isle of flightless birds

mabel & aaron

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    Mabel non aveva idea di quanto, in realtà, si stesse sforzando per mantenere un minimo di decenza.
    Forse aveva interpretato male quella ricerca di calma, perché non era affatto il desiderio iniziale di godersi ogni secondo, più il disperato tentativo di non metterlo sottopressione. Per quanto lo riguardava, aveva avuto tutte le conferme possibili riguardo al Withpotatoes e cosa poteva esserci di più forte se non un legame a scavalcare persino le leggi del tempo? Niente, a suo parere. Perché si erano ritrovati, erano rinati ed avevano ancora lo stesso, identico, bisogno di stare l’uno tra le braccia dell’altro.

    Era triste pensare a come avessero sprecato la loro vita precedente a rincorrersi da dietro una cortina di nebbia, incapace di dissiparsi per i continui conflitti. Eugéne era stato incapace di agire e rischiare tutto, Maverick aveva pensato di trovare riparo dietro le spalle di un altro; c’era quel terrore, radicato come una ragnatela nel suo cuore, di perdere Mabel, di ripetere nuovamente la storia.
    Perché magari il Tassorosso avrebbe potuto dire che lo avrebbe messo sempre al primo posto, ma chi gli assicurava che, una volta ritrovato Orion (con qualsiasi altro nome o vita) non avrebbe deciso di lasciarsi alle spalle la loro relazione per dedicarsi a qualcosa di meno impegnativo?
    Perché c’era da ammetterlo, nonostante non volesse farlo apertamente, che quello che avevano era davvero troppo. Troppo intenso, troppo carico di bisogno e di un’aspettativa tale da schiacciarli. Non sapeva se Mabel avesse la tempra necessaria per reggere il peso della verità o di lasciarsi dietro di sé, quel tanto che bastava, la consapevolezza di essere stati fratelli.

    Non voleva mettergli pressione, ma nemmeno lasciarlo scivolare tra le mani come fumo. In tutta onestà, non c’era mai stato tanto desiderio nei confronti di nessuno, nemmeno per la sua prima ragazza, neanche la prima volta in cui aveva assaporato le gioie del sesso. Era stato tutto molto più semplice, non c’era stato il terrore di rompere i suoi partner, né di esserlo a sua volta. Anzi, era abbastanza certo di averne goduto senza alcun pensiero ad infettargli la mente, proprio come una malattia. A sedici anni era stato con Chloe, poi non aveva più avuto una relazione, ma questo non gli aveva impedito di ricercare appagamento nel sesso occasionale. Chiaramente, le cose tra lui e Mabel non potevano essere semplici e forse non lo sarebbero mai state, perché portare avanti un rapporto tanto complesso richiedeva costanza e forza, cosa che alle volte vedeva vacillare nel minore. Sapeva di dover avere più fede nelle capacità del Withpotatoes, ma come spiegare quella sensazione di nervosismo a grattargli lo stomaco, come se non volesse fare altro che uscire e sputare fuori tutta la sua preoccupazione?

    Mabel lo terrorizzava tanto quanto lo desiderava. Dipendere così tanto da un altro essere umano era spaventoso, destabilizzante e non aveva idea di come fare per limitarne la portata distruttiva; perché l’avrebbe distrutto, spogliato da ogni protezione, fino a prendersi ogni cosa di lui e lasciarlo nudo di fronte ai suoi occhi azzurri, ormai velati da quello stesso bisogno che poteva sentire ribollirgli lo stomaco.
    Nemmeno volendo poteva ritrarsi da quei tocchi gentili, da quelle mani intente a sistemargli i ciuffi dalla fronte, da quelle labbra stirate in un mezzo sorriso o da quei sospiri morbidi a solleticargli la pelle. Persino il rossore su quelle guance lo mandava in crisi, imponendogli ancora più autocontrollo; si sarebbe spezzato, continuando di quel passo o, più semplicemente, avrebbe finito con lo spegnere il cervello, rischiando così di turbare ancora di più Mabel. Forse era troppo protettivo, convinto che il minore non fosse in grado di poter sopportare dei tocchi più audaci, ma cosa poteva farci? Probabilmente era un’abitudine che si portava dietro da molto prima, forse dai tempi di Eugéne.

    «Non c’è niente di difficile in un appuntamento, sai?» si ritrova a sorridere, quasi involontariamente, provando a scacciare ancora una volta la sensazione di volersi abbandonare a quei tocchi «Alla fine cambia solo il contesto. Non è impegnativo come sembra, sii solo te stesso e non metterti in testa strane idee. Andrà bene» lo rassicura, approfittando della posizione altrui per accarezzargli i ciuffi riccioluti, ma non abbandonando la mano posata sulla coscia.
    Si era domandato tante volte, da quando l’aveva visto mezzo nudo, come sarebbe stato stringere la carne scoperta di quel corpo; se a Mabel piacesse essere baciato, tediato nell’interno coscia o se gli piacesse, invece, la sensazione delle unghie a graffiarlo fino a lasciare dei segni rossastri. O magari era il tipo da solletico e preferiva altre zone? Avrebbe voluto conoscere tutte le parti capaci di farlo impazzire e… sì, l’idea che Orion fosse riuscito a toccarlo come lui non aveva mai potuto fare gli faceva ribollire il sangue di quella gelosia che, raramente, dimostrava.

    «Però devi capire una cosa»

    Questa frase lo ridesta dall’immaginare scenari infelici o, meglio, in cui l’idea di strangolare Orion fosse vivida e ben delineata; no, infantilmente non voleva che Mabel scoprisse della sua possibile esistenza nel presente. Che andasse a farsi fottere, lui e tutta quella situazione del cazzo.

    «questa cosa non finirà bene.»

    Oh, lo sapeva che non sarebbe finita bene. Se lo sentiva, perché aveva la netta sensazione che se non avesse levato quel palmo dalla gamba del minore, avrebbe finito con il desiderarne ancora di più, solo che… proprio non ci riusciva. La sentiva incollata, quasi che volesse dirgli implicitamente “ecco, il tuo corpo sa di cosa hai bisogno, smettila di tediarti così tanto!”, il che non era così sbagliato, in realtà.
    Ma poteva permettersi davvero di giocare così, con il fuoco? Era una Serpe e non era di certo avventato nelle decisioni, ma quella volta poteva concedersi di provocarlo, almeno con le parole? Se non poteva averlo nell’immediato, nessuno gli impediva però di stuzzicarne l’interesse.

    Per questo, le palpebre si fanno più strette, ferine quasi.
    Era combattuto tra la voglia di sussurrargli all’orecchio cose indicibili e quella di afferrarlo da sotto le cosce e fargli sentire quanto “non sarebbe finita bene”. Per niente.
    Alla fine, dopo qualche attimo, decide di utilizzare la sua lingua serpentina; Eugéne era un Corvonero e forse ne possedeva ancora le qualità, ma era innegabile che in lui ci fosse lo spirito di un Serpeverde, sempre pronto a trarre benefici da qualsiasi situazione, specie se interessante.

    «E chi ha detto che io voglia che finisca bene?» domanda, alla fine, fissandolo a propria volta con un sorrisetto carico di malizia, con lo sguardo totalmente concentrato. Come a voler rimarcare la posizione di vantaggio, stringe entrambe le cosce con forza «Cosa vorresti farmi, mh?» mormora, facendo risalire i palmi sulla stoffa morbida del pigiama, per poi scendere con nonchalance, ripetendo il movimento con lentezza per un paio di volte «Perché puoi spiegarmelo, io non mi muovo da qui» oh, era divertente vedere l’imbarazzo nelle iridi azzurrine di Mabel, quel guizzo di innocenza a farli appena brillare. Sarebbe stato un buon modo per farlo sbloccare un attimo, no? Per non fargli pensare ad altro che alle sue parole, perché era certo che il Withpotatoes avrebbe continuato ad arrovellarsi per la storia delle lettere—quindi, perché non dargli altro a cui pensare? Magari di meno impegnativo e di più piacevole?

    Distoglie lo sguardo solo per avvicinarsi al viso del minore, sussurrandogli all’orecchio «sono tutto orecchie, mate».

    In qualche modo, preferiva creare della tensione diversa da quella che avevano provocato quelle lettere del cazzo, ancora sparpagliate sul letto del Withpotatoes.
     
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    Onestamente? Non gliene fregava proprio un accidenti della possibilità che Aaron fosse suo fratello. Gli aveva fatto male in principio, sì, ma solo perché aveva temuto che l'altro si sarebbe fatto condizionare dalla situazione al punto tale da decidere di interrompere la loro relazione. In quel caso non gliene avrebbe certo fatto una colpa: era un'idea che a qualcuno avrebbe potuto far accapponare la pelle quella di entrare in intimità con qualcuno del proprio stesso sangue, ma la loro era una condizione più complessa. Non avevano mai vissuto insieme, non avevano mai condiviso alcun affetto fraterno e non avevano genitori a tenerli uniti. Si erano conosciuti ed erano diventati amanti, il resto era venuto dopo e nessuna sconvolgente rivelazione sarebbe mai potuta essere abbastanza forte da riuscire a cancellare quello che ormai erano arrivati a provare l'uno per l'altro.
    Inutile negarlo, se non avesse avuto addosso tutti quegli strati di estrema insicurezza Mabel sarebbe con tutta probabilità stato uno stronzo. Era assolutamente noncurante delle convenzioni e delle regole, e non era il tipo da farsi tanti scrupoli. Gli importava della sua pelle ed aveva sufficiente empatia da comprendere e persino battersi per coloro a cui teneva in maniera particolare, ma per il resto del mondo nutriva davvero la più scarsa considerazione possibile. E dunque non gli sarebbe pesato esser giudicato dagli altri, né tanto meno che la sua morale venisse irrimediabilmente compromessa: tutto ciò che contava era il pensiero di Aaron, il proprio, e di chi altro? Per Maverick forse quello dei suoi genitori, ma Belladonna e Sinclair non erano mai stati i genitori di Mabel, non aveva timore del loro possibile dissenso. Con tutta probabilità, ai due non era ancora neppure mai passato per la testa di volere dei figli. Perché preoccuparsi, dunque?
    L'unica questione di rilevanza sollevata dalle due lettere dei Baudelaire-Hansen, per quel che lo riguardava, influivano principalmente sulla sua salute mentale. Aveva vissuto con la convinzione di essere sbagliato per natura, ora ne aveva avuto la conferma. Da una parte si sentiva confortato da quella consapevolezza, perché a quel punto riteneva di avere ben poco da fare per potersi cambiare. D'altra parte, tuttavia, ne era terribilmente preoccupato: chissà se sarebbe mai arrivato allo stesso punto di rottura di Maverick, chissà se quella cosa sarebbe cresciuta tanto da inghiottirlo inesorabilmente; chissà se sarebbe rimasto per sempre così, se l'ombra di quelle continue dissociazioni avessero continuato ad aleggiare su di lui come un fantasma particolarmente spaventoso. Preferiva non pensarci, non in quel momento almeno.
    «E chi ha detto che io voglia che finisca bene?» ecco, quello era già un buon punto di inizio per evitare di pensare a questioni meno allettanti. Trattenne a stento un sorriso, pur continuando ad evitare lo sguardo di Aaron: doveva ancora riprendersi da quanto aveva trovato il coraggio di ammettere poco prima. La stretta delle sue mani sulle cosce, tuttavia, lo mise particolarmente in difficoltà, costringendolo a voltarsi. «Cosa vorresti farmi, mh?»
    Dannatissimo. Serpeverde.
    Era stato un ingenuo a credere che l'altro non avesse cercato di rispondere a tono alle sue provocazioni, uno sciocco a pensare di poter ottenere facilmente ciò che desiderava. Che il maggiore lo avesse fatto di proposito, sapendo di metterlo in imbarazzo? Certo che sì, Mabel non aveva alcun dubbio a riguardo. E il problema non era soltanto che si fosse infilato da solo in quella situazione, non che il disagio lo rendesse sempre incapace di parlare o anche solo riflettere, ma che il tocco dell'Icesprite non gli stesse affatto semplificando le cose. «sono tutto orecchie, mate»
    Con il rossore ormai fino alla punta delle orecchie, si lasciò andare ad una risata nervosa che seppellì nell'incavo del collo del maggiore, afferrando i lembi della sua divisa con le dita.
    «Sei uno stronzo.» mormorò, scuotendo la testa per scacciare la sensazione di trovarsi terribilmente in difficoltà. Risollevò appena la testa, ancora il sorriso sulle labbra che poggiò appena sulla guancia altrui, evitando accuratamente di incrociarne gli occhi.
    «Ti voglio senza questi cazzo di vestiti addosso.» Voleva la guerra? La guerra avrebbe avuto. Se pensava di poter chiudere la questione facendolo semplicemente morire di vergogna aveva ragione, nossignore, si sarebbe impegnato per prendersi una meritata vendetta. Passò un dito sotto al colletto della divisa dell'altro, strattonandolo leggermente per dar maggior peso alle proprie parole. «E voglio che smetta di credere che mi spezzerò» letteralmente? In senso figurato? Entrambi? Chi mai avrebbe potuto dirlo. Non aveva smesso di sorridere, pur non riuscendo ancora a muoversi dal viso dell'altro, nascosto da quel lieve contatto con la sua guancia. «come se la cosa dovesse dispiacermi.» alzò leggermente le spalle, impedendo a sé stesso di ridere per rovinare l'intensità di quelle poche frasi che era riuscito a mettere insieme nonostante tutto.




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    «Sei uno stronzo.»

    Malgrado l’atmosfera carica di sensualità, quelle parole erano riuscite a divertirlo, conscio che Mabel avesse ragione. Sì, era uno stronzo, gli piaceva da pazzi mettere in difficoltà il minore, ovviamente solo in situazioni che non richiedevano serietà; e non che l’idea di fare sesso fosse da considerare priva d’importanza! Anzi, era qualcosa che lui avrebbe preso chiaramente con le dovute maniere, ma non c’era niente di male, a suo avviso, nello stuzzicare il Withpotatoes con parole volte a farlo arrossire. Perché quelle guance rosse, se unite alla tenerezza che spesso gli provocava (e non solo quella, avrebbe voluto aggiungere) lo mandavano fuori di testa. Era così carino nell’insultarlo, nascondendosi nell’incavo della sua spalla, respirandogli sul collo come se, a sua volta, si stesse trattenendo.
    Il problema principale rimaneva il non avere assolutamente idea di che esperienze avesse avuto Mabel prima di lui. Fin dove poteva spingersi? Quanto avrebbe potuto osare e come avrebbe fatto a fermarsi una volta iniziato? Il minore non gli sembrava affatto il tipo da una botta e via, soprattutto per i suoi modi insicuri; dubitava che avesse avuto più di una esperienza, forse addirittura nessuna.

    Per quanto lo riguardava, sebbene non ne avessero mai parlato apertamente, era abbastanza fisico. Non gli importava del ruolo nel sesso, spesso si lasciava guidare dall’istinto o dal bisogno. In quel caso avrebbe tanto voluto che Mabel lo ribaltasse sul letto, ma dubitava di poter pretendere così tanto. L’altro non era ancora entrato nella sua stessa ottica, eppure non dubitava che sarebbe stato meglio, probabilmente, che Mabel prendesse le redini per acquisire un po’ di sicurezza. D’altronde, la prima volta tra due uomini non era affatto facile, o piacevole come si ci sarebbe potuti aspettare—faceva male e non poco, ma lui non aveva mai fatto mistero che il dolore gli piacesse, quindi aveva patito di meno.
    Anzi, gli era addirittura piaciuto.

    Era evidente che qualcosa, in lui, proprio non andasse. Era sicuro, però, che Mabel non avrebbe mai apprezzato qualcosa del genere, quindi—magari avrebbe accettato di buon grado l’essere attivo in un possibile rapporto.
    Non credeva, comunque, che fosse qualcosa di cui preoccuparsi in quell’istante. Primo perché si trovavano nel dormitorio dei Tassorosso, secondo perché non gli sembrava ancora in grado di reggere la botta. In tutti i sensi.

    «Ti voglio senza questi cazzo di vestiti addosso.»

    Solleva entrambe le sopracciglia, ammirato da tanta audacia, osservando con la coda dell’occhio la nuca del minore. Ehilà! Qualcuno aveva per caso preso la pozione del coraggio? Perché era riuscito davvero a sorprenderlo con quelle parole. Eppure, non gli era affatto sfuggito il rossore che prima aveva imporporato le guance del Withpotatoes, rendendolo più simile ad un pomodoro che ad un ragazzo in preda agli ormoni. Alle volte dimenticava che persino due anni di differenza potessero essere decisivi quando si parlava di sesso.
    Nonostante lo sbigottimento, si ricompone, assottigliando nuovamente gli occhi, avvertendo le dita altrui tirargli il colletto della divisa, come se volesse spogliarlo. Perché stava esitando? Gli aveva chiesto espressamente cosa volesse fargli e lui, da bravo, era rimasto fermo per permettergli di metterlo in atto. Avrebbe dovuto fargli un disegnino?

    «E allora perché li ho ancora addosso?» domanda, con una punta di malizia a confondersi con l’ironia, facendo risalire le mani sotto la felpa, ferme sui fianchi. Voleva dare a Mabel lo spazio per potersi prendere qualsiasi cosa volesse, perché sì gli piaceva avere il controllo, ma ancora di più la sorpresa, l’aspettativa. Essere nelle mani di Mabel lo rendeva debole «Ah, beh» sorride appena, conscio di quanto quelle parole fossero fraintendibili «magari sarai tu a spezzare me. Chi può dirlo?» con delicatezza, gli solletica la zona di pelle scoperta, sentendolo vibrare per le evidenti risate trattenute. Oh! Era un tipo da risata nervosa? Che cosa carina. Chissà come avrebbe reagito se gli avesse detto qualcosa di romantico, in un altro contesto. Gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia? Probabile.

    «Come mi vorresti?» mormora, approfittando della vicinanza con l’orecchio del ragazzo, sottolineando il “come”, forse per fargli intendere finalmente a cosa si stesse riferendo «perché siamo entrambi d’accordo che i vestiti sono superflui» per dispetto, soprattutto per l’imbarazzo di Mabel nel guardarlo, inizia a mordicchiargli il lobo.

    No, era chiaro che quel giorno non avrebbero fatto nulla, c’erano ancora troppe cose da sistemare. Però era intrigante stare così vicini, tanto da poter mescolare i respiri e stuzzicarsi con le parole. Forse Mabel non aveva mai giocato al gioco della seduzione, non aveva mai provato il brivido dei giochi mentali.
    In realtà, trovava più eccitante tediarlo piuttosto che fare qualsiasi altra cosa; era ovvio, però, che non fosse solo quello ad interessarlo. Il corpo di Mabel era terribilmente invitante, persino con quella dannatissima felpa a coprirlo o i pantaloni del pigiama a strusciare su quelli della divisa.

    «Sai a cosa penso durante la notte, con le tende del mio baldacchino tirate?» sussurra, strusciando la guancia libera dalla solita barba su quella liscia del minore «a te. E devo coprirmi la bocca con la mano per non essere sentito dagli altri.» la guerra? Lui voleva un’esplosione nucleare. Perché se Mabel si stava ancora trattenendo, vinto dall’imbarazzo, allora lui l’avrebbe fatto morire, solo per fargli capire quanto lo desiderasse.

    Era un Serpeverde, sapeva perfettamente dove mirare.

     
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    mabel withpotatoes
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    Mabel era per certi versi ancora un bambino. La sua era una sessualità acerba, priva dell'audacia e della malizia di un ragazzo se non vissuto, almeno maturo. Non agiva per provocare o nella consapevolezza che sfiorare certi tasti avrebbe risvegliato precise reazioni, andava a tentoni come un giovane impacciato, seguendo più l'istinto che delle precise regole auto imposte. Gli sarebbe piaciuto saperne di più, avere almeno una vaga idea di come compiacere il proprio compagno e si pentiva di non averci pensato prima; aveva l'impressione di non capirci niente, il timore di sbagliare e risultare ridicolo agli occhi dell'altro, la sensazione di apparire eccessivamente smarrito. Credeva che il sesso fosse una cosa complessa, che necessitasse di un certo bagaglio di esperienza, che fosse difficile conciliare il proprio piacere con quello altrui.
    Non aveva idea di cosa Aaron potesse desiderare e peggio, non sospettava neppure che i propri vizi potessero coincidere con quelli altrui, a stento conosceva sé stesso sotto quel punto di vista.
    Ci aveva provato a tirar fuori un po' di quella passione che sentiva ribollirsi dentro come lava, a mostrarsi più ardito di quel che in realtà non fosse, ma l'aveva fatto unicamente per sorprendere l'Icesprite, per prendersi una piccola rivalsa dalla sua provocazione. La verità era che non si sentiva un granché portato per quelle cose — ancora una volta, preferiva di gran lunga i fatti alle parole.
    «E allora perché li ho ancora addosso?»
    Bella domanda, perché li aveva ancora addosso? Fece scivolare le mani sul tessuto della camicia bianca, scivolando su ciascun bottone per poterlo slacciare, sfiorando di tanto in tanto coi polpastrelli la pelle sottostante.
    «magari sarai tu a spezzare me. Chi può dirlo?»
    Errr forse? Il Withpotatoes non si era mai soffermato troppo su quel particolare aspetto della questione. Era convinto che fosse necessario trovarsi nella situazione per poter decidere cosa preferisse e cosa invece no — in breve, non aveva intenzione di sottrarsi a niente. Non con Aaron, almeno. L'idea delle sue mani, del suo corpo a stretto contatto col proprio, lo facevano impazzire senza bisogno d'aggiungere altro: avrebbe lasciato che gli facesse qualsiasi cosa, gli avrebbe fatto qualsiasi cosa, aveva solo paura di non riuscire mai ad averne abbastanza.
    «Come mi vorresti?»
    Non solo il Serpeverde stava evidentemente divertendosi continuando a stuzzicarlo, aveva persino osato spingersi oltre, fino a un punto in cui Mabel non era pronto a giungere e chissà se lo sarebbe mai stato. Ecco, avrebbe potuto far tutto, meno che costringerlo a parlare. Non poteva proprio farcela, e non perché non avesse chiaramente scritta in testa la risposta a quella domanda: dargli voce era tutt'altra cosa.
    «con la faccia premuta contro il cuscino per farti star zitto.» sussurrò quindi con la più angelica delle espressioni, come se persino quelle parole, calate in quel preciso contesto, non avessero comunque un che di erotico.
    Liberata l'ultima asola, poggiò le labbra sulla spalla spoglia dell'Icesprite lasciandovi su una leggera scia di baci, senza smettere di sfiorare la pelle ormai esposta del costato con le dita.
    «E devo coprirmi la bocca con la mano per non essere sentito dagli altri.» sì, certo, che continuasse pure, come se non rischiasse già di fargli perdere la testa semplicemente esistendo. Dio, lo odiava terribilmente. Odiava quella sua pazienza, quella sua continua voglia di tediarlo, quel calore che emanava e che invadeva Mabel ogni qual volta gli si avvicinava troppo. Lo odiava perché non aveva idea di quanto ancora sarebbe riuscito a contenersi. Poco.
    Appunto, sollevò una mano per coprire la bocca del Serpeverde ed impedirgli di continuare. Allontanò il viso dalla sua spalla per poterlo guardare negli occhi, languidi per il desiderio eppure fermi nell'idea di volersi dare un contegno.
    «No.» gli ordinò perentorio, premendo il palmo più forte contro le sue labbra. «Tu parli decisamente troppo.» lo osservò per qualche istante con un sopracciglio sollevato, un po' indeciso sul da farsi ma certo di non poter reggere un'altra parola di più. Lentamente e con un po' d'esitazione allontanò la mano dal viso di Aaron, ma solo per poterla poggiare sul tessuto candido della sua divisa e lasciarla scivolare di più oltre le spalle. «Ma se proprio vuoi restare in tema, mi piacerebbe capire a cosa pensi in particolare. A me è un tantino generico, ben al di sotto delle tue possibilità Icesprite.»




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    Non poteva farci assolutamente nulla, adorava mettere Mabel in imbarazzo.
    Non era cattiveria la sua, sebbene a primo acchito potesse dare quell’impressione. Si trattava, invece, di pura e semplice curiosità, perché in fondo erano ancora all’inizio di quella strana e inaspettata relazione, per cui la voglia di conoscere ogni più piccolo particolare era qualcosa di completamente nuovo. Ogni scoperta, ogni respiro, ogni tremito erano dei pezzi del puzzle che stava cercando di ricomporre, così da dare una forma più chiara al minore. Mabel non era semplice da capire, ma c’erano dei comportamenti che gli risultavano comprensibili. Come, ad esempio, il rossore sul suo viso o ancora di più l’incapacità di esprimere i propri desideri, l’insicurezza di una persona chiaramente inesperta.
    Il sesso era un qualcosa di fin troppo intimo e poteva capirne la ritrosia, d’altronde essere la prima volta di qualcuno poteva essere una grossa responsabilità. Anche avere a che fare con le parole, in quel contesto, poteva risultare abbastanza difficile, specie per chi non era abituato o portato.

    Dal canto proprio, adorava parlare durante quei momenti. Il potere delle parole era immenso se associato alla giusta tempistica. Provocare, stuzzicare, iniettare la curiosità solo esprimendo poche frasi era eccitante, specie con qualcuno capace di rispondere a tono.
    Nonostante Mabel non fosse ancora pratico, o magari non dentro quel genere di preferenza, la risposta che gli rivolge lo lascia piacevolmente sorpreso.
    Un guizzo d’interesse gli attraversa le iridi chiare e nemmeno la consapevolezza che l’altro gli stesse sbottonando la camicia riesce a distrarlo da quella affermazione buttata lì candidamente, quasi con nonchalance.
    Oh, anche a lui sarebbe piaciuto immensamente che gli premesse il viso sul cuscino, perché quello implicava l’essere posseduto piuttosto che possedere.

    «Questo è molto più interessante.»

    Eccome se lo era. Si poteva notare da quanto il suo sguardo fosse languido e le sue gote, in genere pallide, fossero appena tinte di rosso, mettendo in risalto le lentiggini sul naso. Ecco, erano proprio quelle le risposte che gli facevano girare la testa, che lo portavano a pensare a Mabel durante la notte, chiedendosi se anche lui facesse lo stesso, se una semplice doccia fredda riuscisse a fargli calmare i bollori. Perché lui, in realtà, le aveva provate tutte, ma si sentiva come un adolescente in preda ad una crisi ormonale, con la perenne voglia di toccare la fonte di tanto bisogno. A quel punto, pensava che quella necessità, fosse dovuta principalmente al tempo; Eugéne non si era mai permesso di sfiorare Maverick, nemmeno con un dito, ma questo aveva portato inevitabilmente ad una frustrazione tale da rendergli impossibile qualsiasi altra attività. E allora, non poteva essere che tutto quello si fosse, in qualche modo, insidiato in lui come un maledetto virus? Il bisogno che aveva di Mabel era sempre così forte da lasciarlo senza fiato, spesso si vergognava di sé per avere sempre, costantemente, il pensiero alle mani di Mabel sul suo corpo.

    Si ritrova a sospirare ai baci sulla spalla nuda, alla mercé del Withpotatoes. D’altronde, era stato abbastanza chiaro e non si sarebbe mosso di un millimetro, a meno che l’altro non avesse deciso di terminare lì il loro incontro iniziato con il terrore e finito, invece, con l’eccitazione. Le lettere non erano passate in sordina, ma solo in secondo piano. Aveva ancora in mente a vorticare come una trottola impazzita la parola “fratelli”. Ma perché, allora, non riusciva proprio a farsene una colpa? A non provare disgusto?
    Tutto quello che sentiva era ben nascosto nei pantaloni, a dire il vero.

    Sta quasi per parlare, per continuare quanto affermato in precedenza, beandosi dei baci e dei tocchi sul costato, ma quasi non sobbalza per la sorpresa, ritrovandosi la mano di Mabel a premere sulle labbra per zittirlo. Per un attimo, aveva pensato che avrebbe messo in pratica la minaccia di poco prima e non poteva negare che un brivido gli avesse accarezzato la schiena come la più dolce delle promesse.
    A parte quello, comunque, lo fissa con gli occhi sgranati, confusi e le sopracciglia sollevate. Quel “no” secco lo mette in allarme, preoccupato di aver calcato troppo la mano, di aver oltrepassato un punto che andasse al di là delle capacità o della voglia del Tassorosso.

    «Tu parli decisamente troppo» eh, sì. Legit.
    Nonostante le parole altrui, assottiglia lo sguardo, chiaramente in un’espressione beffarda. Non era necessario vedere il sorriso a solcargli le labbra, lo poteva percepire sul palmo.
    In realtà, gli veniva abbastanza da ridere. Non solo perché Mabel sembrava essersi preso di coraggio, così tanto da addirittura aprirgli la camicia, ma perché fosse totalmente imbranato nell’esplicare a voce quanto volesse. Perché dirgli che parlasse tanto, se poi voleva sentire a cosa pensava durante la notte?

    Una volta libero dall’impedimento ne approfitta per umettarsi le labbra e per insinuare le mani fin sopra il petto del minore, accarezzando con il pollice le zone più sensibili. Alla fine lo fissa sornione, non proferendo parola. Embè? Gli aveva detto implicitamente che non doveva parlare, giusto?
    Alle volte si sentiva lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie, mh.


     
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