you the main attraction, lights, camera, action

fray + svetlana

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    Aveva aspettato diversi mesi dall’ufficiale nuova apertura del Lilum, prima di bussare – letteralmente – alla porta di Svetlana. Friday De Thirteenth aveva atteso che l’entusiasmo scemasse, così da non rendere il proprio articolo solamente una meteora, ma non aveva aspettato di perdere la cruda curiosità che ancora agitava gli animi dei maghi e le streghe di Londra e dintorni: più il tempo passava, meno ciascuno di loro sapeva della donna, e più le voci sul suo (presunto) passato si diffondevano come herpes vaginale al Coachella.
    Il sogno di qualunque giornalista - perfino suo malgrado quel genere di storia, normalmente, non appartenesse alle sue corde: erano pochi, pochissimi gli articoli firmati dalla penna della De Thirteenth che parlassero di locali alla moda o gossip. Le sue specialità erano gli studi sociali, le persone, le guide leggere che ad una prima lettura facevano sorridere ma i cui insegnamenti rimanevano impressi nella mente – voglio sfidare chi, dopo aver letto il suo articolo sui milkshake, non ci avesse pensato almeno una volta stringendone uno fra le mani. Friday preferiva occuparsi di cause, di mondi che passavano perlopiù inosservati, di realtà di cui nessuno era a conoscenza. Quell’ultimo punto aveva reso il periodo da luglio a dicembre uno dei più frustranti della sua vita: non poter parlare in pubblico dell’au che aveva scosso le loro strade, le loro vite in quelle settimane, aveva peggiorato – se possibile – maggiormente l’umore altalenante dell’americana, la quale era giunta addirittura (…addirittura!) a rimpiangere Fred. Razionalmente sapeva che il suo periodo-pene e la sparizione di suo fratello non fossero eventi collegati, così come non aveva nulla a che fare con l’improvvisa frattura della realtà, ma la ragione c’entrava sempre poco con la drammatica, scaramantica, Friday De Thirteenth. Inspirò dalle narici e drizzò la schiena, lisciando le (inesistenti) pieghe della giacca grigia indossata per l’occasione – con tanto di cappello abbinato #ma quanto cazzo sono british – prima di mettere effettivamente piede all’interno del Lilum. Era la prima volta che Friday entrava nel famoso, discusso ed elegante locale di Diagon Alley; senza la notte ad addensare l’atmosfera di cose non dette e profumo di proibito, era…decisamente normale; se non fosse stato per l’insegna, e per i pochi camerieri che giravano fra i tavoli preparando il Lilum alla serata, avrebbe tranquillamente potuto credere di essere in un ristorante fancy anziché nella più discussa attività della Londra Magica. Sorrise al nulla, chiudendo le palpebre per immaginare come potesse essere il Lilum alla sua apertura; annotò mentalmente di passare ad una delle famose serate del locale. Magari avrebbe proposto di svolgere lì l’annuale Serata dei Docenti di Hogwarts, dopo una rapida cena di classe al Burger King – l’unica che avrebbe potuto mostrare ritrosie sarebbe stata Anjelika Queen, ma sti cazzi, piuttosto non sarebbe venuta. La collega la terrorizzava, ma non esisteva ancora persona al mondo in grado di spaventare abbastanza Friday De Thirteenth da impedirle di aprire bocca su qualcosa.
    Una condanna.
    Quando un giovane dalla pelle alabastro le si avvicinò, l’ex Grifondoro mostrò taccuino e penna – dall’occhiata del giovane, si rese conto che probabilmente non bastava. «sono Friday de thirteenth, la giornalista. Ho appuntamento con la proprietaria?» tentò, arcuando un sopracciglio ramato. No? Non funzionava? Beh, teoricamente non aveva un concreto appuntamento con la donna – le pareva troppo forzato, sapete; amava l’improvvisazione! – ma «mi conosce» più o meno. Si erano incrociate alla reunion di Shiloh riguardo la sua fanfiction, e Fray aveva buttato lì, con immensa non curanza, il desiderio di intervistarla: era tutta pubblicità per lei d’altronde, no? I locali avevano sempre bisogno di buoni spammer, e la De Thirteenth era una piuma fidata all’interno del crudele, meschino mondo delle testate giornalistiche. Il ragazzo non parve affatto impressionato.
    In primo luogo, rude. In secondo: «puoi almeno dirle che sono qua?» accennò un adorabile sorriso portando supplichevole le mani al petto. Quando l’altro sospirò sconfitto, Fray gli urlò dietro: «E DILLE CHE NON HO FRETTA!!&&» Davvero, non aveva nulla da fare per l’intero pomeriggio; se Svetlana avesse deciso di presentarsi da lì ad un’ora, o due, l’avrebbe comunque trovata lì in attesa della sua intervista.
    Magari, se fosse riuscita ad avvicinarsi al bancone ed a corrompere qualche fanciullo incaricato di sistemare le bevande per la serata, un po’ ubriaca, ma ancora funzionale.
    Forse.
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    journalist | 26 y.o. | 15.12.18
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    Era appesa a testa in giù, il morbido tessuto le fasciava delicatamente le gambe in una trama intricata. Era sospesa in aria, i muscoli tesi, la schiena arcuata e le braccia che si stendevano fino a quasi toccare terra. Fino a quando non era pienamente sicura delle potenzialità dei nuovi teli che stava facendo produrre a Zac per le esibizioni di danza aerea, li avrebbe testati personalmente, a una distanza ridotta dal pavimento, cercando di evitare possibili incidenti a qualcuno dei suoi dipendenti. Si fidava dell’inventore da provare il frutto delle loro idee in prima persona, ma non al punto da farci uno spettacolo senza essere sicura che sarebbe tutto filato liscio. Era da un po’ di tempo che lavoravano a un nuovo prototipo di teli per alcuni show del locale, dovevano sostituire quelli normali ed essere potenziati da incantesimi che avrebbero evitato di lasciare i segni sulla pelle delle ballerine e in grado di impedirne la caduta qualora un movimento sbagliato ne avrebbe compromesso lo spettacolo.
    Mosse la gamba destra, portandola quasi all’altezza del petto, aumentando con quel gesto l’estensione del suo corpo. Afferrò con le dita della mano entrambi i lembi del tessuto che pendeva dal soffitto, le punte dei piedi che scorrevano fino a farlo tendere. Normalmente, in quella posizione, avrebbe sentito la stretta rafforzarsi sulle cosce per mantenerla sospesa in aria; quella volta, però, la stoffa scorreva delicatamente sul suo corpo, come una carezza. Si girò di scatto, con l’intento di liberarsi dalla presa, e, quando iniziò a credere di aver quasi raggiunto la perfezione di quell’invenzione, si sentì cadere. Se non fosse stato per l’incantesimo auto-frenante, sarebbe arrivata col volto sul pavimento della sala prove, tappezzato con un materassino. Si azionava ancora troppo, troppo tardi.
    No, ancora non erano riusciti a trovare una fattura che si attivasse in modo repentino, probabilmente lo avrebbe fatto se la distanza da terra fosse stata maggiore ma, per quella prova, avrebbe decisamente chiesto al Milkobitch di prendere il suo posto. Se si fosse schiantato al suolo, insozzando il suo prezioso parquet con fluidi corporei, oltre a non ricevere alcun pagamento , lo avrebbe anche costretto a ripulire il tutto. Avrebbero dovuto aggiungere una safeword che avrebbe attivato il meccanismo anti-caduta, ma dubitava che si avesse il tempo materiale per poterla pronunciare senza che il pubblico se ne accorgesse. Dovevano pur sempre mantenere alto un certo standard di professionalità. Gli errori capitavano, certo, ma non nel suo locale.
    Era ancora sospesa a qualche centimetro da terra quando William entrò nella stanza, annunciandole un ospite inaspettato. Lo guardò dal basso verso l’alto, per ovvi motivi, l’espressione piacevolmente sorpresa. Ricordava la chioma rossa della De Thirteenth, il suo umorismo sottile e la vivacità travolgente. L’aveva conosciuta qualche mese prima, durante un evento culturale in cui si era imbattuta quasi per sbaglio. Le aveva manifestato l’intento di scrivere su di lei e sul locale e, in un certo senso, sperava se ne dimenticasse. Non perché non apprezzasse l’operato della donna, tutt’altro. Per quanto potesse essere un’opportunità non indifferente di far conoscere ancora di più il locale, non poteva certo negare che le parole potevano essere facilmente fraintendibili, distorte, manipolate a proprio piacimento. Avrebbe voluto prepararsi meglio a un incontro con la giornalista e non presentarsi con le vesti che di solito indossava durante le prove e gli allenamenti, i capelli raccolti in uno chignon morbido e il viso quasi completamente privo di trucco. Tuttavia, far aspettare gli ospiti più dello stretto necessario non era nella sua natura. Si districò dai due teli, tornando finalmente con i piedi per terra. Passò un asciugamano attorno al collo e si diresse verso la sala principale, incuriosita dalla donna e dalle sue possibili domande.
    Non era spaventata o intimorita, neanche sospettosa. Non riusciva a decifrare bene quel senso di impazienza, positiva, che provava nell’incontrare la De Thirteenth.
    “Che piacevole sorpresa.” La accolse con un sorriso, tendendo la mano verso la rossa. “Spero l’attesa non sia stata eccessiva.” Continuò facendole strada verso la scalinata che portava al piano superiore, dove si trovava il suo ufficio. Era un’ampia stanza luminosa, la più luminosa del locale, con delle vetrate che si affacciavano su uno dei più trafficati incroci di Diagon Alley. C’era un divano ad angolo sulla sinistra, con la parete ricoperta di istantanee sottratte al tempo, al centro la sua scrivania e sulla destra una parete attrezzata. Il tutto era in stile moderno, i toni del bianco a fare da padroni indiscussi di quell’ambiente.
    Sul tavolino incantato era stato già predisposto uno dei drink preferiti della giornalista, i vantaggi di avere un legilimante come barman, e, a fare gli onori di casa quel giorno c’erano due ospiti d’eccezione, che corsero allegramente verso Svetlana, passando tra le sue caviglie in cerca d’attenzione. Erano due cuccioli di tigre siberiana, adottati da poco dalla bionda come animali da compagnia. Normalmente li lasciava a casa, ma quel giorno non avrebbe avuto tempo per accudirli se non nelle pause all’interno del locale. Avevano ancora pochi mesi ed erano di una tenerezza quasi in grado di scioglierla. Li prese in braccio giusto in tempo, un attimo prima che si lanciassero sui piedi di Friday per giocare con le sue scarpe colorate o sbranarle le caviglie. Andavano a sentimento, ecco.
    “Non li trovi adorabili?” Domandò alla giornalista, avvicinando i due cuccioli al viso e imitando i loro occhioni dolci. “Sono i nuovi arrivati di casa e non hanno ancora un nome. Pensavo a Pepper e Mint, Blow e Pops oppure Sugar e Daddy, come le caramelle! Tu cosa ne pensi? Puoi accarezzarli se vuoi.”
    Le avvicinò il tigrotto più tranquillo e con l’espressione leggermente assonnata, lo sguardo fiero di una madre che parlava del proprio figlio a chiunque avesse orecchie per ascoltarla. L’idea iniziale era quella di adottare un solo animale da compagnia, ma loro due erano così carini insieme e inseparabili che non aveva potuto dividerli.
    “Li sto addestrando ad attaccare i nemici o chiunque metta in pericolo, in qualsiasi modo, la mia persona e la mia reputazione. Ma tu sei nostra amica e non hai niente da temere, vero?”
    Margaret "Maggie" Piper | Svetlana
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    14.02.96 | 22 Y.O.
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    Tamburellò con le dita sul tavolo, lo sguardo a posarsi famelico su ogni dettaglio del locale. Non sapeva se stesse cercando possibili difetti da poter citare nell’articolo, o se semplicemente fosse curiosa riguardo al Lilu- ah, ma chi vogliamo prendere in giro? Friday cercava la verità fra le mattonelle del posto, quasi potessero nascondere i segreti dell’universo. Era sempre stata un’attenta osservatrice, ed era davvero convinta di poter scoprire qualcosa di più su quell’antro proibito semplicemente guardandolo esistere: d’altronde tutto aveva una posizione ben specifica e determinata, il che implicava una strategia di base che la De Thirteenth era intenzionata a srotolare come carta da una caramella. Voleva la verità dietro l’illusione; era quel genere di giornalista che andava a molestare chiunque praticasse trucchi di magia per scoprire l’inganno, così da spiegarlo a chi, biondo come sua sorella lei, era curioso di comprenderne il funzionamento. Rovinava la poesia, certo, infatti inseriva a lettere cubitali SPOILER ALERT, ma insomma: la gente googlava le cose più assurde perché voleva risposte, ed il compito di Fray – dal giornalismo alla CIA – era fornirle. Si era distratta ad osservare il lampadario (molto professionale, Friday……molto professionale.) e quasi sobbalzò nell’udire il saluto cordiale della proprietaria di casa. Scattò sull’attenti, rapida ad alzarsi in piedi e volgere un entusiasta sorriso alla donna. Prese consapevolezza dell’aspetto non impeccabile di Svetlana con una rapida occhiata dal basso verso l’alto, quasi - quasi: era pur sempre una Friday – sentendosi in colpa per essere piombata lì all’improvviso, interrompendo qualunque cosa ella stesse facendo. D’altro canto, non poteva che sentirsi lusingata da poterla ricevere in quelle, peculiari, condizioni, e non potè che ammirare (beh? ce li aveva anche lei gli occhi) quanto, anche lievemente spettinata e con la fronte sudata, fosse di una bellezza mozzafiato. Prese mentalmente nota di domandarle quale fosse la sua personale magia, il suo segreto di bellezza: la solidarietà femminile imponeva di condividerlo al mondo, andiamo! Quando Friday muoveva (mai.) un muscolo più dell’ordinario, si ritrovava con la faccia rossa quanto i capelli, ed una pelle tendente al malaticcio nel resto del colpo – com’era possibile che la bionda, invece, ostentasse una tale brillantezza? Più magica di un incantesimo.
    O forse era un incantesimo? Che avesse sangue Veela? Entro fine giornata, l’avrebbe scoperto. «figurati, il tempo non esiste» liquidò la faccenda con una mano socchiudendo le palpebre, una smorfia divertita ad arricciare il naso. «grazie per aver accettato di vedermi, tra l’altro – eri impegnata?» Non le domandò se avesse disturbato, abbastanza certa di averlo fatto, ma innocentemente buttò lì il primo quesito per l’intervista. La seguì verso il piano superiore, approfittando del fatto che la Piper le stesse dando le spalle per sospirare fra i denti: scale, ugh. Ultimamente erano davvero il suo incubo. Quale essere umano poteva inventare qualcosa di così crudele come strade che per essere attraversate implicavano alzare le ginocchia opponendosi alla forza di gravità? Inaccettabile. Decidendo di non aver bisogno di mostrarsi impassibile, non trattenne il sussurro ammirato, sbucando nell’ufficio di Svetlana: un ambiente pulito e luminoso, moderno e altisonante; non potè fare a meno di notare l’ironia con il locale sottostante, cupo e tenebroso, quasi l’ufficio stesso si ponesse a paradiso di quel dolce inferno. Furono due i dettagli ad attirare immediatamente l’attenzione di Friday – la quale si odiò per tali debolezze tipicamente umane che la distraevano dal suo compito – e non furono, come avrebbero dovuto, le fotografie appese al muro del locale: margarita e cuccioli.
    Forse è davvero il paradiso.
    Osservò i piccoli tigrotti correre incontro a Svetlana, e dovette stringere le mani sul taccuino per impedirsi di fiondarsi verso i due mini mangia polpette per un caldo abbraccio di gruppo. Cosa NON ERANO? Wendy li avrebbe amati. «non li trovi adorabili?» Annuì, non trovando affatto strana la particolare scelta di animali da compagnia di Margaret: dannazione, era cresciuta con un Alpaca a farle da balia, ci voleva di più per stupirla. «Sono i nuovi arrivati di casa e non hanno ancora un nome. Pensavo a Pepper e Mint, Blow e Pops oppure Sugar e Daddy, come le caramelle! Tu cosa ne pensi? Puoi accarezzarli se vuoi.» Friday, nO «sugar e daddy» rispose, senza un attimo di esitazione, trovandosi – per motivi che sfuggivano ad ogni logica – a pensare a Sandy: era certa che il fratello avrebbe apprezzato quella scelta, anche se non propriamente «per le caramelle, sicuro.» sorrise alla bionda, allungando il palmo verso il tigrotto bianco per sfiorargli piano il nasino.
    Se avesse deciso di mangiarla, se ne sarebbe andata all’aldilà felice. C’erano morti peggiori.
    ERA MORBIDO COME SEMBRAVA! La De Thirteenth tronò ad avere tre anni ed un amore spassionato per le giraffe ed i coccodrilli, gli occhi lucidi ed un sorriso ebete sulle labbra. Ma poi, tornando agli affari, già riusciva a vedere la foto di copertina con Svetlana ed i due tigrotti al suo fianco, gli occhi azzurri verso l’obiettivo – e AH!, una fotografia del genere avrebbe anche permesso, l’anno dopo o più, una fantastica seconda foto con i due imponenti animali già adulti. Che meraviglia! AVEVA Già UNA DECINA DI IDEE, E NON VEDEVA L’ORA DI - «Li sto addestrando ad attaccare i nemici o chiunque metta in pericolo, in qualsiasi modo, la mia persona e la mia reputazione. Ma tu sei nostra amica e non hai niente da temere, vero?» come? Era…Era una velata minaccia? Corrugò offesa le sopracciglia ramate, ritraendo la mano per portarla al petto. Come osava farsi venire idee del genere? «ma certo che non ho nulla da temere» osservò impettita, battendo le ciglia sui (troppo grandi) occhi verdi. «e mi reputo sinceramente insultata dal fatto che tu possa aver pensato il contrario» precisò, perché le piaceva avere un rapporto trasparente: non era fatta per sottili illazioni e vita da corte, Friday era bazooka e cartelloni abbraccia alberi. «ma posso perdonarti, se quel margarita è per me» scosse la chioma e drizzò le spalle. Certo, quel cocktail poteva contenere qualunque genere di pozione – senza contare che, essendo /sul posto di lavoro/ non avrebbe dovuto bere affatto – ma …non le importava un fico secco. Al contrario del resto del genere umano, Friday non aveva nulla da nascondere, e nulla di cui aver timore. Merito di una vita fortunata, non suo. «comunque,» si schiarì la voce, e sventolò il taccuino di fronte a sé. «mi chiedevo se potessi rubarti un po’ di tempo per l’articolo di cui ti avevo parlato. plus lanciò un’altra amorevole occhiata ai due tigrotti, conquistata come Sara alla sua prima caffettiera della giornata. «hai mai pensato di fare un calendario?» si rese conto di come potesse suonare la proposta, quindi si affrettò a precisare: «non un calendario senza veli, ma insomma. Per ogni mese potresti mettere, se ovviamente sono d’accordo, foto dei tuoi dipendenti al lavoro, ed in copertina sono certa che te e sugar daddy fareste un figurone» prima che potesse interromperla, alzò un dito. «senza contare che si auto aggiornerebbe con gli eventi in programma nel locale, e potresti approfittarne per avere altri ricavi dagli sponsor. Tutto investimento. Conosco una fotografa molto brava – e bella, che non fa mai male» sorrise allegra arricciando il labbro superiore verso la donna.
    Wendy. Stava parlando della sua gemella, Wednesday. Ovviamente.
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    journalist | 26 y.o. | 15.12.18
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    Maggie, Svetlana, Margaret... difficile dire di chi appartenessero quelle iridi fiordaliso che si specchiavano in quelle carta da zucchero di Sugar. Pronunciò il nome più di una volta, assaporandone la dolcezza sulle proprie labbra, attribuendo un significato ancora più grande a quella scelta.
    Da quando aveva smesso di giocare con le bambole, da quando aveva perso l’innocenza e la purezza tipica dei bambini, non aveva più dato un nome a qualcosa, come se niente le fosse più appartenuto per davvero. Le era stato tutto imposto da qualcun altro. Anche per il Lilum, ad esempio, la scelta non era spettata a lei. Lo aveva rilevato, lo aveva reso a sua immagine e somiglianza, certo, ma non aveva impresso il suo marchio fino in fondo. Il locale lo si conosceva già, non era una sua invenzione, non le apparteneva sin dall’inizio, non lo aveva costruito da zero.
    Teneva il cucciolo sollevato davanti al viso, la zampetta del tigrotto che, divertito, le sfiorava la punta del naso. Era così strano per lei essere legata a qualcuno, provare qualcosa. In generale. Non si era mai concessa il lusso di legarsi veramente a qualcuno, guardando le relazioni altrui quasi con distacco, con ben celato disprezzo, ritenendole quasi una debolezza. Se facesse male? Non più; alla fine ci si abituava alla solitudine, a un appartamento vuoto, ad essere sempre circondati di gente e a fingere una vita piena, ricca, interessante.
    A ventidue anni, più che avere una vita davanti, le sembrava già di aver vissuto abbastanza, troppo dedita al lavoro, al suo locale, per poter veramente prendere in considerazione altri hobby o passioni che non avessero a che fare con quel settore nello specifico.
    Eppure quei due cuccioli, arrivati da pochissimo, l’avevano fatta sentire meno arida, come se potesse ancora in grado di provare delle emozioni, che ci potesse essere ancora qualcosa di vero nella sua vita.
    Osservò la reazione della rossa davanti ai due cuccioli e si sciolse in un largo sorriso nel vedere che anche lei li guardava con il suo stesso sguardo adorante. Forse, forse, potevano davvero andare d’accordo, senza maschere, senza facciata. L’amore spassionato per i due tigrotti stava diventando uno dei requisiti minimi per ottenere la sua simpatia e la De Thirteenth ne aveva da vendere.
    “Certo che è per te!” Cinguettò allegra, passando il cocktail alla giornalista. Non c’erano pozioni della verità o sieri all’interno, non aveva alcun motivo per giocare sporco, almeno per il momento. “Mi dispiace possa esserti offesa per quanto detto prima, ma è un piccolo accorgimento necessario. Non tutti vedono di buon occhio un’attività che presta servizio a Purosangue, Mezzosangue, Nati babbani e Special senza discriminazione alcuna, spero tu possa capire.”
    Soprattutto in quel periodo dove la morsa del Governo si stava facendo più stretta e i controlli dei Pavor stavano diventando sempre più frequenti a Diagon Alley, in attesa della prima disattenzione per metterle i bastoni tra le ruote. Se Friday non aveva nulla da temere, le avrebbe creduto.
    Si sedette sul divano, facendo cenno alla donna di prendere posto insieme a lei, Sugar, ancora sdentato, che le mordicchiava allegramente un dito.
    “Non preoccuparti, si tratta pur sempre di lavoro.”
    Spostò una ciocca di capelli dietro il viso, sistemandosi più comodamente sulla seduta. Doveva ammettere di essere leggermente sorpresa della presenza della donna nel suo locale, si aspettava quantomeno un avviso per poter organizzarsi meglio con i vari impegni della giornata, ma era rimasta colpita dai modi sinceri e diretti della giornalista. Era stata fortunata nel trovarla lì quel giorno, spesso capitava fosse fuori con i fornitori o per altre attività più o meno lecite, ma non vedeva quell’intervista come una perdita di tempo. Le dispiaceva solo non essersi fatta trovare al meglio. “Prima testavo dei nuovi materiali magici da utilizzare durante la danza aerea e, dato che l’inventore non è qui, dubito possano sentire la mia mancanza.”
    Levò un sopracciglio a quella domanda che l’aveva colta impreparata, spiazzandola. “Come, prego?” Domandò con un battito di ciglia, la mano ancora ferma sul pancino peloso di Sugar. Non era certa di aver capito bene, perché, di sentire, ci sentiva benissimo. La guardò perplessa, dandole modo di spiegare il senso di quella proposta.
    “Se io ti dessi la foto del tuo ballerino, o ballerina, preferito, lo sguardo lascivo e leggermente provocante, continueresti a venire a vedere i suoi spettacoli, o preferiresti restare a casa a masturbarti davanti la sua immagine?” Chiese allora, cercando di rispondere a quel quesito con un altro, esponendo il suo punto di vista. “Avresti il tuo oggetto dei desideri sempre a portata di mano e, se hai passato abbastanza serate nel locale, puoi addirittura riuscire a immaginare nitidamente le sue movenze e le sue espressioni. La tua stessa mente diventerebbe il luogo dove avviene la magia. I calendari venderebbero, ci sarebbe un guadagno nel breve periodo, ma è la pianificazione a lungo termine quella che a me interessa davvero.” Umettò le labbra, sperando di non aver offeso per la seconda volta, e nel giro di pochissimi minuti, la giornalista. C’erano clausole di riservatezza in ognuno dei contratti che erano stati firmati per fornire prestazioni lavorative all’interno del Lilum e non sarebbe certo stata lei a chiedere alla sua famiglia di fare un passo indietro su una questione tanto delicata come la loro privacy, in primis quella dei tirocinanti che ancora studiavano a Hogwarts.
    “Non è un’idea malvagia, sia ben chiaro, ma è il concetto attorno cui ruota l’intero locale a venir meno. Tuttavia, si potrebbe chiedere la disponibilità a degli ex dipendenti di prestare i loro corpi e, se lo desiderano, i loro volti. Non essendo più in attività, potrebbero contribuire un’ultima volta alla causa del locale. Non solo, si potrebbero anche personalizzare per i clienti premium e gli aggiornamenti potrebbero essere fatti in base alle proprie preferenze.”
    Una volta al mese, a rotazione, c’erano delle serate particolari che andavano a dare spazio a quei desideri spesso nascosti o più perversi e la funzione reminder del calendario avrebbe aiutato i clienti a non perdere gli eventi speciali che a loro interessavano di più.
    “Si potrebbero anche applicare degli incantesimi che rivelano solo ai possessori la vera natura del calendario, qualora ci fosse del disagio o imbarazzo nel far sapere che si frequentano dei night club.”
    Una forma mentis arretrata, certo, ma non si poteva negare che il sesso fosse ancora un tabù anche nel mondo magico e che certe propensioni e/o pulsioni non venivano viste di buon occhio.
    “Come hai detto che si chiama la fotografa?”
    Non lo aveva detto, ovviamente, ma Svetlana voleva sapere sempre con chi avrebbe potuto avere a che fare, soprattutto quando Narah non era nei paraggi.
    Questione di Intelligence.
    Margaret "Maggie" Piper | Svetlana
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    14.02.96 | 22 Y.O.
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    «Mi dispiace possa esserti offesa per quanto detto prima, ma è un piccolo accorgimento necessario. Non tutti vedono di buon occhio un’attività che presta servizio a Purosangue, Mezzosangue, Nati babbani e Special senza discriminazione alcuna, spero tu possa capire.» Sorseggiò il margarita arcuando entrambe le sopracciglia, senza nascondere il proprio scetticismo. A Friday De Thirteenth, ricca e Purosangue, veniva permesso un atteggiamento d’intolleranza che a molti altri suoi colleghi non era concesso, quindi non si preoccupò di mostrarsi l’ennesima burattina del sistema poco giudiziario – perché avrebbe dovuto? Era risaputo che avesse affiliazioni con il mondo babbano, e che trovasse la distinzione del sangue stupida e superflua. Tristemente, si rendeva anche conto che il suo stato di intoccabile era raro, e non tutti potevano sentirsi liberi quanto lei di esporre la propria, poco gettonata, opinione. Le Friday del mondo, per quanto diverse dagli schemi, servivano a tutti quei vecchi ancora incarogniti sulla purezza del lignaggio, dato ch’essi avevano un piede nella fossa ed esigevano che quella tradizione venisse mantenuta, il che lasciava un ampio margine di libertà alla giornalista. I suoi articoli ne sarebbero stati una prova, se solo avesse trovato qualche testata giornalistica disposta a rischiare. «io non sono tutti» commentò infine, poggiando il bicchiere sul tavolino, sollevando le iridi verdi verso quelle altrettanto chiare della donna. «ma, ahimè, capisco la preoccupazione» sospirò, allungando piano una mano per poter dare una pacca sul dorso di quella di lei, esitando ed attendendo un cenno affermativo per avere il permesso di poterlo effettivamente fare – beh, di cosa vi stupite? Era a conoscenza che nel mondo esistessero individui poco affini al contatto fisico, e considerando che aveva già imposto la propria presenza, preferiva non esagerare con la confidenza: Svetlana aveva due tigrotti da compagnia, dopotutto. Alla domanda su come stesse impiegando il suo tempo prima dell’arrivo della rossa, rispose dicendo di star testando del materiale per gli spettacoli. Friday corrugò lievemente le sopracciglia, annotando poche parole sul suo taccuino di fiducia. «li provi tu personalmente?» chiese, piacevolmente stupita, sollevando ancora il viso in direzione di Svetlana. Non era da tutti i proprietari dei locali testare sulla propria pelle un nuovo prodotto, anzi; il fatto che la bionda potesse invero seguire quella politica, le fece curvare le labbra nell’abbozzo di un sorriso orgoglioso. YOU GO GURL.
    La questione calendario, si fece più interessante quanto tricky. Sapeva che la domanda della ragazza fosse puramente fittizia e non diretta nello specifico a lei, ma quando fece notare che con una fotografia nessuno sarebbe più andato ad osservare gli spettacoli dal vivo, corrugò comunque le sopracciglia. «i clienti non vengono qui per avere materiale con cui masturbarsi – esiste pornhub per quello – ma per avere il…brivido dell’eccitazione di un locale come il Lilum» osservò, come la polemica di natura che non poteva impedirsi d’essere. «si tratta dello spettacolo, dell’ambiente, e nulla di tutto questo può essere riprodotto nelle mura di casa» Non sapeva neanche perché avesse tirato fuori l’argomento, considerando che non si era presentata alla sua porta per quello, eppure non poteva che trovarsi affascinata da un’idea simile – abbastanza da difenderla. Non avrebbe, ovviamente, insistito ad un No categorico, ma essendo stata lei ad averlo proposto, sarebbe parsa stupida e superficiale se non avesse motivato la sua scelta (…e Friday era un po’ stupida e superficiale, eh, ma in senso buono). «non solo, si potrebbero anche personalizzare per i clienti premium e gli aggiornamenti potrebbero essere fatti in base alle proprie preferenze.» Intrigante, così come l’idea di utilizzare lavoratori precedenti. Picchiettò pensosa il dito sul labbro inferiore, annuendo fra sé alle aggiunte della proprietaria. «e le fotografie potrebbero sbiadire se non si frequenta il locale per tot tempo – sono certa che esista pellicola del genere al mondo » Non specificò che pensasse anche che simile pellicola fotografica venisse usata per lo scambio illecito di nudes, volendo essere fini e non spingendo l’immaginazione negli angoli più bui della mente umana, perché immaginava che non sarebbe suonato bene quanto, in concreto, invece sarebbe stato utile. «Si potrebbero anche applicare degli incantesimi che rivelano solo ai possessori la vera natura del calendario, qualora ci fosse del disagio o imbarazzo nel far sapere che si frequentano dei night club» Le labbra di Fray si aprirono in un mezzo sorriso complice, le palpebre assottigliate. «agli occhi indiscreti, solo immagini di Gesù» commentò sovrappensiero, baciandosi un dito e puntandolo al cielo – beh, certo, per lei Gesù era un alieno, quindi ci credeva. Rendendosi conto che battute simili avrebbero potuto essere di poco gradimento, tornò seria e si schiarì la voce cercando di correggere il tiro. «gattini*, intendevo gattini.» Sicuro. Affogò l’imbarazzo in un altro sorso di margarita, posando lo sguardo ovunque eccetto che sula sua interlocutrice. Tornò ad occhieggiarla solamente quando le domandò il nome del fotografo, e non potè trattenere un sorriso orgoglioso. Avrebbe potuto giocarsi la carta anonimità, onde evitare di far apparire l’iniziativa come nepotismo, ma ehi, le fotografie di sua sorella erano pubbliche, ed il suo talento riconosciuto – era nepotismo meritato!!&& «wednesday» accennò, consapevole che il nome avrebbe già fatto suonare qualche campanello d’allarme (non erano in molti, ma più di quanti si potesse immaginare, a chiamare i propri figli come giorni della settimana). «wendy de thirteenth» BOOYAAH #wat. Prese poi nuovamente in mano il taccuino (ebbene? Era una donna multi tasking, poteva parlare di più argomenti contemporaneamente!) facendo scattare la penna sulla carta. «in base a cosa scegli i tuoi dipendenti? C’è un…provino, un colloquio…?» asking for a friend #cosa.
    You deserve more than a cameo How are you not in my video? Lets take it back to my studio And we can let it roll tonight -------------
    journalist | 26 y.o. | 15.12.18
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    Io non sono tutti.
    Quante volte Svetlana aveva sentito quella frase? Quante volte i suoi clienti, spasimanti, interlocutori avevano esordito così? Tante, troppe. Lei non li aveva mai presi sul serio, non aveva mai assecondato quella presunzione di essere migliore degli altri, di essere diversi. Già solo affermare una cosa simile equivaleva ad appiattirsi, a rientrare in una categoria ben precisa e definita, spesso fatta di sognatori, di paladini di una giustizia dai tratti meramente personali. Levò impercettibilmente un sopracciglio a quell’affermazione, le labbra che si stringevano leggermente in una micro espressione di disappunto. Credeva che la De Thirteen avesse qualcosa in più, che fosse sopra le righe, e invece… invece era caduta nella banalità. Perché, in fondo, non essere come tutti equivaleva a essere nessuno, ad annullarsi in quell’auto compiacimento che altro non è che un’illusione.
    Il Regime li aveva resi tutti uguali, succubi di un meccanismo volto ad eliminare chi la pensava diversamente. Una sorta di selezione intellettuale dove i più deboli e i più malleabili avevano vita facile. Tutti gli altri, tutti quelli che non si omologavano, dovevano essere furbi abbastanza per sopravvivere.
    Margaret si era sempre finta stupida. Lo aveva fatto per sopravvivere. Aveva finto al punto di creare quelle due personalità che alternava con naturalezza, quasi fossero la sua seconda pelle. Aveva finto al punto da non riuscire a distinguere più quella linea che separava la realtà e la finzione, creando nel Lilum quel mondo parallelo in cui si sentiva al sicuro.
    Era scettica sul credere che la donna davanti a lei fosse effettivamente cosciente della sua preoccupazione, di quel fragile equilibrio su cui si fondava la sua intera attività; ma aveva imparato a mentire quasi fosse la sua vera natura quella di far credere agli altri che avessero ragione, di compiacerli in tutto e per tutto, senza far trasparire ciò che pensava davvero. Quindi sorrise grata davanti alla comprensione dell’americana, annuendo appena con la testa, lasciando intravedere quanto quel discorso potesse turbarla, cercando così di mostrare una sorta di umanità che apparteneva solo a Maggie e che era lontana da Svetlana, lontana da tutto ciò che era. Per proteggere il Lilum, doveva proteggere gli affari e l’unico dio nel quale credeva era il Dio Denaro e lungi da lui provare pietà o compassione nel business, a maggior ragione nel suo mondo, fatto di favori e sotterfugi.
    Lasciò che le sfiorasse la mano, senza veramente dare peso a quel contatto; in fondo, il suo corpo aveva subito peggio, abusi che la De Thirteen non era in grado di immaginare e tutto, tutto, l’aveva portata in quel momento lì dove doveva essere, regina di quel castello fatto di piaceri e perversioni, di kink e pulsioni alle quali nessuno sarebbe potuto sfuggire.
    “Sì, mi fido abbastanza del nostro inventore da poterlo fare.” Portò una mano sulla testa di Sugar, iniziando ad accarezzarne il pelo lucido e morbido, apparentemente persa nei suoi pensieri. “Prima era tutto molto lasciato al caso e, specialmente durante le prove, correvamo il rischio di infortuni e, così, di saltare le esibizioni sul palco. Adesso è tutto più controllato, sia dal punto di vista infortunistico, che da quello contrattuale. Senza contare che, non so se ne è al corrente, con la carta riservata ai soci platinum le mie performance sono limitate a un determinato tipo di clienti e meno frequenti rispetto a quelle del resto dei ballerini. Se dovessi slogarmi una caviglia, avrei il tempo necessario per tornare a lavorare, non avendo spettacoli tutte le sere. Poi, è un modo per garantire la sicurezza dei materiali e delle impalcature sceniche ai dipendenti: se addirittura lo fa il proprietario, allora tutti possono farlo.”
    Apprezzava le parole della giornalista, soprattutto quelle relative alla differenza tra un sito porno e uno spettacolo dal vivo ma ciò che le sfuggiva era che non tutti i clienti erano abituali. Molti di loro erano di passaggio, andavano al Lilum per un’esperienza di passaggio, per togliersi lo sfizio di una notte passata ai limiti di ciò che potesse essere lecito e di ciò che non lo era. C’erano spetaccoli e spettacoli e non era il caso, in quel momento, di portare il discorso sulla perversione che, negli anni, aveva visto sfociare in qualcosa di estremamente osceno. Non a caso c’era la regola ferrea del non poter toccare nessuno degli artisti. Aveva visto di tutto in quegli anni e ripulire il nome del locale che l’aveva strappata dalle strade dell’Inferius non era stato - e non era - un percorso facile.
    “Ci sono connessioni umane su cui preferirei non interferire. Alcuni dei clienti richiedono spettacoli privati con un determinato artista, ci sono richieste specifiche e dinamiche che possono vivere esclusivamente qui dentro. Il cliente vive nell’attesa di un nuovo incontro, nell’attesa di quello che potrà succedere nella sessione privata successiva, fino a quasi vivere le proprie giornate con lo sguardo rivolto al prossimo appuntamento, perché quello è il momento in cui la fantasia può prendere forma. Un’immagine del soggetto dei suoi desideri a portata di mano potrebbe minare questo tipo di relazione, affievolendola.”
    Su quel punto sarebbe stata inamovibile. Nessun attuale dipendente del Lilum sarebbe stato presente in quel progetto che, eventualmente, stava prendendo forma. Tuttavia, l’idea delle foto a scadenza poteva essere un’ottima scelta di mercato, poteva attirare nel locale quella fetta di clientela più pigra e passeggera. “Non sarebbe male.” Annuì poggiando il mento sul palmo della mano, spostando le iridi chiare su quelle della donna e sorridendo all’idea che diversi santi potessero essere impalati in modi decisamente più creativi e piacevoli rispetto alle immagini convenzionali dei martìri.
    “Entrambi, in realtà. Sia provino, che colloquio. Preferisco parlare con gli aspiranti artisti o barman del locale, cercare di capire quale sono le motivazioni che li hanno spinti a presentare una candidatura per un lavoro che da molti potrebbe essere definito come inusuale. Mi piace ascoltare le loro storie, anche per conoscere la persona che ho davanti. Non basta essere bravi ballerini o avere una presenza scenica, bisogna saper comunicare con il proprio corpo, anche solo respirando. Non ci sono contatti con i clienti in questo locale e tutto lo scambio tra artista e spettatore avviene attraverso le movenze, la sensualità e la sessualità che traspare da ogni movimento. Ci sono diverse tipologie di ballerini sul palco, ognuno con le proprie caratteristiche, proprio per catalizzare l’attenzione di tutti gli spettatori, quasi che ognuno possa trovare ciò che gli piace sul palco, che possa affezionarsi a quell’uno, che possa trarre piacere fisico anche solo da uno sguardo. Questo lo si può verificare solo esclusivamente attraverso un provino e, nella migliore delle ipotesi, un periodo di prova. Per quanto mi riguarda, è fondamentale avere un clima sereno e complice dietro le quinte, perché solo così si può lavorare meglio, sebbene una volta indossata la maschera, il cliente è l’unica priorità per chi è sul palco o dietro al bancone. C’è altro che mi vuoi chiedere? Avrei anche io una domanda per te.” Disse controllando velocemente l’ora, calcolando quanto ancora avesse a disposizione prima di dover tornare ai suoi doveri. “Perché lo fai?” Domandò allora, incuriosita da quello slancio di propositività che, almeno in apparenza, non avrebbe portato alcun beneficio diretto alla De Thirteen.

    Margaret "Maggie" Piper | Svetlana
    Former Slytherin
    14.02.96 | 22 Y.O.
    L i l u m
     
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