Distaccarsi dalla realtà era qualcosa cui Mac era abituato - a cui l’avevano abituato - e che accoglieva con la calma di un martire al rogo. Tagliava ogni filo che lo intrecciava alla concretezza del mondo racchiudendosi in una bolla dove a malapena esisteva lui stesso, dove i respiri non avevano alcun peso e nessuno li contava. Era un mondo più vero rispetto a quello che lo circondava; non era un estraneo a se stesso, malgrado lo fosse agli occhi degli altri e di Dio: percepiva ogni bozzo del terreno a lasciare una morbida impronta sugli abiti e la schiena, l’odore di terra smossa e polvere a tappargli le narici, il pallido sole di dicembre a tentare di scaldare quel poco di pelle esposta alla luce; sentiva il peso del braccio poggiato sugli occhi, i peli a solleticargli le palpebre abbassate, i fiati lontani come quand’era sott’acqua, la bocca a pulsare di un dolore a cui aveva smesso d’essere avvezzo. Con lentezza fece scivolare la lingua sul labbro inferiore, cogliendo sulla punta gocce cremisi del suo stesso sangue – e con altrettanta lentezza lasciò che il mondo tornasse nella sua orbita, soffrendo come un cane ad ogni filo che lo ancorava a terra: le voci presero lucentezza, divenendo assordanti. Sentiva i passi concitati ed il tono alterato di Margareth. Qualcuno era accovacciato al suo fianco - gli stava parlando? - ma nessuno era stato così menefreghista, perché di quello si sarebbe trattato, da toccarlo e strapparlo a quello stato allucinato di quiete. O forse l’avevano fatto, ma l’Hale non aveva percepito alcuna mano su di sé. L’Hale. Se non fosse stato troppo impegnato a sforzarsi di respirare, avrebbe riso a quel pensiero – a quel nome che, malgrado tutto, continuava a riaffiorare in superficie. Era stato un Hale per sedici anni e mezzo, e non sapeva cosa - chi - essere, se non lo era. Ed il motivo per il quale testardo, infantile, Mac non tolse il braccio dalla sua visuale, era per non mostrare agli altri quel che sapeva i suoi occhi avrebbero espresso meglio di cento parole, perché se ne vergognava. Si sentiva sporco, colpevole di tutto quel che Daniel l’aveva accusato d’essere: un ingrato. Perché quel che provava, era sollievo. Perché se non era un Hale, poteva essere chiunque. Poteva fingere che nel mondo ci fosse qualcuno per lui; anche ammettendo, com’era probabile, che Daniel avesse avuto ragione ed i suoi genitori biologici l’avessero abbandonato, magari – magari qualche zio, o qualche lontano parente ch’era stato informato della gravidanza, ma si era dolentemente trovato senza pargolo da accudire. Sapeva che le probabilità erano infinitesimali, ma non era impossibile. Daniel Hale gli aveva detto di farsi due calcoli, e Mac li aveva fatti. Non che, in realtà, l’utopica possibilità che tutto quello potesse aver senso lo facesse sentire meglio. Deglutì, inspirò dalle narici sentendo le spalle tremare. Sentì le guance umide di pianto, ma non si preoccupò di asciugarle – o di nasconderle. Sinceramente, non gli interessava potessero vederlo piangere, e credere di conseguenza, come tante volte gli aveva ripetuto Matthias Hale, che fosse debole: lo era. Lo era sempre stato. Non prendeva decisioni, non sosteneva le sue ipotesi, non domandava permessi per timore di ricevere dinieghi. Era, di base, uno spreco d’umanità, perché al suo posto avrebbe potuto esserci qualunque altro sedicenne a giocarsi al meglio le proprie carte in quel mondo. Un tempo saresti stato tu, quel ragazzo - ma quel tempo era andato, dimenticato, perso in lacrime e sangue e non sei abbastanza. «bella partita» commentò infine, dal nulla, sollevando il braccio per posarlo al suolo. Battè le palpebre per abituare le retini all’improvvisa luminosità, ed evitò accuratamente il contatto visivo diretto con i volti chini verso di lui. Non li voleva, quelli sguardi. Non li meritava, e non li desiderava. Quel che più odiava di quella situazione, era che tutti avessero assistito alla vera natura di Mac, e che quel dramma fosse finito sotto gli occhi di tutti. Si rendeva conto che a buona parte di loro, non poteva importare di meno - ma era una questione privata, che Mac avrebbe preferito affrontare avvolto in un bozzolo di coperte con il naso appiattito sul vetro della finestra. Da solo. Daniel gli aveva tolto anche quella possibilità, lasciandolo nudo e vulnerabile alla mercé di persone che, a conti fatti, non conosceva. Non importava quanto, chino e silenzioso sul banco, lanciasse occhiate a BJ Monteiro o Kentucky Jagger; non importava quanto, sedendo con le gambe incrociate su uno dei cuscini dell’oratorio, ascoltasse ammirato ed affascinato le vicende di Danihel Simmons, o di quante volte si fosse proposto per aiutare padre Shaw e la Perpetua nelle mansioni della chiesa. Non aveva alcuna maledetta importanza quante volte, coricato sul divano di villa Fay, avesse finto di dormire per ascoltare Adam sproloquiare nella sua lingua durante le faccende di casa, o quante volte avesse seguito Martha e Logan con la lealtà immortale di un devoto ai propri santi. Non aveva neanche importanza che per lui fossero famiglia, considerati i precedenti poco lusinghieri con i quali metterli a confronto. Perché non aveva idea di chi realmente fossero. Erano spariti - spariti - per mesi. Erano tornati ammaccati, e con qualcosa - qualcosa nello sguardo che sapeva di ciao e addio nello stesso mesto battito di ciglia. Estranei dall’aria familiare. Scontato che Mac si aggrappasse alla loro gentilezza con la disperazione di un naufrago, e che nei loro sorrisi scorgesse tutto quello che nella sua vita aveva sempre cercato: accettazione, affetto. Ma non cambiava le carte in tavola. Sapeva - sentiva - che sarebbero spariti di nuovo, ed era certo che non avrebbero più fatto alcun ritorno. Non sapeva come, né perché, ma ogni qual volta scorgeva Logan affilare i coltelli nella cabina degli attrezzi con lo sguardo perso nel nulla, o Martha ad asciugarsi le guance sulle spalle, lo sapeva: erano alieni come lui, ma non erano come lui. Un altro pianeta. Mckenzie continuava ad essere il satellite solitario. «siamo stati bravi» si alzò a sedere con un sorriso plastico ma sincero, gli occhi stanchi ed arrossati. Sperò che la breve occhiata che gli rivolse, fosse abbastanza per mettere a tacere le domande e le imprecazioni: non voleva sentirli. Non poteva. Un altro giorno, magari. Un’altra vita, possibilmente. Non voleva pensare a Daniel, o ad Harper, o agli Hale ed il fatto di non essere uno di loro. Non voleva fermarsi a riflettere su cosa tutto quello - tutto quello potesse significare. Voleva solo - «vorrei andare a casa» si schiarì la voce, un colpo di tosse per cercare d’eliminare il nodo in gola. «posso?» sollevò implorante gli occhi grigi su Logan Fay, tacendo il resto delle preghiere che sentiva pungere nel petto. Non avrebbe mai - mai - chiesto apertamente se potessero evitare l’argomento Daniel, ma sperava che lo facessero comunque. Quel che Mckenzie ancora del mondo non aveva capito, né aveva voluto comprendere, era che le persone sapessero leggerlo perfettamente, e nulla di quel che pensava fosse un segreto: avevano semplicemente sempre scelto d’ignorarlo. «devo -» Non sapeva con esattezza cosa dovesse, o volesse, fare: dormire per tre giorni? Fingere di non esistere per una settimana? Appiattirsi contro il muro e domandare al cuscino dove avesse sbagliato? «fare una doccia» sorrise ed arcuò un sopracciglio, abbassando lo sguardo sui propri piedi e deglutendo amarezza e sensi di colpa. Si avviò verso la strada che l’avrebbe portato alla villa delle Fay, e quasi sussultò quando qualcuno gli afferrò il braccio dalla manica del maglione - senza quasi. Alzò impauriti occhi azzurri sul ragazzo al proprio fianco, e Barnaby Jagger lasciò la presa quasi la stretta l’avesse ustionato. Lo vide aprire la bocca, ma non disse nulla. Sbuffò solamente agitando vago una mano nell’aria, balbettando un «p-p-persone» mentre si allontanava. Non lo guardò andarsene, né si rese conto che la bocca avesse smesso di pulsare: sentiva un dolore troppo diverso, e troppo interno perché il taglio al labbro potesse assumere rilievo fra i suoi pensieri. Solo dopo un paio di metri si rese conto di non essere solo. Lanciò un’occhiata di sottecchi a Logan, cercando di abbozzare un sorriso verso la ragazza che, pur non conoscendolo, l’aveva preso sotto la propria ala e gli aveva dato una casa. Avrebbe voluto ringraziarla, Mac; non ricordava se l’avesse mai fatto. Ma quando dischiuse le labbra, non fu a quello che si appellò. «non è sempre così» deglutì, distolse lo sguardo colpevole. Si odiò per quel suo costante bisogno di giustificare gli altri - non ne hai motivo - ma non poteva…non poteva impedirselo. Poteva non essere un Hale, ma non significava che avesse scordato di esserlo stato: si sentiva in dovere di difendere il fratello. «daniel. non è sempre così» calciò un sassolino dal selciato, affondando il mento nello spesso maglione di lana, senza azzardarsi ad incrociare gli occhi azzurri della Fay. «non lo pensa davvero» mentì. Perché aveva bisogno di crederlo.
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So lost, the line had been crossed Had a voice, had a voice but I could not talk you held me down I struggle to fly now | 1902's | tailor | fa(ir)y squad 01.12.1918 |
| prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco |
| mckenzie /mac leighton hale |