Hunter avrebbe voluto perdersi in quell’abbraccio, in quello scoppio improvviso di entusiasmo, in quel calore che solo Halley sapeva emanare. Hunter avrebbe voluto credere che, stretto tra le braccia della sorella, sarebbe stato al sicuro, che quella paura che lo perseguitava da giorni e che lo aveva privato del sonno finalmente lo lasciasse libero. Hunter avrebbe voluto ricambiare quell’affetto, avrebbe voluto moltiplicarlo, avrebbe voluto avere la forza di stringere di rimando la Grifondoro e sussurrarle quel grazie che era rimasto bloccato all’altezza del petto. Ingenuamente, aveva pensato che sarebbe bastato dire di essere omosessuale, di esprimere ad alta voce quel pensiero per accettarsi, per credere che sarebbe andato tutto bene, che quel peso che lo schiacciava e che gravava sul suo cuore si sarebbe sciolto, almeno un pochino. Era stato uno stupido a convincersi che sarebbe stato come dirlo a Viktor, un perfetto sconosciuto che aveva trovato quasi per caso e che lo aveva ascoltato più di chiunque altro in quel periodo. Non lo aveva giudicato, il Dallaire, non aveva motivo per farlo. Gli aveva addirittura quasi fatto credere che anche Hunter sarebbe riuscito a farlo, che avrebbe potuto ritornare a guardarsi allo specchio e a riconoscere il proprio riflesso. Eppure, eppure le parole di Halley avevano lo stesso effetto di uno Schiantesimo. Facevano male. Perché se fosse stato intelligente come diceva d’essere, se fosse stato un po’ più coraggioso, se fosse stato tutto quello che non era, allora avrebbe potuto evitare a entrambi tutta quell’inutile sofferenza. Perché l’aveva vista, Hunter, quell’ombra scura attraversare quelle iridi così familiari della sorella, perché aveva visto l’espressione di lei mutare ancor prima che la bionda potesse fare o dire qualcosa che manifestasse il suo disappunto. Avrebbe voluto fermare il tempo a quando gli aveva rivolto quel sorriso carico di entusiasmo. Avrebbe voluto imprimerlo nella propria mente e credere, anche solo per un istante, che meritasse quella gioia travolgente. Avrebbe voluto sostenere il suo sguardo e sorriderle di rimando, invece non aveva fatto altro che tenere gli occhi bassi sul tavolino, lontani da quelli della sorella, perché non era pronto a reggere la delusione che vi avrebbe potuto trovarci. Ed era colpa sua. Era tutta colpa sua. Non riusciva ad accettarsi completamente, non riusciva ad ammettere a se stesso di essere normale, non riusciva ad essere un buon fratello. Semplicemente, non riusciva. Tutto stava andando a rotoli e lui restava in piedi, inerme, davanti a quelle certezze che andavano in frantumi davanti suoi occhi, lasciandolo solo con la consapevolezza di aver sbagliato. Di essere sbagliato. Avrebbe voluto chiederle scusa, avrebbe voluto dirle quanto le dispiacesse, ma le parole erano rimaste ingarbugliate in gola quando aveva nominato il McPherson, quando il flashback di quel bacio con il gemello tornò prepotente nella sua testa spezzandolo ancora di più. Era stato uno stupido anche solo credendo che potesse interessare a qualcuno, che un altro essere umano potesse provare qualcosa per lui che non fosse una blanda simpatia o una malcelata sopportazione. Che ci potesse essere un legame più forte o che qualcuno fosse interessato a quello che aveva da dire, a quei pensieri che prendevano sempre più raramente voce. Si era ammorbidito al punto da arrivare a credere che, forse, non era poi quella macchina perfetta che i Custodi avrebbero dovuto plasmare. Hunter poteva provare dei sentimenti e, ferito nell’orgoglio, aveva scelto di non lasciarsi più andare, di non seguire più quell’istinto che lo distoglieva dal suo obiettivo. Ora che Halley era lì, davanti a lui, non sapeva cosa fare. Aveva pianificato tutto, nei minimi dettagli, eppure si era dimenticato di pensare cosa sarebbe successo dopo averle detto di non essere come la maggior parte dei ragazzi, di non condividere con loro quella preferenza sessuale che ormai era convinto lo definisse, lo etichettasse come diverso. Diverso, però, non necessariamente doveva significare brutto o sbagliato ma questo, ancora, Hunter non lo capiva. Per lui la vita non aveva sfumature, né colori: era tutto bianco o nero. Non esistevano eccezioni. Non era facile per lui rimettere tutto in discussione, non era stato facile allontanarsi da quel porto sicuro che rappresentava sua sorella. Perché gli Oakes avevano incisi sulla pelle i segni di quell’abbandono che li aveva inevitabilmente segnati. Il Corvonero si era convinto di aver toccato il fondo quando era arrivato a pensare che, se un giorno avessero incontrato i loro genitori, questi lo avrebbero allontanato. Sarebbe già stato difficile accettare la presenza di due figli che venivano dal futuro, non voluti e non richiesti, sarebbe già stato duro per loro scendere a patti con quella realtà. Poi, se li avessero accolti nella loro famiglia, non avrebbe potuto chieder loro anche di chiudere un occhio su quella sessualità che poteva fargli voltare le spalle a quel figlio che, in fondo, non era mai stato tale. E soffriva, Hunter, in quell’incertezza che lo logorava dall’interno, che lo consumava lentamente e inesorabilmente, schiavo di quella mente che non riusciva a spegnere, che non riusciva a far tacere. Prima di preoccuparsi di qualcosa che non aveva, però, doveva far i conti con una realtà ben diversa, con quella giovane donna che era tutto ciò che aveva. Halley era reale, non era una famiglia ipotetica, non era i volti sfocati di due genitori che non aveva mai avuto. Annuì lentamente quando lei espresse i suoi pensieri, quando con tre parole era riuscita a descrivere tutto quello che il maggiore aveva provato in quei mesi. Aveva avuto paura. Pura e semplice paura. Di perdersi. Di perderla. Di vedere infranto quell’unico legame che contava davvero, da sempre. Sarebbe potuto essere un pensiero sciocco, avrebbe dovuto sapere che Halley non era tipa da fermarsi alle apparenze, che andava sempre al nocciolo delle cose, che non si lasciava intimorire dalle parole. Halley non era un Hunter, perché Halley era sempre stata libera di essere se stessa, non aveva mai avuto paura di esprimersi e di mostrare al mondo il suo potenziale, occupando da sempre quel posto speciale che era sicura le spettasse. Hunter, invece, era sempre vissuto nella sua ombra, in disparte, quasi quella realtà fosse sempre percepita come una minaccia e non come un’opportunità. Era questa la differenza tra i due, era questa quella linea sottile che l’Oakes aveva tracciato fino a farla diventare un muro. Un “no!” terrorizzato gli uscì dalla bocca, al punto che anche lo sguardo era finalmente levato sul volto della sorella. “No, Halley. No.” E non riusciva a dire altro, il Corvonero, quelle parole troppo pesanti ancora bloccate lì dove faceva più male. Perché c’era un dolore sordo che non lo aveva abbandonato dalla realizzazione di essere diverso, di non essere quello che tutti si aspettavano da lui. Eppure, eppure Halley non gli aveva chiesto mai nulla, non gli aveva mai fatto pesare le sue mancanze. Ce l’avevano sempre fatta, insieme. Ma quel pensiero consolatore non era bastato. “Non di te. Di me.” Provò a prenderle la mano e a stringerla tra le sue, un disperato tentativo per non farla andare via, per farla restare. Poteva sopportare le urla, poteva sopportare qualsiasi insulto gli fosse rivolto contro, ma non vederla alzarsi e andare via. Non vedere le sue spalle voltarsi e lasciarlo, per la prima volta in quelle due vite, indietro. “Non riesco più a stare davanti allo specchio, Halley. Non riesco a capire più chi sono. So che ti ho deluso, lo so, ma non volevo…” non sapeva più neanche lui cosa volesse o meno, a cosa fosse valso tutto quello. Spostò nuovamente gli occhi sul bordo del tavolo, concentrandosi sulle venature del legno per non piangere. “Non volevo che anche tu mi guardassi come mi guardavo io. Non volevo che cambiassi la tua opinione su di me perché è l’unica che conta davvero. Non mi importa di ciò che dicono gli altri e la tua approvazione vale più di qualsiasi altra cosa. Ed è stupido, perché non si può approvare la sessualità di qualcuno, ma… ho avuto paura e più ci pensavo, più mi allontanavo da te. Ed è sbagliato… sono sbagliato.” Ma non si trattava più di essere omosessuale o meno, non si trattava più di compiacere o meno qualcuno. Hunter si sentiva sbagliato a un livello più profondo, lì dove giacevano tutte le sue paure e le sue insicurezza, lì dove era troppo buio affinché potesse arrivare anche solo un frammento di luce. “Credo Gideon mi abbia fatto aprire gli occhi sui miei gusti, l’appuntamento con Romeo ha confermato che potesse essere plausibile, che la mia omosessualità non fosse un mero sospetto. Viktor… Viktor mi ha ascoltato e ha confermato quella teoria che ormai era diventata troppo ingombrante per essere ignorata. Ci siamo baciati, pochi giorni fa, e anche solo l’idea, per la prima volta, non mi ha fatto… schifo. Mi son chiesto se avessi voluto rifarlo ancora, e sebbene la risposta sia positiva, siamo troppo diversi per poterci dare peso, per poter attribuire a quel gesto un altro significato.”
| |