcuno che non avrebbero mai avuto modo di conoscere, nati quando non sarebbero stati altro che polvere. Avrebbero passato il resto della vita in attesa di qualcosa - di qualcuno - che non avrebbero mai avuto. E l’avrebbero fatto da soli, tre ragazzini neanche maggiorenni lontani chilometri e chilometri da quella ch’era stata la loro casa. Non voleva rimanere solo, Mac - non poteva. Ecco perché, superando l’iniziale timore a imporporare le guance del più tenue dei rosa, si era convinto ad avvicinarsi ai trapiantati Bodiotti: anche loro sarebbero stati quelli lasciati indietro. L’idea di poter contare almeno su di loro, faceva sentire l’Hale quasi meno solo.
    Quasi.
    Annuì, non fidandosi della propria voce per rispondere – cosa avrebbe potuto dirgli, poi? Che ogni giorno si svegliava con il terrore fossero spariti? Dubitava avrebbe compreso. Dubitava potesse capire quale genere di vuoto fossero andate a sopperire le sorelle Fay, quando l’avevano strappato agli Hale insegnandoli cosa dovesse realmente essere una famiglia. Non voleva pensare ad un mondo, un futuro sempre più prossimo, dove avesse dovuto scoprire, dopo averla avuta, cosa si provasse a non averne più una. Poteva figurarsi Ernest dietro i fornelli a preparare la cena; Margareth a cercare di sollevare l’umore con battute che avrebbero fatto ridere solo lei, ma la cui risata avrebbe dipinto un sorriso anche sulle loro labbra.
    E fine. Sarebbero stati loro tre contro un intero mondo che non li voleva. Aveva perfino pensato di tornare a Sacramento, Mac, chiedere perdono e promettere non l’avrebbe fatto più, ma…dopo aver vissuto per un anno senza catene, non era certo di potergli nuovamente sopravvivere. Sapeva di non avere più una casa, Mac; sapeva di non essere più il benvenuto fra gli Hale.
    Ma ancora sperava di avere almeno Harper. Era passato un anno da quando le Fay l’avevano portato via da Sacramento; tre mesi dopo, Mckenzie era tornato a bussare alla porta degli Hale per domandare a suo padre di ucciderlo, meglio morire redento che vivere imperdonato, lasciando poi la città con solo un indirizzo scribacchiato alla sorella. Lo sentiva, in ogni maledetto battito di cuore, che sarebbe riuscita a spezzare il controllo dei loro genitori. Lo sapeva e basta: Harper era sempre stata la più forte fra i due, doveva farcela. Quando viveva insieme a loro, Mac non si era reso realmente conto della gravità, e la frequenza, degli abusi ricevuti – gli parevano normali, giusti: non conosceva un altro modo in cui, e per cui, vivere. Con il senno di poi, il peso di quelle violenze riusciva a stroncargli il fiato; sapere che Harper fosse ancora con loro, oscurava il sole anche nelle giornate più luminose. Continuava a ripetersi fosse colpa sua, avrebbe dovuto trascinarla con sé; avrebbe dovuto portarla via, se necessario legarla - non avrebbe dovuto permettere che passasse un altro istante con loro. Crudeli, ecco cos’erano gli Hale – persone crudeli.
    Si schiarì la voce, gli occhi a guizzare sul mobilio. «avete sentito che ne hanno trovati altri due?» Un sussurro, le guance infuocate. Odiava attirare l’attenzione su di sé in quel modo, ma doveva cambiare argomento: sapeva che Barbie aveva ragione, ma non voleva comunque ascoltarlo. «due pastori, sulle montagne» Battè le palpebre, strinse le labbra fra loro. «ancora nei confini di bodie» Era quella, la cosa più inquietante di tutte: i defunti rinvenuti fino a quel momento erano tutti abitanti della loro stessa cittadina. Non riusciva ad essere in lutto per loro, non li conosceva, ma il turbamento degli altri gli si era appiccicato sulla pelle e nei polmoni, spingendolo in uno stato d’ansia che solamente gli universitari sotto esame avrebbero potuto comprendere. Buttò lì la notizia, ma non ascoltò lo scambio di parole dei tre. Se ne dissociò, incapace di affrontare le conseguenze delle sue stesse azioni o parole: si trattava in ogni caso di discorsi da adulti, in cui Mac aveva la stessa voce in capitolo di un grillo d’estate – rumore di sottofondo. Non ebbe coraggio di guardare il Jagger, temendo potesse fraintendere la sua occhiata. Mckenzie non credeva davvero che Barbie potesse fare una cosa del genere, neanche se, a quanto diceva Run, malato: lo sentiva e basta, come un secondo battito sulla lingua. Non era solito affidarsi all’istinto, ma non era neanche così superficiale da fingere non esistesse. Sorseggiò la bevanda pensando ad altro, lo sguardo distante ed assorto; tornò sul pianeta terra quando una mano gli tirò il braccio, quasi facendolo sussultare. «c-cosa stai b-b-bevendo?» Mac fece guizzare lo sguardo dal liquido al viso del Jagger, sentendosi improvvisamente impallidire. Non aveva effettivamente chiesto il permesso di prepararselo, ma oramai passava abbastanza tempo lì da credere di non averne bisogno. «tè?» esitò, sobbalzando quando la tazza gli venne strappata dalle mani. «f-f-fai l’uomo» Osservò, non senza terrore, la lattina di birra con la quale era stata sostituita la sua gradevole, delicata, tazza di teina. Ingoiò la saliva, sforzandosi ad aprirla solamente perché sentiva gli occhi scuri di Barbie su di sé. Dovette avere un’espressione veramente angosciata, perché il falegname sorrise e Mads sbuffò seccata dandogli un pugno sul braccio. «non vedi che non la vuole? Let him be» «no. n-no, non c’è problema» figurarsi se volesse creare discussioni. Titubando, umettò appena le labbra con la bevanda gassata, tossendo nella lattina mentre le bollicine gli pizzicavano il naso. Il sapore amaro gli fece storcere il naso, ma trattenne l’infantile istinto di ripulirsi la lingua su un fazzoletto. «mmh, buona» mentì, causando un eccesso di risa nel ragazzo. «D-D-DAI M-M-MADDALENA è T-TROPPO ESILARANTE v-vai una b-b-bomba, m-m-m-mac» Allungò una mano per riprendersi la lattina ma Mckenzie, possessivo, la tirò indietro premendola contro il petto: era sua, ormai. Simbolica. Rivolse un sorriso gentile ai tre, le dita a spazzolare i ricci capelli bianchi. Da quando era arrivato a Bodie, non aveva mai – mai – tenuto la chioma del suo colore naturale, fidandosi invece della magia del ventunesimo secolo (a suo rischio e pericolo; la settimana da pelato era stata una delle più difficili della sua vita, e non aveva aiutato il fatto che tutti, ridendo, lo chiamassero cigeidue: booho.) per cambiare tonalità. «sta venendo buio, è meglio che vada» si congedò, alzandosi timidamente in piedi. Non che avesse un coprifuoco da rispettare, ma preferiva abbandonare casa del Jagger prima che vi rientrasse Kentucky – cioè, Sersha - e non voleva in ogni caso tardare per la cena. «grazie» per la birra, la compagnia – principalmente, per esserci ancora. Potè ancora udire diversi grugniti sull’essere un tipo troppo sentimentale, prima di lasciarsi definitivamente alle spalle la compagnia dell’anello.
    A quell’ora, Bodie era sempre deserta. Gli abitanti effettivi della cittadina erano impegnati a consumare un pasto caldo prima d’infilarsi sotto le coperte, mentre gli ospiti erano ancora gli uni dagli altri fingendo che fuori dalle finestre non vi fosse il triste tramonto della California, ma quello grigio di una Londra più caotica. Camminava piano, privo d’impegni o fretta, stringendo ancora in una mano la lattina di birra; si strinse nella coperta, che usava come giacca, cercando, con scarsi risultati, di proteggersi dal vento freddo provenienti dalle montagne. Se avesse lasciato casa del Jagger cinque minuti prima, o cinque minuti dopo, avrebbe potuto non vedere mai la figura china a lato della strada. Avrebbe potuto non sapere mai, Mac, della chioma a riflettere gli ultimi raggi cremisi del sole – e non avrebbe mai udito quel sottile, ma reale, suono provenire da labbra sottili che conosceva come le proprie.
    Cinque minuti avrebbero potuto fare la differenza, e Mckenzie Hale, in quel di Bodie, avrebbe potuto non incontrare mai «harper?»
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    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 12:13
     
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    «cara, sei sicura? se vuoi possiamo aspettare» Non sapeva cosa avesse fatto, per meritare l'aver incontrato sul suo percorso la famiglia Munier: forse aveva avuto un semplice colpo di fortuna, o forse il destino aveva deciso di farsi perdonare, in minima parte, per tutto ciò a cui l'aveva sottoposta negli ultimi mesi. Se il signor Munier fosse stato meno attento alla strada o la signora Munier meno guidata nelle proprie azioni da un innato istinto materno, probabilmente a quell'ora, per Harper, Bodie sarebbe apparsa ancora come un sogno lontano. La cittadina distava esattamente 347 chilometri da Sacramento, 345 dall'istituto dove i suoi genitori l'avevano spedita, quasi nove mesi prima. O meglio, rinchiusa: non accettavano i difetti, i coniugi Hale, e Harper l'aveva capito troppo tardi. Non le era bastato, l'avvertimento di suo fratello: l'aveva dovuto sperimentare sulla propria pelle, per capire. Ed era proprio per mac, che la ragazza era arrivata lì: l'avrebbe dovuto seguire mesi prima, ma non aveva avuto il coraggio di farlo, né la forza per aprire gli occhi e vedere la verità. «non preoccupatevi, siete stati fin troppo gentili a portarmi fin qui» si aveva la fortuna di incontrare persone come i Munier rare volte nella vita, e la ragazza non aveva alcuna intenzione di trattenerli ancora a lungo. O di rischiare di far loro del male. Se era entusiasta all'idea di ritrovarsi completamente sola in una città sconosciuta, ed ad una prima occhiata così diversa da quella in cui era cresciuta? Ovviamente no. Ma cercò di stamparsi sul volto il più rassicurante dei sorrisi, per convincere la coppia a ripartire senza di lei: li aveva esposti già a troppi rischi. Anche se l'episodio di due sere prima era stato classificato come un semplice incidente provocato da una candela lasciata accesa, Harper non avrebbe mai dimenticato il pianto del piccolo Roman, la corsa di Bran per allontanare il figlio dalle fiamme e l'espressione sconvolta di Shirley. Erano stati gentili con lei, tra i più gentili che avesse mai incontrato, e la ragazza cosa aveva fatto? Per poco non li aveva fatti bruciare vivi. Razionalmente sapeva di non avere colpe, sapeva che i suoi poteri si erano manifestati non per desiderio di far del male ma a causa di un incubo, eppure non poteva far a meno di sentirsi tremendamente in colpa. «posso cavarmela da sola» Non ne era certa, ma del resto non aveva alternative. L'unica cosa che le importava, tutto ciò che le era rimasto, era la speranza di trovare suo fratello.
    E dirgli che le dispiaceva terribilmente.

    Sicuramente era andato via
    Quella consapevolezza fu come un pugno alla bocca dello stomaco, diretto e ben assestato. Bodie non le sembrava la città più adatta al fratello: era così diversa da Sacramento. E poi, del resto, da quando Mac le aveva rivelato di esser scappato lì erano passati nove mesi, e di cose ne erano successe fin troppe. Haper aveva detto tutto ai loro genitori, giusto per dirne una. Ed anche qui, razionalmente sapeva di non essere in torto: gliel'avevano estorta, quell'informazione, eppure non poteva che sentirsi in colpa. Poteva comprendere benissimo la scelta del gemello di andare via di lì senza lasciarle alcun indizio su come trovarlo: dal suo punto di vista, Harper aveva rifiutato la sua proposta di andare via con lui (cosa che era successa davvero), aveva tradito la sua fiducia (cosa vera parzialmente ) e non si era fatta più sentire. Ciò che Mckenzie non poteva sapere era il perché l'avesse fatto: non sapeva nulla di quanto la ragazza si fosse pentita di non averlo seguito, di non aver fatto di più per farlo restare, e di come aveva provato a raggiungerlo. Di come, nel tentativo di scappare, si era scontrata con suo padre e suo fratello maggiore e di come, in preda al panico, per la prima volta aveva manifestato il suo potere. Non poteva esser a conoscenza del fatto che i loro genitori erano stati costretti a cambiare la tappezzeria, le tende e il tappeto del salone e rinchiudere la figlia in un centro speciale gestito da suore. Di come, da un giorno all'altro, fosse diventata un problema, una deviata, qualcuno non più degno di far parte della famiglia come prima. Era sparita per nove mesi, Harper Faye Hale, ma non per sua volontà. «Bodie, giorno numero due, ancora nessuna traccia di mio fratello» Parlare da sola, negli ultimi tempi, era diventato per lei un modo per rimanere sana di mente, anche se sapeva che ad un occhio estraneo poteva sembrare l'esatto contrario. Ma, in ogni caso, neppure quel pomeriggio non si fece problemi, anche perché era da sempre abituata a ricevere occhiate di sospetto dalle persone: aveva i capelli rossi. «inizio a perdere le speranze» Avrebbe potuto fare la persona normale e chiedere in giro? Sì, ma Harper era troppo disagiata timida per iniziare conversazioni: così era finita a vagare per la città dal giorno prima, nella speranza di scovare tra le persone gli occhi familiari del fratello o un qualche viso gentile in grado di notare lo smarrimento nello sguardo della ragazza così da offrirle un aiuto. Sfortunatamente, il suo si stava rivelando un piano inutile. Dopo essersi seduta a terra, la schiena poggiata al muro del retro di una casa e le ginocchia raccolte al petto, la ragazza affondò a testa tra le braccia incrociate al petto: non aveva idea di cosa fare. Era sola, in una città sconosciuta e senza un posto dove stare. E se avesse alzato lo sguardo qualche secondo dopo, avrebbe scoperto il proprio volto troppo tardi per farsi notare. E per notarlo: all'inizio pensò di star sognando. Del resto non aveva dormito quasi per niente, la notte precedente, dunque non sarebbe stato così strano assopirsi sul ciglio della strada alle prime luci del tramonto. Poi però strizzò gli occhi, una, due, tre volte, ed era ancora lì. Lo stesso sguardo che aveva avuto davanti per tutta la vita, gli stessi occhi di quell'azzurro tendente al grigio che gli aveva sempre invidiato, più tenui, più delicati di quelli di Harper. Quegli stessi occhi che, in un'altra vita, erano stati l'ultima cosa che la ragazza aveva visto, prima di iniziarne una totalmente nuova «m-mac?» Poco più di un sussurro, il suo: aveva quasi paura a dirlo troppo forte, come se potesse sparire da davanti ai suoi occhi da un momento all'altro «harper?» Era davvero lui. In un attimo, la ragazza scattò in piedi, mentre le prime lacrime iniziarono a rigarle le guance. Era ancora lì. Gli buttò le braccia al collo, stritolandolo come avrebbe dovuto fare mesi prima implorandolo di restare, o almeno, di non lasciarla indietro. Non era andato via da Bodie, ed era già più di quanto la ragazza aveva sperato «mi dispiace, mi dispiace così tanto» Non erano fatti per stare separati, i gemelli Hale. Aveva un sacco di cose da dirgli, da raccontargli, e soprattutto da chiedergli, eppure l'unica cosa che riusciva a fare in quel momento era stringerlo a sè e tentare di regolare i singhiozzi strozzati che le rendevano difficile anche solo respirare. «mi sei mancato» Quella era la cosa più importante che doveva dire al fratello.
    Per tutto il resto, finalmente, avevano tutto il tempo che meritavano
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    Harper
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    Si fermò in mezzo alla strada, gli occhi spalancati e la bocca dischiusa. Se c’era qualcosa che quei quasi diciassette anni di vita gli avevano insegnato, era che quando qualcosa fosse troppo bella per essere vera, novantanove su cento non la fosse. Rimase ad ascoltare il battito accelerato del proprio cuore, la lingua a umettare le labbra; non battè le ciglia: se si fosse stata un’allucinazione, non vedeva mezzo motivo al mondo per il quale chiarire la vista. Concreta o meno, si trattava pur sempre di sua sorella, e non la vedeva - né credeva di vederla - così da vicino da quasi un anno. «m-mac?» Non ebbe coraggio di guardarsi attorno per constatare se qualcuno altro potesse vederla; non ebbe cuore, Mckenzie Hale, di distogliere lo sguardo da Harper, il petto a pungere della melanconia stipata fra costola e costola troppo a lungo. «harper?» ritentò, credendoci un po’ di più. Corse verso di lei sentendo il cuore già in gola, e l’impatto con il corpo - concreto; reale - di Harper Hale, bastò a togliergli ogni dubbio ed ogni fiato dai polmoni. Le cinse la vita con le braccia, premendola contro di sé per impedirle, illusione o meno, di sparirgli fra le dita. Sapeva di casa, Harper; sotto l’odore di sole, e di polvere, e di quell’aria sempre collosa di Bodie, riusciva a sentire il profumo della sua pelle, quello impresso nelle lenzuola e sui cuscini di ogni notte stretti l’uno affianco all’altro. La strinse fino a percepirne una sofferenza quasi fisico, abbastanza da privare entrambi della possibilità di respirare – o di ammettere fosse tutto un errore, che qualcosa di peggio li attendesse. Un singhiozzo asciutto gli tolse altro fiato dalla bocca, ma il resto del suo corpo non potè che arrendersi all’evidenza di avere tutto quel di cui aveva bisogno fra le braccia, rilassando ogni muscolo - ed osso, e cellula - nella effimera certezza che da quel momento in poi, potesse andare bene. Erano insieme. Erano insieme. Erano insieme? «harper» bisbigliato con meravigliato stupore, le labbra premute sulle ciocche scarlatte. Non era molto più alto dalla sorella, ma lo era abbastanza da potersi permettere di posare la testa sulla sua – e chiudere gli occhi, e chiudere il mondo fuori. Il quel momento non gli importava il perché, od il come, sua sorella fosse arrivata a Bodie: l’importante era che ci fosse. «mi dispiace, mi dispiace così tanto» A lei? Aprì la bocca per ridere, ma quel che ne uscì fu un verso gorgogliato e poco dignitoso. Come poteva dispiacerle? Era lì, l’aveva trovato; era stato Mac ad andarsene, a non trascinarla con sé – era stato lui ad averla lasciata indietro, e quello non avrebbe mai potuto perdonarselo. «no, non – non c’è niente di cui debba dispiacerti» fu solo nel parlare che si rese conto di aver pianto, ma non era abbastanza impavido da lasciare la presa su Harper per asciugarsi le guance. Temeva davvero che nel momento in cui l’avesse lasciata libera, sarebbe sparita di nuovo: non poteva più permetterlo, capire? Averla persa una volta, gli era già valsa esistenze intere. «anche tu mi sei mancata» più di quanto riesca a dire. Il bello di avere una sorella gemella, era che Mac non dovesse dirlo: era sempre stato un libro aperto per chiunque, ma solo Harper s’era sprecata di provare a leggerlo. Quanto gli fosse mancata, e quanto – quanto!- avesse bisogno di lei nella propria vita, ce l’aveva stampato a lettere cubitali nelle iridi grigie, e Mackenzie sapeva ch’ella sarebbe stato in grado di comprenderlo. «pensavo…» deglutì, ed anziché incrociarne lo sguardo la strinse ancora a sé, nascondendo il viso sulla sua spalla. «pensavo non ti avrei mai più rivista, app» Sorrise di quel nomignolo stupido che si trascinavano dall’infanzia, quando ancora entrambi faticavano a parlare ed Harper era diventato Apple.
    Ed in un battito di cuore, entrò in modalità Fratello Maggiore TM, posandole le mani sulle spalle per allontanarla da sé quanto bastava ad assicurarsi stesse bene – avesse mangiato, cose così. «come hai fatto ad arrivare qui? mam-» mamma e papà. Ingoiò le parole insieme alla bile, palpebre dolorosamente serrate. «lo sanno che sei qui? sono qui anche loro?» Un principio di terrore gli chiuse la gola facendo accelerare ancora il battito, le dita strette protettive sulla pelle della sorella. Non l’avrebbe più lasciata sola. «hai mangiato? da quanto sei a bodie? Hai freddo? vuoi un tè?» okay, con calma Mac. «scusa» arricciò il naso, stringendosi debolmente nelle spalle. «SEI FERITA? STAI BENE?» Forse non così con calma, ecco.
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