I scream for everything broken in our lives.

Charles x Viktor

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +6    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Viktor Asmodeus Dallaire
    Viktor Asmodeus Dallaire
    In un certo senso si poteva dire che cedere fosse più facile che resistere.
    Ogni mattina doveva alzarsi dal letto, vestirsi, mettere insieme i cocci di quello che era Viktor e andare al Ministero per scontare la sua pena, come se non fosse bastato sfigurarlo a vita. Con lo sguardo spento e il viso smunto, passo dopo passo, percorreva i corridoi del Ministero della Magia scortato da un Pavor verso la Sala Torture della struttura. “Vi servirà per diventare dei perfetti Mangiamorte” dicevano “il Regime vuole solo il vostro bene” asserivano.
    Si era trovato costretto ad utilizzare le Maledizioni Senza Perdono ed a perdere, ogni singola volta, un pezzo di sé stesso. Dallaire o meno, Grifondoro o no, non aveva più le forze per controllarsi, forse solo per essere controllato. Perché era la cosa più semplice, no? Dopo tutto quel tempo passato a combattere i propri demoni, capaci solo di fargli desiderare la morte, era giunto al punto di totale abbandono.
    Aveva imparato ad usare Crucio e rimanere impassibile di fronte alla sofferenza altrui; guardava i corpi contorcersi, proprio come aveva fatto il proprio sotto la bacchetta della Queen. Avrebbe voluto provare pietà per quelle povere anime, ma non ci riusciva. Non riusciva a sentire niente al di fuori di quella voce che, insistente, gli ripeteva “non vali niente, sei solo un corpo da usare e abusare. Non vali niente, nessuno ti ama, nessuno ti vuole bene” e se prima cercava di scacciare via quei pensieri, ormai non aveva più importanza.

    Non era guarito del tutto ed anzi, vista la mancanza di cure approfondite l’infezione faticava ad andare via. Magico o no che fosse, quel liquido l’aveva corroso. Parte del braccio sinistro era ancora con la carne esposta, coperta da bende raffazzonate e impregnate nel dittamo. In un certo qual modo, Hunter aveva provato ad alleviargli le pene e di quello gliene era grato.
    La febbre persisteva, ma non più alta come qualche settimana prima; era intontito, alle volte incapace di reggersi in piedi, ma il Regime non avrebbe accettato una scusa così misera, tanto più l’avrebbe sottoposto a nuovi supplizi. Giacché ne era pieno fino alla punta dei piedi, non intendeva nuovamente fare indispettire i piani alti; forse stava impazzendo, magari era giunto il momento per lui di recarsi al San Mungo e rimanerci per sempre, facendo compagnia a sua zia, ma non era stupido. Aizzare la belva per la seconda volta avrebbe portato alla morte e per quanto la desiderasse, in quel momento più di ogni altra volta, era pur sempre un codardo incapace di prendere in mano la situazione. O forse, più che di codardia, poteva parlarsi di sfinimento. Ad Hogwarts aveva sperato fino all’ultimo che la professoressa Queen sbagliasse qualcosa e lo finisse; che piuttosto che versargli il liquido fumante su metà del corpo, l’avesse fatto sulla testa. Magari l’avrebbe ucciso sul colpo. Magari non avrebbe avuto altro dolore.

    Purtroppo, però, era ancora lì. A torturare innocenti senza provare niente. L’aveva detto che, ormai, fosse troppo tardi.

    -----

    Senza bacchetta la vita era difficile, ma forse lo era di più l’idea che gli altri studenti lo evitassero come la peste a causa dei giornali. Il Morsmordre aveva girato a favore della dittatura gli avvenimenti del 20 Dicembre. Quando aveva letto per la prima volta non aveva potuto trattenere le risate: Charles e Iden traditori e ricercati, gli studenti povere vittime traviate da ideali della Resistenza. Ah, se avesse potuto avrebbe dato alle fiamme tutti i Ribelli e Mangiamorte. Nello stesso legno, nelle stesse fiamme, nella stessa cenere.
    Non era colpa di due stupidi ragazzini se quel mondo andava a rotoli, se ci fossero mille ingiustizie, se erano arrivati a umiliare e picchiare dei giovani maghi pur di pararsi il culo.
    Guardando la foto del Dumont, in ogni caso, non poteva che sentire prurito alle mani. Era preoccupato? No. Aveva intenzione di tradirlo? No. Ma era arrabbiato. Furioso, di quella furia isterica che aveva potuto sfogare solo sui corpi di quei maghi acciuffati dai Pavor. E forse era stato brutale, degno fratello di Mephistophele e portatore del nome Asmodeus; non erano poi così diversi, entrambi vittime di menti contorte e subdole.
    I suoi genitori avevano contribuito a rendere i loro tre figli dei mostri e sebbene avesse provato con tutte le sue dannatissime forze ad essere migliore di tutti loro… crack. Il rumore sordo di qualcosa che si spezza. Un pezzo di umanità scivolato via come sabbia tra le mani.

    -----

    «Un éléphant qui se balançait, Sur une toile, toile, toile… toile d'araignée, et qui trouvait ce jeu tellement amusant. Que bientôt vint un deuxième éléphant. Bedou, badoum, bidou. Bedou, badoum, bidou.» canticchia, molleggiando il capo a destra e sinistra, lo sguardo puntato sulla Torre di Astronomia visibile dalla Sala Comune dei Grifondoro. Era annoiato? Abbastanza.
    Se avesse avuto le facoltà mentali adatte (cosa che al momento non sembrava possedere) avrebbe usato le poche forze in corpo per andare via da Hogwarts. In Francia non avrebbero più potuto tenerlo prigioniero ed avrebbe rinunciato persino alla sua bacchetta, comprandosene un’altra, piuttosto che lasciarsi sfruttare così. Ma forse era masochista, o magari qualcuno c’era ancora lì a trattenerlo dal fare una simile follia.

    Il suo canticchiare viene interrotto dal beccare di un gufo sul vetro della finestra. Lo osserva, le labbra dritte e gli occhi stralunati, mentre il pennuto continua a sbattere insistentemente il becco per attirare la sua attenzione «Bel pennuto, sai che ore sono? La posta non arriva la mattina?» nonostante le parole, apre le ante e afferra il biglietto, continuando a borbottare. La grafia frettolosa del Dumont gli fa quasi perdere l’equilibrio «Oh! Amico mio» dice, rivolgendosi al gufo con un sorriso inquietantemente ombroso «la luna di miele è giunta al termine. Shh—non diciamolo in giro.» fa l’occhiolino all’animale, prima di gettare il pezzo di carta tra le fiamme del camino.

    -----

    Non era facile uscire dal Castello, specialmente per lui. Specialmente di notte.
    In un altro contesto, più roseo e meno sospettoso, sarebbe sgattaiolato per le vie ciottolate dei giardini senza la minima remora; eppure, sapeva che se l’avessero beccato a gironzolare oltre il coprifuoco, non solo gli avrebbero spezzato la bacchetta, ma l’avrebbero rinchiuso ad Azkaban. Ed avrebbero anche avuto ragione di farlo, perché solo un folle avrebbe potuto accettare l’invito di Charles dopo essere stato torturato a morte e ustionato a vita. E forse, pazzo, lo era davvero.
    L’Inferius era un luogo orribile per incontrarsi, ma il più adatto. La prima volta che era andato lì l’aveva fatto con Roanoke e ne aveva avuto paura; ora camminava per quelle vie deserte, animate da lugubri lamenti, con passo spedito e trotterellante, quasi che fosse atteso ad Hogsmeade per un tè pomeridiano.
    Aveva così poco amor proprio da non sentirsi minacciato da possibili assassini; che lo prendessero pure e lo facessero a pezzi! Non aveva nemmeno la bacchetta per potersi difendere, orsù, che occasione ghiotta!

    L’incontro era fissato nel vecchio negozio di abiti da cerimonia del Signor Wimplen (o almeno, così diceva l’insegna) a mezzanotte spaccata. A mezzanotte e uno aveva spalancato la porta facendola scricchiolare.
    «L’olio nelle porte è sottovalutato» bofonchia, stupidamente, avanzando e chiudendosela poi alle spalle. Si guarda intorno per un breve istante, prima si salire le scale sgangherate a due a due, leggiadro come sempre, ma divertito come poteva esserlo un bambino. Solo quando arriva davanti al vecchio studio impolverato, nota la figura longilinea del cugino ad attenderlo.
    A giudicare dal portamento, doveva essere nervoso. Lo sguardo attento, all’erta, suggeriva che si necessitasse della massima segretezza. Oh, avrebbe davvero voluto che Charles provasse un minimo, un pizzichino, di quello che era stato costretto a sopportare. Se fosse stato un’altra persona, se non avesse provato tutto quell’affetto (immeritato) nei suoi confronti, l’avrebbe venduto alla prima domanda dei Mangiamorte. Eppure…

    «La mauvaise herbe ne meurt jamais, mon trésor!» esclama, facendo un gesto con le mani, quasi che avesse lanciato in aria dei coriandoli. Si stampa un bel sorriso sulle labbra che avrebbe voluto ricordarne uno vero, ma che visto in quella luce gli conferiva solo un aspetto inquietante e malaticcio. Gli occhi azzurri ben sgranati e pesti per le occhiaie violacee: un folle, avrebbero detto, se visto in quel contesto.
    «E dimmi, dimmi! Com’è andata la fuga? Sei stanco, eh?» si avvicina a Charles, non mutando espressione di una virgola «La lune de miel è stata di vostro gradimento? Non potevo essere invitato. Non potevi portare anche me lontano da quell’inferno» per un attimo la voce si incrina dalla rabbia e si alza, ed i pugni scricchiolano come assi di legno. Il dolore del movimento dovuto alle ustioni lo fa fermare e prendere un respiro dal naso, lasciandosi sfuggire un gemito «ma sei vivo» annuisce, rilassando le spalle «e va bene così» si umetta le labbra screpolate, reprimendosi. Avrebbe voluto piangere, urlare, strepitare. Avrebbe voluto tirare un pugno sul naso del Dumont e gridare “egoista, mi hai lasciato a morire!” ma non ne valeva la pena e la colpa non era di certo di Charles.
    Non avrebbe provato sollievo, non avrebbe riottenuto la propria vita indietro, né l’innocenza, né l’umanità. Sarebbe rimasto lo stesso corpo vuoto di sempre, animato solo dall’idea che un giorno tutto quello sarebbe finito. L’unico volto amico che conosceva al momento era Hunter, che se sommato a Charles e Iden valeva pure qualcosa.

    «Non dovresti—non dovremmo stare qui. Mi sta bene averti visto vivo-- bon voyage, Charles. Dai un bacio in bocca a Iden da parte mia.» forse era meglio scappare da lì, prima di permettere al Dumont di capire cosa fosse realmente successo in quella fottutissima scuola.
    17 y.o. | Gryffindor
    Broken | Tortured
    I became insane,
    with long intervals
    of horrible sanity.
    I should never be left alone with my mind for too long.
     
    .
  2.     +5    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    i've got to run and get away from this.
    Charles Damned Dumont
    "Traviati dalle ignobili idee della Resistenza, costretti ad abbandonare l’unico luogo che gli avrebbe protetti. Sono dei mostri. Li hanno cambiati."
    A Charles era bastato leggere una sola volta quelle parole, stampate sulla prima pagina del Morsmordre, per impararle a memoria come fossero state una preghiera, o una canzone. E forse, in altre circostanze, avrebbe riso. Sì, si sarebbe lasciato andare ad una gran risata dinanzi alle assurdità di quelle illazioni perché tanto folli da poter facilmente passare per uno scherzo, sebbene senz'altro di cattivo gusto. Ma era rimasto immobile il francese, colto di sorpresa da un dettaglio che, pur avendolo preso in considerazione, doveva comunque aver sottovalutato: quel mondo non era giusto. E lo sapeva Charles, cazzo se lo sapeva, con una madre torturata fino alla follia dal Regime ed un padre talmente sottomesso al sistema da ripudiare il suo stesso figlio, eppure aveva dovuto sbatterci per l'ennesima volta la testa per comprendere fino in fondo che quella guerra, da solo, non avrebbe mai potuto vincerla. Aveva immaginato l'espulsione, la tortura, forse persino una condanna dal Ministero — ma quello, quello era molto peggio. Uno stigma da ribelle significava dover vivere per sempre da ricercato, con addosso una spada di Damocle a solleticargli la nuca in ogni istante, un monito che gli avrebbe reso impossibile dormire con entrambe le palpebre chiuse, figurarsi perseguire i progetti che con tanta dedizione si era premurato di coltivare in quegli anni. E se in certi casi poteva anche ammettere il famoso mal comune mezzo gaudio, condividere con Iden un tale fardello era per lui ancor peggio che trovarsi da solo: dover difendere sé stesso era una cosa che avrebbe potuto sopportare, ma la responsabilità della vita dell'altro gravava sulle sue spalle più che la minaccia alla propria d'incolumità. Sapeva che, trovandosi in pericolo, avrebbe sempre anteposto il Kaufman a sé stesso e, se da una parte ne era terrorizzato, dall'altra non aveva idea di come tornare ad essere lo stesso fottuto egoista di sempre. Voleva guardare all'ex Corvonero e non sentire niente, voleva poter passare oltre i volti tumefatti di Viktor, di Heather, di JJ e di Perses impressi nelle fotografie e provare la stessa indifferenza di un tempo. Ma niente. Di Charles Dumont non era rimasto che un pizzico di cattiveria, abbastanza da fargli provare una certa soddisfazione alla notizia che anche i responsabili della non-riuscita della sua crociata fossero stati egualmente puniti, ma non sufficiente a placare la sua rabbia per ciò che era stato inferto alle persone a cui teneva.
    Non si sentiva colpevole per come erano andate le cose perché convinto di aver agito con le migliori delle intenzioni e con un piano che, per quanto fragile, con l'adeguato sostegno avrebbe potuto reggere. A turbarlo invece era l'idea di aver abbandonato i pochi rimasti al suo fianco al proprio destino, pur conscio di ciò che avrebbero dovuto subire una volta lasciata la Sala delle Torture. E più di tutto l'idea di Viktor da solo, in balia dell'ennesima sofferenza che forse non avrebbe potuto reggere, gli faceva male come una lama conficcata nel fianco. L'aveva coinvolto nella storia dell'occupazione senza soffermarsi sul fatto che, alla luce di ciò che già il Dallaire aveva subito in passato, una cosa del genere avrebbe potuto fargli male più del sopportabile. Aveva pensato a sé stesso, egoista nel momento sbagliato, e non meritava neppure un briciolo della fedeltà che invece il cugino si ostinava a mostrargli nonostante tutto.
    E così non gli era importato del rischio che avrebbe comportato lasciare la Stamberga ed inoltrarsi tra le strade di Hogsmeade, né tanto meno si era curato dell'eventualità che il suo messaggio potesse essere rintracciato. Certo, aveva preso le dovute precauzioni, usando un gufo qualunque e scrivendo nella maniera più criptica possibile, dando appuntamento al francese in un'ora prettamente notturna ed in un luogo ben lontano da occhi indiscreti, ma sapeva bene quanto una mossa del genere restasse comunque pericolosa ed aveva scelto di compierla lo stesso, per Viktor, perché glielo doveva.
    Attese che Iden si addormentasse così che non potesse provare a fermarlo, poi sgattaiolò silenziosamente oltre l'ingresso della Stamberga e si assicurò che l'incantesimo anti-intruso fosse ancora attivo. Testa china e sciarpa sul volto, avanzò a passo svelto fino al quartiere meno raccomandabile della cittadina magica, proseguendo fino a dove avrebbe dovuto incontrare il cugino.
    Il vecchio negozio di abiti da cerimonia del Signor Wimplen gli era sembrato il posto più sicuro per ospitare un fuggitivo ed uno studente fuori dal castello ben oltre il coprifuoco, l'aveva preso in considerazione persino come rifugio per sé ed Iden: abbandonato, logoro e del tutto anonimo, nessuno avrebbe potuto sospettare che qualcuno si trovasse al suo interno.
    Una volta dentro salì le scale fino al piano superiore, accostandosi alla finestra impolverata per poter scorgere l'arrivo del Dallaire - o di chiunque altro - in anticipo. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto dire al cugino una volta trovatoselo davanti; non era tipo da scuse, né aveva la delicatezza e l'empatia necessari a dar conforto ad una persona fragile come poteva esserlo Viktor, ed avrebbe di gran lunga preferito rimandare all'infinito quell'incontro — ma non poteva. Perché il francese era la sua famiglia, perché gli voleva bene e perché era d'assoluta importanza che lo sapesse, che sapesse di non essere solo.
    Avanzò qualche passo avanti e poi indietro sulle assi cigolanti del vecchio negozio, in attesa, sollevando il capo solo a quel «La mauvaise herbe ne meurt jamais, mon trésor!» che sancì senza dubbio alcuno l'arrivo del Dallaire.
    «Jamais, mon chére.» rise, posando lo sguardo sul minore. Impiegò giusto qualche attimo ad accorgersi come qualcosa non quadrasse: al di là dei lividi, che sapeva avrebbe trovato sul volto dell'altro, c'era qualcosa di più a curvargli le spalle, a rendere il suo sorriso più simile ad una smorfia. Decise di attribuirlo agli effetti della tortura, certo che non dovessero esser stati da roba da poco: aveva sperimentato in prima persona i dolori della maledizione Cruciatus e sapeva ciò che avevano fatto a sua madre.
    «Come» stai? avrebbe continuato, ma il finto entusiasmo di Viktor sovrastò le sue parole prima ancora che potesse pronunciarle. Quel che disse dopo lo colpì in pieno petto, ricordandogli ancora una volta quanto vile fosse stato da parte sua andar via con Iden e lasciar lui ad Hogwarts, da solo; no, averlo affidato all'Osborne non era certo una giustificazione. «Vik» mormorò, pur senza sapere cosa dire.
    «ma sei vivo e va bene così» questo risultò anche peggiore da incassare, perché metteva in luce ancora una volta chi fosse lo stronzo insensibile tra i due e chi quello che sapeva amare. Persino il rischio che aveva corso nel presentarsi lì gli sembrava ora una sciocchezza in confronto a ciò che il Dallaire era sempre stato per lui senza mai ottenere un minimo di riconoscimento.
    «N'ose pas,» puntò un dito dritto davanti al suo naso, in viso l'espressione più seria che gli riuscì. «dobbiamo parlare prima.» si passò una mano fra i capelli, sospirando sonoramente prima di riprendere a parlare. «Ti avrei portato con me Vik, avrei davvero voluto farlo. Ho solo pensato che fosse meglio per te restare al castello, non dover vivere da fuggitivo come sto facendo io — ti assicuro che è proprio una merda. Ma se pensi che sia stata la scelta sbagliata, mi dispiace. A quanto pare faccio un sacco di scelte sbagliate negli ultimi tempi.» scrollò le spalle, chiedendosi quanto quelle parole potessero risultare utili in quella circostanza. Forse per niente. «Però... I lividi spariranno, ti lascerai questa storia alle spalle e andrai avanti. Potrai diplomarti e fare quello che ti pare senza doverti nascondere. Non pensi che sia meglio così?» c'era un po' di rimpianto nelle sue parole, ma anche il concreto desiderio di trovare una nota positiva a ciò per cui il Dallaire lo stava più o meno consciamente accusando. «E poi, come ti avevo promesso, non sono sparito. Sono qui, siamo ancora una famiglia.» allungò una mano per stringere la spalla del cugino in un gesto deciso. «Non sei solo.»
    18 y.o. | ex-slytherin
    oh, this is suicide.
    And we'll just keep
    each other as safe
    as we can, until we
    reach the border.
    the risk i took was calculated, but man, i'm so bad at math.


    Edited by wait‚ wat? - 3/1/2019, 21:04
     
    .
  3.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Viktor Asmodeus Dallaire
    Viktor Asmodeus Dallaire
    «Ti avrei portato con me Vik, avrei davvero voluto farlo. Ho solo pensato che fosse meglio per te restare al castello […]»

    Dio, gli veniva da ridere.
    Istericamente, per poi afferrare qualsiasi cosa in quella maledetta stanza e lanciarla contro il Dumont per ferirlo, così come si sentiva lui. Il fatto era che non voleva scuse, né rimorsi, né stupide giustificazioni. Erano superflue arrivati a quel punto, inutili; ormai non aveva più nulla da recuperare, niente da salvare, a cui aggrapparsi, perché se da un lato Charles era diventato un fuggitivo, dall’altro persino Mortimer era in viaggio chissà dove e chissà con chi ad evitare la morte. Non poteva fare affidamento su nessuno, nemmeno sulle due persone che aveva sempre posto sul piedistallo quasi fossero delle divinità. Ma era proprio come diceva l’ormai ex-Serpeverde: le scelte sbagliate erano state tante, troppe, una più catastrofica dell’altra.
    L’idea di Charles era stata piena di buoni propositi e la riuscita, purtroppo, non era stata dettata dalla loro volontà, eppure era finito con l’essere l’unico a subire la pena maggiore a causa del loro legame. A senso unico, avrebbe detto, prima di ascoltare la sviolinata del cugino, animata forse dal rimorso, dall’essersi finalmente reso conto che non fosse il solo su quella cazzo di terra a passeggiare spensierato.
    Egoista lo era sempre stato, incurante e menefreghista; non si era mai fatto troppi problemi nel punzecchiarlo nelle parti meno consone, ripescando eventi che nessuno poteva o doveva tirare fuori. Ma glielo aveva sempre permesso e forse era stato l’errore più grande; eppure, Charles rimaneva suo fratello, il suo migliore amico, l’unico a cui aveva raccontato in minima parte gli eventi a casa Dallaire, omettendo la parte più scabrosa che, con gelosia o forse meglio con dolore, conservava nello stomaco, inacidendolo sempre di più. Il Dumont conosceva la parte più sicura, ma nemmeno di quella aveva mai visto oltre i suoi interessi. Però riusciva a capirlo. Nel profondo del suo cuore, non aveva dubbi sul fatto che soffrisse per sua madre, costretta nel letto del San Mungo ormai del tutto incapace di ragionare; era triste, maledettamente deleterio per il cugino farle visita. Aveva sempre sperato che proprio quell’accadimento così importante nella vita altrui potesse smuovere la compassione e il desiderio di aiutare chi ne avesse avuto bisogno; non era servito a nulla pregare che suo cugino andasse al di là dello specchio. Che si accorgesse che un altro membro della propria famiglia stava calando a picco con un masso incatenato alla gamba; senza Mortimer, quella conversazione non sarebbe mai avvenuta.

    «Sì, mon chér, fai un sacco di scelte sbagliate» ah, perché l’aveva fermato? Ora non avrebbe smesso «le fai perché sei egoista, incurante, indifferente. Ah, l’amore, Charles» sventola una mano in aria, ancora voltato di spalle, fissando con sguardo vitreo le assi in legno ormai putride «che cosa sopravvalutata. Che spreco di energie, di tempo. Se solo l’amore che provassi per te non fosse così forte… eppure. Eppure! Non rimpiango nulla e non ho niente da rimproverarti! Sei sempre stato così, hai agito nel migliore delle tue possibilità, come solo Charles avrebbe fatto» da stronzo, dunque. Ma non era lì per colpevolizzarlo. La decisione di seguirlo era stata la sua, non aveva messo in conto la possibilità di rimanere solo ad affrontare le torture atroci, né che la pena peggiore sarebbe toccata proprio a lui, come se piuttosto che punire Charles, avessero preso di mira il parente più prossimo «La scelta di seguirti è stata mia e mia soltanto. E, mon trésor, la ripeterei altre cento volte, per te» prima che possa voltarsi, la mano del Dumont si posa sulla sua spalla con decisione ed un dolore acuto, difficile da sopportare, lo fa gemere sofferente, afferrandolo per il polso per scacciarlo via con irruenza. Si ritrova a dover stringere le palpebre, tremando per lo sforzo di non urlare «Però… I lividi spariranno, ti lascerai questa storia alle spalle e andrai avanti.»

    Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male, arrivati a quel punto.
    Andare avanti, diceva? Era così… ingenuo. Fiducioso, che quasi gli dispiaceva dovergli dare una così cocente delusione. Ma la risata a cui si lascia andare gli scuote i polmoni, facendolo piegare in due; si asciuga le iridi con l’indice, voltandosi a fissare il cugino con l’aria di chi ha perso tutto, un sorriso ancora stampato sulle labbra carnose, che un tempo cercavano di ironizzare la situazione in cui si era cacciato, in cui l’avevano buttato sin da bambino.

    «Spariranno! I lividi, ah—quelli sono già spariti» si indica il viso, avanzando verso il Dumont «L’hai detto tu, mon trésor, che abbiamo visto entrambi di peggio, no?» sibila tagliente e solo quando si trova faccia a faccia con Charles, si sporge appena per essere chiaro, visibile a quegli occhi che non l’avevano mai visto «Sai cosa non sparisce? L’umiliazione, Charles. Quella ti corrode dall’interno, ti fa desiderare di morire. No, no… non parlo delle stupide cazzate adolescenziali, di amori non corrisposti, di voti presi per negligenza. Parlo della vera vergogna» gli picchietta il dito sul petto, avanzando di qualche passo ancora «Quella che ti prende e ti sviscera quando la colpa ti mangia vivo. Ti sei vergognato, quando tua madre veniva Cruciata e tu, povero bambino indifeso e vittima, non hai potuto fare niente per impedirlo? Io lo so, lo so che vuol dire. Lo so e per questo ti voglio bene più di ogni altra cosa» la mano lo spinge adesso, irruenta «e ti sei fatto sordo, perché la tua sofferenza era l’unica, la sola di cui ti importasse. E io ero lì, nella casa dei nonni, a chiedermi se ci fosse un posto per me in quel cuore arido, prosciugato che ti ritrovi» stringe le labbra, trattenendo le lacrime, con la voce spezzata, ma pur sempre ferma «è la terza volta che per colpa di altri vengo distrutto, ed è la seconda volta che mi rialzo da solo» e ormai non aveva più nemmeno le forze per reggersi in piedi, eppure era lì in quel maledetto negozio «mi hanno stuprato ed umiliato in quella fottutissima villa dove ora non c'è più niente se non fantasmi che non hanno pace, dove Mephisto mi ha accoltellato in mezzo alla marmaglia di gente in fuga... ora... ora sono sfigurato. Sfigurato, Charles, e tu non c'eri. Hai lasciato chi credeva in te a morire. Non ti colpevolizzerò mai per aver rischiato, ma per averci abbandonato. La Queen mi ha legato come un maiale e si è presa tutto quello che mi era rimasto, mi ha versato addosso del liquido bollente e ha riso. Ha riso, per l’amor del cielo» le mani tremano, mentre si scosta di un passo, indicando il proprio corpo, scostando solo la manica per esporsi allo sguardo del maggiore. Parlava di lividi, Charles, ignaro di quello che era accaduto in quella Sala «Ho dovuto curarmi da solo, senza magia, ho combattuto tra la vita e la morte, ed ogni giorno, nonostante ancora le ustioni mi dilanino la pelle, vengo scortato dai Pavor al Ministero per torturare innocenti. E non sento niente, Charles-- niente. Gli studenti mi schifano e mi evitano come se fossi affetto da—non so, il morbo del Dumont!» si lascia scappare una risata isterica e qualche lacrima gli scivola sulle guance, incapace di trattenerle «Oh, Charles. Scappa lontano da qui. Torna nella tua amata Francia. Perché se hanno fatto questo a me, non voglio nemmeno immaginare cosa potrebbero riservarti i Mangiamorte» c’era freddo, in quello studio, ma non sentiva nulla. Non aveva la percezione del gelo a congelargli la pelle, né il rimorso di aver messo il cugino di fronte la verità.
    Non c’era niente da guarire «sai, mon amour» deglutisce, umettandosi le labbra per non scoppiare nell’ennesimo pianto «avrei voluto che per una volta scegliessi me prima di chiunque altro» prende un respiro, esausto, abbassando lo sguardo al pavimento.
    Poi ride, nuovamente, passandosi una mano sugli occhi pesti, scuotendo il capo.

    17 y.o. | Gryffindor
    Broken | Tortured
    I became insane,
    with long intervals
    of horrible sanity.
    I should never be left alone with my mind for too long.
     
    .
  4.     +4    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    i've got to run and get away from this.
    Charles Damned Dumont
    Era diventato l'uomo di casa a sette anni e praticamente orfano a undici. Aveva visto cose che neppure un adulto sarebbe stato in grado di reggere senza portarne per sempre le cicatrici ed aveva sperimentato emozioni d'un intensità spropositatamente eccessiva per un infante. Eppure Charles restava un immaturo. Aveva ormai raggiunto da mesi la maggiore età, eppure non aveva fatto altro che continuare a comportarsi come un qualsiasi adolescente del nuovo millennio, troppo impegnato a guardare sé stesso per preoccuparsi del resto.
    Persino la notte dell'occupazione, quando si era eretto a moderno Robespierre, non aveva fatto altro che buttarsi in un'impresa disperata ed irresponsabile. Era stato bravo a far credere a chiunque d'averlo fatto per puro senso di giustizia, tanto da aver iniziato a crederci egli stesso, ma la verità era che l'aveva fatto senza pensare. Un'idea stupida, nata in un contesto tutt'altro che serio, che si era concretizzata per ostinazione, per desiderio di dimostrare a sé ed agli altri d'essere in grado di poter cambiare le cose. Aveva condito il tutto con la storia di sua madre, con il ricordo della punizione condivisa quasi un anno prima con Iden, ma no: era solo una testa di cazzo con un acuto narcisismo e la costante voglia di primeggiare in tutto.
    Aveva lasciato la stanza ripetendosi d'averlo fatto per delusione, rabbia, orgoglio, ma in verità vi aveva solo intravisto un'occasione: scappare con il Kaufman e mettere un'altra spunta alla sua lista desideri. Di questo si trattava, d'un infinita serie di capricci da soddisfare per poter stare in pace con sé stesso, almeno fino alla smania successiva, nient'altro. E persino lì, alla Stamberga, la prima notte non aveva fatto altro che pensare a come punzecchiare il Corvonero, l'ombra di ciò che si era lasciato alle spalle ormai lontana, opaca.
    Paradossalmente, era stato proprio quel dannato articolo sul Morsmordre a muovere in lui qualcosa. Innanzitutto la consapevolezza di avere in mano la propria esistenza, di essere responsabile di ogni futuro passo falso che avrebbe compiuto. In parole povere: niente più stronzate.
    Poi Iden, che in passato si era rivelato essere tanto importante da fargli accantonare l'orgoglio, da influenzare le sue decisioni, da farlo correre come una povera adolescente innamorata, ma per cui non aveva mai pensato di poter davvero mettere a rischio la propria vita. Ora invece, con una minaccia concreta ed incombente, sentiva chiaramente d'aver perso il primato che aveva sempre dato a sé stesso in favore del minore, e con lui le persone che aveva sempre preso per scontate — Viktor il primo, il più importante. A lui andavano le sue scuse migliori, per quanto a quel punto potessero oramai valere.
    Chissà dunque quali tra le parole del Dallaire gli fecero più male.
    Certo non le accuse sulla sua noncuranza - di quelle ne aveva ricevute fin troppe - né tanto meno il rimpianto con cui pareva aver pronunciato quell'ennesima dichiarazione d'affetto nei suoi confronti. Forse la smorfia di dolore con cui s'era affrettato a ritrarsi al suo tocco, perché segno del male che dovevano avergli fatto anche a causa sua, ma niente rispetto all'assistere al viso del Dallaire accendersi come mai prima d'allora aveva fatto, colto da una rabbia, un dolore, un vuoto che Charles non era più tanto certo di poter colmare.
    Rimase in silenzio dunque, le labbra ormai ridotte ad una sottile fessura nel tentativo di star zitto, di lasciare che l'altro sfogasse ogni cosa su di lui come probabilmente aveva bisogno di fare.
    «Ti sei vergognato, quando tua madre veniva Cruciata e tu, povero bambino indifeso e vittima, non hai potuto fare niente per impedirlo? Io lo so, lo so che vuol dire. Lo so e per questo ti voglio bene più di ogni altra cosa» trattenne il respiro a quel punto, stringendo i denti tanto forte da far male. Non gli aveva mai detto come si era sentito nell'assistere a quella scena dallo spiraglio di un armadio, paralizzato dalla paura, con le urla di sua madre a riempirgli le orecchie minacciando di assordarlo. Non l'aveva mai detto a nessuno perché odiava mostrarsi debole, perché dirlo ad alta voce l'avrebbe fatto sembrare più reale, e nessuno l'aveva immaginato, nessuno aveva mai avuto l'impressione che dietro quella maschera di pura indifferenza potesse nascondersi un segreto così, eppure Viktor l'aveva capito. In fondo erano simili, entrambi piegati da un infanzia che non aveva avuto pietà della loro innocenza, e non era così assurdo che l'altro fosse riuscito a leggergli dentro, ma sentirselo sbattere addosso con tanta irruenza — dieu, era troppo. Incapace di guardarlo oltre negli occhi abbassò il capo, tirando su col naso ma restando con gli occhi ben spalancati, non una lacrima a solcargli le guance.
    «mi hanno stuprato ed umiliato in quella fottutissima villa dove ora non c'è più niente se non fantasmi che non hanno pace, dove Mephisto mi ha accoltellato in mezzo alla marmaglia di gente in fuga...» di riflesso risollevò il viso, fissando ora incredulo il cugino. Sapeva dell'orrore consumatosi in casa Dallaire, e sapeva degli strani rituali che i suoi zii avevano per anni compiuto senza curarsi d'avere dei bambini in casa, anzi forse traendone uno strano perverso piacere — ma stuprato? Andava ben oltre ciò che fino a quel momento aveva creduto di sapere. Aveva condiviso la casa con Viktor per anni, eppure evidente mai era riuscito a comprenderlo fino in fondo, a conoscerlo davvero.
    «ora sono sfigurato. Sfigurato, Charles, e tu non c'eri. Hai lasciato chi credeva in te a morire. Non ti colpevolizzerò mai per aver rischiato, ma per averci abbandonato. La Queen mi ha legato come un maiale e si è presa tutto quello che mi era rimasto, mi ha versato addosso del liquido bollente e ha riso. Ha riso, per l’amor del cielo»
    Quasi come se il vuoto di Viktor fosse contagioso, anche il Dumont aveva l'impressione di non riuscire a sentire più niente. La bocca asciutta, un nodo in gola così stretto da soffocarlo, il cuore sul punto di scoppiargli in petto. Non piangeva mai Charles, ma a quel punto avrebbe solo voluto urlare. Contro sé stesso, contro suo padre, contro Louis e contro il mondo che l'aveva reso così, che aveva lasciato che crescesse in quel modo senza aprirgli gli occhi in tempo, senza fermarlo dal poter fare del male agli altri. Che senso aveva a quel punto scusarsi?
    «E non sento niente, Charles-- niente. Gli studenti mi schifano e mi evitano come se fossi affetto da—non so, il morbo del Dumont!» fottuti stronzi avrebbe voluto dire, ma aveva senso biasimare gli altri quando il primo da colpevolizzare era proprio sé stesso?
    «avrei voluto che per una volta scegliessi me prima di chiunque altro»
    Bum.
    Aveva sperimentato l'abbandono, la perdita, la paura, il dolore, la rabbia, il vuoto, ma quello non sapeva come categorizzarlo, un sentimento del genere gli era del tutto sconosciuto. La colpa forse, quella che s'era sempre rifiutato d'assumersi, o la vergogna per non essere stato all'altezza, per non essere stato ciò che avrebbe dovuto essere. L'improvvisa realizzazione di uno sbaglio che non riguardava una scelta, o una notte, ma una vita intera. A nulla valeva giustificarsi con la giovane età, con la mancanza di una figura di riferimento, con l'esperienza che da bambino l'aveva segnato. Non c'erano scuse per mancanze del genere.
    «E' ironico.» mormorò alla fine, allungando una mano sul viso del Dallaire per scacciare via una lacrima sfuggita al suo controllo. «A volte mi capita di mettermi a letto e ripensare a mio padre. Penso a cosa gli direi se me lo trovassi davanti adesso, ed immagino spesso di gridargli addosso quella stessa frase, voltargli poi le spalle e andar via, continuando ad odiarlo anche più di prima.» riposò la mano in grembo, asciugandosi col pollice l'indice umido. «Dovresti odiarmi anche tu dunque. Io lo farei. Ma tu sei troppo buono e probabilmente ti ostinerai a non voler voltarmi le spalle.» abbozzò un sorriso, a confermare che avrebbe accettato qualsiasi sua decisione, anche la peggiore. «Dovresti Viktor, non sono la persona che meriti. E non lo dico per modestia, non rientra certo tra le mie qualità.» alzò le spalle, rassegnato. «Lo dico perché so di non averti mai trattato come un fratello, di non essermi fermato a considerarti come tale neanche per un attimo. Hai ragione, ho pensato a me stesso per tutto il tempo. Ho creduto di avere il diritto di comportarmi a mio piacimento solo perché in passato mi sono capitate delle brutte cose, dimenticando che forse gli altri potevano aver combattuto demoni persino peggiori dei miei.» perché fingere che non fosse così? Sapeva benissimo anche Viktor com'era fatto Charles, e pur sapendolo era rimasto. Sarebbe stato un insulto mentirgli, dire di avergli sempre voluto bene. «Ho scelto me perché convinto che nessun altro l'avrebbe mai fatto, perché ho dato poca importanza a chi invece c'è sempre stato. Però posso assicurarti una cosa» si umettò le labbra, respirando a fondo come fosse in carenza d'ossigeno. «quando ho visto la foto su quel dannatissimo giornale avrei davvero voluto correre fino a qui e fare — beh, probabilmente un'altra stronzata. Ma avrei messo a rischio la mia stessa vita perché non sopportavo l'idea che avessero fatto del male alle persone a cui voglio bene. A te, più di chiunque altro.» e non per egoismo, non per riparare alla propria colpa, solo perché ci teneva davvero, perché «forse ho spesso usato superficialmente la parola 'famiglia', ma ti considero veramente mio fratello Vik. So che è tardi, ma è così. E se volessi venire con me adesso, non tornare indietro, io non te lo impedirei, mai. Solo, non voglio scegliere per te. Voglio che tu ti renda conto di avere ancora in mano la tua vita, che anche se fino ad ora ha fatto tutto schifo non significa che andrà sempre così, che non potrai mai farci niente. Sei la persona più forte che conosca e ti prometto che non lascerò più che qualcuno ti faccia del male.» probabilmente era tardi anche per quello, perché Viktor sembrava ormai — spezzato. Ma, quant'era vero che si chiamava Charles, avrebbe fatto di tutto per aiutarlo a rimettersi in sesto. Ci avrebbe provato oltre il limite delle proprie possibilità. «Quindi, ti prego, fai un'ultima cosa per me: non lasciarti andare. E fammi provare qualcosa per quelle bruciature — tanto, s'en fout se è illegale. Tecnicamente è illegale anche che io usi la magia ma, come ho detto: s'en fout.»
    18 y.o. | ex-slytherin
    oh, this is suicide.
    And we'll just keep
    each other as safe
    as we can, until we
    reach the border.
    the risk i took was calculated, but man, i'm so bad at math.
     
    .
  5.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Viktor Asmodeus Dallaire
    Viktor Asmodeus Dallaire
    Per quanto avesse provato ad odiare Charles non c’era mai riuscito. Rabbia, forse, ma mai odio.
    Perché il Dumont portava sulle spalle un peso che conosceva bene e renderlo più pesante non era da lui; quella volta, però, era stato diverso. Forse era stata la stanchezza, sia fisica che mentale, a renderlo debole confessandogli quanto patito o provato in quegli anni e probabilmente sentirsi dire che fosse solo uno stupido egoista non doveva più fargli alcun effetto, ma era palese che le sue parole avessero centrato un fianco scoperto. Ed era felice di quello, di come Charles avesse abbassato lo sguardo incapace di sostenere i suoi occhi, ormai velati di niente, quando poco tempo prima una misera scintilla stava quasi per nascere, nascondendo sotto il tappeto i mostri che l’avevano perseguitato.
    Invece, se n’erano aggiunti di nuovi e la notte era diventata troppo buia e troppo silenziosa, ed il peso della solitudine un macigno sul petto che non riusciva a mandare via.
    Non c’era modo di tornare indietro e sistemare le cose, né tra di loro, né per sé stesso ed era triste. Triste di essere stato, anche quella volta, la seconda scelta, il nessuno, l’invisibile. Un fantasma in mezzo a tutti quelli che popolavano Hogwarts; e forse invisibile lo era davvero, quando passava per i corridoi del Castello e nemmeno i ritratti appesi alle pareti si degnavano di rispondergli.
    Avrebbe mentito se non avesse confessato che solo Hunter, a dispetto del loro essere due pezzi diversi della stessa scacchiera, gli era stato accanto durante la guarigione. E, nonostante quello, avrebbe voluto che Charles fosse lì con lui, se non provando la stessa pena, almeno a tenergli la mano durante i deliri e la febbre.

    Ma erano stati pensieri di un moribondo, di un affebbrato, incapace di ragionare lucidamente. E forse lucido non lo era nemmeno in quell’istante, mentre la fiumana di parole lo avvolgeva e lo faceva tremare di sofferenza. Non voleva che Charles lo toccasse, allo stesso tempo avrebbe voluto un suo abbraccio. Sentirsi dire “ti voglio bene”, anche se sapeva che non fosse vero. Che sarebbe rimasto un sentimento a senso unico, perché ormai il Dumont aveva scelto e niente poteva far scemare quel senso di oppressione che dal 20 Dicembre gli faceva contorcere le budella.

    «Dovresti odiarmi anche tu dunque. Io lo farei. Ma tu sei troppo buono e probabilmente ti ostinerai a non voler voltarmi le spalle.»

    Non si trattava di bontà, invero.
    Non era buono, non era disposto a sacrificare sé stesso per tutti, come un Grifondoro avrebbe dovuto fare. Era un approfittatore, un codardo e spesso lasciava che gli altri si sporcassero le mani senza mai agire, ma attendendo la fine. Aveva vissuto bene facendosi gli affari propri, lasciando che le malelingue lo ingiuriassero con gli epiteti più coloriti, esortandoli anzi a fare di più. Era incurante e indifferente alle pene degli altri, come ogni Dallaire della sua famiglia, ma sempre gentile, mai crudele.
    Eppure era diventato l’esatto specchio di Mephistophele e Yves, entrambi mossi da una vena cattiva che aveva sperato non lo contagiasse e che invece si era insinuata in lui come veleno. Se pensava alla ragazzina che aveva Cruciato solo quella mattina, sentiva il vuoto ed una strana sensazione di sollievo; perché, per una volta, infliggeva dolore e non lo provava. Ed era stato piacevole e angosciante, una punizione che l’aveva fatto uscire allo scoperto come il peggiore dei criminali.
    Lui era il terzo figlio, il minore dei Dallaire; forse uno dei peggiori.

    Quindi, persino per lui, trovarsi nella condizione di sacrificarsi per Charles era inusuale. Dare tutto a qualcuno che non l’aveva mai amato era assurdo, eppure era così. Forse non avrebbe provato tanto affetto nemmeno per quello che, alla fine, si era rivelato il ragazzo per cui si era preso una sbandata e che sì l’aveva trattato di merda dentro la Sala (come tutti, a quanto pare), ma che poi aveva deciso di tornare per rimediare, in parte.
    E allora, cosa doveva dire a Charles? Che era lì per lui e che sperava non fosse arrivato a quel punto solo per lavarsi la coscienza?

    «E se volessi venire con me adesso, non tornare indietro, io non te lo impedirei, mai. Solo, non voglio scegliere per te. Voglio che tu ti renda conto di avere ancora in mano la tua vita, che anche se fino ad ora ha fatto tutto schifo non significa che andrà sempre così, che non potrai farci niente.»

    Il fatto era che avrebbe davvero mollato tutto, per il Dumont. Avrebbe lasciato alle spalle Hogwarts e si sarebbe dato alla fuga come un ricercato. Ma a che scopo, arrivati a quel punto? Restare o scappare, per lui, non aveva più senso. Charles parlava di prendere in mano la propria vita, di non lasciarsi andare, di essere forte. Gli veniva da ridere, da chiedergli con la più seria delle domande “come pensi che possa essere felice arrivati a questo punto?” ma non voleva. Dopo quello sfogo, dopo che aveva comunque smosso qualcosa in quel cuore arido, non pensava di dover aggiungere nient’altro.

    «No» risponde, secco, alzando la mano come a voler mettere distanza tra di loro. “Non mi devi toccare” silenzioso, ma perfettamente udibile «Non andrò via da Hogwarts, perché come te ho qualcuno che voglio proteggere e finché me lo permetterà, non mi muoverò da lì, anche a costo di impazzire» solleva lo sguardo, questa volta affilato come le lame dei rasoi «e non voglio le tue cure. Ora meno che mai» si abbassa la manica, nascondendo l’ustione e sollevando il mento, rassomigliando in maniera quasi disturbante al maggiore dei Dallaire «Sono contento che tu abbia avuto la rivelazione mistica leggendo i giornali, vuol dire che qualcosa di buono c’è ancora lì, da qualche parte» indica con gesto vago il petto del cugino, le iridi azzurre due pozze scure e tempestose «e non è bontà, la mia. Non sarei mai giunto a tanto per nessun altro, mio malgrado. Ti prego di non condirmi la storia con banali “ce la puoi fare Vik, urrà!” da stupido quale sei, mon trésor. Se ce la farò non sarà per merito tuo e se affonderò, non piangere per me. Non ne vale la pena» fa un passo indietro, mettendo distanza tra di loro, perché non voleva che le lacrime lo tradissero. Non voleva che Charles tornasse da lui.
    Si stava comportando da stronzo? Ovviamente. Per il motivo più giusto: lasciare che il Dumont si mettesse in salvo. Che lo dimenticasse, che pensasse che non avesse bisogno di lui come in realtà lo aveva, e lo avrebbe sempre avuto.
    Era intelligente, più di quanto Charles pensasse, e il maggiore valeva più di stupide cure che avrebbero portato altri problemi.

    «Non voglio vedere più la tua faccia, né quella di Iden, tantomeno quella di Mortimer. Se lo vedi, digli di non cercarmi» si morde la guancia, nervoso. Eppure, era sempre stato bravo a non far capire le sue reali intenzioni o, meglio, emozioni. Era sempre stato un enigma e tale avrebbe dovuto rimanere, persino in quelle condizioni «Vattene. V a t t e n e. Non mandarmi gufi, non mettermi» metterti «nei guai ancora una volta.» scandisce, indicando la porta.
    La verità era che il bene che voleva a Charles non poteva essere quantificato e le parole del cugino erano, se non un sollievo, un palliativo.

    «Ti considero veramente mio fratello Vik.»

    E tanto bastava.

    17 y.o. | Gryffindor
    Broken | Tortured
    I became insane,
    with long intervals
    of horrible sanity.
    I should never be left alone with my mind for too long.
     
    .
  6.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    i've got to run and get away from this.
    Charles Damned Dumont
    E se ancora aveva dei dubbi sul fatto che Viktor fosse diverso da come l'aveva lasciato quella sera in sala torture, quel «No» servì a dissipare ogni sua incertezza. Non c'era cattiveria nelle sue parole, neanche quando forse sarebbe stato il caso di servirsene, ma la non così velata schiettezza con cui continuava a respingere ogni suo tentativo d'avvicinamento era un chiaro segnale di quanto risentimento provasse nei suoi confronti malgrado l'affetto, malgrado tutto il resto.
    E Charles quei modi li avrebbe odiati su qualcun altro ed in diverse circostanze, ma a quel punto non gli restava che tacere e comprendere. Il solo fatto che Viktor fosse uscito dal castello, rischiando per l'ennesima volta solo per poterlo incontrare, era già più di quanto non avrebbe potuto chiedere. Sperare anche che accogliesse le sue parole con un abbraccio e tanti cari saluti era chiedere troppo. Eppure ci aveva sperato il francese, fino all'ultimo istante, che il Dallaire fosse ancora il ragazzo facilmente disposto a lasciarsi addolcire, perché le strade semplici erano le più ovvie da preferire. Ed invece, paradossalmente, forse era stata proprio l'assertività del cugino a non farlo mai realmente interessare a lui, perché Charles aveva bisogno di qualcuno che lo scuotesse, che gli urlasse in faccia quanto fosse stupido e quanto avesse bisogno di crescere. Per intenderci, uno come Iden; o uno come quel Viktor, che ancora non s'era lasciato andare ad uno dei suoi soliti sorrisi rassicuranti, quasi non fosse più capace di dispensarne, non a lui almeno.
    «Non andrò via da Hogwarts, perché come te ho qualcuno che voglio proteggere e finché me lo permetterà, non mi muoverò da lì, anche a costo di impazzire» e se due più due faceva ancora quattro, allora il Dallaire doveva aver raggiunto un punto d'accordo col prefetto Oakes. Solo di lui gli aveva sentito parlare in quel modo e, per quanto poco fosse convinto dell'ennesimo Corvonero che entrava a far parte delle loro vite, non poté che provare un moto di sollievo nel sapere che nel castello c'era ancora qualcuno che tenesse a lui. Qualcuno per cui Viktor poteva ancora credere di dover resistere.
    «Se ce la farò non sarà per merito tuo e se affonderò, non piangere per me.» e come contraddirlo? Per quanto il solo pensiero che l'altro potesse affondare a causa sua gli facesse tremendamente male, sapeva d'aver interferito già fin troppo con la sua vita, tanto da non potersi permettere di ribattere oltre. «Non ne vale la pena» quello no però, a quello non poteva non rispondere. «Sì, du putain.» una smorfia scocciata fece capolino sul suo volto, facendogli scuotere la testa con una certa incredulità. Invero, non era mai riuscito a dimostrargli quanto tenesse al loro rapporto, si era comportato da stronzo per i tre quarti del tempo ed anche oltre, ma da qui a credere che non avesse minimamente a cuore la sua sorte — du putain, per l'appunto. «Forse non ne varrà la pena per te, e questo mi dà comunque fastidio, ma smettila di parlare come se non ne valesse per me. Non sarò stato il migliore nel dimostrarlo, ma per quanto mi riguarda ne varrà sempre la pena per te, coglione si tastò le tasche in cerca di una sigaretta, perché a quel punto era fin troppo irritato per non averne bisogno, ma ops, "qualcuno" doveva avergliele fregate prima che uscisse. Quella convivenza l'avrebbe presto fatto uscire di senno, ne era convinto.
    «Non voglio vedere più la tua faccia, né quella di Iden, tantomeno quella di Mortimer. Se lo vedi, digli di non cercarmi.» imprecò tra sé e sé continuando a sperare in un po' di tabacco superstite, nascondendo nel gesto il nervosismo che avrebbe così disperatamente voluto tirar fuori. Non era il caso con Viktor in quello stato, vero, ma Charles non era certo un santo e — «Vabbé. Se continuare a fare la drama queen ti aiuta a stare meglio, allora lungi da me provare a fermarti. Ma Viktor, per Salazar, m'insulti se pensi davvero che ti volterò le spalle solo perché mi hai chiesto di farlo.» insomma, a fare il melodrammatico era bravo anche lui, forse di più. Sapeva riconoscere un bluff del genere quando lo vedeva, e le parole del cugino nascondevano malamente il suo tacito bisogno di vicinanza. Sollevò il capo per posare nuovamente lo sguardo su di lui, indietreggiando verso il davanzale piuttosto che avvicinarsi alla porta come l'altro gli aveva indicato. «Se dovrò rischiare di nuovo di venire qui per incontrarti, allora lo farò.» probabilmente ad un certo punto Iden avrebbe provato ad ucciderlo: con quelle uscite notturne, in fondo, rischiava di far uscire allo scoperto anche lui, ma Charles avrebbe preso le sue precauzioni. «E se non potrai esserci o vorrai continuare ad evitarmi, troverò il modo di entrare in quella cazzo di scuola.» se avesse potuto l'avrebbe evitato come la peste, ma a mali estremi — «Insomma, non ti libererai facilmente di me se è quello che pensi.» si strinse nelle spalle, staccandosi poi dalla parete per potersi riavvicinare al minore. «E certo non ti abbandonerò in balia di quel prefetto senza prima essermi accertato che sia veramente affidabile. Te l'ho sempre detto: occhio ai Corvonero.» allungò un braccio con l'intento di avvolgerlo attorno alle spalle del Dallaire, ma si fermò prima di poterlo toccare davvero: scemo sì, ma ricordava d'avergli già fatto male una volta poco prima e non intendeva certo farlo ancora. «Oh, vorrei abbracciarti ma non so come riuscire a non romperti, quindi conta come se l'avessi fatto, mh?» l'essere estremamente delicato rientrava nelle sue qualità sin dall'infanzia, assolutamente.
    «E lo so che è — forse troppo da sopportare, e che non c'è niente che possa dirti per renderlo migliore. Ma almeno cerca di non respingere le persone che tengono a te, non è d'aiuto a nessuno.» s'addolcì un poco, trovandosi tuttavia piuttosto a disagio per quell'insolita premura «Anche perché mi fai solo incazzare. Non mi sono ancora sollevato dall'incarico di tuo guru e dunque non puoi proprio mandarmi del tutto a fanculo. Pardon, chérie.» aggiunse dunque, più soddisfatto.
    18 y.o. | ex-slytherin
    oh, this is suicide.
    And we'll just keep
    each other as safe
    as we can, until we
    reach the border.
    the risk i took was calculated, but man, i'm so bad at math.
     
    .
  7.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Viktor Asmodeus Dallaire
    Viktor Asmodeus Dallaire
    Coglione!?
    Gli aveva appena dato del coglione?
    Incredulo, rimane a fissarlo con le iridi ben spalancate e le labbra appena socchiuse. Come si permetteva? Quel vile, stupido, egoista ad offenderlo in quel modo? Era basito. Sul serio, non aveva nemmeno parole per esprimersi; non che ne servissero, arrivati a quel punto. Il Dumont credeva che le sue parole fossero dettate dalla voglia di fargli una sceneggiata, che fosse in grado di essere il solito drammatico incapace di non mettersi in mostra. Ciò che gli stava dicendo era di una serietà che non aveva mai avuto prima e sebbene le parole fossero dettate dalla preoccupazione di vederlo tra le mani dei Pavor, non poteva negare che vi fosse del risentimento e che vederlo, a conti fatti, non avrebbe cambiato né la sua condizione, né quella del cugino. Per certi versi, era meglio non vedersi mai più. Mai.

    «Vabbè. Se continuare a fare la drama queen ti aiuta a stare meglio, allora lungi da me provare a fermarti.»

    Aveva dovuto chiudere gli occhi e contare fino a dieci per non afferrare quell’unica asse di legno spezzata sul pavimento e picchiarlo a morte. Ora capiva il perché Iden avesse provato a farlo prima di lui, perché Charles aveva la capacità innata di dire le parole sbagliate nei momenti peggiori. Se prima avrebbe sorriso, rispondendo probabilmente con un “mi hai beccato, mon chér!”, adesso il suo tremolio tradiva la rabbia.

    Quando riapre le palpebre lo fissa con sguardo scuro, con le sopracciglia aggrottate e le labbra stirate in una linea dritta. Piantato al centro della stanza come un idiota a fissarlo avanzare verso la finestra, piuttosto che cogliere il suggerimento e andare via senza voltarsi indietro. Era ironico che Charles fosse sempre il Bastian contrario della situazione; per tutta la vita se n’era fottuto, delle sue preoccupazioni, del suo dolore, dandolo per scontato. Ora che stava provando a cacciarlo, invece, si ostinava a restare. Testardo, insensibile e faccia di merda, avrebbe detto, se solo non avesse avuto paura delle proprie reazioni. Perché non sapeva cosa avrebbe potuto dire o fare all’ennesima provocazione. Perché arrivati a quel punto non era più gioviale, né gli interessava esserlo. Non aveva più sorrisi comprensivi da dispensare al Dumont, perché era stanco delle sue stronzate e voleva che se ne assumesse la responsabilità. Perché fuggire aveva peggiorato la situazione e non solo per lui, per tutti; Charles, nonostante quell’inghippo, era riuscito ad averla vinta ancora una volta, prendendosi l’oggetto desiderato e tornando solo dopo, per compassione, per pentimento. A lui, invece, cosa restava? Anche a voler dire, ammettere, di provare amore per Hunter, come esprimerlo? Rotto com’era, cosa poteva offrire al Corvonero? Il niente. Un corpo, forse, se ne valeva la pena. Un pezzo di quel cuore che gli era rimasto, disgraziatamente, ancora nel petto e che doveva giostrare bene, decidendo a chi affidarlo. E non se la sentiva più di buttarlo tra le zanne del Serpente, ormai deciso a scegliere sé stesso, per la prima volta, piuttosto che l’altro. Probabilmente era una decisione debole, perché suo malgrado avrebbe sempre fatto ogni cosa in suo potere per salvare il culo a quello stupido davanti a sé, così pieno di boria da non distinguere un’espressione seria da una festante. Cosa aveva suggerito al Dumont che stesse prendendo la cosa con serenità? Che quelle parole non gli pesassero come macigni?
    Charles, e di questo ne era assolutamente certo, si sarebbe posto davanti a Iden pur di difenderlo, perché poteva darla a bere a chiunque, ma l’amore era lì, presente, impossibile da ignorare; e non avrebbe mai scelto lui, piuttosto che il Kaufman, perché a conti fatti quest’ultimo valeva di più.
    Doveva solo imparare ad agire di conseguenza.

    «E certo non ti abbandonerò in balia di quel prefetto senza prima essermi accertato che sia veramente affidabile» un sopracciglio si alza, quasi automaticamente «Credo che non devi accertarti di nulla. È più affidabile di te e te lo assicuro io» afferma, vedendolo avvicinarglisi, scostandosi immediatamente prima di qualsiasi contatto. Prima ancora che l’altro avesse l’opportunità di pensare di mettergli il braccio intorno al collo «levati» lo scaccia, incrociando le braccia al petto, scuotendo il capo.
    Lo sapeva che quello era il modo di Charles per uscire dalle conversazioni come un vincente, piuttosto che accettare il fatto che certe cose avessero bisogno di tempo; che le ferite non guarivano in un giorno e che le persone potevano, ad un certo punto, crollare.

    «Io ti faccio incazzare?» ignora tutto il resto, nuovamente sbigottito da tanta superficialità. Oh, che qualcuno lo trascinasse via da lì, immediatamente, o non avrebbe risposto delle proprie azioni. Prende un profondo respiro, l’ennesimo, stringendo i denti così forte da farsi male, pur di non farlo al cugino. Quell’incosciente, balordo, maledetto «Forse non sono stato chiaro» si schiarisce la voce, umettandosi le labbra e scacciando via i resti delle lacrime a solcargli le guance «e forse quello che dici ti serve per stare bene con te stesso, di questo me ne compiaccio» annuisce, sbattendo le ciglia con fare fintamente ammirato «hai sempre fatto a meno della mia esistenza e quando io ti chiedo di andartene, di sparire, di andare a fanculo per buona pace mia e, sicuramente, anche di Iden… ecco che arriva il tuo classico “gne gne gne, buuuh, adesso pianto i piedi gne gne gne» si stropiccia gli occhi, imitando un bambino. Perfetta imitazione di Charles, doveva dire «Tu non tieni a me, probabilmente terresti di più a quel topo morto per terra» indica l’animale accanto alla scrivania, incurante «Non posso mandarti a fanculo, Charles? Mon amour? Guardami mentre lo faccio» assottiglia le palpebre, accennando un sorriso beffardo, simile a quello di Mephistophele «Vai. A. Fare. In. Culo» scandisce, questa volta per bene «Se nel frattempo starai al sicuro, tanto meglio per te. Per me, con un pensiero in meno, ma soprattutto per te, chéri. Fai quello che vuoi, vieni qui ogni notte, vieni al castello, scrivi in cielo quello che preferisci. Io sono stanco» alza le mani in segno di resa, passandosi poi la mano tra i capelli spettinati «Stanco di essere accondiscendente alle tue cazzate, al tuo fottuto menefreghismo. Stanco di sentirmi dire “eh, dai Vik, tutto si sistemerà, non fare la drama queen”, perché è facile per te, per voi, non sapere nemmeno di cosa state parlando. Goditi il giocattolo finché te ne dà l’occasione o finché non ne troverai un altro che ti respingerà e allora diventerà più allettante.» velenoso, sbuffa dal naso, ritraendosi dalle premure dell’altro.

    Erano fratelli, in una famiglia potevano esserci dei litigi. Era abituato alle serpi, in fin dei conti.

    «Ah. Per favore, non ti immischiare nella mia vita sentimentale. Pensa alla tua, che fa già abbastanza schifo senza che te lo dica.» a quel punto schiocca la lingua sul palato, nervosamente.
    Charles aveva punzecchiato un cane affamato; un uomo ormai privo di qualsivoglia controllo. Era esausto e ferito e le parole del cugino non avevano fatto altro che aizzarlo ancora di più. Non che le pensasse davvero, la maggior parte delle cose dette, solo… solo—era stanco dell’atteggiamento del Dumont. Di non essere preso sul serio e delle fottutissime giustificazioni. Avrebbe preferito che se ne andasse o che, più semplicemente, lo abbracciasse senza aggiungere parole superflue capaci solo di farlo incazzare come una iena. Come non lo era mai stato e come non pensava sarebbe mai arrivato ad essere. Perché lui non alzava mai la voce, non rispondeva mai a tono e non si era mai azzardato a rispondere male a Charles. Nella sua vita aveva preferito la pace alla guerra, ed era la prima volta che lasciava libero ogni singolo rigurgito di veleno.

    S’era pentito delle parole dette non appena pronunciate, ma l’orgoglio… ah, quel maledetto orgoglio Grifondoro.

    «Se non vai tu, vado io. Stammi bene» si passa frettolosamente una mano sulla guancia, avviandosi così verso la porta.

    17 y.o. | Gryffindor
    Broken | Tortured
    I became insane,
    with long intervals
    of horrible sanity.
    I should never be left alone with my mind for too long.
     
    .
  8.     +2    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    i've got to run and get away from this.
    Charles Damned Dumont
    Charles aveva questa straordinaria parlantina in grado di tirarlo fuori anche dalle situazioni più impervie, ma quando si trattava di esprimere i propri sentimenti — puf, eccolo inciampare nelle sue stesse parole.
    Non era cattivo per natura il Dumont, né tanto squallido da aver sempre solo usato il cugino per i propri scopi. Semplicemente, aveva lasciato che la marea di delusioni da cui nel tempo era stato sommerso diventassero una giustificazione per il suo comportamento da vero stronzo. Non è che avesse scoperto all'improvviso di voler bene a Viktor, o di aver fatto numerose cazzate, o di essere stato un egoista per gran parte del tempo: prima aveva rinchiuso tutte quelle cose in una scatola senza aperture, lì dove nessuno avrebbe potuto trovarle, egli stesso in primis. Era più semplice dover convivere solo con sé stesso, senza doversi preoccupare di nessun altro e senza correre il rischio di venire tradito o abbandonato com'era successo con suo padre, o con Louis, o con Aidan. Se non aveva niente, allora non poteva perdere niente. O almeno così aveva creduto, prima di rendersi conto che, per quanto si ostinasse ad affermare il contrario, lui qualcosa ce l'aveva: una famiglia che si rifiutava di trattare come tale, un paio d'amici che significavano più di una boccata di fumo tra una lezione e l'altra, qualcuno a cui pensare la notte prima di andare a dormire. E avrebbe preferito non accorgersene mai, restare nell'illusione di essere tanto insensibile da riuscire a infischiarsi di tutte quelle cose, ma ormai era tardi. Anzi, era tardi da un pezzo, perché quella consapevolezza si era insinuata in lui già da tempo, serpeggiando silenziosa tra testa e cuore e costringendolo ad una lotta contro sé stesso che non avrebbe mai potuto vincere.
    Era iniziata con Iden Kaufman, perché con lui si era riscoperto fragile, vulnerabile, capace di anteporre la vita di qualcun altro alla propria. Poi c'era stata Heather, che l'aveva seguito nonostante tutto, e Viktor, che pur tradito, torturato, lasciato in disparte per l'ennesima volta, persino quella notte era stato disposto a rischiare pur di incontrarlo. Ed infine tutto il resto: la propria libertà gettata via come carta straccia; i propri sogni ridotti in fumo da una sola scelta sbagliata; quella convivenza forzata con il Corvonero che presto o tardi l'avrebbe fatto uscire di senno. E le ferite di Viktor, la volontà di far male nelle sue parole, il modo in cui se ne stava lì a guardarlo come se non riuscisse più a vederlo davvero. Che cosa era stato? Che cosa era diventato? Non avrebbe saputo dirlo.
    Eppure ancora aveva difficoltà a capire, perché nei suoi modi forse bruschi e poco delicati non c'era stata altro che l'intenzione di farsi perdonare, di mettersi a completa disposizione del Dallaire, e non sopportava come questi sembrasse incapace di comprenderlo. Se aveva piantato i piedi, se aeva provato a scuoterlo, se l'aveva chiamato coglione persino, l'aveva fatto solo nel disperato tentativo di scuoterlo e riportare a quel mondo il Viktor che conosceva, quello a cui aveva sempre voluto bene ed a cui, da quel momento in poi, aveva intenzione di dimostrarlo. Non certo per sottovalutare la sua sofferenza, o per insultarlo, o per averla vinta ancora una volta.
    «Tu non tieni a me, probabilmente terresti di più a quel topo morto per terra»
    «Ma che cazzo dici?» mormorò, passandosi una mano sulla fronte con una certa frustrazione, pur incapace di fermare lo sfogo del francese.
    «Io sono stanco di essere accondiscendente alle tue cazzate, al tuo fottuto menefreghismo. Stanco di sentirmi dire “eh, dai Vik, tutto si sistemerà, non fare la drama queen”, perché è facile per te, per voi, non sapere nemmeno di cosa state parlando.» e forse fino a lì avrebbe potuto accettarlo, assumersi le proprie colpe e continuare a chiedere scusa nella speranza che il Dallaire sarebbe stato prima o poi disposto a perdonarlo. «Goditi il giocattolo finché te ne dà l’occasione o finché non ne troverai un altro che ti respingerà e allora diventerà più allettante.» ma non quello. Non quello, perché sarebbe stato estremamente meno complicato se Viktor avesse avuto ragione, se il suo attaccamento al Kaufman fosse stato solo il capriccio di un ragazzino viziato abituato ad aver tutto, ma non era così. Suo malgrado, sapeva che quel desiderio non aveva niente a che fare col gusto del proibito, perché per quello non si sarebbe mai lasciato picchiare passivamente nel bel mezzo di una festa, non avrebbe mandato a fanculo tutti i suoi discorsi da rivoluzionario per preferire una fuga, non avrebbe abbandonato tutte le sue ambizioni in favore di una vita da latitante.
    Comprendeva la rabbia, l'amarezza, persino il disgusto di Viktor, ma un'insinuazione del genere non poteva accettarla.
    «Lo sai benissimo che non è così.» certo che lo sapeva, doveva averlo sentito parlare di Iden centinaia di volte in quei mesi. «E se hai intenzione di odiarmi, se vuoi scaricarmi addosso tutto il tuo disprezzo, sei libero di farlo.» lo seguì in gran fretta, superandolo per poggiare una mano sulla porta per impedirgli di andar via. «Ma non ti permetto di considerarmi tanto stupido da aver deciso di buttar via la mia vita solo per un capriccio, né tanto meschino da credere che m'importi ricevere il tuo perdono solo per poter dormire sonni tranquilli.» poggiò la schiena sulle assi di legno cigolanti, incrociando le braccia al petto e posando lo sguardo su quello dell'altro. «M'importa di Iden, e m'importa di te. Forse non me ne sono accorto in tempo o non l'ho dimostrato nel modo giusto, ma è sempre stato così. E se mi preoccupo per te è perché sei tu, non per "sanare il mio ego ferito". Ora, se vuoi andare» si spostò dalla porta per lasciargli libero il passaggio, chiedendosi se per una volta fosse riuscito a non lasciarsi fraintendere ancora. «in ogni caso, sai dove trovarmi. Sempre.»
    18 y.o. | ex-slytherin
    oh, this is suicide.
    And we'll just keep
    each other as safe
    as we can, until we
    reach the border.
    the risk i took was calculated, but man, i'm so bad at math.
     
    .
  9.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Viktor Asmodeus Dallaire
    Viktor Asmodeus Dallaire
    La verità?
    Sarebbe stato tutto più semplice se avesse odiato Charles. Si sarebbe tolto un peso, avrebbe strepitato quanto quel suo atteggiamento del cazzo fosse fuori luogo e se ne sarebbe andato se non soddisfatto, almeno in pace con sé stesso. Ma così non era e se doveva dirla tutta, alla fine, le parole che gli erano rotolate via dalla lingua con una cattiveria tale da far dubitare che si trattasse ancora del “caro vecchio Viktor” avevano suscitato in lui una sorta di senso di colpa; che era assurdo, a pensarci bene. Non era di certo quello da condannare per simili sentimenti, sfociati al culmine con un bel vaffanculo. Eppure, come l’idiota che evidentemente era, così stupido da non imparare dai propri errori, nemmeno se questi comportavano l’essere ustionati a morte e avere un crollo nervoso tra 3, 2, 1… erano riusciti a farlo desistere dal fermarsi (senza prendere a pugni il Dumont fermo davanti alla porta) e ascoltare quanto l’altro avesse da dire.

    E si era bloccato solo perché sapeva quanto avesse alzato il tono, così abituato ad essere inesistente che quasi si era stupito di quanto ardore avesse messo nell’inveire contro Charles, come se tutti i suoi problemi dipendessero da quel rapporto. Alla fine, lo sapeva bene, non era così. Forse voleva la sua approvazione o magari una spalla su cui poter vomitare tutto il disgusto che provava per il genere umano, ma la morale della favola era una, ed una soltanto: suo cugino non aveva colpe della sua vita di merda. In un senso molto, molto lato, gliela aveva anche migliorata. Non tanto, non ai livelli di prendergli le mani e mettersi in ginocchio ringraziandolo dell’operato svolto, ma comunque qualcosa. Che era sempre di più di quello che i Dallaire gli avevano dato. Che Charles fosse stronzo e menefreghista era un dato di fatto, sebbene sembrasse seriamente pentito delle pessime scelte prese in tanti frangenti, ma era sempre la sua famiglia. Era forse l’unica persona che seppure l’aveva degnato a malapena di uno sguardo, scaricandogli addosso tutta la zavorra di cui non voleva curarsi (Amélie compresa), si era degnato di tornare.
    Chissà cos’era cambiato nella mente del francese per portarlo alla brillante deduzione di aver lasciato indietro delle vite. Chissà cosa aveva pensato quando aveva visto le loro facce su quel giornale di merda, tumefatti ed esausti per… nulla? Per niente di più che un misero articolo sulla prima pagina, per poi essere dimenticati e puniti ancora più duramente.
    Le bruciature stavano guarendo ed i lividi, ormai sbiaditi, sembravano solo un ricordo delle percosse ricevute. Ma come aveva detto a Charles… era l’umiliazione a pungere come mille aghi nell’orgoglio, forse più della consapevolezza di essere incapace di dispiacersi per quello a cui aveva dovuto assistere al Ministero. E non sapeva se quella sua totale mancanza di empatia fosse dovuta a qualcosa di precedente, ad un vuoto incolmabile che partiva dal cuore e arrivava al cervello o se fosse frutto degli avvenimenti recenti. In fondo, non si era mai trovato nella posizione di dover torturare, ma aveva assistito alla morte di suo padre, degli ospiti e persino al proprio omicidio, come uno spettatore totalmente rapito dagli eventi. Aveva il sentore che anche prima di quella vicenda in Sala Torture avrebbe mostrato lo stesso freddo distacco di chi ormai è oltre il comune concetto di sopportazione. Piuttosto che gridare e sbraitare avrebbe, in realtà, dovuto applaudire al magnifico lavoro di Charles. Gli aveva fatto scoprire lati di sé nuovi. Utili, avrebbe aggiunto con una punta di sarcasmo.

    «M’importa di Iden, e m’importa di te. Forse non me ne sono accorto in tempo o non l’ho dimostrato nel modo giusto, ma è sempre stato così. E se mi preoccupo per te é perché sei tu, non per “sanare il mio ego ferito”.»

    Che al cugino importasse di Iden era abbastanza ovvio (di lui non tanto, ma voleva dargliela buona visto l’ardore delle parole), persino per uno come lui, incapace di vedere qualcosa di lontanamente romantico. Dormire con Hunter era stato, in effetti, l’unica cosa che avrebbe classificato come più simile al concetto di innamoramento. Charles gli era sempre sembrato preso dal Kaufman, persino a costo di essere trattato al pari di uno stupido, ma era da biasimare? No, in realtà trovava la cosa abbastanza comune, se non addirittura caratteristica del loro rapporto. Non sapeva i dettagli, non pensava nemmeno che l’altro gliel’avrebbe mai detti e, arrivati a quel punto, dubitava persino di potersi azzardare a chiedere.
    Come si fa?” avrebbe chiesto stupidamente o “Come sai che non manderai tutto a puttane?” perché, andiamo… non erano persone facili e mai lo sarebbero stati.

    «No, non lo hai dimostrato» conferma, sospirando dal naso, per un attimo ammorbidendo quei lineamenti che si erano fatti duri, corrucciati «e non devo essere io a perdonarti» fa spallucce, sventolando la mano in aria «di cosa, poi? Hai fatto quello che ritenevi migliore per te» e non poteva dire che non avrebbe fatto lo stesso, a ruoli invertiti. Anzi, probabilmente, non avrebbe nemmeno iniziato una rivolta «non ti chiederò aiuto perché ormai non c’è niente che tu possa fare per aiutarmi e sarebbe un azzardo ripetere questi incontri» si schiarisce la gola, scuotendo il capo, ma avvicinandosi al cugino, questa volta senza l’intenzione di mettergli le mani addosso «Se hai davvero intenzione di fare la cosa giusta pensa a chi hai accanto. Se dici di tenerci così tanto, se non è solo un passatempo, non tornare» alza lo sguardo a fissarlo negli occhi «perché hai una vita sulle spalle, adesso. Non la tua, quella di Iden e se non saprai tenerla stretta… te ne pentirai, come tutto il resto» erano finiti i tempi dei giochi, delle fughe, dei nascondigli provvisori di Mortimer «Cercami solo se è davvero importante. Se ne va della vita o della morte, io farò lo stesso» gli poggia esitante una mano sulla spalla, quasi che ancora non fosse pronto per una simile confidenza, ma sapeva che fosse l’unico modo per fare intendere all’altro che la bufera, seppure in minima parte, fosse passata «Sono stato cattivo, so quanto tieni ad Iden» annuisce, per la prima volta provando un profondo disagio «spero… di non vederti più» il che significava, più semplicemente, “non lasciarti catturare”.

    Gli rivolge un sorriso stentato, quasi sforzandosi di imitarne uno, prima di superarlo ed uscire da quella catapecchia, metafora perfettamente calzante delle loro vite.

    17 y.o. | Gryffindor
    Broken | Tortured
    I became insane,
    with long intervals
    of horrible sanity.
    I should never be left alone with my mind for too long.
     
    .
8 replies since 3/1/2019, 03:10   433 views
  Share  
.
Top