So are you ready for the dancehall tonight?

aperta a tutti gli studenti!!&&

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    we'll be together again

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    «non ci posso credere» sibilò fra i denti, marciando da una parte all’altra della Sala Comune dei Tassorosso senza ricambiare la – evidente – occhiata preoccupata di suo fratello. Era minimo, minimo la sedicesima volta che ripeteva quell’unica frase, ma in quel momento la sua oltraggiata mente non riusciva ad elaborare altro: perchè non ci poteva credere. Erin Therese Chipmunks, conosciuta ad Hogwarts con lo pseudonimo Erin Timberlake Aguilera, era venuta a conoscenza dell’assurda iniziativa riguardante la Sala delle Torture settimane prima, ma s’era sforzata di credere si trattasse solo di voci di corridoio – uno scherzo, nulla più; se avesse preso sul serio tutti i commenti che giravano fra le mura della scuola, non sarebbe più uscita dal caldo baldacchino giallo della sua camera. Si fermò di scatto, i piedi ben piantati al suolo. Erin aveva un’ampia gamma di emozioni, ed era trasparente come il vetro di una serra: felice, anche se mai spensierata; allegra, vivace, innamorata, timida ed impacciata – quelli erano aggettivi che ben si addicevano normalmente alla Tassorosso, e che chiunque l’avesse mai conosciuta le avrebbe affibbiato con certezza matematica.
    Ma quella? Chi l’avrebbe mai detto, che Erin potesse arrabbiarsi; pareva così estranea quell’espressione cocciuta sul viso della ragazza, eppure così maledettamente adatta nelle sopracciglia corrugate e le labbra carnose strette fra loro. Dire che Erin fosse adirata, sarebbe stato un eufemismo.
    Era furiosa. Dal basso del suo neanche metro e sessanta, con il viso tondo e gli occhi di un tenue verde muschio sporco di grigio, i capelli a scivolare disordinati da una crocchia imprecisa, e l’immancabile pigiama a forma di unicorno che la copriva da capo a piedi, chiunque avrebbe detto non fosse umanamente possibile che potesse far paura – Erin, poi! - eppure non ebbe bisogno di guardarsi allo specchio per sapere che quella era l’impressione che suscitava, nella ferocia con cui comprimeva ogni piastrella sotto i talloni. Eredità di una vita, letteralmente, prima: Tupperware Jackson-Armstrong non era certo conosciuta per essere la ragazza più mite del circondario. E per un fottuto (si, avete letto bene: fottuto) motivo. «sono così -» inspirò troppo velocemente, quasi strozzandosi con la sua stessa saliva, stritolando il morbido tessuto – e immaginando di avere fra le falangi il collo dei suoi compagni. - del pigiama fra le dita. «STUPIDI!» ringhiò esasperata, premendo i palmi sul viso bollente. Non aveva mai avuto reazioni così violente (neanche quando Jeff non le aveva dato la Thiam canon) e per un secondo ebbe timore di se stessa nel sentirsi vibrare di un’emozione che credeva sconosciuta. Ruotò un disperato e liquido sguardo su Scott, il quale sedeva sulla poltroncina impotente ed offeso quanto lei. Il fatto che fosse più garbato di Erin nei modi, non significava che fosse meno sconvolto dalla notizia appena giunta, sotto forma di bisbigli, da ridenti concasati: qualcuno aveva davvero - davvero! - messo in pratica l’occupazione della sala delle torture.
    Decine di studenti al macello.
    Le veniva da piangere. «perché?» sussurrò sulle proprie mani, chiudendo sofferente le palpebre. Perché.
    Erin era un membro della Resistenza da tutta la vita. Non aveva mai conosciuto una realtà che fosse diversa dalla Ribellione: l’aveva respirata dal suo primo vagito, una vita prima e dopo, e se l’era portata appresso nella sua seconda possibilità, crescendo al Quartier Generale. Aveva visto tanti, troppi soldati tornare dalle missioni con la guerra negli occhi e la pelle sporca di sangue; aveva pulito le ferite di tanti, troppi Resistenti che non erano in grado di tenere da sé una garza, asciugando le loro lacrime con la manica della propria maglia; aveva pianto troppi caduti in battaglia, consolato troppe famiglie straziate, per essere impermeabile alla questione rivolta. Era una causa in cui credeva, una causa per la quale viveva - per la quale aveva lottato, sempre.
    Proprio per quei motivi, non riusciva a capacitarsi della superficialità di quei ragazzi: sapeva non avrebbe portato da nessuna parte.
    Era un suicidio. Ed un omicidio.
    Era «troppo idiota per essere vero». Nascose il viso fra le mani, espirando piano fra le dita. In una scuola dove avere la divisa in disordine portava a carne e sangue nella Sala delle Torture, come potevano credere che l’occupazione di tale stanza potesse portare a qualcosa? Con quale logica? Era assurdo – era insensato. Lo sapevano cosa succedeva ai Ribelli catturati dai Pavor? Ne avevano idea? Non venivano torturati; non subivano un processo.
    Venivano uccisi.
    Il cuore tamburellava veloce contro le costole, pompando tossica adrenalina nel compatto organismo della Chipmunks. Se davvero - davvero - stavano portando avanti l’occupazione, significava che…c’era anche Nathan? Aveva detto di essere d’accordo, all’epoca; Erin non aveva voluto crederci.
    Perfino in quel momento, si rifiutò di crederci.
    Chi c’era? chi era stato così – così! – sciocco da unirsi a quel suicidio di massa?
    Non le importava – non realmente. Non aveva rilevanza fossero suoi amici, o ragazzi con cui non aveva mai scambiato mezza parola: erano pur sempre persone.
    Ragazzini.
    Pensavano forse che il Regime avrebbe avuto pietà di loro solamente perché minorenni? Che avrebbero ricevuto uno scapellotto ed un paio di compiti extra? «moriranno, scott» sussurrò, togliendo lentamente le mani dal viso.
    Non solo Van Lidova, oltre ad essere il Preside, era il Ministro.
    Era Dragomir Vasilov. «cosa facciamo?» una domanda sciocca, superflua: leggeva la risposta nei tristi occhi spalancati di Scott Chipmunks. Niente.
    Ma sapeva la secca replica dei propri. «non posso -» scosse il capo, chiuse gli occhi. Era furiosa e terrorizzata, nei suoi mal portati diciott’anni di vita. «non posso far finta di niente, scott.» riaprì le palpebre, avvicinandosi al fratello per prendere le mani di lui nelle proprie. «non posso» Perché Amalie non l’avrebbe permesso.
    Ma Amalie non era lì per impedirlo. «devo almeno -» umettò le labbra, alzando i risoluti occhi chiari in quelli del fratello. Bruciava d’intensità, Erin Chipmunks – perfino in quello stupido costume da unicorno, con i capelli ora sciolti ad incorniciargli le guance febbricitanti. «provarci. non me lo perdonerei mai se -» Non concluse la frase – ovvia nell’aria fra loro.
    Non se lo sarebbe mai perdonato, se fossero morti.
    «voglio andare, scott.» Esitante nello sguardo, ma non nelle mani a ricambiare la stretta di sua sorella. «allora andiamo» Sospirò un singhiozzo, l’ennesima conferma nelle dita intrecciate a quelle del Chipmunks. Erano fratelli, ma non erano solo quello: erano gemelli.
    Ed in entrambe le vite, era prima stato il suo miglior amico, un secondo battito che non aveva saputo le mancasse finchè non l’aveva trovato. «insieme?» Il sorriso accennato di Scott non avrebbe avuto bisogno di altre parole, perché quella scena l’avevano già vissuta.
    Nel 2043.
    Prima della missione a Brecon.
    Ogni giorno della loro vita.
    Ma lui parlò comunque, sancendo una promessa insita nel loro stesso sangue: «come sempre»

    […]

    Dimentica delle buone maniere, Erin si fiondò all’interno della Sala delle Torture con la grazia selvaggia di un uragano. Non si era sprecata a cambiare i propri abiti in qualcosa di più appropriato per l’occasione, ma non aveva abbastanza spazio nello sterno per sentirsi a disagio, compressa com’era fra terrore e – decisamente più in larga parte – furia. Non registrò neanche la presenza di Hunter e Charlie, superando entrambi per piazzarsi al centro di quella stupida - stupida! - folla.
    Se fosse entrata da un macellaio, non avrebbe notato la differenza.
    «di chi è stata questa» chiuse gli occhi ed i pugni, i denti e la bocca. Inspirò dalle narici cercando un briciolo di auto controllo, prima di sollevare le palpebre e guardarsi finalmente attorno: il fatto che non ci fosse, apparentemente, nessuno dei suoi amici più stretti, non la fece sentire meglio.
    Affatto. Perché erano solo dei maledetti ragazzini, con un maledetto impianto (inutile, per lo più, considerando che ad Hogwarts la tecnologia non funzionava) video e maledette birre come ad una qualsiasi festa liceale. «stupida» sibilò, sfiorando ciascuno di loro con la propria rabbia. Iden? Davvero? Gli occhi verdi di Erin si sciolsero in un istante di delusa tristezza, prima di tornare cocenti nella calda bolla dell’ira. «idea?» prima che qualcuno potesse risponderle, sempre che qualcuno le stesse dando ascolto, sollevò un accusativo indice contro di loro: non aveva importanza di chi fosse stata l’idea.
    Oramai c’erano tutti dentro. «vi rendete conto di cosa state facendo? La chiamate - la chiamate rivolta, e ne andate fieri?» non era una ragazza tipicamente violenta, ma sentiva le mani prudere dal bisogno di prenderli a schiaffi, e rimetterli in riga. «sapete cos’hanno in comune tutte - tutte - le rivolte?» erano mai stati attenti a lezione? L’avevano mai letto un giornale? Rise secca ed affatto piacevole, allargando impotente le braccia lungo i fianchi. «la gente muore. e non solo -» li indicò, scosse il capo mordendosi l’interno della guancia. «non solo chi partecipa, perché – non diciamoci cazzate -» EBBENE Sì, ERIN CHIPMUNKS AVEVA DETTO UNA PAROLACCIA. «la scuola sa» aka: «la scuola è complice» ma dov’erano cresciuti? Nel suo stesso mondo? E se la ridevano, loro – ridevano e scherzavano come se quello fosse stato lo scherzo più divertente del mondo. «non è un GIOCO» ringhiò, piantando le unghie nel palmo.
    Vasilov è Van Lidova. Vasilov è Van Lidova. Vasilov è Van Lidova.
    Le avrebbero creduto? Sarebbe stato abbastanza per farli uscire? Perché non era così che si portava avanti una rivoluzione – non erano pronti. Non avevano le armi adatte. «e con questa stupida trovata del CAZZO» sì! UN’ALTRA PAROLACCIA PER ERIN CHIPMUNKS, OKAY. «rischiate di rovinare tutto quello per cui la gente con un minimo di CERVELLO» era un caso che la presenza dei Corvonero fosse pressochè inesistente? Non credeva. «sta davvero combattendo.» uno dei motivi che più la straziava.
    Stavano rovinando tutto. L’esercito di Amalie si muoveva piano e con cautela, piccoli passi per rendere il mondo, il loro mondo, più tollerabile: un’occupazione avrebbe mandato a monte ogni, minimo!, progresso fino a quel momento.
    Ed era tutto ciò che Erin avesse di Amalie Shapherd. Quando (doveva essere un quando, non un se) sarebbe tornata, aveva tutta l’intenzione di mostrarle quel che avevano fatto in sua assenza: lentamente, avrebbero cambiato le cose. la storia. Le persone. «egoisti, superficiali ed infantili» lanciò una bieca occhiata al Dumont, senza celare - perché avrebbe dovuto? - l’angoscia nelle iridi chiare: era mortalmente seria.
    Aveva bisogno - aveva bisogno capissero. Continuò con un tono più quieto, ma non meno scottante sulla lingua. «il preside è il ministro della magia» scandì, chiudendo le palpebre. Doveva spiegare il resto, o ci arrivavano da soli? «cosa – cosa diamine sperate di ottenere? ci sono modi più discreti per morire, se è questo che state cercando» non cercò il supporto di Hunter – il quale era presumibilmente meno felice di Scott della sua presenza lì – ma una parte di Erin, avrebbe voluto farlo: una parte di Erin, d’altronde, con Hunter ci era cresciuta. Tupp poteva anche non esistere più, ma quel che la donna aveva costruito, era rimasto incastrato in ogni respiro e battito della Chipmunks. «e se non è quello che state cercando, avete sbagliato qualcosa» Per favore - per favore, andate via. Deglutì ed abbassò infine lo sguardo sulle proprie mani.
    «un anno fa -» mi hanno portato via i miei amici, la mia famiglia. «persone a cui tenevo…» morse il labbro inferiore, correggendosi. «persone che conoscevamo, sono -» sparite. Deglutì la verità in favore di una più semplice menzogna. «- morte, e…» Inspirò.
    Hai quasi finito, Erin. Sapevi sarebbe finita così. Dillo.
    Fallo
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    «non ho potuto fare niente per impedirlo. ma qui, ed ora, posso – devo…dovevo almeno provarci» si sedette per terra, esattamente lì dov’era, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
    Testarda, lo era stata sempre. Leale.
    Stupida quanto loro, evidentemente. «non vivrei bene con me stessa se sapessi di non averci provato» ed allora perché era ancora lì? Perché aveva ancora tempo per convincerli a fare la cosa giusta. «e non uscirò di qui finchè non porterete il vostro culo» da marmocchi. Ecco, in quel momento le avrebbe fatto comodo un Aaron Icesprite a caricarsi in spalla tutti quei pischelli, e sbatterli fuori – peccato non credesse fosse roba per lui. «al sicuro.» Incrociò risoluta le braccia al petto.
    Giovani, vi odio tutti – cit Freme.

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    «Caro Prefetto, fossi in te non mi farei prendere dall’ansia adesso.» Charlie lo aveva guardato; era un serpeverde, ricordava il suo volto – lo aveva incontrato un paio di volte nella sala comune. Che diavolo ci faceva lì? Non sembrava il tipo da fare una cosa tanto sciocca ed insensata. Non mi sto facendo prendere dall'ansia. Aveva risposto con un tono basso e serio, seguendo con lo sguardo le azioni dell'altro – lasciandolo andar via senza proferir parola. Tanto si sarebbero incontrati nuovamente là dentro, in un modo o nell'altro. In quel casino. Aveva infine distolto gli occhi dalla figura del serpeverde che ormai aveva girato l'angolo, rilasciando dalla bocca un sospiro di sollievo nel ritrovarsi nuovamente da solo nel suo silenzio. Silenzio che durò poco, tuttavia. Quella voce, che ormai conosceva come le proprie tasche, lo scosse dai pensieri una volta per tutte – facendolo cadere dalle nuvole. Eccola lì, la famosissima ciliegina sulla torta. Aveva fatto di tutto per evitarlo, in quei due mesi (o poco più). Aveva cambiato corridoi, orari, ma più di tutto non si era presentato ai loro incontri settimanali. E per cosa? Per quello che era successo ad halloween. Perlomeno per quel poco che riusciva a ricordare, e che lo aveva portato a pensare di staccarsi definitivamente dal ragazzo – o comunque di non farsi vedere con lui per un certo periodo di tempo. In quel momento si aspettava i peggiori insulti da parte sua – insulti ovviamente ben più che meritati – e non di certo un discorso su Rose e sul fatto che lei non era una stupida. Nemmeno Halley lo è. Lei è..coraggiosa. Stava forse cercando di tranquillizzare il corvonero? A modo suo, sì. E Charlie per un momento si era perfino tranquillizzato nel non sentire l'altro prefetto fare allusioni al suo comportamento decisamente poco carino nell'ultimo periodo. Per un momento. «Sei sparito.» Sbadam, un sasso tirato tra capo e collo. S'irrigidì a quelle parole, e ancor di più a quelle seguenti, senza riuscire a guardare il ragazzo dritto in faccia. Preferiva alla lunga il pavimento, o le proprie scarpe – che improvvisamente sembravano così interessanti, mhmh. Io non ti ho um-.. “Umiliato”, stava per finire la frase – prima di alzare lo sguardo e notare quell'indice che sembrava dire ”ora stai zitto, Charlie”. E non proferì parola, esatto. Muto come un pesce, a testa bassa, sentendosi colpevole. In imbarazzo. Colto sul fatto come uno sporco ladruncolo. Tuttavia si sentì sollevato nel constatare che il corvonero non avesse memoria di quella notte, e sospirò nuovamente di sollievo. Lui aveva pensato al peggio. Credeva davvero che lui ricordasse qualcosa di quella notte e che ce l'avesse con il serpeverde. Charlie era forse pessimista? Giusto un pochino. Quel tanto che bastava a non fargli pensare “ehi, magari è tutto un malinteso. Magari non è successo niente di così eclatante”. Perché in fondo era così. Non era successo chissà cosa – ma questo lui non lo sapeva. Ricordava poche cose; ad esempio Hunter senza la maglietta. Lui che, sotto l'effetto del filtro d'amore, si era infatuato del corvonero e ci aveva un po' provato. Insomma, queste cose facevano pensar male – per non parlare del fatto che si era spazzolato quasi tutti i biscotti speciali. My dream is to fly over the rainbow so high. So hiiiigh. E Hunter, in tutto questo? Era ubriaco. Aveva pensato ogni settimana di andare ad uno dei loro incontri per spiegare tutto, per scusarsi e ammettere di aver sbagliato. Ma lui non era così. Non diceva mai quello che sentiva; mentiva. Lui negava, negava, negava. Negava l'evidenza. Negava a se stesso e agli altri. Negava di aver paura. Negava di sentirsi piccolo come una formica. Ma negare non cambia la realtà. E prima o poi si sarebbe dovuto disfare di tutte quelle negazioni, di tutte quelle menzogne, per guardare in faccia la verità. Nuda e cruda. Lo aveva seguito fin dentro la sala delle torture guardandosi velocemente intorno, alla ricerca della sorella che fortunatamente sembrava non esserci. E nemmeno quella di Hunter. Rimase in silenzio, ascoltando le parole – più che giuste – del corvonero, rivolte a tutti gli studenti presenti in quella stanza. E avrebbe detto anche lui qualcosa, se solo non avesse visto passare una ragazza incazzata nera. Ma che.. Aveva iniziato un discorso, arruffando le penne al centro di tutto quel bordello. L'avrebbero sicuramente fatta fuori, per modo di dire. Nel vedere quella specie di suicidio sociale (?) da parte della moretta, si era girato verso Hunter – finalmente guardandolo in faccia – (con quale coraggio? Bho) per fare cenno con la testa verso la sconosciuta. Stammi vicino. Cerca di ricordare cosa ti ho insegnato a proposito delle scazzottate. Riflessi pronti. E..se ne usciamo vivi, dopo parliamo. Si era quindi incamminato verso di lei, pronto ad aiutarla, mettendo entrambe le mani sulle sue spalle. Bene, okay. Grazie Brontolo per aver parlato. Adesso puoi tornare nel tuo dormitorio e lasciar fare a noi. L'aveva guardata spostandola dal centro, dato che era un bersaglio facile da prendere, per poi rivolgersi al resto degli studenti. Questa notte state deludendo tutti. Vi facevo più furbi, intelligenti e coraggiosi di così. Invece vi state dimostrando stupidi, avventati ed egoisti. Avete la minima idea di che cosa avete fatto? Occupare la stanza delle torture, fumando e bevendo. Sul serio? Non solo state mettendo a rischio voi stessi. MA L'INTERO CORPO STUDENTESCO. Aveva alzato la voce, passando lo sguardo su di loro – serio più che mai. Arrabbiato. Ci sono ragazzini che verranno puniti per questa cazzata. Verranno torturati. E sarà solo colpa VOSTRA. Pensate sul serio di ottenere qualcosa così? No. Ci saranno solo conseguenze spiacevoli. Arriveranno i professori e puniranno anche chi non c'entra niente, per dare l'esempio. Saranno più severi. Più cattivi. Sapete, finché si tratta di una festa clandestina nei dormitori va bene, possiamo chiudere anche entrambi gli occhi, perché non fate del male a nessuno. Ma questo..No. Non vi permetteremo di condannarci tutti a torture non necessarie. Si era fermato un attimo, passando l'avambraccio sotto al naso sentendo montare l'ira in tutto il corpo. QUINDI PORTATE LE VOSTRE LURIDE CHIAPPE FUORI DI QUI ALL'ISTANTE, O GIURO CHE VI PRENDO A CALCI UNO PER UNO. DOVESSE ESSERE L'ULTIMA COSA CHE FACCIO. Non tra cinque minuti, non tra due. ORA. Aveva ruggito come una leone, indicando la porta della sala, guardando l'altro prefetto per un momento.
    Roses are red, shit is brown. Shut the fuck up, and sit the fuck down.
    3am | 16 y/o | prefect
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    Edited by u m e - 8/12/2018, 14:44
     
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    Lo stavano facendo incazzare? Lo stavano facendo incazzare.
    Non perché avesse difficoltà ad accettare pareri diversi dai suoi - anche -, non per quanto lo irritassero i guastafeste - pure quello -, ma perché non riusciva a credere ai propri occhi ed alle proprie orecchie. Avrebbe anche potuto comprendere la ritrosia di quelli che non avevano mai messo piede in Sala Torture a partecipare ad un'iniziativa tanto rischiosa, così come non avrebbe biasimato la neutralità dei Prefetti, ma quello? No, non c'era giustificazione per tutti quelli che pur sapendo, pur essendo stati a loro volta vittima delle violenze perpetuate e spacciate per normalità tra le mura di una scuola, una /scuola/, non solo stavano scegliendo consapevolmente di non opporvisi, avevano persino da ridire su chi invece aveva scelto di rischiare la propria vita per cambiare le cose.
    L'aveva già sentita con Perses quella stessa delusione, la sensazione di non essere appoggiato neppure da uno dei suoi migliori amici in quella che aveva finito per diventare la sua battaglia, ma quello era senza ombra di dubbio peggio: nessuno stava centrando il punto della questione. Non Viktor, che l'aveva seguito solo nella speranza di fargli cambiare idea; non Heather, che era lì per un favore tra amici; non Iden, che con tutta probabilità intendeva solo prendersi gioco di lui come aveva già fatto; non certo tutti gli altri, che si erano presentati per caso o perché non avevano niente di meglio da fare. Nessuno di loro, nessuno aveva davvero compreso l'importanza di una rivolta studentesca, nessuno aveva pensato neppure per un istante di poter fare la differenza.
    Era terrificante il modo in cui non solo gli studenti di quella fottutissima scuola, ma l'intera comunità magica, continuasse a fingere di non vivere in un mondo assurdo, che accettasse di sottostare a regole che non avevano niente di giusto, niente per cui valesse la pena rispettarle. Non era paura la loro, in quel caso avrebbe anche potuto capirlo, era puro accomodamento: si erano talmente abituati a vivere in quel modo da arrivare a convincersi che fosse normale, da ritenere assurdo anche solo provare a contestare il Regime.
    Charles non era un ribelle. La Resistenza aveva voltato le spalle alla sua famiglia quando più aveva avuto bisogno, e per questo lui si era sempre rifiutato di seguire le orme di sua madre, ma come poteva credere sbagliati i principi su cui essa era fondata? La sua stessa vita era stata rovinata dai Mangiamorte. Senza di loro avrebbe avuto un padre diverso, senza di loro sua madre sarebbe stata ancora in grado di riconoscerlo.
    Per tutta la vita si era sforzato di non pensarci, di non dare troppo peso all'ingiustizia che aveva permeato la sua intera esistenza, ma non era più in grado di farlo. Non dopo aver subito sulla propria pelle la tortura, non dopo aver visto i lividi sul volto di Iden, non dopo l'ennesima inconcludente visita a sua madre. C'era voluta un po' d'erba per rendersene conto? Era stata solo la scusa per dar fuoco ad una miccia già in procinto d'accendersi da fin troppo tempo.
    «excuse moi johnny, avrai il tuo croccantino-ricompensa più tardi okay?» dopo una pacca sulla spalla del coinquilino si avvicinò all'Aguilera, in viso alcuna traccia del suo solito sorrisetto sfacciato. La squadrò da capo a piedi, chiedendosi se la sua fosse solo un'inaspettata vena melodrammatica o se davvero credesse alle proprie parole, se le fosse realmente così difficile comprendere la ragione di quell'occupazione. Scosse il capo con rassegnazione, schiarendosi la voce per dar maggior enfasi a quanto aveva intenzione di dire.
    «sono deluso aguilera, ti facevo più intelligente» si fermò a pochi passi da lei, spostando poi lo sguardo sui due Prefetti e sul resto dei presenti. Dio, erano davvero tutti così idioti? «purtroppo» continuò a voce più alta perché anche gli altri lo sentissero «a tutti voi sfugge il punto della questione.» si passò una mano fra i capelli e stavolta sorrise, ma era solo amarezza quella che sentiva, non certo soddisfazione. «io non ti toccherei mai con un dito erin, mai, e lo sai perché? perché sei una ragazzina. come lo è heather, come lo è viktor, iden» ops «come lo sono io. ma loro lo farebbero eccome. i prof, oh, i prof non esiterebbero un attimo a gettarti addosso una maledizione cruciatus solo per il fatto di essere venuta qui, non gliene fregherebbe un cazzo delle tue intenzioni.» si voltò poi verso Hunter e Charlie, rivolgendo loro un'espressione quasi caritatevole. «ma se a voi sta bene, se per voi è giusto venire torturati per aver saltato una lezione di troppo, va bene. potete anche uscire adesso da quella porta e fare quello che credete sia meglio, non sarò certo io a fermarvi. se credete sia giusto leccare il culo ad un sistema che usa la violenza su dei bambini, allora fatelo pure» credevano davvero che li avrebbe picchiati? Che avrebbe tirato fuori la bacchetta per impedirgli di fare la spia? Non avevano davvero capito un cazzo. «se volete correre a dirlo al preside siete liberi di farlo, anzi, è proprio quello che dovreste fare, perché ciò che non avete capito è che il punto è proprio questo: io voglio che lo sappia. questa non è una festa clandestina con una location alternativa, mi spiace deludervi» si voltò verso il quartetto del Rinaldi, scrollando le spalle con sincero disappunto «questo è l'unico modo per far capire ai piani alti che noi studenti non siamo delle fottute marionette, che non abbiamo intenzione di lasciarci trattare ancora come se la nostra vita non valesse niente. se a voi sta bene che le persone come erin aguilera vengano spedite in sala torture, mi fate un po' schifo, ma non vi aggredirò per questo perché io non sono come loro, io non me la prendo con le persone che la pensano diversamente da me, io non uso la violenza per tappare la bocca agli altri.» melodrammatico? Charles. «non ci uccideranno, se è questo che temete. uccidere un gruppo di studenti farebbe fin troppo scalpore, dubito che una cosa del genere passerebbe inosservata anche fuori di qui e penso che nessuno voglia una rivoluzione, né tanto meno una guerra. ma proveranno a farci del male come fanno sempre, non conoscono altro modo di risolvere le cose» così avevano fatto con sua madre, così avevano fatto con decine e decine di altre persone scomparse nel nulla o morte per cause sconosciute, così avrebbero continuato a fare se nessuno avesse fatto qualcosa. «che lo facciano pure. io non muoverò il culo da qui fino a che non saremo tutti davvero al sicuro.» riprese le parole della giovane Tassorosso, fissando lo sguardo proprio contro il suo. «in una scuola, e non in una cazzo di casa degli orrori.»
    I want no money
    but write the story.
    I bet you're sorry,
    Don't fuck my homies.
    2000's | slytherin | revolutión
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    charles
    dumont
     
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    Sentiva il cuore rimbombarle nel petto, mentre per i corridoi deserti della scuola correva più veloce di quando ricordava di aver mai fatto, tra quelle mura
    «stanno organizzando una rivolta»
    Sarebbe arrivata in tempo? Doveva arrivare in tempo. Come aveva fatto a perdersi un tale evento? Lei, sempre in giro ad origliare conversazioni altrui per il semplice gusto di fare la comare, a raccogliere news scottanti da riferire ai mini reb o da condividere con JJ all'ora del tè delle cinque. Come le era sfuggita, una simile notizia?
    «stanno organizzando una rivolta»
    Se i gemelli Tryhard non fossero entrati all'improvviso nella stanza delle necessità, strappandola al sonno ed informandola dei fatti, Jess si sarebbe probabilmente svegliata il giorno successivo in chissà che scenario. Non poteva credere a ciò che stava facendo quel gruppo di studenti, alla loro ingenuità: non si rendevano conto che si stavano semplicemente rovinando la vita? Non era così, che si faceva una rivoluzione. Non in un mondo come il loro.
    «stanno organizzando una rivolta»
    Non lo sapevano, quei ragazzi, cosa significasse veramente il termine rivolta. Non erano cresciuti nella resistenza, loro. Non avevano vissuto una vita nella paura, nel segreto, nel pericolo costante di venir scoperti da un momento all'altro. Di venir uccisi, da un momento all'altro. Erano ragazzi con vite normali, ed era così stupido, ma così stupido!, da parte loro quel gesto. Capiva il loro desiderio di cambiare le cose, lo capiva sul serio, ma non era quello il modo. Quello si sarebbe trasformato semplicemente in un suicidio di massa.
    «stanno organizzando una rivolta»
    E conosceva troppo bene Erin da sapere ciò che stava facendo: la Chip era stata la prima a cui erano andati i suoi pensieri, quando aveva ricevuto la notizia. Perché sapeva che, come Jess, non sarebbe stata in grado di lasciar correre, di non far nulla per bloccare quel disastro. E conosceva anche Scott, il suo non lasciarla mai sola, il fatto che, dove c'era uno, inevitabilmente l'altro l'avrebbe seguito. E non avrebbe mai permesso che accadesse qualcosa ai Chips, mai. Anche a costo di far saltare la sua copertura, correndo per i corridoi della scuola senza mantello a nasconderla al resto del mondo: naturalmente, Jess lo aveva comunque portato con sé, in modo che se - o meglio, quando - le cose si fossero messe male, avrebbe avuto la possibilità di nascondere sé, Erin, Scott e chiunque altro in quella stanza ancora sano di mente e scappare di lì senza farsi vedere.
    «stanno organizzando una rivolta»
    Ed erano dei perfetti idioti. Non capivano che non era solo la scuola, il problema? Era il fottuto mondo intero in cui vivevano. Occupare una stanza della scuola non avrebbe fatto la differenza. O almeno, probabilmente l'avrebbe fatta, ma semplicemente in negativo. Quando entrò nella stanza, il suo ingresso passò inosservato, tutti troppo impegnati a seguire la discussione tra Charles ed il fronte ferma-rivolta, formato da Charles, Hunter e, guarda un po', Erin. E fu proprio a lei che la Goodwin si avvicinò, posizionandosi al suo fianco «io non muoverò il culo da qui fino a che non saremo tutti davvero al sicuro.» Non capivano che, in quel momento, non sarebbe mai stato possibile? Non quando il preside della scuola era Van Lidova, e più di metà del corpo insegnanti ne condivideva ideali e valori. Non quando sotto le spoglie di Van Lidova si nascondeva Dragomir Vasilov «non lo capite? Non lo saremo mai» Non così Una rivolta del genere sarebbe stata solamente un disastro: non era abbastanza piccola da passar inosservata, ma nemmeno abbastanza grande da lasciar davvero un segno, ed avere un riscontro concreto. «se credete che le cose qui ad Hogwarts possano cambiare, vi sbagliate di grosso» Non sarebbe stata un'occupazione, a risolvere la situazione «siete solo ragazzini, il problema di base è molto più grande di tutti noi. E non è qualcosa che possiamo risolvere, non così!» Dovevano uscire di lì, ed al più presto: già riusciva a vedere chiaramente l'ingresso di Anjelika Queen nella stanza, e le venivano già i brividi. «uscite di qui, per favore» Voleva evitare ciò che sarebbe successo anche se, ogni minuto che passava, vedeva le conseguenze sempre più inevitabili «lasciatevelo dire da una persona che ha perso la possibilità di viver normalmente tanto tempo fa: non lo volete sul serio»
    Vi prego, tornate nei vostri dormitori
    Seems like we do it just for fun
    In this, this stupid war
    We play hard
    with our plastic guns
    1999's | special | ghost
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  5. wabi·sabi
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    You know, I'm getting pretty damn tired of everybody.
    Ryan Allen

    Ryan non voleva trovarsi in quella sala, non gli poteva importare di meno della sorte di tutti quei ragazzi, ma ascoltando i nuovi arrivati che non facevano altro che spuntare come conigli non a caso da un cilindro e ripetere che quello che stavano facendo era una follia iniziò a cambiare idea. Ciò che lo convinse fu il discorso del Dumont. Lui sapeva più di molti dei presenti cosa significasse la sofferenza, la vera sofferenza. Ne aveva già fatto abbondante esperienza e non voleva esserne colpito anche ad Hogwarts, unico luogo in cui loro ragazzi si sarebbero dovuti sentire al sicuro e non continuamente minacciati dall'idea di essere puniti o addirittura torturati.
    Non sarebbe stato di alcuna utilità ritirare tutto, ogni forma di protesta ed andarsene, come se nulla fosse mai accaduto, i prefetti ed altri codardi minacciavano di chiamare professori, presidi e chicchessia come se non riuscissero a vedere negli occhi di Charles che quello fosse il suo intento dal primo istante, che non stava facendo nulla per evitare che fossero notati, anzi.
    «...i prof, oh, i prof non esiterebbero un attimo a gettarti addosso una maledizione cruciatus solo per il fatto di essere venuta qui, non gliene fregherebbe un cazzo delle tue intenzioni. ma se a voi sta bene, se per voi è giusto venire torturati per aver saltato una lezione di troppo, va bene. potete anche uscire adesso da quella porta e fare quello che credete sia meglio, non sarò certo io a fermarvi. se credete sia giusto leccare il culo ad un sistema che usa la violenza su dei bambini, allora fatelo pure»
    Anche volendo non riusciva a trovare una ragione per andargli contro, per sostenere la parte avversa, aveva ragione, sapeva di cosa stava parlando, non lo conosceva così bene, ma dalla sua espressione si rendeva conto che parlava per una buona ragione.
    E poi parliamoci chiaro, chi erano gli oppositori? Delle ragazze impaurite, un paio di prefetti dei quali il primo appena arrivato si era nascosto terrorizzato dietro la porta per poi fare la parte del coraggioso e del gradasso di fronte al resto dei compagni, le motivazioni addotte erano banali e ripetitive "una follia" tutti ne erano già pienamente coscienti.
    Ryan, però, fu persuaso fino in fondo dalle ultime parole di Charles che rivolgendosi con aria contrita verso il suo gruppo disse «questa non è una festa clandestina con una location alternativa, mi spiace deludervi», con una semplice allusione era riuscito a ferirlo nell'orgoglio, non era un fesso qualsiasi, aveva un cervello ben funzionante e sentire quelle parole l'aveva fatto surriscaldare, non sarebbe stata una bottiglia di troppo ad annebbiargli la mente, ragionava perfettamente, era completamente lucido.
    Guardò i suoi amici e alzandosi disse «io sono col francese» con incedere lento e sicuro andò verso il serpeverde, gli poggiò la mano sulla spalla e non appena si voltò gli disse «Non sottovalutarci, è vero siamo venuti qui per svago, ma per il semplice fatto che non conoscevamo la causa che stava dietro questa rivolta, adesso sappiamo come stanno le cose ed è cambiato tutto.
    Sarà anche una missione suicida, ma noi siamo dalla tua parte e ti daremo tutto il sostegno possibile, puoi contare su ognuno di noi.
    Se così non fosse abbastanza, potremmo far cambiare idea a qualcuno di loro»
    affermò guardandosi intorno con un ghigno e le mani strette a pugno. «Non è vero ragazzi?» disse voltandosi verso il resto dei golden, li aveva buttati nel pieno di una rivolta terribilmente rischiosa, ma era necessario agire in questo modo, non poteva comportarsi altrimenti e aveva bisogno -adesso più che mai- dell'appoggio dei suoi amici.
     
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    «se non è vero, ti uccido» lo disse con il sorriso, Jane Darko, ma John («MI CHIAMO TOM») le rivolse comunque una nervosa occhiataccia di sottecchi. Lo osservò impassibile mentre spingeva gli occhiali sulla punta del naso, aprendo e chiudendo il palmo come se con quel gesto potesse chiudere fisicamente la bocca della mora.
    Spoiler: non poteva. «lo sai che non scherzo mai, su queste cose» Lo sapeva? Arcuò scettica un sopracciglio, sollevando gli occhi azzurri verso il portico di Different Lodge. Per chi non fosse a conoscenza del traffico clandestino di organi di Jane Darko e Thomas e Youngblood, i due si dilettavano a salvare la vita alla gente. Letteralmente.
    Così, per passare il tempo. Tom era un chiaroveggente con la sfiga di vedere solo gente in procinto di morire, e Jane una ragazza molto annoiata in grado di offrire un fantastico elettroshock a sfortunati individui con un attacco di cuore. Il duo magia. Vorrei dire che fossero entrambi realmente interessati alle persone che, come due moderni Gesù, riportavano in vita con uno schiocco di dita, ma – per quanto lusinghiero – non sarebbe stato vero. Jane aveva smesso d’interessarsi alle persone dieci anni prima, sulla soglia di sfortunati e mal vissuti quindici anni era un po’ tardi per ricredersi. Quale fosse la scusa di John («t o m») non la riguardava. Era un’amicizia strana, la loro.
    Con strana intendo: Thomas odiava Jane, Jane rimaneva della convinzione fosse il suo miglior amico; Tom mentiva a se stesso, ricambiando i sentimenti di Jane, e Jane illudeva se stessa credendo di poter realmente affezionarsi a più di una persona alla volta.
    Eh, la vita. La Darko aveva già Narah, ossia una (1) persona di troppo rispetto a quanto fosse abituata: non poteva esagerare con la confidenza.
    Anche perché avevano tutti la tendenza a morire. E no, non aveva neanche la scusa di ghei ghei (nota d’autrice: Jane, ovviamente, non ne sapeva una sega, altrimenti l’avrebbe sfottuto a vita #ily) di essere maledetta: si sceglieva semplicemente le amicizie sbagliate, a quanto pareva. La sua famiglia babbana? Morti, o spariti, tutti, uccisi dagli Estremisti; gli Estremisti che, dopo averla rapita, erano diventati la sua seconda famiglia? Ammazzati dalla cavalleria allo smantellamento dei laboratori.
    Insomma. Noterete un certo pattern. «non ti fidi di me?» Jane, rabbrividendo nella felpa con il cappuccio calato sulla chioma corvina, lo osservò corrugando le sopracciglia. Era una domanda trabocchetto? L’aveva trascinata fuori dal ghetto degli special dopo il coprifuoco, stavano – letteralmente – per entrare in un castello dove non avrebbero mai dovuto mettere piede… Che razza di domanda era? «sai che non lo faccio» le pareva ovvio – cristallino. Nulla di personale, si fidava solamente di se stessa – non perché fosse quest’enorme pozzo di ispirazione (malgrado, rispetto a certi elementi, effettivamente lo fosse) quanto più perché era l’unica a non deludersi mai. Il resto delle persone? Ma li avevate visti? Quando non morivano di loro, facevano desiderare a Jane di ucciderli con le sue stesse mani. Le mancava giusto l’applicazione, ma l’indole omicida era ben impressa in ogni debole scrollata di spalle.
    Eppure, stava andando a salvare la vita di qualcuno: che amarezza. Se Hogwarts avesse avuto netflix e tumblr, Jane Darko non si sarebbe trovata in quell’assurda situazione. «dove stiamo andando?» John, lanciandole uno sguardo da sopra la spalla, accelerò l’andatura. «se te lo dicessi, non verresti» un sibilo che la ferì quasi fisicamente. Uhm, rude? E pretenzioso da parte sua credere di poter prevedere le azioni di Jane, la quale si basava – quotidianamente – su random.org per decidere cosa fare della propria giornata. «john - » «thomas.» perché si intestardisse a correggerla, ella ancora non l’aveva capito: era così difficile da assimilare che mai, per Jane Lizard Darko, si sarebbe chiamato Thomas? Santo cielo, che pesantezza i gen z. «hanno bisogno di noi, jane» hanno? E quanti cazzius erano? Spalancò lievemente gli occhi, una domanda inespressa nelle iridi blu. «non ti piacerà» aggiunse lui in un sussurro, scivolando all’interno delle mura di Hogwarts.
    Con il senno di poi, l’eufemismo del secolo.

    «uau» battè lentamente le palpebre, una pacca sul braccio di John. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe avuto ragione su qualcosa? Non solo non le piaceva, ma (ding ding ding!) qualunque fosse il motivo che aveva portato un gruppetto di disadattati a fare un festino all’interno della Sala delle Torture, non gliene poteva fottere una sega di meno – di ciascuno di loro. Sarebbero morti? Beh, selezione naturale: chi era lei per andare contro una legge che esisteva dalla nascita stessa del mondo? Gli individui più deboli, fisicamente quanto mentalmente, morivano.
    Era così che si evolveva la specie. «sono impressionata» disse, affatto impressionata, rimanendo fuori dalla stanza. Ebbe appena il tempo di spalmare se stessa e John contro il muro, che due ragazzini entrarono come Tazmania all’interno della stanza.
    Quel che accadde nei successivi minuti, Jane l’avrebbe riassunto con: drama.
    «vi rendete conto di cosa state facendo? La chiamate - la chiamate rivolta, e ne andate fieri?»
    Una…rivolta. Ruotò i freddi occhi azzurri su John, il quale (saggiamente, quanto testardamente) evitò il suo sguardo. «cose ovvie, la gente muore, il sole splende ed il sangue è rosso, nuvole a pecorelle pioggia a catinelle, lindsey lohan icona di stile, cornetto sammontana la mia estate hogwartsiana» si aggiunse, come in un fantastico coro angelico, la voce di un secondo ragazzo: «Ci sono ragazzini che verranno puniti per questa cazzata. Verranno torturati. E sarà solo colpa VOSTRA» l’ennesimo capitan ovvio. Non poteva crederci che gli sgagnetti avessero davvero - davvero! - bisogno di qualcuno che dicesse loro quanto stupida fosse quella trovata.
    Tipicamente Jane Darko, iniziò a ridere.
    Alla terza voce, aveva le lacrime agli occhi – e si domandò pigramente se quella da salvare, fosse invero lei. «inserire qui discorso random da populista. Non so davvero quello che sto facendo, ma fa fiko fingere di fare qualcosa – sono giovane ed immortaleh! Non ci uccideranno perché siamo ben in, boh, dieci ihih trpp fikiz.»
    Cioè. Bellissimo. Anziché iniziare la loro…cos’era poi, una protesta?, partendo dalle basi (tipo, boh, iniziare a parlare con gli special anziché trattarli come una razza inferiore; offrirsi di insegnare loro ad integrarsi nel mondo magico. qualunque cosa potesse loro dare un minimo, un briciolo!, di diritto umano all’interno della società) loro…occupavano una sala delle torture di una scuola in cui il preside era ministro della magia.
    Era troppo bello. Li amava tutti, Jane Darko. Era come guardare una puntata di how to get away with murder: sapevi sin dall’inizio che qualcuno sarebbe morto, ma chi? e come? il pathos. Li ammirava. Era difficile trovare persone così – così! – inette, che fossero degni intrattenimenti. Fosse chiaro, parlava per tutti eh; sia mai che la Darko facesse distinzioni sul proprio, legittimo, giudizio negativo. Con quelle loro ridicole bacchettine, a credersi adulti senza sapere un cazzo della vita - eroi, cattivi, codardi, coraggiosi.
    Erano tutti uguali, per Jane.
    Stupidi.
    E li adorava per quello. «uscite di qui, per favore» Un po’ le dispiacque. Per tutti: le dispiaceva che la rivolta, o come volessero chiamarla, non avrebbe portato a nulla; le dispiaceva per chi si era trascinato fin lì cercando di convincere altri ad uscire. Ma non abbastanza. «divertente» commentò in un sussurro a John, liquidando la faccenda con un cenno della mano. «ma questo è il momento in cui me ne vado. cazzi loro» eh, it be like that sometimes. «per favore, jane. cinque minuti» Le parevano sinceramente troppi da concedere, soprattutto quando: «se così non fosse abbastanza, potremmo far cambiare idea a qualcuno di loro»
    CIOè. Bellissimo, era diventata…cos’era, una civil war? MAGNIFICO! Avrebbe voluto avere la sua polaroid per immortalare tutti loro in quell’esatto, specifico, momento: a) avrebbe potuto entrare in lizza per il pulitzer; b) avrebbe avuto le foto per i loro necrologi.
    Eh vabbè. «john, non voglio averci niente a che fare. letteralmente» nulla di personale, semplicemente…non era come i loro soliti casi; qualunque cosa fosse successa in quella stanza, se la sarebbero cercata loro. Non era un suo problema, e non voleva lo diventasse.
    «non posso andarmene» «jO-» ma niente, il riccio chiaroveggente era già sgusciato all’interno della stanza.
    Ma porca
    Di quella
    Vacca. La voce del ragazzo giunse acuta e riverberante. «dovreste davvero andarvene»
    Alzò gli occhi al soffitto e si morse l’interno del labbro inferiore. Avrebbe potuto, Jane Darko, girare sui tacchi e fingere di non essere mai stata lì, pregando che nessuno la beccasse fuori dal dormitorio oltre il Coprifuoco.
    Ma avrebbe anche potuto coltivare margherite e fare ghirlande natalizie, non significava che l’avrebbe fatto.
    Entrò odiandoli tutti – Superman (ciao John), Maria Teresa di Calcutta (ciao Erin), Martin Luther King (ciao Charles), Fidel Castro (ciao Charlie), Gandhi (ciao Jess), Che Guevara (ciao Ryan) – volgendo un generale e distratto cenno di saluto. Le interessava la causa? No. Le interessavano loro? Di nuovo, no. Le interessava sopravvivere? A giorni alterni. Le scocciava che fossero così teste di cazzo?
    Meh, neanche troppo. «sono un -» «imbecille» sorrise, piegò il capo sulla spalla, e trascinò John il più lontano possibile dal centro della scena, schiaffandogli il palmo sulla bocca prima che potesse dire a tutti di essere un chiaroveggente. La gente non li capiva, quelli come loro; la gente l’avrebbe preso per pazzo, e quando avesse avuto ragione, avrebbe finito per biasimare lui.
    Non specificò il fate finta non ci sia, considerando che – beh! – lo facevano già da tre anni. Portandosi dietro il Youngblood, premendo con le unghie sulle guance imberbi del ragazzino, si approcciò all’unico essere umano nella stanza con un’adorabile faccia da vittima sacrificale, affiancandosi a lui con un mite – e del tutto fuori luogo, considerando che tutti stavano andando a puttane ed ella stessa stava trattenendo con la forza un ritardato - cenno del capo. «ammirevole» criticò verso Scott, affatto ammirata. «davvero ammirevole.» Sbuffò una risata secca, incredula quanto sincera.
    Quella stanza riassumeva perfettamente ciò che Jane sapeva del mondo: non importava che fosse magico o meno, restava comunque una merda.
    Mai detto quanto amasse avere ragione?
    I'm just telling the truth / And you can play this at my funeral
    jane d.
    & tom youngblood
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    Il guizzo di fastidio negli occhi di Charles gli era apparso come una miccia in procinto di far esplodere un ordigno. Uno capace di far saltare in aria chiunque in quella stanza, nessuno escluso.
    Conosceva abbastanza bene il Dumont da riconoscerne la serietà, ma ancora di più quella ferrea determinazione che non aveva mai abbandonato il suo essere un ribelle, un anticonformista dedito alle cause giuste, sebbene i suoi modi fossero alquanto discutibili.
    Nel giro di pochi minuti avevano fatto capolino nella sala Hunter e Charlie in veste di Prefetti e altri studenti di Hogwarts, tra cui persino Erin che, in fin dei conti, non stava facendo altro che mostrare quella vena di preoccupazione che li aveva accomunati fino a qualche istante prima. La sottile differenza tra di loro era esattamente che Erin era lì per proteggerli tutti, sottolineando ancora una volta quanto potesse essere pericoloso sfidare il sistema, mentre lui era lì solo per Charles e non lo avrebbe abbandonato nemmeno se gli avessero puntato la bacchetta contro.

    Sì, aveva espresso al cugino le proprie perplessità riguardo a quel piano, perché non credeva possibile conciliare una serata con musica e serie tv ad una rivoluzione, ma si era sbagliato. Il punto della rivolta non era quello di creare solo problemi, come aveva pensato all’inizio sottovalutando Charles, ma era quello di cambiare le cose. Si sentiva dalla voce del Dumont quanto fosse pieno di ardore, quanto volesse fermamente che nessuno venisse più torturato per delle semplici mancanze, che andavano dal non fare i compiti alle stupidaggini quali una sigaretta di troppo fumata di nascosto nel cortile.
    Nonostante Charles lo avesse ferito, sputandogli addosso tutto l’odio e il risentimento che aveva in corpo, non poteva (anzi, non voleva) che combattesse da solo.

    Aveva fatto di tutto per non finire in Sala Torture, non aveva idea di cosa lo aspettasse dopo l’arrivo dei professori, ma… era certo che sarebbe andata male. Cosa avrebbe perso? Cosa sarebbe successo? I suoi compagni l’avrebbero guardato con sdegno ancora più di prima? Erano quesiti a cui poteva rispondere soltanto specchiandosi nelle iridi colme di delusione di Hunter, chiaramente in disaccordo con una tale mancanza di rigore. O, magari, era lì solo ed esclusivamente per impedire alla sorella di partecipare? Ad una Grifondoro piena di coraggio? Ognuno di loro aveva qualcosa da perdere, ma c’era chi preferiva nascondersi dietro la sicurezza di una scuola malata, piuttosto che far valere il proprio diritto di parola.
    A dire la verità, non avrebbe mai agito in quel modo, troppo abituato a stare nelle retrovie a guardare la gente scannarsi, morire per i propri ideali, ma—di nuovo, Charles era tutto quello che aveva.
    Mephistophele l’aveva lasciato morire sul pavimento gelido della sala da ballo, guardandolo negli occhi mentre vedeva la vita spirargli dal petto, con dei rantoli soffocati dal sangue; non sarebbe stato l’ennesimo Dallaire, non avrebbe abbandonato Charles come Meph aveva fatto con lui.

    Per questo, nonostante l’occhiata dell’Oakes, gli rivolge un sorriso sprezzante, con le iridi affilate come rasoi. Oh, gli piaceva davvero Hunter, era sicuro di aver provato un colpo di fulmine, ma non gli avevano mai insegnato a non giudicare un libro dalla copertina?
    Con passo aggraziato, mantenendo le braccia incrociate al petto, si avvicina al Dumont silenziosamente, come per dargli un tacito appoggio. Forse Charles pensava che l’avrebbe lasciato al suo destino, che per l’ennesima volta avrebbe cercato di fermarlo come stavano facendo tutti gli altri, ma aveva già parlato e non voleva di certo ripetersi, non ora che aveva ascoltato il discorso del ragazzo, pieno di vigore e convinzione. Gli faceva male che il Serpeverde avesse una così bassa considerazione di lui, ma non aveva importanza.

    «Sembrate dei dischi rotti» afferma, subito dopo altre parole di incoraggiamento provenienti da uno dei Golden, rivolgendo a Ryan un sorriso più grato «e tu, Hunter… sei serio?» domanda, alzando un sopracciglio verso il Corvonero, sempre più tagliente, sempre più ferito «”Sgombrate la stanza”? Andiamo, mon trésor. Lo sappiamo tutti perché ti stai dando tanto affanno. Hai paura che Halley venga qui e che si unisca a questa causa? Vedi» schiocca la lingua sul palato, spalla a spalla con Charles. Velenoso come un bicchiere d’acido dritto in gola «anche io non approvo il metodo. Schiamazzi, serie tv… musica. Ma Charles ha ragione, non siamo noi quelli da temere, ma chi tortura dei bambini per il piacere di farlo. Adesso, ti sembra normale che verremo puniti con delle torture per questo? Che persino i più giovani di noi subiranno pene paragonabili a quelle di Azkaban? Tanto vale che i Dissennatori vengano a darci un bacio in bocca con la lingua.» per un attimo, fissa l’Oakes con la stessa delusione, per poi rivolgersi ad Erin «Bambina, tutti abbiamo visto morire qualcuno, la morte non è mai piacevole» il tono si addolcisce, ma lo sguardo rimane ferreo «e purtroppo, nella vita, si prendono delle decisioni. Chi rimarrà si prenderà le conseguenze, lo sapeva Charles, lo so io, lo sanno persino Iden e Heather. Il punto è… che potete chiamare i professori, magari con la soddisfazione di aver compiuto un gesto eroico, rendendovi complici per l’ennesima volta della sofferenza di innocenti» fa spallucce, incurante, come se non avesse appena dato ai Prefetti un modo per passarsi la mano sulla coscienza «quindi prego. Mandate gufi, barbagianni, potete persino utilizzare le gambine per correre nei loro alloggi»

    Con un gesto della mano indica la porta, sfidandoli.
    Se doveva morirci in quella stanza era meglio farlo nel classico stile Dallaire. Ovvero, con una buona mescolanza tra veleno e sarcasmo.
    Viktor Asmodeus Dallaire
    The greatest and most powerful revolutions often start very quietly, hidden in the shadows.
    Remember that.
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    «chi ti dice che io non abbia un piano?»
    (...)
    «il piano è questo: entriamo, facciamo un po' di casino e, quando arriveranno i prof - perché arriveranno - noi resteremo dove siamo fino a che non si decideranno ad ascoltarci, clair?»

    Eh ma che piano del cazzo.
    Sarebbero morti tutti.

    «Hai portato... davvero... il trono di spade» Heather scosse la testa, indecisa se essere più divertita o più scioccata. Un giorno forse Charles sarebbe diventato un rivoluzionario con i fiocchi, il Lafayette che Hogwarts meritava (ma non quello di cui aveva bisogno adesso), ma in quel momento? In quel momento era soltanto un adolescente particolarmente stupido, con nobili (meh) intenzioni e una voce che non sarebbe riuscito mai a far ascoltare ai professori. «Siamo qui fuori dall'orario del coprifuoco, ricoperti di sostanze illegali, con tecnologia babbana - che fra l'altro non funzionerà, genio - musica, pronti a fare serata cinema con giochi alcolici... Charles» aggrottò le sopracciglia posandogli una mano sul braccio, prendendosi la sua attenzione per quei due minuti che aveva prima che iniziasse ad arrivare la contro ribellione. «ti rendi conto che questo è un festino abusivo? Se io fossi un professore, a vederci così ci manderei in sala delle torture; e io sono contro le torture. Hai chiamato qui la gente con l'inganno per far numero» e onestamente? «E' geniale» più erano, meno probabilità c'erano che li avrebbero uccisi. «Ma il messaggio che far vuoi passare... non arriverà agli adulti. Saremo gli ennesimi gen z che vogliono fare bordello per il gusto di farlo, lo capisci?» Indicò con la testa i festayoli arrivati; aveva un debole per loro, quando si parlava di festini e compagnia (stupidi ma carini, come piacevano a lei eh, charles), ma per un sit in non erano esattamente l'ideale. Avrebbero mandato a monte la protesta rendendola un party.
    La famosa ultima sigaretta che doveva smezzare con Heather? La ragazza gliela prese dalla mani, spegnendola, e se la infilò nel seno. «Cerchiamo di essere qui davvero per lamentarci delle torture»
    Che avesse messo un po' di sale in zucca? Diciamo che semplicemente i serpeverde aumentavano a vista d'occhio, e non voleva rischiare di sopravvivere a quella sera e perdersi completamente la coppa delle case... ... ... e diciamo anche che la protesta era stata organizzata un po' a cazzo di cane, e tutti avevano pensato a cose diverse. Ma li si ama così.

    (...)

    Francamente, stavano parlando in troppi tutti insieme. Heather si era da tempo seduta a gambe incrociate a terra, gli occhi sulle unghie mentre fingeva disinteresse ma, in verità, ascoltava attentamente le parole dei nuovi arrivati.
    Sadly, la Aguilera aveva ragione, ma era così carina vederla arrabbiata (un pulcino che gonfia le piume per farsi più grosso e spaventoso) che Heather non intervenne per difenderla o darle corda; senza contare che la Morrison era troppo orgogliosa per ammettere di rendersi conto che avevano agito male con una mezza sconosciuta.
    Meh, la sua vita non valeva così tanto per combattere per essa, figuriamoci quella di qualche ragazzino brufoloso di cui non sapeva il nome.
    «Sgomberate la stanza. Fate sparire gli alcolici, le sigarette e tutte le sostanze stupefacenti. Tornate nei vostri dormitori, possibilmente in silenzio, e ve la caverete, con molta probabilità, con qualche punto in meno. Non costringeteci a compiere il nostro dovere, informando Professori e Preside. Avete 5 minuti.»
    Heather fischiò. Avrebbe chiamato il preside. E dire che molti (qualuno) (un paio) dei giovani lì, volevano rendere Hogwarts un posto migliore per tutti... Losers qui losers lì, poi erano degli infami a merda. Se ne sarebbe ricordata.
    «Bene, okay. Grazie Brontolo per aver parlato. Adesso puoi tornare nel tuo dormitorio e lasciar fare a noi.»
    Heather alzò lo sguardo, ascoltando il belliximo monologo di Charlie Anderson. Quasi gli scoppiò a ridere in faccia (se non fosse stato che lei era seduta e lui in piedi). «Anderson, copi il discorso della tassofessa, e osi chiamarla brontolo? che ipocrita del cazzo, speri ti aiuterà a salvare il tuo bel faccino? Se non ci espellono, dì pure addio alla tua vita sociale a Hogwarts, sfigato. Luride chiappe lo dici a tua sorella» ciao rose, scusa rose. incrociò anche le braccia. «Se non vi piace il nostro metodo» ok, sì, ora era diventato "nostro". Non era colpa di Heather (in realtà sì) se era orgogliosa come le merde e odiava ammettere di avere torto. «allora diteci cosa dovremmo fare. Vivere la vita tranquillamente senza fare nulla, fingendo che non sia un inferno? Non vogliamo diventare dei terroristi, solo chiedere una diminuzione delle torture, o ancora un elenco stilato di chi, come e quando le può subire e in quale misura. So che siete abituati a questo, ma esistono scuole in cui gli studenti non vengono quasi uccisi per un ritardo di cinque minuti. Davvero, sono tutta orecchie: qual è l'alternativa?» puntò gli occhi sulla ragazza fantasma, il sorriso dedicato al prefetto ormai sparito. «Mi dispiace» sincero, dal cuore, forse la prima volta che davvero provava compassione per qualcuno. «Non so cosa ti sia successo, ma per te è facile parlare: quello che capita a scuola a te non tange più. A noi sì. Non vogliamo stravolgere tutto, solo renderlo più sopportabile. Forse otterremo risultati, forse verremo pestati e basta... ma ci avremo provato» pausa. «Male, ma ci avremo provato»
    I don’t have a sticker over my laptop camera because I was born to entertain and if the only audience I can get is the deatheaters government, then so be it --------------
    2001's | slytherin | mean girl
    IF WE DIE, I'LL KILL YOU
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    bunny o'sullivan
    heather morrison


    parla a charles, risponde a charlie (ma parla in generale #wat) e risponde a jess
     
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  9. big eyes‚
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    Sospirò: doveva immaginare che charles ce l'avesse con lui, e che – se possibile – avrebbe cercato il più possibile di fingersi distaccato, indispettito dalla sua presenza... ma, come aveva detto, iden non era venuto lì per nessuno di loro. Neanche per dare man forte a charles, che sicuramente si sarebbe ritrovato contro tutti i piagnucoloni di hogwarts – era lì per se stesso, per un alquanto nobile scopo, seriamente. Poteva sembrare strano, ma conoscendo iden nemmeno più di tanto: del resto, era forse lo studente col più alto numero di visite nella sala delle torture, poteva dire di averla presa “leggermente sul personale”.
    Si era quindi messo comodo, preparando se stesso ad una notte indimenticabile che, comunque fosse andata a finire, non avrebbe in alcun modo cambiato il suo stato d'animo: rabbiosamente divertito – esisteva?, beh, non ne era così certo... ma nel caso, lo avrebbe coniato lui. «pardon, l'ultima la smezzo con heather» piccolo stronzetto allargò il sorriso, «potrebbe essere l'ultima della nostra vita a quanto pare, meglio non sprecarla» suscettibile e arrogante come al solito – ne fu quasi inebriato, come poteva non esserlo -del resto- nel sapere di avere nelle proprie mani la cosa più preziosa che chiunque gli avesse mai donato?
    Aveva già vinto, così si sentiva – ma faticava ancora a comprendere cosa. Era accaduto tutto così improvvisamente, ribaltando totalmente la sua posizione in tutta quella faccenda... che riteneva normale non avere la più pallida idea di cosa dovesse succedere ora fra loro – sempre che potesse esistere un loro, dopo tutto quello.
    «ti consiglio di fare lo stesso» terribile – se possibile, la lingua del francese s'era fatta ancora più pungente, ma per ferire iden ci voleva molto di più ora, che sapeva molto di più sul dumont. Non sapeva come, ma tutta quell'energia lo stava sovraccaricando (più letteralmente dell'immaginabile), lo rendeva dinamico e il sangue nelle sue vene aveva preso a scorrere così veloce e caldo da creargli una barriera apparentemente naturale a tutte quelle frecciatine. Si sentiva forte e indipendente come mai, e forse in parte lo doveva anche a quella maledetta e autolesionista idea del francese di prendere e occupare la sala delle torture: terribilmente eccitante.
    Si alzò quindi, immaginando come il dumont avrebbe continuato a fargliela “pagare” per tutta la sera «sento una leggera nota di risentimento nei miei confronti, dumont, o è solo il mio egocentrismo?» e prima che potesse aggiungere altro, nuovi studenti si unirono al piccolo gruppetto: in particolare, i tre amici di godric – in ordine, il nero imbecille, il terrone casinista e lo scontroso “palo in culo”, nomignolo che si contendeva col corvo, fra l'altro. e ci siamo, sapeva che così la serata poteva solo degenerare... ma si sarebbe divertito, nel momento in cui i professori /se non addirittura il preside/ sarebbero arrivati per farli sgomberare... o qualunque altra cosa sarebbe successa.
    I primi che avrebbero abbandonato la nave con la coda fra le gambe.
    Insieme a loro, altri, a partire dal suo amato prefetto: sapeva che sarebbe andata a finire così, e che l'oakes sarebbe intervenuto naturalmente chiedendo a tutti loro di andarsene. Tuttavia non se la sentiva di rispondergli: sia perché gli piaceva, per quel poco che ci aveva avuto a che fare – sia perché era ancora in modalità... come dire, “pace in terra”?, perché rovinarsi il mood quando poteva godersi le deleterie discussioni fra studenti.
    Stupidi, a scannarsi l'uno contro l'altro ignorando chi fosse il nemico.
    «Sgomberate la stanza. Fate sparire gli alcolici, le sigarette e tutte le sostanze stupefacenti. Tornate nei vostri dormitori, possibilmente in silenzio, e ve la caverete, con molta probabilità, con qualche punto in meno. Non costringeteci a compiere il nostro dovere, informando professori e preside. Avete cinque minuti» e u l à, che ansia «se mi fosse interessato far perdere punti alla casata, avrei occupato la tua stanza, prefetto» e ridacchiò, andando in risposta ad appoggiarsi su una poltrona, con le gambe larghe – comodo e tranquillo, come se le minacce non fossero nemmeno state pronunciate e percepite.
    Era arrivato fin lì, non certo per tornarsene indietro senza punti per quella casata a cui nemmeno era così certo di appartenere – come cazzo ci fosse finito lui, nei corvi, insieme a gente come godric o hunter, era un mistero per chiunque. Andava quindi detto che le parole dell'oakes non avessero avuto alcun effetto su di lui; ma la serata era appena iniziata, perché ecco erin comparire da dietro l'angolo di un corridoio. Eccola lì, piccola e determinata: per un attimo il cuore gli si scaldò in petto. Era sua amica, una delle persone che avrebbe salvato lì dentro.
    Ma. ma, era sempre troppo avventato nelle emozioni, e quando erin aprì bocca, risentita e furiosa, gli occhi cerulei di iden si incupirono, distaccati e freddi «cosa – cosa diamine sperate di ottenere? Ci sono modi più discreti per morire, se è questo che state cercando» si sentì infastidire dalle sue parole, molto più che da quelle dell'oakes, perché non lo conosceva così bene come pensava, sperava, che forse l'erin avrebbe dovuto fare. Ma semplicemente pareva ignorare la sua presenza, il suo scopo lì dentro «e se non è quello che state cercando, avete sbagliato qualcosa. Un anno persone a cui tenevo... persone che conoscevamo, sono – morte, e...» si alzò, lasciandola continuare a parlare mentre si avvicinava al gruppetto di prefetti e studenti radunatosi all'ingresso – tutti con le proprie nobili ragioni, davvero.
    «già, sono morti, e il bello è che continueranno a morire» esordì dal nulla, parandosi davanti a lei con fare tranquillo, arreso, ma razionale nel dare voce a una cosa che del resto non gli importava più di tanto – la gente muore «e non saranno queste tue lacrimucce trattenute o parole coraggiose a fermarlo. In compenso, ha fatto molto più il dumont in una sola notte, che tu in tutti questi mesi; per loro, e per la gente come me, che di queste merdate è stufa» allargò le braccia, a indicare simbolicamente tutta quella merda di cui erano circondati – pareti coperte di attrezzi, oggetti creati col solo scopo di terrorizzare e fermare, inorridire con il risultato di ottenere «sagge pecorelle ubbidienti... mi si spezzerebbe il cuore per la vostra codardia, se solo me ne importasse» il mondo era pieno di codardi per cui piangere, non aveva sinceramente tempo nella sua agenda per loro.
    C'erano degli stronzi peggiori a cui pensare.
    E fissò il più cagasotto che hogwarts avesse mai avuto il piacere di ospitare, l'anderson, sentendo di aver perso totalmente il proprio mood sereno sia per le pugnalate di erin che per... cos'era?, un gridolino?, oh no – forse era il suo tentativo di fare la voce grossa, tenero: gli si parò davanti minaccioso come solo il dumont poteva dire di averlo visto prima d'ora «penso sia chiaro che di quello che stai dicendo non me ne può fregare di meno, meno del resto, fra l'altro – ma prova di nuovo a parlarmi in questo modo e ti farò rimpiangere di non essertene rimasto nascosto dietro la porta a piagnucolare in attesa di qualcuno che avesse davvero le palle di entrare» rude il giusto, fu frenato dal mettergli le mani addosso anche dall'intervento di charles, a difesa della sua causa.
    Continuò a fissare il prefetto ma con orecchie e cuore era su charles, ad ascoltarlo dar voce a tutto quello che le persone, radunatesi là dentro, davvero volevano far sapere. Quale fosse il reale motivo di quell'occupazione che ai più (i fortunati, quelli bravi che lì dentro non ci erano finiti mai, che in fondo preferivano pensare che toccasse “agli adulti” fare qualcosa, come morire da soli e sparire nel nulla senza spiegazione) sembrava sfuggire totalmente dalla mente, mettendo tutti, t u t t i come scusa che, poverini, qualcuno si sarebbe fatto male – qualcuno che adesso dormiva nei propri letti tranquillo e sereno, pensando come la mattina dopo avrebbe impiegato la propria vita inutile a seguire lezioni a volte pericolose, o a camminare per i corridoi veloce, a testa bassa, attento dove e come alzava lo sguardo, leccando il culo di chi /ora/ sembrava avere il coltello dalla parte del manico.
    Che dire.
    Per tutti loro, iden aveva un solo messaggio: andatevene a fanculo, tornatevene nei vostri letti a dormire sereni, fingete che un giorno sarà qualcun altro a tirarvi fuori dai vostri problemi, imparate a vivere da codarci e moriteci, alla beata quanto inutile tarda età.
    «che lo facciano pure. Io non muoverò il culo da qui fino a che non saremo tutti davvero al sicuro. In una scuola, e non in una cazzo di casa degli orrori» «#me too – ah, ops, slogan sbagliato?» e si tirò indietro, mentre dopo del dumont altri parlavano a favore e sfavore di quella maledetta occupazione: jessalyn (“non era quella dell'esercito segreto?, io boh, gen z, un giorno fascisti e l'altro liberali”), qualcuno dei mitici quattro-scemi e persino viktor, seguito a ruota da heather (che wow, non era così bionda e stupida)... avrebbe, a proposito, dovuto scusarsi con loro?... eeeh, non lo sapeva, con viktor sicuro, ma heather – per quanto avesse concretizzato in modo ragionevole quello che iden avrebbe detto a pugni – restava un'antipatia difficile da digerire. In un altro universo, forse, avrebbero anche potuto essere... non-nemici?, ci piace. Tornò quindi lì dove terrone e co avevano mollato dolci e bevande e iniziò tranquillamente a servirsi, mentre le voci alle sue spalle si alzavano – lui il suo sporco lavoro l'aveva fatto. Prese un cannolo e lentamente si avvicinò alle spalle di charles, sapendo quanto gli avrebbe dato fastidio essere /nuovamente/ importunato in un momento tanto delicato: picchiettò sulla sua spalla per attirare la sua attenzione, e tranquillo gli porse il cannolo «robespierre, mangia qualcosa, che la notte è lunga per i ribelli.»
    Perché nel profondo del suo cuore quel piccolo, coraggioso, sfrontato gesto di occupazione, aveva aperto una sottile breccia – un modo diverso di dipingere il ritratto di quel francese masochista e arrogante, vedendolo ora con uno sguardo mano a mano diverso.
    «se devi essere il nostro leader, cerca di essere fico almeno quanto me.»

    I go off like a gun
    Like a loaded weapon
    Bang, bang, bang
    ravenclaw | 17 yo | angry bird
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    iden
    kaufman

    parlotta con charles, risponde (male) ad hunter, erin e charlie, ma ascolta tutti #wat solo che era già lungo così mlmlml niente discorsi che tanto avrei potuto copi-incollare la gente prima di me, ma col cuore sostiene i bei discorsoni dei ribelly
    un giorno si scuserà con tutti per la sua rudezza.... ma non è questo il giorno
     
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    31 y.o. • rebel • teacher
    20.12.2018
    phobos
    campbell
    Inspirò ed espirò, Phobos Campbell – lento e misurato, in bilico tra l’esasperazione e l’ansia a stringergli la trachea in una morsa feroce; frustrato, per quanto un sentimento del genere fosse irriconoscibile sul viso sempre gentile del professore, ed effettivamente estraneo all’uomo stesso. Immobile in uno degli angoli meno illuminati del corridoio del terzo piano, rimase ad osservare le silhouette dei due special fino a quando queste non scomparvero dietro la porta della Sala Torture; in silenzio, quando l’uscio si fu chiuso dietro di questi, si avvicinò alla stanza – bacchetta alla mano e spalle contro il muro, gli occhi chiusi e l’udito a farsi più fino mentre cercava di comprendere, invano a causa di tutto il frastuono proveniente dall’interno, cosa stesse accadendo.
    Qualsiasi cosa fosse, già sapeva che non gli sarebbe piaciuta: forse era la vicinanza del plenilunio, forse semplicemente lo stress accumulato ad Hogwarts in quegli ultimi mesi, ma aveva un brutto presentimento. Con tutto il proprio cuore, per quanto comunque fosse terribile – ma, purtroppo, non così raro nel Castello -, sperava che fosse una sessione di torture straordinaria per la quale i due adolescenti che aveva appena visto entrare erano stati convocati: in quel caso, sarebbe bastata la sua presenza e qualche discorso ben formulato al torturatore di turno per far sì che lasciasse andare i giovani, affidandoli alle sue punizioni (o cure, dato che il castigo massimo che avrebbe potuto infliggere a quei ragazzi per la sola colpa di essere stati internati nei Laboratori era un pacco di Cioccorane a testa).
    Atroce, ma gestibile.
    Titubò ancora qualche istante, allontanandosi dalla porta soltanto per controllare oltre gli angoli che i corridoi fossero vuoti. Fortuna voleva che fosse il suo turno di ronda notturna, e non quello del Preside – o di Anjelika, certo, ma per quanto fosse una persona potenzialmente letale, non credeva fosse così crudele da saltare a delle conclusioni troppo affrettate; sebbene il Campbell fosse l’archetipo dell’uomo fiducioso nel genere umano, e credesse esserci del buono in ogni individuo, aveva smesso di farlo nei confronti di Vasilov Dragomir (o Biochemists Van Lidova, come meglio lo faceva sentire) -, ma di quei tempi la prudenza non era mai troppa.
    Non era nemmeno mai abbastanza.
    Non si preoccupò di bussare alla porta, dopo essersi accertato di essere da solo; entrò e basta, livido in volto nel solo vedere quanti studenti ci fossero lì.
    «qualcuno mi dica,» alzò la bacchetta, intimando a tutti i presenti di non parlare prima ch’egli avesse concluso. «immediatamente chiuse l’uscio con un silenzioso colloportus, le iridi verdi ormai una fessura nella penombra della stanza e l’ombra del solito sorriso gioviale scomparsa a favore di una più dura piega delle labbra. «cosa sta succedendo qui dentro.»
    Nonostante avrebbe voluto urlare loro, Phobos rimase impassibile e fin troppo controllato quando udì una delle tante voci che, onestamente, avrebbe preferito non dover sentire lì dentro –più che altro, perché non se l’aspettava. Spostò appena l’attenzione al suo fianco, la giada delle iridi a prendere un tono appena più scuro andando ad incontrare uno Scott Chipmunks a braccia conserte.
    «occupazione.»
    «un’occupazione.» ripeté atono, annuendo. Certo, ovviamente - che sciocco, come aveva potuto non capire che dei ragazzini avevano avuto un’idea così geniale. Sorrise appena, nient’affatto divertito; perse soltanto un istante per guardarsi intorno – e ringraziare egoisticamente il cielo di non vedere tra le teste dei presenti almeno quella di Phoebe, o dei Tryhard -, prima di puntare la bacchetta contro l’uscita. «tutti fuori di qui.» un colpo secco e la porta si dischiuse lenta; ancora, avrebbe preferito sbattere la porta od urlare per rendere meglio il concetto. «adesso per giusta regola, sarebbe dovuto essere l’ultimo a lasciare la stanza – attendere che il flusso finisse davanti ai suoi occhi, e che tutti avessero evacuato l’ambiente.
    Ma a) aveva le palle abbastanza girate, colpa dell’imminente luna piena; b) si rendeva tristemente conto di non poter convincere un gruppo di adolescenti ad abbandonare la propria posizione di protesta – il fatto che non la condividesse, e che la reputasse dannosa per loro tutti, non significava di certo che non la capisse (in linee di massima, ecco).
    «voglio tutti nella propria sala comune entro cinque minuti – e domani mattina, nel mio ufficio.» lanciò un ultimo, severo sguardo a tutti gli studenti; sospirò. «mi dispiace, ma è mio dovere informare il corpo docenti di questa… situazione» ed avrebbe davvero voluto non essere serio, quella volta tra tutte. «tra cinque minuti, questa stanza deve essere vuota.»
    Raggiunse l’uscita, strinse il legno tra le dita.
    Non era arrabbiato, non era incazzato, il professor Campbell – soltanto «deluso» commentò sconfitto, soffermandosi soltanto sulle teste di quelli che sentiva più vicini - i Tassorosso, i Ribelli: da loro, proprio non se lo sarebbe mai aspettato. «mi avete molto deluso, ragazzi.»
    'Cause you're the last of a dying breed
    Write our names in the wet concrete
    Sippin' on straight chlorine, let the vibes slide over me


    Ciao, come va? Spero vi stiate divertendo, o che vi siate divertiti finora
    Perché adesso iniziamo a giocare davvero - il Fato vede e provvede, ormai lo sapete bene.
    Ordunque, sono qui per dirvi che dovete fare una scelta, e dovete farla nel minor tempo possibile: volete uscire, come proposto dal professor Campbell? Fatelo. Volete rimanere ad occupare la Sala delle Torture? Liberissimi di farlo, siete qui per questo, dopotutto - no?
    Sappiate solamente una cosa.
    Che scoccate le 23:00 del 24.12, non avrete più tempo per cambiare idea: o siete dentro, o siete fuori.
    (ovviamente, la decisione deve essere suggellata con un post. Chi non posterà nel tempo indicato – e ricordo che vanno benissimo anche 100 parole simboliche scritte mentre pranzate e piene di typo da correttore - sarà considerato automaticamente DENTRO.)
     
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    Avrebbe risposto al disperato appello della Good-ghost-win? O al bizzarro tentativo di Tom-Tiziospecial-Chissenefrega? Nope.
    Ma non perché non avesse niente da dire, al contrario: avrebbe voluto urlare a ciascuno di loro talmente tanti insulti che probabilmente non sarebbe bastata l'intera serata per elencarli tutti. Avrebbe ricordato loro quanto squallido, meschino ed oltremodo riprovevole fosse andar contro i propri stessi compagni pur trovandosi nella stessa barca, non provare nemmeno a comprendere le ragioni di un determinato gesto perché troppo occupati a rispettare le regole per sentirsi un po' meglio con sé stessi. Avrebbe sbattuto loro in faccia quanto schifo provasse per gli infami, per i traditori, per tutti quei ciechi che si ostinavano a non voler guardare oltre il proprio naso. Avrebbe affermato di odiarli, uno ad uno, di aver a malapena sopportato la loro irritante stupidità per tutti quegli anni e di essersi quasi pentito di aver provato a far qualcosa per loro, troppo idioti persino per comprendere una questione perpetuata nel loro interesse.
    Ma, nope.
    Non aveva più parole Charles, più voglia di continuare a portare avanti una causa che dinanzi ad un atteggiamento del genere non poteva che perdere di consistenza. Perché rischiare la pelle per gente del genere? Gli bastava tenere la testa bassa per un altro anno, fare in modo di non farsi spedire in punizione e lasciare che le torture restassero cazzi loro. Che si tenessero pure quel sistema che tanto si accoravano a difendere, che continuassero pure a far le pecore, troppo spaventate per sollevare la testa e guardare in faccia la realtà.
    Rimase in silenzio per qualche istante, valutando l'ipotesi di voltare le spalle non solo ai presenti, ma all'intera Hogwarts: aveva delle ambizioni, un sogno di far carriera, il desiderio di spiccare, ma niente di tutto quello superava il suo orgoglio ferito, la rabbia che disperatamente tentava di contenere tra i denti serrati e le palpebre appena schiuse.
    Poi tre parole, in grado di fargli nuovamente sollevare il capo: «io sono col francese». Scrutò prima il Grifondoro, poi il suo strambo gruppo; non somigliavano propriamente ad un esercito, ma erano già qualcosa. Rivolse loro un cenno del capo, voltandosi poi verso Viktor, non troppo stupito dall'ennesima sua dimostrazione di fratellanza, ma forse adesso un po' colpevole per come aveva forzato la mano nei suoi confronti poco prima. Insensibile, stronzo, sdegnosamente noncurante, Charles sapeva di non essere mai stato la famiglia che il Dallaire meritava ma, in quella precisa circostanza, promise a sé stesso che se mai fossero usciti vivi da lì dentro avrebbe provato davvero a dimostrargli quanto tenesse a lui, come lo considerasse la sua unica, vera famiglia.
    E poi Heather, che sebbene non si fosse mai mostrata convinta di voler andare fino in fondo a quella storia, continuava a restargli accanto come l'amica che troppo spesso aveva sottovalutato. Forse lei, più di tutte, sembrava aver compreso le sue ragioni, e chissà se sarebbe stata capace di far cambiare idea a qualcuno con quelle parole che avrebbe pronunciato lui stesso in un momento di maggior lucidità. Le sorrise appena dunque, non senza una certa fierezza nello sguardo.
    «#me too – ah, ops, slogan sbagliato?»
    Ah, sì, Iden.
    Iden che non lo stava certo facendo per fargli un favore, Iden che già una volta l'aveva ferito e, chissà, Iden che forse non avrebbe esitato a puntargli il dito contro all'evenienza. Ma sempre Iden, lo stesso per cui s'era fatto prendere a pugni e per cui non aveva potuto alzarsi dal letto dell'infermeria per giorni. Iden che ancora una volta era riuscito a umiliarlo, ma che non aveva neppure considerato di sputtanare per vendicarsi - perché sì, l'aveva capito quanto poco ci fosse di normale nella scossa elettrica con cui l'aveva colpito la sera di Halloween -. Iden con quei suoi modi estremamente rudi, con il suo continuo stuzzicarlo, con il suo digrignare i denti ed allo stesso tempo sorridere sornione come se la vita avesse cominciato a sorridergli dal momento in cui gli aveva spezzato il cuore — Iden che, qualunque fossero le sue ragioni, era rimasto. «ha fatto molto più il dumont in una sola notte, che tu in tutti questi mesi; per loro, e per la gente come me, che di queste merdate è stufa» e ci si poteva davvero ritrovare a dover reprimere un sorriso idiota in circostanze del genere? Charles avrebbe potuto rispondere di sì, senza esitazione.
    Li avrebbe abbracciati uno ad uno quei suoi sostenitori, la piccola squadra a cui sentiva di appartenere ma che, indubbiamente, non sarebbe mai stata abbastanza. Ma non avrebbe mollato, avrebbe accettato qualunque punizione; per loro, non si sarebbe tirato indietro.
    «e va bon, direi che 'sta roba è servita al suo scopo.» si limitò dunque a dire, tirando fuori la bacchetta per far sparire tutta la roba illegale che aveva trascinato nella Sala col solo intento di attirare quanta più gente possibile. Geniale diceva Heather? Beh, modestamente. Fece per aprire bocca di nuovo, prima di essere interrotto dal picchiettare sulla spalla di qualcuno.
    «robespierre, mangia qualcosa, che la notte è lunga per i ribelli.» sbatté le palpebre un paio di volte, chiedendosi se non si trovasse già in uno strano coma indotto dalle punizioni per quella sua 'bravata'.
    «ma che» cazzo di problemi hai? Si sarebbe senz'altro meritato il Corvonero, improvvisamente divenuto magnanimo nei suoi confronti? Sia chiaro: non si sarebbe fatto troppi problemi a mandarlo a cagare se solo a) non fosse stato uno dei pochi rimasti al suo fianco; b) la sua testa non gli avesse impedito di compromettere ancora una volta quel barlume di speranza; c) non si fosse trattato di Iden Kaufman. E sì, lo rendeva debole, che poteva farci?
    Con le sopracciglia ancora sollevate, si sporse appena per dare un morso al cannolo direttamente dalle mani di Iden sembra molto brutto, lo so. «tranquille kaufman,» sono già più fico di te? «qualunque cosa per sembrare più fico a te.» cretino?? sottone?? «oh vedi, qualcosa stasera siamo riusciti a smezzarla comunque.» si affrettò ad aggiungere, indicando il cannolo con un gesto del capo sempre più brutto e dandosi mentalmente del coglione senza però perdere compostezza.
    Ecco, avrebbe anche potuto continuare la serata così, guardando ai suoi compagni con la tenerezza di una mamma particolarmente orgogliosa, pensando di poter cambiare il mondo semplicemente restando lì, senza che nessuno continuasse a disturbarli.
    Ma, nope.
    «qualcuno mi dica, immediatamente, cosa sta succedendo qui dentro.»
    Prevedibile, eppure ugualmente d'un certo effetto. Sapeva a cosa sarebbe andato incontro? Certo, aveva persino considerato l'idea di trovarsi faccia a faccia con la Queen. Sapeva che quell'occupazione avrebbe avuto delle conseguenze? Certo anche quello, ma non avrebbe avuto alcun senso pentirsene proprio nella fase più importante dell'operazione: far sentire ai professori la propria voce.
    Per quanto dentro di sé avrebbe dannatamente voluto farlo, non poteva certo lasciare che fosse qualcun altro ad assumersi il rischio di farsi avanti per primo dinanzi ad un docente, e dunque per questo si schiarì la voce prima di passare in rassegna con lo sguardo ciascuno dei suoi compagni, nella ricerca di un ultimo segno di supporto da parte loro.
    «mi spiace deluderla, davvero» non perché volesse fare il leccaculo, ma perché sul serio provava un certo rispetto per il professor Campbell. Questo, tuttavia, non l'avrebbe certo convinto a desistere dai suoi intenti. «ma proprio da lei, più che da qualunque altro prof, mi aspetterei una certa comprensione» fece un passo avanti, passandosi una mano fra i capelli con finta disinvoltura «in ogni caso, nessuno di noi vuole una guerra contro la scuola. vorremmo solo essere ascoltati, almeno per una volta.» posò la bacchetta che ancora stringeva fra le dita nella tasca anteriore dei pantaloni, sollevando le mani in segno di pace. Si voltò verso i propri compagni, persino Erin, persino Jess, persino Charlie.
    «non parlerò per voi. come ho già detto, siete liberi di fare quello che preferite. andatevene se volete, ma ricordate che siamo tutti sulla stessa barca e che se qualcuno di noi oggi affonderà, la colpa sarà stata anche vostra.» e si sedette sul pavimento, tornando ad incrociare gli occhi del professore. «per quanto mi riguarda, non ho intenzione di muovermi da qui fino a quando non ci sarà data l'opportunità di parlare.»
    I want no money
    but write the story.
    I bet you're sorry,
    Don't fuck my homies.
    2000's | slytherin | revolutión
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    Piegò le labbra in un broncio pigro, gli occhi grigio verdi puntati sul professor Campbell, praticamente già fuori dalla stanza occupata e fermatosi soltanto per ascoltare il serpeverde. Lo vide stringere quasi impercettibilmente le labbra, nel sentirsi dire che lui più di tutti avrebbe dovuto comprenderli - dubitava, il Chipmunks, che non lo stesse già facendo; lungi da lui intervenire nel discorso del Vate Dumont per farlo notare, comunque: non gli interessava abbastanza.
    Aveva reputato quella di Erin di intervenire una pessima idea sin dagli esordi, ed aveva continuato a ripeterle lungo tutto il tragitto verso la Sala delle Torture quanto non ne valesse la pena: non gli aveva dato ascolto, e lui aveva ceduto nell’accompagnarla – figurarsi se l’avrebbe lasciata da sola a rischiare così tanto, per così poco. Ci aveva provato, ed aveva tristemente fallito; non le avrebbe mai fatto apertamente notare che glielo aveva detto, ma lo pensava così intensamente ch’ella avrebbe potuto comunque captare il segnale. Il suo compito, il loro compito, lì era finito. Qualunque altra cosa avessero voluto fare i rivoluzionari hogwartsiani non era più un suo problema – ponendo per assurdo che lo fosse mai, inizialmente, stato. Soprattutto non dopo il modo con il quale si erano fottutamente rivolti a sua sorella: se il professore avesse varcato la soglia solo qualche minuto più tardi, e se Scott non fosse stato abbastanza furbo da a) non iniziare una rissa nel bel mezzo di una già illegale occupazione, e b) non mettersi contro un branco di idioti – che comunque, in quanto branco erano più numerosi della sua singola persona, avrebbe potuto tranquillamente trovarlo con le mani al collo del Kaufman.
    Per Erin, ovviamente, ma soprattutto per Iden. Dire che gli avesse dato fastidio come le aveva risposto sarebbe decisamente poco appropriato e riduttivo, e già quello per il diciottenne poteva essere un buon (e abbastanza unico, invero) deterrente per passare alle mani, ma la gemella non aveva davvero bisogno di qualcuno che la difendesse da simili calunnie: ripensando alle diverse missioni suicide nelle quali si era lanciata a capofitto – per salvare degli sconosciuti due anni addietro, per salvare il mondo una vita prima -, a tutto l’impegno che stava mettendo per l’Esercito, e semplicemente a lei come persona, sentendo la crew inneggiare alla codardia dell’Aguilera (e di chi, come lei, suggeriva di uscire da lì) non poteva che trattenere le risate. Era la persona più coraggiosa che avesse mai conosciuto, e lo sapeva perfettamente – come era altrettanto consapevole del fatto di non doverlo dimostrare a nessuno. Non avevano idea di cosa stessero dicendo, ma non sarebbe stato lui a spiegare loro come stavano davvero le cose. Erano felici così? Buon per loro: era un fan del libero arbitrio e della libertà di pensiero.
    Il problema principale, era Iden. Gli voleva bene, era uno dei suoi migliori amici - non… non si aspettava una reazione del genere. Aveva il suo carattere del cazzo, ok, e capiva che volesse stare al fianco di Charles in quell’assurda impresa.
    Ma era davvero così necessario? No, affatto.
    Serrò i pugni stretti al petto, concentrandosi – suo malgrado – sulle parole del Dumont pur di non pensare a quanto detestasse l’amico in quel preciso istante: più procedeva con la propria esistenza, più sentiva pressante l’anima del fu Noah Hamilton trentenne ed il suo odio per il genere umano (e giovane, nella fattispecie) farsi più viva dentro di sé, ma quello era un altro livello.
    Abbassò gli occhi chiari, seguendo il movimento del leader dell’occupazione. «per quanto mi riguarda, non ho intenzione di muovermi da qui fino a quando non ci sarà data l'opportunità di parlare.» sollevò un sopracciglio, scettico e, un po’, affascinato: inutile ripetere quanto non approvasse tutto quello, ma la dedizione del francese era da ammirare. Voltò poi il capo verso il professore, rimasto fermo e silente fino a quel momento – in tutti i sensi, a quanto pareva. «immagino ti farai ascoltare dall’intero corpo docenti, allora» con una serietà che, sinceramente, non aveva mai visto sul suo viso, il Campbell rivolse poi un ultimo sguardo a tutta la stanza. «ve lo ripeto un’ultima volta: avete cinque minuti per sgomberare.» uscì, lasciandosi la porta socchiusa alle spalle.
    Piegò le labbra verso il basso, avendo davvero poco su cui rimuginare – se non il senso di colpa nei confronti del suo responsabile: sul momento, gli era sembrato davvero inutile e stupido provare a dirgli che non tutti loro erano lì per seguire Charles e la sua crociata. Sarebbe sembrata troppo una scusa campata in aria per levarsi dai guai, e non voleva che un già amareggiato Phobos Campbell trovasse altri motivi per essere deluso con loro – ma forse… forse avrebbe dovuto almeno provarci?
    Glielo avrebbe detto l’indomani nel suo ufficio; in quel momento, non poteva di certo perdersi in elucubrazioni filosofiche sulla vita. «beh, tutto molto bello.» commentò sarcastico, cercando sua sorella. «tante carissime cose, e divertitevi!» alla fine, avevano tutto l’occorrente per farlo – sebbene fosse ancora abbastanza confuso dalla questione Game of Thrones: lo… sapevano che non avrebbe funzionato il proiettore, o qualsiasi cosa tecnologica, lì dentro? Vabbè, fatti loro. «erin, andiamo?»
    Nessuna risposta. Nessuna risposta che gli piacesse. «erin.» i’m asking but also telling.
    Cosa… cosa voleva fare. Voleva restare lì?
    Voleva davvero restare lì?
    Col cazzo.
    Era in momenti come quelli, che sentiva ancora più nel petto la mancanza del cugino – e di tutti gli altri, come sempre. Con un po’ di sano terrore, psicologico e probabilmente fisico, CJ avrebbe fatto capire subito alla Chipmunks quello che con un’occhiataccia Scott non riusciva a comunicare. Ossia: non ti permetto di rimanere qui.
    Perché significava che sarebbe rimasto anche lui, e non lo voleva. Non ne valeva la pena – non quella volta. Cercò Jess, Hunter – Charlie, sebbene non gli fosse piaciuta molto la sua uscita di poc’anzi -, un cenno del capo per accertarsi che almeno loro seguissero i consigli del professore. Si voltò poi verso la special, sua nuova migliore amica nell’impassibile odio per la loro generazione. «puoi aiutarmi?» perché avrebbe dovuto? Nemmeno lo conosceva.
    Contava sul fatto che si stesse annoiando – spoiler: si stava annoiando.
    Non seguì bene le dinamiche, gli bastava che entro cinque minuti lui e sua sorella (e possibilmente gli amici sopracitati) fossero fuori da lì.
    In un modo o nell’altro. «rude piegò il capo sulla spalla mentre Erin si afflosciava come una pera cotta, priva di sensi. «ma grazie.» sorrise alla Darko, prima di mettere un braccio dietro le spalle della sorella ed uno sotto le ginocchia, prendendola di peso da terra. L’avrebbe probabilmente odiato a vita per quello, lo sentiva: lo avrebbe sopportato.
    Prima di uscire, alzando già gli occhi al cielo soltanto immaginandosi gli inni alla vigliaccheria che di lì a poco sarebbero partiti, rivolse un ultimo sguardo a Jane ed il suo amico, a Jess ed Hunter. «voi che fate?» alzò un sopracciglio allusivo, e si lasciò la Sala delle Torture alle spalle, con Erin stretta al petto.
    Le soffiò un bacio tra i capelli, cercando di camminare il più veloce possibile verso la Sala Comune dei Tassorosso: «scusami, sorellina»
    A costo di farsi odiare, di perdere la sua stima o la sua parola; a costo di starci male, e di dover trovare sempre un modo migliore per farsi perdonare da lei. A costo di qualsiasi cosa, Scott Noah Chipmunks avrebbe sempre messo la sicurezza di sua sorella prima di tutto – prima di se stesso.
    Lo aveva promesso una vita prima, e non avrebbe tradito la parola data da Noah Hamilton-Baudelaire.
    but in the end
    my time will come
    like a bullet in a gun
    18 y.o. | hufflepuff | wizlawyer
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    scott noah
    chipmunks


    #scott out#
    (#ed erin pure#)
     
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    La verità era che il coraggio gli era sempre mancato.
    Nascondersi dietro gli altri e lasciarli al loro destino piuttosto che rimanere coinvolto da eventi spiacevoli era stato il suo modo di vivere da che ne avesse memoria. Dopo la vicenda con Mephistophele, poi, aveva perso del tutto l’interesse per qualsiasi cosa non fosse la propria vita. Anzi, ancora meglio, non aveva nemmeno un briciolo di amor proprio, ma sapeva perfettamente che se messo di fronte ad una scelta si sarebbe sempre piazzato al primo posto. Non era cattiveria la sua, ma spirito di sopravvivenza; negli anni ad Hogwarts era riuscito miracolosamente a scampare alle punizioni corporali e si poteva dire che quella fosse la sua prima visita nella Sala Torture, più da spettatore che da punito. E gli era sempre andata bene così, davvero; gli bastavano i segni sulle braccia, nell’anima, nel profondo dello stomaco a ricordargli cosa volesse dire essere puniti ingiustamente e le mani di altri estranei su di sé lo mettevano in una posizione di totale rifiuto.
    Quelle dei professori potevano anche essere violente, animate da una voglia di punire e di fare del male e non nel modo più viscido della situazione; perché era diverso, terribilmente e diametralmente opposto il significato dietro a quei tocchi, volti principalmente a dare un esempio piuttosto che per mera sofferenza. In un certo qual senso, però, rimanevano comunque abusi.
    E lui, da abusato, non voleva ripetere l’esperienza.

    Eppure, nello sguardo animato e fiero di Charles, rivedeva quella famiglia che non aveva mai avuto. O meglio, quella desiderata, anelata come un diamante raro. E forse il Dumont era stato terribilmente ingiusto nei suoi confronti, sottolineando ciò che lo aveva condotto alla solitudine, a fingere una felicità inesistente e di cui non si era mai curato, troppo preso dalle bravate in giro per le strade francesi, ma non poteva dargliene una colpa e mai l’avrebbe fatto. Era legato a suo cugino come se fosse un fratello e sebbene avesse degli esempi discutibili di come poterlo essere in maniera sana, non dubitava dell’affetto che provava nei suoi confronti. Almeno quello era sincero e non l’avrebbe mai potuto scambiare per nulla in quella stanza, né per la dolcezza di Erin che in un vano tentativo aveva provato a calmare le acque, né per il cipiglio severo di Hunter intento a spronarli ad uscire di lì e nemmeno per Iden, che nonostante fosse un ragazzo burbero e poco dedito all’ascolto, quella volta aveva deciso di appoggiarli.

    Per essere onesti, se non ci fosse stato Charles lì, avrebbe fatto anche a meno di partecipare. Ma, c’era un ma. Lasciarlo da solo avrebbe significato mandarlo a morire e vista la piega della situazione, preferiva stargli vicino. Erano pochi, davvero troppo pochi per poter pensare di reggere agli attacchi dei professori o, peggio, di riuscire perlomeno a salvarsi dall’essere brutalmente puniti. Perché non dubitava che la loro pena sarebbe stata orribile e non sapeva nemmeno se fosse in grado di affrontarla. A pensarci bene, aveva subito di peggio, ma sarebbe stato in grado di sopravvivere senza spezzarsi? Questa volta per sempre?
    Ma ormai era lì e non aveva la minima intenzione di muoversi da quella stanza. Né con i rimproveri del professore, che in un impeto di bontà d’animo gli aveva solo intimato di uscire senza attaccarli, né per tutti quelli che alla fine li avevano lasciati lì, soli, a prendersi le conseguenze di qualcosa che indubbiamente riguardava anche loro.
    E non aveva ragionato molto sulle implicazioni e sulle parole di Charles prima di quel momento. Anzi, era stato abbastanza disinteressato, perché non l’aveva mai riguardato personalmente. Ma non era forse ingiusto che dei bambini venissero puniti? Che per anche solo una sigaretta fumata tra le mura del Castello potesse portarli in Sala Torture? Persino il party di Halloween, una cosa innocua, poteva essere trasformato in una punizione collettiva. Erano stati fortunati, quella volta, che gli schiamazzi non fossero giunti alla Sala Docenti e che persino i Prefetti avessero partecipato, impedendo così di avere grane. Ma il principio era proprio quello: una festa, una sigaretta, una scopata, una bevuta erano cose innocue che avevano un prezzo.
    Quel prezzo era la loro libertà di parola, di libero arbitrio.

    «Eh, siamo quattro gatti. Mi sarei aspettato più—affluenza? Hai fatto poca pubblicità o alla gente piace farsi torturare. Che poi, il BDSM è anche piacevole, ma… con i professori?» pensieroso si poggia alla parete con la spalla, mantenendo però la compostezza dopo l’uscita in scena del professore, di Erin e persino di Scott «Miao, miao Charles, miao, miao. Ho dimenticato di portare il cerchietto con le orecchie da gatto» si lamenta, andandosi poi a sedere accanto al Dumont con un piccolo sorriso d’incoraggiamento sulle labbra. Lo fissa, per un istante con gli occhi di un azzurro impossibile ben aperti, enigmatici come sempre «Quoi qu'il arrive ce soir, je t'aime. Rappelez-vous que» afferma, sviando poi l’attenzione al gruppetto in procinto di uscire.
    Sarebbero morti per le idee di Charles? Per le idee che avrebbero dovuto accomunare tutti gli studenti di Hogwarts e di cui solo uno se ne era fatto carico?
    Non restava che aspettare.

    Viktor Asmodeus Dallaire
    The greatest and most powerful revolutions often start very quietly, hidden in the shadows.
    Remember that.
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    Edited by Fancy|Bitch - 22/12/2018, 01:12
     
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    I am not a hero.
    I am a loser scientist.
    Era immobile, la spalla poggiata contro il legno della porta, l’espressione impassibile davanti agli scoppi d’ira di quella rappresaglia improvvisata.
    Erano ridicoli, per quanto potesse contare la sua opinione in merito. Egoisti, come dei bambini viziati che non ottenevano subito quel che volevano e iniziavano a sbattere i piedi per terra, alla disperata ricerca di attenzione. Incoscienti, perché non avevano un piano ben definito, perché agli occhi di un estraneo o, peggio, di un professore, tutto quello sarebbe parso una grande e grossa presa in giro. Perché se avessero davvero voluto parlare, se avessero davvero voluto cercare un dialogo e migliorare la situazione a Hogwarts, c’erano ben altre vie da percorrere.
    “Avreste potuto parlarne con Prefetti a Caposcuola. Lasciare una traccia scritta della vostra richiesta di dialogo con il corpo docenti e con il Preside. Se questo vi fosse stato negato, avreste potuto avanzare una proposta firmata almeno dai 2/3 degli studenti di ciò che avreste voluto cambiare. Se anche questa fosse stata negata, avreste potuto contattare la professoressa De Thirteenth. È una giornalista alla costante ricerca di scoop e gossip, avrebbe saputo gestire una situazione del genere. Vi avrebbe saputo dare dei consigli, spronandovi ad andare avanti in questa lotta o riportando la vostra proposta all’opinione pubblica. Avrebbe rischiato il suo posto a Hogwarts per voi? Probabilmente no, ma lo avrebbe fatto in onore della sua piuma e del suo spirito da reporter. Se non ci fossero stati ancora segni di cedimento da parte della scuola, neanche dopo la presa di posizione del mondo magico davanti a delle pretese non assurde, solide e ben articolate degli studenti, allora sareste stati autorizzati ad alzare la voce per farvi ascoltare. Così, invece, non fate altro che dar loro modo di zittirvi.”
    Se lo avessero ascoltato? Probabilmente no. Non era quella la soluzione che cercavano ed era chiaro fin dall’inizio. Perché volevano tutto e nell’immediato e, probabilmente, non avevano neanche provato a immaginare le cose in grande, pensando agli eventuali risvolti della vicenda.
    “Se Erin ha ragione nel dire che il Preside è anche il Primo Ministro, potreste essere marchiati come Traditori. Voi e le vostre famiglie sareste dei bersagli mobili per Pavor, Ante-Pavor e per ogni Mangiamorte sul suolo Britannico.”
    Odiava dover constatare l’ovvio, ma riteneva giusto mettere le cose in chiaro, almeno un’ultima volta.
    Non li avrebbe convinti, non sarebbero bastate le sue parole a placare quella sete di… qualunque cosa fosse: pazzia, adrenalina, voglia di riscatto o rivalsa. Non gli interessava, aveva scelto di non combattere quella battaglia. Non che lui fosse un fiero sostenitore del Regime o delle Torture, tutt’altro. Erano i metodi, gli strumenti utilizzati che non gli piacevano e, probabilmente, non gli sarebbero mai piaciuti: alla violenza, preferiva la strategia, all’improvvisazione un piano solido e ben studiato. Amava il rischio calcolato, non l’auto-sabotaggio.
    Fece qualche passo in avanti, affiancando quell’idiota dell’Anderson che poteva anche essere un genio del Combattimento Corpo a Corpo, ma che sicuro faceva pena in strategia (COME GLI ERA VENUTO IN MENTE DI ENTRARE DA SOLO IN UNA STANZA PIENA DI POTENZIALI ASSALITORI QUANDO RESTARE SULL’USCIO GLI PERMETTEVA UNA MAGGIORE DIFESA DA EVENTUALI INCANTESIMI O ATTACCHI FISICI? TUTTO GLI DOVEVA SPIEGARE!), parandosi davanti a Erin, giusto perché la versione umana di un Asticello non era lo scudo che meritava, ma quello di cui Hunter aveva deciso avesse bisogno. Lei, Scott, Charlie, i 2043 che aveva giurato di proteggere quando Uran aveva scelto di diventare un Custode.
    “Puoi anche non essere il Mago che crucia una ragazzina, Dumont, ma, se questa rivolta dovesse avere delle ripercussioni su degli studenti innocenti, sarà solo e soltanto a causa tua e di chi deciderà di restare. Se puniranno anche chi non è coinvolto per evitare altri colpi di genio simili in futuro, ritieniti, ritenetevi, tutti complici dello stesso sistema che state cercando di abbattere.”
    Sussultò appena quando sentì la voce del professore. Si girò lentamente, il colorito ancora più pallido del solito. Non gli bastò la rassicurazione visiva che fosse stato proprio il Campbell ad aver fatto irruzione e non la Queen. In quel caso non sarebbero bastate tutte le giustificazioni del caso a farle risparmiare le loro teste. Potevano anche tacciare Hunter di codardia, ma tentare di insabbiare quell’occupazione, provare a sedare tutto ancor prima che potesse degenerare, essere scoperti insieme ai fautori della rivolta era chiaramente una presa di posizione contro il ruolo che ricopriva e contro l’intera istituzione scolastica. Sia l’Oakes che l’Anderson, quella notte, stavano rischiando tanto quanto coloro che avevano tentato di far ragionare. Sentì il corpicino di Erin afflosciarsi ai suoi piedi e guardò immediatamente in direzione di Scott, annuendo tacitamente a quella richiesta che non necessitava di essere espressa.
    Tirò Charlie per una manica, spronandolo a fare la scelta giusta nel minor tempo possibile altrimenti sarebbe stato Hunter a prenderlo a calci in culo. Non potevano fare più niente, non c’era più niente da dire per provare a salvare il salvabile. L’ultimatum del professore era stato cristallino e lui non sarebbe rimasto un secondo di più in quella stanza. Non c’era più niente per cui valesse la pena restare.
    “Non osare nominarla, Dallaire. Non osare.” Si era fermato vicino la porta, un attimo prima di lasciarsi la Sala Torture alle spalle. Il fatto che in un primo momento avesse volutamente ignorato la provocazione del Grifondoro non significava che le sue parole gli fossero scivolate addosso. Era livido, di una rabbia che non riusciva a spiegare e che non voleva neanche provare a gestire. Non sapeva se lo avesse fatto scattare più il fatto che qualcuno avesse nominato Halley senza cognizione di causa, se fosse una scusa per portarlo dalla loro parte, sfruttando il loro legame, o se fosse stata usata come provocazione. Odiava essere appiattito fino a diventare un’ombra della sorella, come se non avesse una personalità propria, come se fosse un’ameba senza spina dorsale. Non era un parassita Hunter, non lo era mai stato. Non avrebbe mai retto il confronto con la sorella, troppo abituato a stare dietro le quinte che a prendere di prepotenza il palcoscenico, ma questo non lo rendeva inferiore, non stava a significare che la sua intera vita ruotasse attorno a lei e a nessun altro. Era un pilastro fondamentale per lui, questo era indiscusso, ma Hunter non era un prolungamento della Grifondoro, un’inutile appendice.
    “Non sarebbe stata la sola che avrei preferito al sicuro.”
    Si diresse verso l’Infermeria senza voltarsi indietro, perché avrebbe dovuto? In fondo, ognuno di loro aveva appena compiuto la sua scelta. In un modo o nell’altro. Non gli restava altro che sistemare il kit di primo soccorso sulla scrivania, giusto per precauzione. Si prospettava una lunga, lunghissima, notte.
    Hunter Oakes | 17 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
    Ravenclaw


    Hunter saluta tutti e va via! :sisi:
     
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    Parole, parole, parole. Parole, soltanto parole, parole d'am-..di un cretino. Di. Un. Cretino. E Charlie non poteva credere davvero a quei discorsi. Oh certo, lui non torturava i suoi compagni – ma in pratica li stava gettando nei casini. Se ne rendeva conto, almeno? Evidentemente no. E non solo i suoi seguaci, che con molta probabilità erano più fumati di lui, ma anche tutti gli altri. Tutti gli studenti che non avevano fatto niente, sarebbero stati puniti per causa sua. Non era un torturatore? In quel momento, sì. In quel momento lo era diventato. Continua pure il tuo teatrino, con comodo. Ma ti avverto. Fermi tutti. Charlie si era avvicinato a Dumont, rivolgendo al ragazzo uno sguardo non proprio carino. Se vengo a sapere che il preside ha intenzione di torturare gli studenti non presenti..Giuro che ti vengo a cercare. E ti farò molto, molto male. C'era una certa nota di rabbia in quelle parole? Giusto un pochino, eh. Ma alla fine era un po' come Robin Hood. Beh okay, magari non ruba ai ricchi per dare ai poveri. Però si mette contro tutti quelli in sala torture per cercare di proteggere i più deboli, in questo caso rischiando anche la sua carica di prefetto. Non aveva degnato di uno sguardo tutti gli altri presenti in quella stanza, non aveva risposto alle loro critiche o alle loro provocazioni per il semplice fatto che non aveva la minima intenzione di farlo. Non aveva abbassato lo sguardo alle parole di Iden, o di Heather o di chi diavolo stava blaterando in quel momento. Rispondeva solo a Charles, e non alle sue pecorelle. Scusa, hai detto qualcosa? Perché io ho solo sentito “Bee beeeee”. Li aveva immaginati tutti un po' così. « Qualcuno mi dica immediatamente cosa sta succedendo qui dentro. » Solo in quel momento, Charlie si voltò verso quella voce familiare. Il professor Campbell era arrivato in sala torture, e il prefetto serpeverde poteva ritenersi fuori dai giochi. La sua carriera scolastica era finita. Finita. Grazie ad un branco di idioti. Credevano davvero di migliorare la situazione? L'avevano solo peggiorata. Stupidi ragazzini aveva pensato, spostando velocemente lo sguardo sull'altro prefetto che nel mentre lo aveva incoraggiato ad uscire di lì, tirandolo per una manica. Lo aveva seguito a ruota, ovviamente, fermandosi un attimo sull'uscio della stanza, affiancando il professore. Mi dispiace. Abbiamo provato a farli ragionare, ma inutilmente. Il tono di voce stavolta era più calmo. Si era poi dileguato cercando Hunter con lo sguardo. Sicuramente era arrabbiato, e forse impaurito per quello che avrebbero potuto fare alla sorella e a molti altri studenti. Lo capiva. E avrebbe potuto lavarsene le mani e tornare in camera come gentilmente suggerito dal prof. Era intenzionato a farlo, davvero. Voleva tornarsene a letto. Voleva..Aspetta! Charlie, cosa diavolo credi di fare? Come hai potuto far uscire quella parola dalla testa? Con che coraggio? O stupidità, dipende dai punti di vista. Si era morso successivamente la lingua, prima di lasciarsi andare per un secondo all'istinto – raggiungendo a grande falcate il corvonero. Oh mio Dio la fine del mondo è vicina. Ascolta. Beh si dai, come partenza non sembrava male. Tranne per il fatto che non riusciva a proseguire; le parole gli morivano in gola. Beh ecco io.. Guardò Hunter leggermente accigliato, in collera con se stesso – in eterno conflitto tra cervello e cuore. Se il primo diceva “tornatene a letto e fregatene”, il secondo replicava “prenditi cura di lui”. Ed era estremamente difficile per lui, scegliere. Ed era come vedere qualcuno alle prese con la cacca: l'espressione era più o meno uguale a quando si spinge, per farla tutta. Mi chiedevo se.. Le parole uscivano a fatica. Forza Charlie, mostra un minimo di umanità. Noi crediamo in te. ..posso accompagnarti. Si era messo le mani sui fianchi spostando lo sguardo a terra giusto per qualche secondo, maledicendosi mentalmente per la figura di cacca che stava mettendo in atto – prima di riportare velocemente lo sguardo sul prefetto. Insomma..tanto non riuscirei a dormire in ogni caso. Non lo so, ecco..se hai bisogno di una mano, o di compagnia o di qualsiasi altra cosa, sono qui. Si era appena reso disponibile verso una persona che non era se stesso? Sembrava proprio di sì.
    Roses are red, shit is brown. Shut the fuck up, and sit the fuck down.
    3am | 16 y/o | prefect
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Charlie
    Anderson

    Lascia la sala e raggiunge Hunter :perv2:
     
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