In the middle of nowhere

Perses | Hazel | Zachary

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    slyth - '02 - pureblood - metamorfomagus
    Freddo e sarcastico, Perses è quel tipo all’occorrenza un po’ stronzo che vorreste tanto prendere a legnate dalla mattina alla sera. Se ve lo state chiedendo no, non si può fare, ma potete sempre firmare una petizione per la buona causa.
    Proviene da una famiglia Purosangue in cui il proprio status conta più di tutto il resto e non c’è spazio per l’affetto. Di conseguenza, può sembrare snob e senza cuore, pur ciò non sia esattamente corretto: nonostante abbia un carattere schivo e riservato e tenda a non voler creare dei legami con chicchessia, è più empatico e attento di quanto sembri. Cinico e pessimista in linea di massima, è difficile fargli perdere la calma, in quanto ha l'abitudine ad analizzare tutto da un punto di vista logico e razionale e, a dirla tutta, gli interessa troppo poco degli altri per arrabbiarsi. Questo non vuol dire sia un ragazzo rose e fiori: si muove piuttosto sul confine tra sopportabile e affatto sopportabile, a seconda delle situazioni, e sa volere bene come pochi. Semplicemente, non concede – quasi mai – la possibilità di avvicinarsi, preferendo nascondersi dietro un’odiosa impassibilità.
    ☐ taken | ☐ don't know | ☑ single
    Perses Sinclair [ sheet ]
    ● Emotions are overrated
    gryff - '03 - halfblood - dangerous beater
    Hazel vive in un mondo tutto suo. Letteralmente. Vittima di una maledizione lanciata dal nonno prima ancora che lei nascesse, è convinta di cose che non esistono ma che lei prende come verità certe e assolute e filtra la realtà secondo la propria visione distorta; fatto, questo, che la rende incline a combinare pasticci e fraintendimenti, come se non già ci si immischiasse un giorno sì e l’altro pure.
    È un vero e proprio maschiaccio che di femminile ha ben poco e, senza usare eufemismi, è una pazza scatenata con un’iperattività impossibile da curare. Sempre allegra e sorridente, ha una naturale predisposizione per infrangere le regole e cacciarsi nei guai. Segue sempre l’istinto e apre la bocca prima ancora di riflettere – perché di riflettere non se ne parla proprio –. Non è brillante in quanto a intelletto, ma è una gran sportiva e ama il Quidditch, le risse, la Burrobirra e accoppiare suo fratello con ogni individuo di sesso maschile da brava shipper qual è #McOakes. Fossi in voi non mi fiderei tanto, ma chiedetele un favore e lei farà di tutto ma proprio tutto per aiutarvi!
    ☐ taken | ☐ don't know | ☑ single
    Hazel E. McPherson [ sheet ]
    ● Life is a party
    former huff - '94 - pureblood - messenger!2043
    Se volete una persona che vi faccia scordare i vostri problemi, allora Zac è la persona giusta: disgustosamente positivo ed entusiasta verso la vita, ha ancora gli occhi di un bambino con cui intravedere meraviglie e nuove idee in ogni piccola cosa che gli capiti sotto tiro.
    Nascosta sotto gli strati di puro disagio e spensieratezza, il giovane inventore ha una spiritualità tutta sua che lo porta a essere sempre gentile e disponibilità, come se coloro che incontra facessero parte di una grande famiglia. Disprezza la violenza, prediligendo l’amore in ogni sua forma: affettuoso fino a livelli diabetici, amante degli abbracci e delle nuove amicizie, può capitare che si dimentichi della differenza tra “espansivo” e “invadente”, ma spesso se la cava grazie all’espressione innocente da “E io che ho fatto??”, unita alla sua proverbiale premurosità da mamma chioccia. Oh, sembrare scemi dovrà pur tornare utile!
    Ha un estremo rispetto per la natura e una passione sfegatata per gli animali, che si diverte a coccolare e travestire da tutto ciò da cui è possibile vestirli.
    ☐ taken | ☐ don't know | ☑ single
    Zachary Milkobitch [ sheet ]
    ● Love is the best solution
    telepath - '02 - ex raven - awkward
    Timida e gentile, Narah è la classica ragazza che detesta stare al centro dell'attenzione, preferendo nascondersi dietro un libro. Non le piace la calca, che la fa sentire terribilmente a disagio e la cosa che più ama è la tranquillità. Ha una scarsissima autostima e ha paura di... tutto, perché spesso e volentieri crede di non essere all'altezza della situazione.
    Non la si sentirà mai dire una parola sgarbata a qualcuno, perché Nah è troppo buona per infierire o criticare gli altri e cercherà sempre, piuttosto, di mediare, aiutare gli altri. Non è affatto capace di instaurare delle relazioni sociali - quantomeno, non se è lei a prendere l'iniziativa -, ma è il tipo di persona cui piace avere degli amici, degli amici veri, poiché solo in questo caso riesce a rilassarsi ed essere spontanea. Oltre l'apparenza impacciata, è una ragazza buona e affettuosa, la perfetta confidente, dato che per natura sarà sempre portata a comprendere e rispettare opinioni e azioni altrui, a meno che queste non vadano a ledere i diritti altrui.
    ☐ taken | ☐ don't know | ☑ single
    Narah Bloodworth [ sheet ]
    ● Feelings aren't weakness
    [ code by psìche ]


    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 12:15
     
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    Perses Sinclair
    You'll never forget who
    have changed you forever.

    Dal B(an)G(elo) secondo Perses.
    Una parte di lui stava morendo sempre un po' di più allo scorrere di ogni tormentato minuto, assieme a quel ragazzo che aveva imparato ad amare come un fratello. Non lo lasciò nemmeno per un attimo, anche se gli occhi gli bruciavano e il cuore doleva tanto da fargli pensare che si sarebbe frantumato a ogni respiro.
    Torna da me, sussurrava. Lui non tornava.



    “I can’t imagine a world with you gone
    The joy and the chaos, the demons we’re made of
    I’d be so lost if you left me alone.

    Can you hear me screaming “please don’t leave me.”



    Torna da me.
    Lui non era tornato.
    Aveva provato a lenire le sue ferite con carezze e preghiere, in quella stanza troppo bianca e troppo sterile; a nulla erano servite le sue speranze, le sue parole affettuose e imploranti, la voce che gli si spegneva piano senza ricevere una qualsiasi risposta che frenasse i suoi singhiozzi.
    Mentre osservava la vita abbandonare il corpo del suo amico, di suo fratello, del ragazzo che per lui era diventato tutto senza che lo potesse decidere, Perses sentiva delle invisibili mani affondare mano a mano i propri artigli, fino a strappargli un frammento di cuore, quello che sarebbe stato sempre, sempre legato al respiro di Corey Jensen Atwood. Quello che aveva iniziato ad appartenere a lui a ogni attimo condiviso, ogni insulto e screzio in quei litigi che terminavano con occhiate sostenute e offese, agli abbracci rubati e contestati e segretamente amati.
    Le guance pallide e cineree, le dita prive di energia che non andavano a scostare il ciuffo di capelli scuri sulla fronte, quelle dannate ciglia nere che gli nascondevano le iridi. A Pers mancava come l’aria che respirava vedere i suoi occhi illuminarsi di divertimento, malizia, sorpresa, di vita; perché se i propri occhi erano azzurri e freddi come un lago ghiacciato, quelli di Corey erano sempre stati blu come il cielo terso, come il succo ai mirtilli che gli lasciava la lingua blu ma che tanto gli piaceva, come i pastelli che il biondo utilizzava per rappresentarli su carta, e poi gli lasciavano i polpastrelli sfumati di quella polverina blu che gli sapeva di lui e si portava dietro per il resto della giornata.
    Ma Perses lo trovava comunque bellissimo e Dio, quanto faceva schifo quella sensazione che glielo faceva mancare e agognare come se lui se ne fosse già andato, anche se ancora gli stringeva la mano tra le proprie e il suo cuore batteva. Lo distruggeva. Faceva schifo la certezza che gli sarebbe stato portato via per sempre, la consapevolezza straziante che Pers aveva ancora bisogno di lui, di lui, che lo aveva avuto troppo poco, che lo voleva ancora per giorni, anni, per tutto il tempo che sarebbe stato loro concesso di vivere. Era stato troppo poco. Aveva fissato il vuoto per talmente tanto che aveva dimenticato di come si facesse ad articolare un pensiero sensato.
    Ma in un modo o nell’altro aveva dovuto affrontarlo, perché lui non era tornato e non sarebbe tornato più.
    I singhiozzi erano diventati silenzio, il silenzio era diventato la sua difesa. Aveva soffocato le grida contro il cuscino fino a non avere più voce, e attorno a sé non c’era altro che buio, buio e buio, in cui l’unico spiraglio di luce che lo riscaldasse era sua sorella; ma non poteva dipendere da sua sorella e lo sapevano entrambi. Così si era isolato e aveva costruito quel muro di ghiaccio che lo isolava da tutto il resto. Aveva sigillato in una nascosta parte di sé il dolore, eppure il senso di vuoto era rimasto più forte che mai, e ciò cui tentava di non pensare di giorno gli faceva visita la notte.
    Non l’avrebbe più toccato, non l’avrebbe più preso in giro, respinto e poi riavvicinato, non avrebbe più potuto continuare a imparare da lui quell’affetto indipendente da un legame di sangue ma altrettanto intenso.
    Corey non sarebbe tornato, e nemmeno il suo frammento di cuore che era morto con lui.



    “Hold on, I still want you
    Come back, I still need you.”



    Non importava quanto ci provasse: Perses Sinclair non sarebbe mai stato in grado di dimenticare Corey, nonostante tutto.
    Strinse nei pugni le lenzuola, seduto sul proprio letto a guardare l’orologio appeso al muro. Il funerale si sarebbe tenuto da lì a dieci minuti, ma lui non ci sarebbe andato. C’era qualcosa di masochista nel celebrare la morte di una persona e Pers non era mai stato particolarmente religioso. Non trovava un senso nell’osservare una tomba contenente il proprio caro assieme a gente che, forse, Corey neanche l’aveva conosciuto così bene, men che meno amato come l’aveva amato e amava lui. Non trovava un senso nell’ultimo saluto, perché Perses gli aveva già detto addio su quel lettino d’ospedale e perché, be’, lui non avrebbe potuto sentirlo.
    Il dolore era ancora fresco, come una ferita su cui si gettava continuamente sale, e quel lato di sé che sperava fosse tutto un gigantesco, sgradevole incubo, da cui si sarebbe svegliato con Corey a lanciarglisi sopra facendo rotolare entrambi sull’erba del parco, continuava a fargli scorgere i lineamenti del suo migliore amico ovunque andasse. Ogni volta era un colpo allo stomaco, un nodo che gli si stringeva in gola, un imminente attacco di panico che avrebbe dovuto gestire da solo.
    Poi… poi c’erano i sogni, così felici da essere struggenti e consumarlo nel profondo, in una sensazione che un adolescente non avrebbe mai dovuto conoscere; di incubi ce n’erano tantissimi eppure, al risveglio, il Sinclair non ricordava che qualche dettaglio sfuggente e l’unico testimone era il sudore che gli inumidiva la pelle e i capelli chiari.
    Sospirò, chinò la testa e fece un gran respiro, e chiuse gli occhi quando li sentì iniziare a bruciare di sofferenza inespressa, stanchezza e desideri infranti. Ma era abitudinario quel tormento, e avrebbe continuato a essere abituale fino a quando non avrebbe trovato il modo di rendersi impermeabile ad esso. Il materasso cigolò quando si puntellò con le braccia per alzarsi. Dedicò un’occhiata distratta alla finestra e al viale della villa illuminato dal sole, che gli ricordava che il mondo sarebbe andato avanti senza problemi e prima o poi avrebbe dovuto farlo anche lui.
    Passò la mano sullo schienale della sedia, focalizzandosi sul giacchetto blu che Corey aveva dimenticato a casa sua solo una settimana prima. Com’era possibile che le cose potessero cambiare così rapidamente e drasticamente? Pers afferrò il giacchetto, iniziando a piegarlo con cura senza concentrarsi su se stesso e sulle proprie emozioni, per poi appoggiare il fagotto sulla scrivania bianca. Lo guardò per qualche secondo e si passò una mano sulla spalla tesa.
    Un bussare alla porta lo fece irrigidire, ma quando ad affacciarsi fu la testolina bionda di Theia si rilassò, e faticò a piegare le labbra in un sorriso. Era difficile, ma se c’era qualcosa di cui si curasse, quel qualcosa era non riversare la propria situazione su sua sorella. Anche Theia aveva voluto bene a Corey – era impossibile non farlo – e non era giusto caricarla di un ulteriore peso. “Come… vuoi qualcosa da mangiare? Ho fatto i biscotti!” In un’altra situazione, Perses avrebbe cercato di non ridere perché Theia proprio non voleva capire che a lui i biscotti non piacevano; adesso si sentì soltanto in colpa, una vera merda di fronte al tentativo della sua gemella di rinfrancarlo e al suo sorriso speranzoso. Evidentemente, quando lui si affezionava a una persona era solo in grado di fare del male a tutti quelli che aveva attorno.
    Con quella riflessione ad appesantirgli la coscienza, optò per la risposta che l’avrebbe fatta contenta: si costrinse ad annuire. La sola idea di mangiare gli faceva venire l’istinto di rigettare, ma non importava. “Sì.” Si schiarì la voce e fece un vago gesto con la mano. “Ti raggiungo tra due minuti, va bene?” Dalla tranquillità con cui parlava, non sembrava nemmeno che Perses stesse così male. Era sempre stato bravo a rimanere impassibile, ma sua sorella aveva la capacità di smascherarlo e l’occhiata demoralizzata che gli restituì ne fu la prova. “D’accordo, ti aspetto.” Un ultimo sorriso, e la sua snella figura sparì di nuovo dietro la porta.
    Neanche essere di nuovo solo riuscì a farlo sentire sollevato, perché la scatola accanto la quale aveva messo il giacchetto gli faceva paura. Lo terrorizzava, ma doveva trovare una maniera per dire addio a Corey e rinunciare a lui, o si sarebbe perso nel suo ricordo.
    Era assurdo come Corey avesse invaso la sua vita e l’avesse fatta un po’ sua. Tolse il coperchio della scatola con estrema delicatezza, e si accorse solo in un secondo momento dei solchi bagnati che gli rigavano le guance. C’erano vari oggetti, considerati comunemente di scarso o nullo valore, come quella pietra di medie dimensioni che afferrò, per poi rigirarsela sul palmo.



    “Let me take your hand, I’ll make it right
    I swear to love you all my life.

    I pull you in to feel your heartbeat.”



    Uno spintone, un altro ancora. “Avanti, arrabbiati! Su, picchiami, fai qualcosa, ma smettila di guardarmi con quella faccia impassibile del cazzo!”
    Pers gli bloccò i polsi, fissandolo. L’espressione irata sul viso di Corey non gli si addiceva affatto, e dal canto proprio avvertiva l’irritazione crescere di secondo in secondo. Non aveva più voglia di parlare di cazzate. Se Pers odiava quando Corey lo spingeva, Corey odiava quando Pers, nelle discussioni, invece di arrabbiarsi reprimeva tutto e ignorava. Lo mandava in bestia, ma stavolta c’era da dire che il Serpeverde assolutamente non comprendeva il perché di quella scenata. Detestava le cose senza senso.
    “Basta.” Rafforzò la presa sui suoi polsi quando Corey assottigliò lo sguardo come se volesse ammazzarlo. Fu allora che imparò che il moro si arrabbiava con la stessa intensità con cui rideva.
    “Basta? Basta hai detto?! Come cazzo osi, stronzo!” Perses strinse le labbra, e si trattenne dal dargli una testata sul naso replicando la fine che aveva fatto il ragazzo che aveva causato tutto quel litigio. All’inizio non aveva capito perché il suo migliore amico l’avesse accolto sulla soglia dell’Aetas chiaramente di umore nero, o perché i suoi occhi mandassero lampi ogni volta che lo guardava. Però Corey non era tipo da trattenersi, e infatti dopo cinque minuti passati a camminare nel più totale silenzio era esploso.
    Ed eccoli lì, a discutere di qualcosa che Pers aveva già dimenticato. “Ti slinguazzi uno che non conosci nemmeno e mi tieni all’oscuro? Il tuo migliore amico, hai presente? E se non me l’avesse detto Theia neanche l’avrei saputo!” Theia, ti ammazzo. Lo pensava un po’ troppo ultimamente. “Ma poi che cazzo ha questo di così speciale?” Eccolo che ricominciava.
    “Sei davvero volgare, mi dai fastidio.” Stronzo come sempre, Pers non si smentiva mai. In genere Corey ci rideva su, aveva imparato a conoscerlo. Stavolta il biondo gli vide il volto imporporarsi, segnale che lo voleva seriamente uccidere.
    “Ah, invece limonarti quell’altro non era volgare, vero? Lasciami i polsi!” Non così stupido da non prevedere che sarebbe stato anche in grado di dargli un pugno, lui non lo lasciò andare e lo strattonò con fermezza verso di sé; Corey cercò di assestargli un calcio, e finirono distesi a terra, petto contro petto. “È stato lui a baciare me, non volevo e gli ho dato una testata. Fine.”
    Per un attimo, da quella distanza esigua Corey lo fissò in maniera strana, come se l’avesse già saputo, ma fosse irritato comunque. Poi si sollevò sui gomiti e schioccò la lingua contro il palato, alzando il mento in una movenza che faceva quando si intestardiva e non aveva intenzione di passarci sopra. “Sono il tuo migliore amico, sono passati QUATTRO giorni e neanche una parola! Del tipo ‘oh sai, ho dato il mio primo bacio ma me ne sono fottuto di di-’”
    Qualcosa dentro Pers, probabilmente quell’esasperazione e quella rabbia che Corey avrebbe voluto vedere, scattò dentro di lui. “Sta’ zitto.” Lui stesso non era consapevole di cosa diavolo stesse combinando: la mano sinistra scattò ad afferrare la nuca dell’altro, e con una decisa pressione gli abbassò la testa fino a far combaciare le sue labbra con le proprie. Si fermarono entrambi, immobili come statue di sale, e nessuno dei due capì mai chi fosse stato il primo a cominciare a muovere le labbra in quel bacio un po’ confuso e inesperto, dato per caso. Sapeva delle caramelle all’arancia che mangiavano sempre, era… bizzarro e gradevole e morbido, e il tempo che durò era quantificabile nei battiti accelerati nel petto. Decisamente meglio del bacio indesiderato di quel tizio. Quando si staccarono, Perses cercò gli occhi dell’amico, altrettanto stupefatti; aggrottò le sopracciglia perplesso, Corey lo fece in simultanea, e guardandosi non riuscirono più a trattenersi dallo scoppiare a ridere. Era stato davvero, davvero strano e su quello si trovavano d’accordo.
    Pers si calmò solo quando il moro si tolse da sopra di lui e allungò una mano verso di lui per, credeva, aiutarlo ad alzarsi. Si dovette ricredere nel ricevere un sasso dritto allo stomaco. Alzò la testa verso di lui, sconcertato.
    “MA SEI COGLIONE???”
    “OOH, IL GRANDE PERSES CHE SI ARRABBIA, TU GUARDA. BUONGIORNO STRONZO.”
    “COSA...?”
    “TIENILA COME RICORDO QUELLA PIETRA. COREY NON PERDONA.”



    “Helplessly praying, the light isn’t fadin’
    Hiding in the shock and the chill in my bones.”



    Un sospiro, uno sbattere le palpebre a interrompere il flusso di quei ricordi, marchiati a fuoco nella mente. Depositò il sasso da dove l’aveva preso. Gli stava facendo male, forse, ma non poteva essere semplice. Intravide Sleepy zampettare verso le sue ciabatte, e lo lasciò fare anche se sapeva che le avrebbe mordicchiate tutte. La sua attenzione fu catturata da un piccolo pedone da scacchi, il Re, nascosto da una fotografia.



    “A long endless highway, you’re silent beside me.”


    “Sei silenzioso.”
    “Io sono sempre silenzioso. Sono in un momento critico, non vedi?”
    “Tanto vinco io.”
    Perses smise di meditare sulla scacchiera che aveva davanti e, troppo distratto per tentare di salvare il suo re, esclamò una mossa inutile. Incrociò le braccia al petto, risentito. Ogni tanto si domandava come fosse possibile che si fosse fatto corrompere da quella faccia furba fino a diventare suo amico. Ad essere onesti se lo chiedevano tutti: avevano un affiatamento tutto loro, nonostante i non pochi litigi e le diversità – un Serpeverde che veniva da una famiglia Purosangue, snob e sarcastico come lui e un Grifondoro Nato Babbano che sprizzava allegria da tutti i pori erano gli antipodi – . Chiariamolo, c’erano momenti in cui non si sopportavano, ma accettarsi a vicenda non era il compromesso base in un’amicizia?
    Eppure c’erano anche quei momenti in cui Pers compensava l’impulsività del moro e quest’ultimo gli donava quella serenità di cui aveva bisogno. Se uno era turbato l’altro se ne accorgeva, se uno era di buonumore l’altro se ne rallegrava – o, nel caso di Corey, lo punzecchiava fino a farglielo sparire, il buonumore, per poi lamentarsi del suo muso come se non fosse colpa sua –. Certo, avevano un modo di affrontare le cose totalmente opposto ma… be’, si trovavano. Ed era unico, bello per questo.
    “Avanti genio, cos’ha dato alla luce la tua fervida immaginazione?” domandò, alzando gli occhi al cielo. Non aveva ancora compreso fino a che punto fosse saggio dargli corda, ma sapeva di per certo che se non gliene dava Corey era capace di inventarsi mille storie senza fondamenta. Ad esempio che quel giorno era silenzioso perché, magari, aveva dimenticato di portare un libro a lezione, perciò era stato ripreso per colpa del Grifondoro, perché in verità il libro l’aveva preso per sbaglio lui mentre facevano i compiti insieme, e come se non bastasse il fatto di avere un libro in meno da fare a pezzi ciao Gid aveva mandato in depressione Sleepy, che così era uscito dalla borsa a tracolla avventurandosi nell’enorme mondo di Hogwarts ed era stato schiacciato. Qualcosa di simile, insomma.
    Corey si batté l’indice contro la guancia scrutandolo con un sorrisetto scaltro, come se fosse stato un enigma di cui solo lui aveva la soluzione. A volte pareva proprio così. “Secondo me hai solo bisogno di un abbraccio.” Oh, no. Pers si alzò dalla sedia di scatto, ma comunque troppo tardi per evitare quel paio di braccia familiari che lo intrappolarono, costringendolo ad abbracciarlo davanti a decine e decine di studenti che avrebbero potuto vederli solo girandosi. Dannato dispettoso invadente.
    “Non ti senti meglio?” Corey se la rideva, la testa infilata nell’incavo tra il suo collo e la spalla, una posizione un po’ affettuosa e un po’ strategica per evitare gli sfuggisse. Amava farlo innervosire, questo era fuori questione, e Pers sospettava amasse anche il fatto che fosse l’unico a poterla passare liscia. Lo odiava.
    “Giuro che te ne farò rimpiangere amaramente, Atwood.” Gli afferrò i fianchi, tentando di allontanarlo senza successo.
    “A me non fai paura, Sinclair.”
    Già, era vero e piuttosto a suo svantaggio. Con una smorfia di disappunto e quel peso morto di Corey addosso, si guardò attorno pronto a incenerire chiunque li stesse guardando. Mh. Non erano poi tanti, in effetti, ma l’irritazione rimaneva. Ciò non gli impedì di posare il mento sulla sua testa, giusto per ricordargli che glielo stava concedendo, non l’aveva fregato come credeva. Questa era una bugia bella grande, Corey l’aveva fregato eccome, ma non c’era bisogno di sottolinearlo, no? Lo sentì mormorare qualcosa, accorgendosi solo dopo dello scacco matto che aveva inflitto al suo Re. Stupefatto, lo spinse via con forza. “Sei una carogna.”
    “Quanti scacco matto che faccio a tua insaputa, eh?”
    L’espressione gongolante di Corey, però, valeva tutto lo sdegno di Perses Sinclair.



    “I don’t wanna let go
    I know I’m not that strong.”



    Basta. Non ce la faceva più, non era facile, non era… giusto. Si accasciò sulla scrivania, gli avambracci a contatto con il legno freddo come quella caverna vuota e piena di echi passati che gli sembrava di avere al posto del cuore. Strinse il pedone nel palmo fino a lasciarsi dei segni rossi sulla pelle.
    Perché te ne sei andato?
    Gonfiò il petto di un respiro e si passò velocemente le nocche sul viso bagnato. Una lacrima cadde sul tessuto del giacchetto, e la guardò mentre veniva assorbita fino a lasciare solo una minuscola chiazza. Quanto avrebbe voluto che le sue emozioni fossero come le lacrime, che si potessero spazzare via a comando e cancellarle come se non fossero mai esistite. Prese tra le dita l’indumento, resistendo all’impulso di stringerlo a sé; non sarebbe servito a niente, e non di certo a rassegnarsi, a mettere il lucchetto a quel dolore di cui, aveva giurato, non sarebbe più stato schiavo. Avrebbe preso il controllo dei propri sentimenti, avrebbe usato prima la testa e la razionalità di tutto il resto. Non sarebbe mai più dipeso da qualcuno. Era l’unica soluzione che aveva trovato, quel ragazzo che aveva avuto un unico amico, il migliore che potesse desiderare, e poi gli era stato portato via.
    L’essere umano è fragile, imperfetto, instabile, minuscolo e grandioso allo stesso tempo, e il battito d’ali che è la sua vita è in grado di causare uragani di cambiamenti in un effetto farfalla inarrestabile. L’essere umano è come un mare: non si sa cosa quell’immensa distesa piatta nasconda, quando sarebbe arrivata la prima onda della tempesta, quale sarebbe stata l’ultima.
    L’essere umano deve trovare un modo per proteggersi da se stesso, da quelle tempeste che altro non sono che il suo inconscio. Quello, era il suo.
    Quasi lasciò cadere il giacchetto nella scatola fonda, a coprire gli oggetti che gli rammentavano di continuo occhi di lapislazzuli e un tocco rassicurante e caldo come il tepore di un fuocherello nei pomeriggi invernali. Prese il coperchio, ma il suo sguardo indugiò più di quanto avrebbe voluto permettersi.



    “I just wanna hear you
    Saying baby, let’s go home
    Let’s go home.”



    I capelli di Corey, alla luce del Sole, assumevano una sfumatura castana che Pers si divertiva ad analizzare ogni volta, tentando di trovare un paragone che ne esprimesse la tonalità. Lo osservò con un impercettibile sorriso, seduto sull’erba del parco, socchiudendo gli occhi per ripararsi dal Sole e seguitare a godersi l’immagine di Corey che coccolava con immensa delicatezza il suo ghiro. Reclinò di lato la testa, compiaciuto, e rise quando Sleepy fece un versetto di protesta al punzecchiargli la coda dell’altro.
    “È una perfetta signorina, capricciosa e suscettibile,” commentò il Grifondoro, sistemandosi l’animaletto nello spazio erboso lasciato scoperto dalle sue gambe incrociate. Quando puntò gli occhi blu nei suoi, Pers si sentì riscaldare da una sensazione di pace come capitava solo con lui. Allargò il sorriso, imitato dall’altro, e fece spallucce.
    “Magari non gli piaci, mh?” Ridacchiò dello sconcerto dell’altro, rubandogli Sleepy da sotto il naso e carezzandogli il pelo lucido.
    “Impossibile, io piaccio a tutti.”
    Seguì la sua figura nell’atto di alzarsi e pulirsi i pantaloni, prima di fare lo stesso con calma e precisione, il ghiretto assonnato e quieto adagiato sul palmo. “Non a me.” Lanciò a Corey un’occhiata desolata e di sfida, vedendosene restituire una divertita.
    “Buffo che tu abbia comunque deciso di essere il mio migliore amico, vero?”
    Perses aveva smesso di sentirsi imbarazzato mesi e mesi prima da affermazioni come quelle: in quel momento, non avrebbe rinunciato al suo sorriso furbo e a quell’impudente alzata di spalle tipica di chi sapeva di avere ragione per nulla al mondo. Non rispose, storcendo però le labbra in una lieve smorfia di disappunto che lo fece ridere. “Dai, andiamo a casa.”
    Assurdamente, gli piaceva come la parola casa suonasse, pronunciata da lui. Come se casa fosse dove sarebbero andati entrambi, insieme. Gli fissò la schiena coperta dal giacchetto azzurro che gli aveva regalato lui stesso tempo prima. “Non dirmi cosa devo fare. Verrò perché non ho nulla da fare.” Allora, Corey si fermò solo per voltarsi e guardarlo incredulo da sopra la spalla. “Ma fai sul serio quando dici così?”
    Era felice, erano felici, senza essere consapevoli che tra una sola, misera settimana, sarebbero stati distrutti nel peggiore dei modi: separati.



    “Come back, I still need you.”


    Ti chiamavo migliore amico, ma eri la mia casa. Ti chiamavo stupido, ma eri diventato il mio dannatissimo ideale di perfezione. Eravamo tutto. Ora non siamo più niente, e tu rimarrai un ricordo racchiuso nel vaso di Pandora della mia memoria. Mi sento frantumato in mille schegge affilate che faranno male a me stesso e agli altri, non so cosa fare.
    Quanto ancora si sarebbe inflitto la sofferenza di pensare a lui? Chiuse la scatola con un tonfo sordo, e la sistemò nel punto più alto del proprio armadio con l’intento di non rivederla mai più.
    Perché Corey non sarebbe tornato, era morto e doveva dirgli addio.
    E la scatola rimase lì per anni, fino a dare a Perses l’illusione di essersene dimenticato persino lui.






    July 2016
    Brain Tilt
    Broken Heart

    tumblr_m7w2n46Pdl1r6o8v2
    made in china — I'm here at the beginning of the end


    Edited by Anchor(less) - 17/1/2019, 16:04
     
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    Edited by butterfly‚ - 6/2/2021, 18:26
     
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