Am I alone outside the closet?

Halley

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    Hunter Oakes non era un ragazzo di cuore. Non esternava mai le sue emozioni, preferendo vivere la sua vita una crisi isterica alla volta mostrarle sempre in modo pacato, quasi misurato. Non era una persona costruita, tutt’altro. Passava così tanto tempo ad analizzare se stesso, a cercare di comprendere le cause dei suoi cambiamenti d’umore, che a volte dimenticava di rendere partecipe il mondo dei suoi pensieri, troppo impegnato a capirsi che a farsi capire. La sua pelle era permeabile, assorbiva ogni stimolo, ogni spunto, ogni idea, ogni input, internando ogni cosa, ma incapace di restituirla. Restava tutto bloccato dentro, in quella testa troppo piccola per contenere interi universi di significati nascosti nell’ambiente circostante. Tuttavia, c’era solo una persona in grado di comprendere i suoi silenzi, di percepire le sue emozioni, una persona che aveva la capacità di leggerlo senza tralasciare neanche una virgola, che riusciva ad ascoltare i suoi pensieri ancor prima che potessero avere forma, o voce.
    Sarebbe stato facile, in quell’ultimo periodo, se avesse scelto di aprirsi con lei. Sarebbe stato più facile se le avesse affidato parte di quel peso che portava sulle spalle, pesante come un macigno. Sarebbe stato troppo facile se le avesse chiesto aiuto, impedendo in questo modo di ferirsi, di farsi del male, di arrivare a credere che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui. Il Corvonero, per quanto avesse voluto averla vicina in quei giorni, per quanto avesse voluto anche solo il conforto di un abbraccio, sapeva che doveva stare da solo perché era un problema che doveva prima risolvere con se stesso. Halley avrebbe avuto la forza di spianare la strada davanti a lui, livellandola, rendendola quasi un percorso piacevole. Lui, invece, aveva scelto di intraprendere la via più difficile poiché sentiva il bisogno di imparare prima ad accettarsi da solo, a scendere a patti con quella nuova consapevolezza, conoscendo quella parte più intima di sé che aveva impiegato anni ad emergere. Era sempre stata lì, in silenzio, ad osservarlo. Era sempre stata lì e lui l’aveva ignorata, preferendo concentrarsi su qualcos’altro, su qualcosa di diverso, fino a renderla, quasi, la novità.
    Era stato pessimo con la Grifondoro, ed era conscio di ciò. Era arrivato a ridurre le interazioni con la sorella al minimo indispensabile, a studiare i suoi movimenti e i suoi orari per sbucare esattamente nel momento in cui lei aveva altro da fare, quasi arrivando a farla sentire in colpa per quei ritagli di tempo che riuscivano a riservarsi l’un l’altro. Non voleva farla preoccupare ed era quasi convinto di aver fallito nell’intento, perché sapeva che non bastava farsi vedere vivo e in salute per non far trillare quel campanellino dall’allarme che l’avrebbe insospettita.
    Sentiva il bisogno di essere perfetto ai suoi occhi. Era una necessità stupida, infondata, quasi infantile, ma voleva provare ad essere per Halley quella figura di adulto responsabile che era mancata nelle loro vite. Era il fratello maggiore che cercava di proteggerla dalle situazioni spiacevoli, era il migliore amico con cui si confidava e affidava i suoi pensieri più profondi, ma anche quello con cui si faceva una canna sul tetto dell’istituto o la persona con cui andava allo stadio e condivideva le sue passioni. Era il genitore che chiedeva scusa e ripagava le sue malefatte, che stava in pensiero per lei quando si univa a una nuova causa che infervorava il suo spirito ribelle. Era la mano che fasciava le sue ferite e l’abbraccio che le leniva. Hunter era tante, troppe cose. Spesso dimenticava di essere anche lui un ragazzino, che anche lui poteva sbagliare, che anche lui aveva tutto il diritto di chiedere aiuto, di nascondere il volto in quella chioma dorata e perdesi in quel profumo che aveva l’aroma di casa. Halley non era più solo la ragazzina che combinava guai e che si inventava i giochi più assurdi e pericolosi per far vedere al mondo che era forte e battagliera, non era più la piccolina che andava protetta a ogni costo, per evitarle di cadere. Stava crescendo e si stava trasformando in una persona di cui era e sarebbe stato orgoglioso. Nonostante le piccole crepe e le fratture. Nonostante tutto.
    La parte più razionale di sé era consapevole, specialmente dopo il coming out di Nicky, che quella scoperta non sarebbe stata un problema, che sarebbe rimasta al suo fianco perché la sua sessualità non lo definiva, che non cambiava il modo in cui i suoi occhi lo vedevano. Certo, probabilmente avrebbe smesso di combinargli appuntamenti al buio con ragazze che riteneva fossero perfette per lui ed era pure ora, ma non ci sarebbero stati grossi cambiamenti. Perché Halley, nonostante il quadernino in cui segnava tutti gli esperimenti segreti cui la sottoponeva, era sveglia e intelligente. Molto più di lui quando si trattava di questo aspetto delle loro vite. Gli sarebbe sembrato strano se non avesse mai sospettato nulla, ma la sua ingenuità lo spingeva a pensare che, essendosene lui reso conto solo adesso, anche per lei sarebbe stato tutto un mistero.
    La parte più irrazionale di Hunter, invece, si nutriva delle sue paure. E se non lo avesse più riconosciuto? Se quel sono gay avesse avuto la forza di distruggere il loro rapporto? Se avesse distorto l’immagine che Halley aveva di lui al punto da renderlo un’altra persona? Gli avrebbe voltato le spalle. Lo avrebbe abbandonato. Lo avrebbe lasciato solo. Quel pensiero lo terrorizzava al punto da paralizzarlo, da impedirgli anche solo di concentrarsi sulle piccole azioni quotidiane, sprofondando in quell’inquietudine che aveva popolato i suoi incubi quando era solo un bambino.
    Era accaduto tutto troppo in fretta, quasi avesse aperto quel vaso di Pandora in grado di sconvolgere la sua vita. Non sapeva cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi ma era certo del fatto che non avrebbe potuto chiedere ad Halley di accettarlo, se non fosse prima stato in grado di accettare se stesso. Aspettare ancora, far passare settimane, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Halley era la sua famiglia, tutto quello che aveva, e non poteva continuare a mentirle ancora a lungo, evitando lei per procrastinare quel confronto con se stesso che lo avrebbe comunque aspettato al varco. Si era chiuso a riccio per difendersi e rischiava, così facendo, di ferire la persona che più amava al mondo. Per questo, quel venerdì sera, l’aveva invitata a passare del tempo con lui al Better Run. Un modo per chiederle scusa per quella presenza assente, per dedicarle l’esclusiva del suo tempo e per farsi perdonare. Senza contare che, data l’imprevedibilità della Grifondoro, doveva scegliere un posto all’esterno dei confini del Castello, in modo tale che non utilizzasse la magia contro di lui, e possibilmente pubblico, nonostante ciò non fosse una vera e propria garanzia per contenere un’eventuale scenata o che lo prendesse a pugni davanti ai clienti del locale. Senza contare che avevano scoperto lì lavorasse uno strafigo.
    Tanta era l’ansia, che era arrivato al pub con mezz’ora d’anticipo, incapace di passare un secondo di più in dormitorio, di aspettare ancora qualche minuto. La testa gli stava per esplodere e chiese alla sua buona stella di non fargli incrociare Gideon o Viktor nel tragitto che lo portava oltre il grande Cancello. In quel caso, probabilmente, sarebbe brillato come una supernova e tanto valeva salire sulla torre di astronomia per urlare al mondo quanto fosse un cretino, prima di fare un passo sul cornicione e lasciarsi cadere giù.
    Sentiva l’isteria farsi strada in lui, ma non era ancora arrivato il momento di farsi prendere dal panico. Si era anche vestito bene per l’occasione e non con lo stile trasandato che amava sfoggiare quando non aveva l’obbligo di indossare la sua divisa. La giacca di pelle era poggiata sullo sgabello accanto a lui, i jeans neri gli fasciavano morbidamente le gambe e la maglia a manica lunga aveva preso il posto della sua amata camicia di flanella. In fondo, per lui, era un giorno importante.
    Fissava la burrobirra, concentrandosi sulla schiuma, mentre Halley parlava del suo ultimo articolo che stava scrivendo per Friday. La stava sentendo, sì, ma non la stava ascoltando. Quando la Grifondoro richiamò la sua attenzione durante il racconto, la guardò stranito, come se gli avesse chiesto se fosse ancora convinto che nel Sistema Solare ci fossero nove pianeti. Sbatté le palpebre lentamente, riprendendo un attimo contatto con la realtà, le mani che non avevano smesso di torturarsi neanche per un istante da quando la sorella si era seduta con le ordinazioni davanti a lui. Era talmente teso e concentrato che era stato colto alla sprovvista, blindato nei suoi pensieri com’era si era lasciato scivolare dalla bocca quella verità che lo opprimeva con una naturalezza così disarmante da stupire persino lui.
    “Credo di... no, sono omosessuale.”
    Hunter Oakes | 17 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
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    BUON ANNIVERSARIO, ROLE!
    ORA I VIKER
    SI SPOSANO
    E HALLEY ANCORA
    NON SA
    CHE SUO FRATELLO
    È GAY
    HALLEY
    OAKES
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    «Le hanno quasi fatto un blagging! UN BLAGGING, CAPISCI?» avrebbe voluto rispondere che, , riusciva a comprendere alla perfezione tutto ciò che la Furia Rossa le stava urlando da più di quindici minuti, ma non avrebbe fatto altro che mentire spudoratamente. Halley Oakes sapeva che la discussione – molto più simile a un monologo che a un dibattito aperto – verteva intorno al Quidditch, se non altro perché nessun argomento era in grado di fomentare Chelsey Weasley allo stesso modo. Sapeva anche che le Holyhead Harpies avevano appena disputato un importante incontro di campionato e che era stato fatto qualcosa alla beniamina della sua compagna di stanza – di cosa si trattasse, nello specifico, non ne aveva idea. Imparare i nomi delle centinaia di falli previsti in quello sport avrebbe richiesto un’esagerata quantità di tempo, tempo di cui la grifondoro non disponeva; si sarebbe limitata a fingere interesse per non rischiare di essere legata a una sedia e indottrinata a dovere. «Una vergogna, davvero. Hai visto i miei pantaloni?» rispose, con tono distratto, mentre continuava ad aggirarsi all’interno della stanza alla ricerca degli indumenti perduti. Diede un’occhiata sotto il letto a baldacchino, tirò via le lenzuola – rivelando soltanto briciole di cibo sparse sul materasso – e frugò nel suo baule, ancora una volta senza risultati. Afferrò allora un paio di jeans, indossò una felpa morbida e ravvivò rapidamente i capelli; il tutto, mentre Chelsey continuava ad insultare coloro che erano appena finiti in cima alla sua lista nera – il giocatore che aveva osato attentare alla vita di Arabells Dallaire, l’arbitro che non aveva sanzionato a dovere l’avversario e l’intero apparato sportivo per l’incapacità di tutelare i suoi gioielli. «Ha ragione, è una macchia indelebile in un sistema corrotto si voltò per la prima volta verso la grifondoro, l’espressione assente di chi aveva appena avuto un’epifania, e ripeté quelle parole a voce bassa per testarne la forza, per tentare di immaginare il peso che avrebbero potuto avere all’interno di un suo articolo. Erano perfette. Erano l’incipit che stava cercando da giorni. Frenò l’impulso di andare ad abbracciare la compagna di stanza – sarebbe stato come gettarsi tra le fauci di un leone affamato – e riferì quella frase alla piuma prendiappunti regalatale da Hunter poche settimane prima – era convinto che, con l’aiuto di quello strumento magico, Halley avrebbe smesso di camminare tenendo gli occhi sul taccuino, di alienarsi dal mondo esterno e di travolgere i passanti. Uscì dal dormitorio e continuò a parlare con la penna incantata mentre percorreva i corridoi di Hogwarts, lungo il tragitto che collegava il castello al Better Run e persino quando, fatto il suo ingresso nel locale, si accomodò accanto al fratello.
    Era così presa dai suoi ragionamenti, così ispirata da quell’improvviso flusso di pensieri, da non rendersi realmente conto del significato delle parole del corvonero, di quel «Credo di... no, sono omosessuale.» pronunciato con l’urgenza di chi non era più in grado di nascondere qualcosa di così importante. «Sì, ma che ne pensi della– aspetta.» si bloccò di colpo e lo stesso fece la piuma, che iniziò a puntare prima verso Hunter, poi verso Halley, in attesa che uno degli Oakes pronunciasse una frase da aggiungere al racconto. Racconto che, d’un tratto, aveva perso ogni importanza. «Lo sapevo. LO SAPEVO!» lasciò che gli angoli della bocca si allargassero in un sorriso e si lanciò verso il fratello per stringerlo in un breve abbraccio, prima di proseguire con il suo monologo. «Non ne avevo la certezza, sia chiaro, ma una sorella queste cose le sente, capisci?» e non a causa di tutti gli appuntamenti organizzati dalla grifondoro nel corso degli anni e puntalmente mandati a monte da Hunter; dopotutto, aveva provato ad accoppiarlo anche con un ragazzo, un corvonero di cui Alice non aveva memoria, ma quel tentativo era stato un buco nell'acqua come i precedenti. «È per Gideon, vero?» non avevano mai parlato di lui in quei termini, ma non le erano sfuggiti gli sguardi fugaci in direzione del compagno, né gli insoliti sbalzi d'umore, né quell'interesse, per il loro rapporto, che sembrava andare ben oltre le passioni in comune. «O c'è qualcun altro?» si concesse qualche istante per studiare l’immediata reazione a quelle domande, quegli impercettibili mutamenti nello sguardo del fratello che soltanto lei, che conosceva il significato di ogni sua smorfia, di ogni suo sospiro, avrebbe potuto notare. «OHMIODIO C'È QUALCUN ALTRO!» spalancò gli occhi e lo fissò, impaziente, in attesa di una risposta che confermasse la sua teoria. E, per un attimo, si sentì in colpa nel rendersi conto di non aver intuito fin da subito quell'ingombrante segreto, di non essere riuscita a leggerlo attraverso lo sguardo del fratello, i suoi gesti o la sua pesante assenza. Forse, era proprio quest’ultima il problema. Perché aveva aspettato quell’appuntamento formale per parlargliene? Sapeva, Halley, che gli ultimi giorni erano stati difficili per entrambi, sommersi da impegni a tal punto da non riuscire a districarsi all'interno dei rispettivi piani e trovare il giusto tempo da dedicare all'altro. Ma non avevano segreti, gli Oakes, e il fatto che Hunter le avesse omesso un dettaglio così rilevante della sua vita incrinò l’umore della grifondoro, lasciando che la curiosità mostrata fino a quel momento venisse scalzata da una serie di dubbi difficili da ignorare. Perché ci aveva messo tanto? Continuò a domandarselo, mentre le parole del fratello andavano a formare un racconto cui non riusciva a prestare la giusta attenzione. Poi, la risposta arrivò con la stessa violenza di uno schiaffo in pieno viso. «Hai avuto paura.» pronunciò le parole a fatica, come se formulare quel pensiero ad alta voce potesse renderlo improvvisamente reale. Non aveva bisogno di cercare una conferma per sapere di avere ragione; eppure, sperò con tutta se stessa di essere smentita. Non voleva crederci, nonostante le sembrasse l’unica spiegazione plausibile al comportamento bizzarro del fratello, l’unico motivo che potesse dare un significato a quei rapidi saluti per i corridoi del castello, alle mancate discussioni notturne con cui condividere le rispettive giornate, alla sospetta frequenza con cui gli impegni del corvonero andavano a sovrapporsi ai suoi, al nervosismo che pervadeva ogni fibra del corpo del ragazzo. Aveva un senso e, allo stesso tempo, non ne aveva affatto. «Hai avuto paura di me sottolineò le ultime parole, nel tentativo di fargli comprendere quanto l’intera situazione fosse surreale. Aveva davvero pensato, anche solo per un attimo, che la sua sessualità potesse cambiare il modo in cui Halley lo vedeva? Che potesse intaccare tutto ciò che Hunter significava per lei? Credeva davvero che fosse una persona così superficiale? Si sentiva ferita, e arrabbiata. Avrebbe voluto urlare contro il fratello, alzarsi e uscire da quel locale. Avrebbe voluto sfogare liberamente i suoi sentimenti, ma si impegnò a mantenere lo sguardo fisso in quello del corvonero. «Come hai potuto pensarlo?»
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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    Hunter avrebbe voluto perdersi in quell’abbraccio, in quello scoppio improvviso di entusiasmo, in quel calore che solo Halley sapeva emanare. Hunter avrebbe voluto credere che, stretto tra le braccia della sorella, sarebbe stato al sicuro, che quella paura che lo perseguitava da giorni e che lo aveva privato del sonno finalmente lo lasciasse libero. Hunter avrebbe voluto ricambiare quell’affetto, avrebbe voluto moltiplicarlo, avrebbe voluto avere la forza di stringere di rimando la Grifondoro e sussurrarle quel grazie che era rimasto bloccato all’altezza del petto. Ingenuamente, aveva pensato che sarebbe bastato dire di essere omosessuale, di esprimere ad alta voce quel pensiero per accettarsi, per credere che sarebbe andato tutto bene, che quel peso che lo schiacciava e che gravava sul suo cuore si sarebbe sciolto, almeno un pochino. Era stato uno stupido a convincersi che sarebbe stato come dirlo a Viktor, un perfetto sconosciuto che aveva trovato quasi per caso e che lo aveva ascoltato più di chiunque altro in quel periodo. Non lo aveva giudicato, il Dallaire, non aveva motivo per farlo. Gli aveva addirittura quasi fatto credere che anche Hunter sarebbe riuscito a farlo, che avrebbe potuto ritornare a guardarsi allo specchio e a riconoscere il proprio riflesso.
    Eppure, eppure le parole di Halley avevano lo stesso effetto di uno Schiantesimo. Facevano male. Perché se fosse stato intelligente come diceva d’essere, se fosse stato un po’ più coraggioso, se fosse stato tutto quello che non era, allora avrebbe potuto evitare a entrambi tutta quell’inutile sofferenza. Perché l’aveva vista, Hunter, quell’ombra scura attraversare quelle iridi così familiari della sorella, perché aveva visto l’espressione di lei mutare ancor prima che la bionda potesse fare o dire qualcosa che manifestasse il suo disappunto.
    Avrebbe voluto fermare il tempo a quando gli aveva rivolto quel sorriso carico di entusiasmo. Avrebbe voluto imprimerlo nella propria mente e credere, anche solo per un istante, che meritasse quella gioia travolgente.
    Avrebbe voluto sostenere il suo sguardo e sorriderle di rimando, invece non aveva fatto altro che tenere gli occhi bassi sul tavolino, lontani da quelli della sorella, perché non era pronto a reggere la delusione che vi avrebbe potuto trovarci.
    Ed era colpa sua.
    Era tutta colpa sua.
    Non riusciva ad accettarsi completamente, non riusciva ad ammettere a se stesso di essere normale, non riusciva ad essere un buon fratello. Semplicemente, non riusciva. Tutto stava andando a rotoli e lui restava in piedi, inerme, davanti a quelle certezze che andavano in frantumi davanti suoi occhi, lasciandolo solo con la consapevolezza di aver sbagliato. Di essere sbagliato.
    Avrebbe voluto chiederle scusa, avrebbe voluto dirle quanto le dispiacesse, ma le parole erano rimaste ingarbugliate in gola quando aveva nominato il McPherson, quando il flashback di quel bacio con il gemello tornò prepotente nella sua testa spezzandolo ancora di più. Era stato uno stupido anche solo credendo che potesse interessare a qualcuno, che un altro essere umano potesse provare qualcosa per lui che non fosse una blanda simpatia o una malcelata sopportazione. Che ci potesse essere un legame più forte o che qualcuno fosse interessato a quello che aveva da dire, a quei pensieri che prendevano sempre più raramente voce. Si era ammorbidito al punto da arrivare a credere che, forse, non era poi quella macchina perfetta che i Custodi avrebbero dovuto plasmare. Hunter poteva provare dei sentimenti e, ferito nell’orgoglio, aveva scelto di non lasciarsi più andare, di non seguire più quell’istinto che lo distoglieva dal suo obiettivo.
    Ora che Halley era lì, davanti a lui, non sapeva cosa fare. Aveva pianificato tutto, nei minimi dettagli, eppure si era dimenticato di pensare cosa sarebbe successo dopo averle detto di non essere come la maggior parte dei ragazzi, di non condividere con loro quella preferenza sessuale che ormai era convinto lo definisse, lo etichettasse come diverso. Diverso, però, non necessariamente doveva significare brutto o sbagliato ma questo, ancora, Hunter non lo capiva. Per lui la vita non aveva sfumature, né colori: era tutto bianco o nero. Non esistevano eccezioni.
    Non era facile per lui rimettere tutto in discussione, non era stato facile allontanarsi da quel porto sicuro che rappresentava sua sorella. Perché gli Oakes avevano incisi sulla pelle i segni di quell’abbandono che li aveva inevitabilmente segnati. Il Corvonero si era convinto di aver toccato il fondo quando era arrivato a pensare che, se un giorno avessero incontrato i loro genitori, questi lo avrebbero allontanato. Sarebbe già stato difficile accettare la presenza di due figli che venivano dal futuro, non voluti e non richiesti, sarebbe già stato duro per loro scendere a patti con quella realtà. Poi, se li avessero accolti nella loro famiglia, non avrebbe potuto chieder loro anche di chiudere un occhio su quella sessualità che poteva fargli voltare le spalle a quel figlio che, in fondo, non era mai stato tale. E soffriva, Hunter, in quell’incertezza che lo logorava dall’interno, che lo consumava lentamente e inesorabilmente, schiavo di quella mente che non riusciva a spegnere, che non riusciva a far tacere. Prima di preoccuparsi di qualcosa che non aveva, però, doveva far i conti con una realtà ben diversa, con quella giovane donna che era tutto ciò che aveva. Halley era reale, non era una famiglia ipotetica, non era i volti sfocati di due genitori che non aveva mai avuto.
    Annuì lentamente quando lei espresse i suoi pensieri, quando con tre parole era riuscita a descrivere tutto quello che il maggiore aveva provato in quei mesi. Aveva avuto paura. Pura e semplice paura. Di perdersi. Di perderla. Di vedere infranto quell’unico legame che contava davvero, da sempre. Sarebbe potuto essere un pensiero sciocco, avrebbe dovuto sapere che Halley non era tipa da fermarsi alle apparenze, che andava sempre al nocciolo delle cose, che non si lasciava intimorire dalle parole.
    Halley non era un Hunter, perché Halley era sempre stata libera di essere se stessa, non aveva mai avuto paura di esprimersi e di mostrare al mondo il suo potenziale, occupando da sempre quel posto speciale che era sicura le spettasse. Hunter, invece, era sempre vissuto nella sua ombra, in disparte, quasi quella realtà fosse sempre percepita come una minaccia e non come un’opportunità. Era questa la differenza tra i due, era questa quella linea sottile che l’Oakes aveva tracciato fino a farla diventare un muro.
    Un “no!” terrorizzato gli uscì dalla bocca, al punto che anche lo sguardo era finalmente levato sul volto della sorella. “No, Halley. No.” E non riusciva a dire altro, il Corvonero, quelle parole troppo pesanti ancora bloccate lì dove faceva più male. Perché c’era un dolore sordo che non lo aveva abbandonato dalla realizzazione di essere diverso, di non essere quello che tutti si aspettavano da lui. Eppure, eppure Halley non gli aveva chiesto mai nulla, non gli aveva mai fatto pesare le sue mancanze. Ce l’avevano sempre fatta, insieme. Ma quel pensiero consolatore non era bastato. “Non di te. Di me. Provò a prenderle la mano e a stringerla tra le sue, un disperato tentativo per non farla andare via, per farla restare. Poteva sopportare le urla, poteva sopportare qualsiasi insulto gli fosse rivolto contro, ma non vederla alzarsi e andare via. Non vedere le sue spalle voltarsi e lasciarlo, per la prima volta in quelle due vite, indietro.
    “Non riesco più a stare davanti allo specchio, Halley. Non riesco a capire più chi sono. So che ti ho deluso, lo so, ma non volevo…” non sapeva più neanche lui cosa volesse o meno, a cosa fosse valso tutto quello. Spostò nuovamente gli occhi sul bordo del tavolo, concentrandosi sulle venature del legno per non piangere. “Non volevo che anche tu mi guardassi come mi guardavo io. Non volevo che cambiassi la tua opinione su di me perché è l’unica che conta davvero. Non mi importa di ciò che dicono gli altri e la tua approvazione vale più di qualsiasi altra cosa. Ed è stupido, perché non si può approvare la sessualità di qualcuno, ma… ho avuto paura e più ci pensavo, più mi allontanavo da te. Ed è sbagliato… sono sbagliato.” Ma non si trattava più di essere omosessuale o meno, non si trattava più di compiacere o meno qualcuno. Hunter si sentiva sbagliato a un livello più profondo, lì dove giacevano tutte le sue paure e le sue insicurezza, lì dove era troppo buio affinché potesse arrivare anche solo un frammento di luce.
    “Credo Gideon mi abbia fatto aprire gli occhi sui miei gusti, l’appuntamento con Romeo ha confermato che potesse essere plausibile, che la mia omosessualità non fosse un mero sospetto. Viktor… Viktor mi ha ascoltato e ha confermato quella teoria che ormai era diventata troppo ingombrante per essere ignorata. Ci siamo baciati, pochi giorni fa, e anche solo l’idea, per la prima volta, non mi ha fatto… schifo. Mi son chiesto se avessi voluto rifarlo ancora, e sebbene la risposta sia positiva, siamo troppo diversi per poterci dare peso, per poter attribuire a quel gesto un altro significato.”
    Hunter Oakes | 17 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
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