i hate this more than i hate the morning sun

jericho + todd [challange: 03]

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    dressed to kill

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    «puoi-» «no.» Secca, rapida, ed impossibile da fraintendere, la Lowell concluse il pensiero del ragazzo prima ch’egli potesse renderlo concreto sulla lingua, risparmiando così tempo ad entrambi. Jericho continuò imperterrita a masticare la gomma oramai insapore rotolandola fra i denti, lo sguardo, di suo poco amichevole, reso sottile dalle palpebre assottigliate. Fece scattare la lama del coltellino a serramanico premendola distrattamente sul labbro inferiore come una ragazza normale avrebbe fatto, sovrappensiero, con la cannuccia di una bevanda.
    Jericho Karma Lowell non era una ragazza normale, quindi perché fingere? Da quando un’ora prima si erano radunati, lei ed altri sfigati, nel retro del Captain Oats (un locale terribile quasi quanto il suo proprietario, Isaac) non si era neanche sprecata ad ascoltare mezza parola del geniale, ma che dico, meraviglioso! piano di Nathaniel per conquistare gli AU di Londra e dintorni come tante pedine di risiko, limitandosi a sedere sul suo angolo di divano con gli occhi fissi sul metamorfo dell’altro mondo. Era un ottimo soldato, Jericho; avrebbe fatto quel che infine le avrebbero detto di fare, ma nel suo contratto non aveva certo firmato per sorbirsi suo fratello ciarlare per ore su strategia (poco) militari che avrebbero loro permesso di occupare più territorio in minor tempo possibile.
    Mettere a disagio Percival BMW, era decisamente più entusiasmante – e facile, non doveva neanche sforzarsi. Il ragazzo si agitò sulla sedia e sospirò, concludendo comunque la frase stroncata dalla Lowell (ahia, Percy: primo strike.) «- smetterla di fissarmi?» Non battè neanche le ciglia, facendo cadere la domanda in un silenzio pensoso. Avrebbe potuto, certo; avrebbe anche potuto adottare un lemure e cavalcare un iguana, ma non significava che l’avrebbe fatto. «no.» confermò, lasciando che le labbra si sollevassero appena in un sorriso poco raccomandabile. Non se la sarebbe presa con il nerd arcobaleno, se Andy Sti-Cazzi-linski non fosse stato così un dito nel culo – voleva fare l’occlumante ed impedirle di farsi i cazzi suoi? Bene, allora avrebbe torturato psicologicamente l’altro ragazzo.
    Funzionava così, in guerra. Poco importava che fosse l’unica armata ed intenzionata a far fuoco. «gkee-» «jericho» corresse in un ringhio, ormai familiare a quel fraintendimento multi dimensionale. «per te, lowell» non spostò lo sguardo su Andy, ma lo indicò con la punta della lama per fargli intendere di star parlando proprio con lui. Non ebbe bisogno di guardarlo per percepire la nota dolente nella postura, il respiro trattenuto nei polmoni. Erano così…strani, quei sotto sopra – con quei legami e quelle amicizie che proprio non comprendeva, o il loro essere ancora affezionati a persone morte secoli (cinque anni, ma insomma) prima. Non aveva bisogno di domandarsi quanto strano fosse per gli AU ritrovarsi tutti belli vivi e pimpanti, nella loro realtà – l’aveva già visto nella loro mente, o nel tono screziato da emozioni sulla quale la telepata non aveva voluto indagare.
    Era ben più strano sapere che lei, per loro, fosse morta. Uno poteva credere che, beh, chissene frega – giusto? Sbagliato. Da quando l’aveva saputo, non riusciva a cancellarsi quello…strano, e denso, sapore d’ingiustizia dal palato. Non che l’avesse mai detto a qualcuno, mica era scema, però le…dispiaceva, di essere morta. Aveva senso? Probabilmente no, ma dato che non aveva condiviso quel pensiero con nessuno, se ne sbatteva il cazzo non potesse aver senso per gli altri – lo aveva per lei. «jericho» Inspirò dalle narici premendo sulla guancia con il coltellino, ora chiuso, in modo da voltare la testa verso la fonte di quel suono basso e stanco – l’unica persona presente in quella stanza che potesse convincerla a distogliere lo sguardo da Percy. All’occhiata di Nathaniel, ed ai pensieri insistenti di lui che battevano sulla porta della sua coscienza, si limitò a scuotere le spalle.
    Sì, sapeva perché erano lì. Sì, capiva che quei piccoli stronzetti ingrati erano la loro unica possibilità per capire dove fossero i loro amici, e magari raccattarli da ovunque essi fossero - e va bene, si sarebbe comportata bene.
    Che palle, però. Sentì quasi fisicamente le spalle del BMW rilassarsi, ma neanche quella piccola vittoria riuscì a strapparle un amaro sorriso.
    Odiava, quella situazione. Odiava che fosse tutto così, fottutamente, complicato. Perché non poteva esserci una, una stramaledettissima cosa che funzionasse in modo normale?
    Aveva avuto quattro certezze nella sua vita: la morte di sua madre (menzogna) ed i conseguenti ricordi traumatici che l’avevano resa un’asociale psicopatica; la follia di suo fratello (menzogna) che l’aveva costretta ad odiarlo e temerlo per tutta la sua vita; la magia (menzogna).
    Le cazzate di Nathaniel Keenan Lowell slash Henderson: ed invece aveva avuto ragione su Clarissa.
    Ed invece, gli universi alternativi esistevano davvero.
    «stavo dicendo…» bla, bla, bla. Mentre Nathaniel apriva una cartina della Londra babbana e magica di fronte ai suoi spettatori, Jericho fece scivolare lo sguardo sui presenti: oltre a lei, suo fratello, ed i due sotto sopra già citati, c’erano Stiles, Isaac, Niamh e Eugene.
    E Todd Milkobitch. Fra tutte le persone che avrebbe potuto immaginare dentro quella stanza, per quella riunione specifica, non avrebbe certo mai immaginato Ian: da quando prendeva posizione? Da quando faceva qualcosa che non fosse allattare cuccioli di Puffola Pigmea? Shocked. Per anni l’aveva trovato più inutile perfino di Jeremy, e ci voleva una dose importante d’impegno, ed ora…niente, con quel faccino da marshmallow e gli occhi troppo grandi, era a tutti gli effetti inutile. Sapeva usare qualche arma, almeno? «sai usare qualche arma, almeno?» chiese, effettivamente ad alta voce, posando gli occhi zaffiro sull’ex Corvonero. «non ce ne sarà bisogno-» Alzò un dito, nello specifico il medio, in direzione di AU-Stilinski: «non l’ho chiesto a te» ribattè in un sibilo feroce, aggrottando lievemente le sopracciglia. Qualche ingenuo mortale avrebbe potuto credere che Jericho, con quei pigri occhi azzurri ed i lineamenti morbidi di un cubetto di cioccolata lasciata sotto al sole, non potesse far paura.
    Sbagliato. La sua domanda, in ogni caso, era del tutto legittima: chi le assicurava che gli altri au-merdine non avessero intenzioni belligeranti? O che quello, a tutti gli effetti, non fosse un assalto? Magari volevano conquistare il loro mondo - magari quel gruppetto d’infami ch’erano riusciti a trovare fino a quel momento, erano la razza alfa o qualunque altro nome avessero i semi che venivano piantati per primi per assicurarsi che il terreno fosse fertile.
    Devo specificare ancora quanto poco si fidasse di loro?
    Prima che Todd potesse rispondere al suo, motivato, quesito, Nathaniel s’infiltrò nella conversazione con un allegro: «beh, tanto – mentre non ascoltavi, ma ti perdono, jecho - ci ho diviso in gruppi e, SORPRESA! siete insieme, quindi PUÒ USARE TE COME ARMA!!&&» Aspetta – cosa? Fece scoppiare la bolla di gomma da masticare straziandone la superficie con i denti. Ruotò solamente gli occhi in direzione dell’Henderson: lo sapeva, Nate, che lavorava maledettamente da sola. Da quell’occhiata, nacque una sentita conversazione lowellpatica, un meccanismo assai recente ed al quale doveva ancora fare l’abitudine:
    - In due è meglio! È pericoloso uscire da soli, di questi tempi
    - Nathaniel.
    - Jericho. sono pur sempre tuo fratello maggiore
    - Non ricordarmelo
    - AWWWWWW TUO FRATELLO MAGGIORE!!&& quanto tempo che aspettavo questo momento!
    - nO
    - dovremmo cercare anche bran e fare spedizione di famiglia?
    - nathaniel.
    - Sì, ci sono. Beh comunque, i gruppi restano, quindi fai la brava
    - Nathaniel
    - Papaya
    Beh. Dovevano ancora, evidentemente, sistemare qualcosa in quel metodo di comunicazione.
    Almeno ci stavano provando.
    Ew - preferiva non pensarci.
    Ruotò gli occhi verso una nuova galassia, sospirando così sonoramente che dovevano averla sentita anche i clienti del Cap dall’altra parte del muro della stanza magggika. «okay.» concesse impassibile, alzandosi con grazia ma non era Todd? Ihih che simpa dal divano, tutta eleganza liquida e riflessi ninja.
    In un metro e cinquantacinque centimetri, ma vabbè, si sapeva cosa narrasse la leggenda: non sono le dimensioni a fare la differenza, ma come si usa. «sah, gingerbitch» con un cenno del capo, invitò Todd ad alzarsi. Effettivamente, neanche Jericho - neanche Jericho! - che non lo conosceva, l’avrebbe lasciato uscire da solo.
    Non perché si preoccupasse per lui, non esageriamo con la confidenza, ma perché le probabilità che li facesse scoprire ponendo le domande sbagliate alle persone sbagliate, raggiungevano vette che le rendeva certezze. «andiamo a trovare bran» cosa?
    Cosa.

    Si sporse in avanti per far cadere la cenere sul suolo del Carrow’s District, aiutandosi con un piccolo movimento del capo come appreso dai veri pro (Jigen) per evitare di buttarsi la cenere addosso. Sta minchia che toglieva le mani dalle tasche della giacca per scenerare – era troppo impegnata a coccolare, come figli che mai avrebbe avuto perché odiava i bambini, i suoi shuriken infilati dentro al cappotto. La sua tattica per scovare gli AU, promossa da quasi tutti i presenti alla riunione, era indossare sulla schiena un cartello con su scritto Andy S-ucks, così che chi volesse intendere, potesse farlo; come Todd avesse previsto di trovare i dispersi, non era un suo problema. «gingerbitch,» attirò l’attenzione del magizoologo, ma non distolse lo sguardo dalla gabbia degli ippopotami (dove si era fermata per puro, purissimo, caso ciao bran). Fu lì lì per domandargli, perfino cortesemente, se avesse aderito alla missione per trovare qualcuno in particolare – massì, sapete, quel genere di conversazione educato e superficiale – ma nel momento in cui aprì bocca, si rese conto di non essere né cortese, né educata. Quindi: «se troviamo qualcuno che non mi piace, lo uccido.»
    Beh. Almeno era onesta.
    I can smell your fear The only reason that I'm here Is to wreak havoc Everybody prayin' that I'll change, yeah Maybe one day but tomorrow I'll be back at it
    23.11.18 | telepathy | hitman
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    jericho karma
    @jklowell


    Edited by #epicWin - 16/12/2018, 14:48
     
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    Spero di essere Todd

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    Ian Todd Milkobitch
    Non sono sfortunato, sono gli altri più fortunati di me.


    La domanda che sorgeva spontanea ai presenti in quel posto era, che diavolo ci faceva lì uno come Todd? Non aveva la minima idea di quello che stava succedendo (come la player) in quel momento dato che la sua mente era troppo impegnata a non far uscire le molte personalità che alloggiavano nella sua testa. Che vogliate crederci o meno, era davvero difficile per il ragazzo essere semplicemente lo sfigato Todd. Non poteva contare su Jeremy, dato che sembrava pure lui fosse diventato qualcun altro. Spesso si domandava se una delle sua personalità potesse mai andare d'accordo con una di quelle del fratello, per ora non erano stati molto fortunati. Ma non doveva perdere le speranze, un giorno prima o poi i due Milkobitch si sarebbero incontrati non ne aveva alcun dubbio.
    La domanda era comunque la stessa, che ci faceva lui lì? Non era uno di quelli che cercava risposte, anche se beh di domande ne aveva davvero tante, come ad esempio se Nico fosse stato davvero il lupo o fosse stato semplicemente biondo. Sicuramente era la persona meno adatta per una missione, sempre se in quel posto si stessero arruolando, perché davvero non capiva come poteva essere lì. Era colpa di Jeremy, gli aveva detto di farsi trovare per stare insieme, invece lo aveva incastrato in quella specie di riunione con il falso Stiles, che comunque non era male, gli piaceva anche quella versione del ragazzo, così spavalda e diversa dal suo psicologo; non fraintendetemi, lui si trovava davvero bene con Andrew dato che da quando andava da lui stava decisamente meglio, poteva dire che non erano solo le medicine a fare effetto. Forse.
    Si guardò intorno, si sentiva a disagio ed era così fuori luogo in quel posto; con quelle persone a fare piani o ci provavano, insomma quello più preso sembrava essere solo Nathaniel. Non che Ian fosse completamente insensibile alla questione degli universi paralleli e dei ragazzi che erano persi nel loro mondo; sapeva anche che forse c'erano un altro sfigato in giro a fare qualche casino, ma lui che poteva fare? Niente perché era inutile come il pondolo del piede e poi la mora che aveva davanti gli metteva inquietudine. Molta. Sembrava che volesse ucciderlo o quasi.
    Perché Jeremy lo aveva depistato così brutalmente? In fondo voleva solo stare con lui, aveva solo voglia passare del tempo tra fratelli; ma come poteva aspettarsi diversamente dato che mai aveva voluto trascorrere qualche ora assieme. Però quella volta era stato davvero uno stronzo, poteva solo dirgli che non aveva voglia di vederlo, come tutte le altre volte che non si era risparmiato nel liquidarlo anche brutalmente; perché gli aveva fatto quella cattiveria? Che amarezza.
    «sai usare qualche arma, almeno?»
    «Cosa?» la mora gli stava davvero rivolgendo la parola? Non era invisibile? Cioè lui era lì, ma non doveva davvero essere parte attiva del discorso,era evidente che non fosse lì per partecipare in alcun modo.
    «non l’ho chiesto a te» cazzo allora stava davvero parlando col rossino. Deglutì cercando di non far vedere che stava per andare nel panico, davvero non era lì per partecipare. Che brutta persona era Jeremy, se non fosse stato che lo amava davvero lo avrebbe maledetto per averlo abbandonato in quel posto e da solo. Doveva quindi rispondere lui, cosa poteva dire. «Ian davvero, guarda che se non rispondi ti prende per scemo oltre che inutile.» ed ecco Mickey che intervenne senza che Todd glielo avesse davvero chiesto, ma non poteva rispondere o sarebbe passato pure da pazzo, non che gli importasse molto ma insomma aveva paura della mora. «che ridere» e vide l'amico scuotere la testa e andarsene. Ok forse aveva detto una cazzata, ma che poteva dire per far capire che era partecipe? Forse qualsiasi altra cosa ma la player non sa che dire.
    «sah, gingerbitch»
    «uhh ginger. Mi piace, non fartela scappare» Mickey di nuovo era apparso alle sue spalle, facendolo saltare dallo spavento. Non se ne andato via vergognadosi dell'amico? Dannato, si voltò velocemente per fulminarlo e lo avrebbe anche mandato a fanculo, peccato che non erano soli e ripeto la mora gli metteva davvero paura per fare qualsiasi cosa che non fosse sorridere e annuire. «Vattene.» bisbigliò e per fortuna sembrava che nessuno l'avesse sentito perché Jericho continuò a parlare come se niente fosse o magari era stata solo molto carina a non far pesare al rosso che era completamente pazzo. O forse no.
    «andiamo a trovare bran»
    «ook?» avrebbe voluto chiedergli chi fosse e perché doveva proprio essere lui il prescelto ad andare con lei? il ragazzo voleva solo stare con Jeremy, che aveva fatto di male? Ma non aveva di certo il coraggio per contraddirla o dire di no, così la seguì ovunque fossero diretti, anche verso la morte. Oddio sperava di no, aveva un procione da nutrire. Cosa?
    «gingerbitch,» ancora quel nome, ma di certo non glielo avrebbe detto lui che non gli piaceva, anche se forse era il contrario. Ok era confuso, ma stare a contatto con una ragazza gli creava sempre un certo scombussolamento, non era abituato e la ragazza non aiutava a farlo stare tranquillo, proprio per niente.
    «si?» si stava davvero sprecando con le parole vero? Poteva sempre dire qualcos'altro ma sul momento non sapeva dire niente di sensato; aveva sempre avuto problemi ad intavolare dei discorsi.
    «se troviamo qualcuno che non mi piace, lo uccido.»
    «Uccidere?» per l'ennesima volta deglutì, cercando di capire se la mora stesse scherzando, ma ovviamente non era così, glielo si leggeva in faccia che era cazzuta, proprio come Run. Chissà se era alcolizzata e pazza come la sorella. Sicuramente. Forse poteva seguirla, come avrebbe fatto con lei. Gli mancava così tanto. Sospirò amareggiato «Sai le somigli molto» disse dando un calcio ad un sassolino perché guardare la mora negli occhi era fin troppo imbarazzante. «Metti più paura di Run, ma sei cazzuta quanto lei. Anche lei ucciderebbe se ci fosse qualcuno che non le piace.» la sua adorabile Crane. «Quanto mi manca» stava per sprofondare nella tristezza, perché ogni giorno era sempre così difficile senza di lei e la speranza si stava spegnendo sempre di più. Ma ora aveva Jericho, stava iniziando a piacerle oltre che a spaventarlo. cosa?






    loser
    ex-corvonero
    18 y.o


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    made in china — I'm here at the beginning of the end
     
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    I knew a sick boy soldier
    Who grinned at life
    Slept soundly
    Through the darkness
    And whistled to the night
    4 mesi prima, pre-missione.
    Ingoiò saliva e bile abbassando lo sguardo sui propri piedi, il palmo della mano a sfiorare distrattamente il ponte della chitarra. Non glien’era fregato un cazzo delle critiche in proposito mosse da pressoché chiunque: non esisteva che il guaritore si buttasse nell’ennesima situazione potenzialmente suicida senza la sua bambina. Ed ecco perché, discostato dal resto dei suoi compagni di viaggio, Franklyn Cobain stringeva al petto lo strumento musicale slash lanciafiamme con l’affetto ed il bisogno di un bambino con il suo giocattolo preferito, evitando testardo lo sguardo degli altri. Non per timidezza, ci voleva ben più di un AU per rendere un qualunque Frankie timido!, quanto più per…paura. Semplice, schietta, ruvida sulla lingua ed in gola.
    Era terrorizzato. Come avrebbe potuto non esserlo? Cinque anni prima aveva visto morire quasi tutti i suoi amici; era rimasto impotente di fronte a ciascuno dei caduti, incapace di salvarli – lui, con la fottuta guarigione, non aveva potuto far niente per nessuno di loro. All’epoca era stato solo un ragazzino sedicenne che aveva creduto sarebbe stato forte unirsi ai grandi; a fine giornata s’era ritrovato con dieci anni in più sulle spalle, ed un non indifferente disturbo post traumatico da stress.
    Non poteva farlo di nuovo. Non poteva. Aveva chiuso con il mondo magico non appena si era diplomato. Aveva aiutato a ricostruire Hogwarts, sicuro, e si era reso disponibile per qualunque mansione richiedesse un Frankie-Cobain, ma la sua vita in quanto attivista si era conclusa con la chiusura dei portali: Frankie fuckin out. Ecco perché, anziché seguire le orme di papà! percorrere l’ovvia strada degli Auror, il Tassorosso aveva scelto la polizia babbana: il drama era ovunque, ed in quanto eroe incompreso di un un’epoca moderna non poteva sottrarsi al proprio destino, ma quello di Londra era gestibile. E dire che era stato lui, lui!, a sprizzare entusiasmo perché tutti i suoi amici si unissero alla missione – e voi direte, giustamente: perché, Frankie, se ne hai così paura?
    Perché era quello che ci sarebbe aspettati da Frankie, ed il ventunenne tendeva a non deludere mai le aspettative. Il sarcastico, divertente, chiassoso ed inopportuno Franklyn Cobain – un classico, avrebbero detto in molti: ed avrebbero avuto ragione. Il Guaritore non mentiva su chi era, su cos’era o com’era. Sceglieva semplicemente quali parti non mostrare perché avrebbero rovinato la sua immagine. Emotivo? Sempre, e senza vergogna, ma non sulle questioni che contavano davvero. Spontaneo? In ogni occasione, eccetto quando ne avrebbe avuto più bisogno. Affettuoso? Fin troppo, con quella sua tendenza ad appiccicarsi come una ragnatela, ma mai quando avrebbe dovuto. L’aveva sempre saputo di avere qualche rotella fuori posto.
    Perlomeno, era un bravo ragazzo: l’aveva promesso, no?
    «sei sicuro di volerlo fare?» domandò in un bisbiglio distratto, senza alzare lo sguardo sul ragazzo al proprio fianco. Strascicò appositamente le parole per apparire svogliato e disinteressato, le sopracciglia vagamente arcuate a rendere la domanda una sottile presa per il culo. Percepì l’irritante peso delle iridi scure su di sé, e pur di fare qualcosa che fosse evitare quello sguardo, frugò nelle tasche alla ricerca delle sigarette. Solo quando ne mise una fra le labbra, capì cosa, fino a quel momento, l’altro avesse fissato – e perché Frankie avesse trovato un gesto così semplice, così complesso: le dita tremavano come foglie in autunno appese per misericordia ai loro rami. Se ne accorse troppo tardi, quando chiudere il pugno non avrebbe più cancellato quella traballante memoria dalla mente di nessuno.
    Così fece finta di niente, perché nell’ignorare i problemi nascondendoli sotto il tappeto, era sempre stato un maestro. «io sì,» dannazione, perché quella stupida fiamma non attecchiva al cilindro di tabacco? Andiamo - andiamo! Un verso di gola, irrazionale e frustrato, sgusciò dalla bocca del Cobain, mentre il dito si arrovellava sull’accendino con un principio di furiosa isteria. Si bloccò d’improvviso quando l’altro abbassò gentilmente la mano con cui teneva l’acciarino, osservandolo di sottecchi con le sopracciglia corrugate. Frankie Cobain ricambiò impassibile l’occhiata curiosa di Ferguson Jackson sforzandosi di non far trasparire nulla: non aveva ceduto quella vulnerabile parte di sé ai suoi amici, certamente non l’avrebbe regalata al Jackson. Il tono secco e determinato delle sue parole gli strinse ancor più il petto in una morsa: perché lui sì e io no? Avevano un rapporto particolare, Fergie e Frankie; si erano ignorati per l’intero periodo scolastico pur trovandosi ambedue allo stesso anno, ma entrambi perfettamente consapevoli l’uno dell’altro: troppo simili e diversi perché potessero ignorare l’esistenza di una faccia opposta della propria moneta.
    La prima volta che s’erano ritrovati a parlare, le prime parole di Frankie erano state: «sei in arresto.»
    Uguali, ma non abbastanza: conclusi gli studi si erano trovati entrambi sul neutrale suolo londinese.
    Ma Frankie era quello fuori dalla cella, e Fergie quello che sbuffando attendeva lo scadere del fermo.
    Settimanalmente.
    E c’era qualcosa…c’era qualcosa di sempre troppo caldo, nello sguardo del Jackson. Pur essendo lui quello in torto ed in attesa di giudizio, faceva sentire Frankie sporco ed in errore. Ciononostante, quegli stessi occhi scuri parevano sollevarlo da ogni colpa, quasi il Cobain fosse stato troppo stupido, o troppo giovane, o troppo entrambi per capire.
    Beh, vaffanculo.
    Rimase immobile quando il Serpeverde si avvicinò maggiormente, resistendo all’infantile tentazione di indietreggiare. Leggeva cristallina la provocazione nella curva appena accennata delle labbra, hai paura?, ma sarebbe morto prima di dargli quella soddisfazione. Fergie allungò un braccio verso il suo viso, e Frankie non ebbe neanche il tempo di mostrarsi sorpreso prima che questi prendesse la sigaretta dalla sua bocca, sfiorando appena le labbra con i polpastrelli, prima d’infilarla nella propria. Capite perché non lo sopportava? Perché dovette costringersi a non passare la lingua sulle labbra laddove l’altro l’aveva appena toccato, fingere che quel minimo tocco non avesse mandato una scossa a rischio corto circuito: di nuovo, sarebbe morto prima di dargli quella soddisfazione.
    Sarebbe morto davvero un sacco di volte, pur di non far vincere Ferguson Jackson.
    Senza distogliere lo sguardo dal suo, Fergie accese senza problemi la sigaretta. Si finse affascinato dal fumo, piuttosto che ammettere di essersi incantato a guardare la bocca del Serpeverde: mica era una fanfiction di Meara, quella.
    Sti cazzi. «e tu?» con una delicatezza che non si sarebbe mai abbinata alle spalle spesse del generatore di acidi, Ferguson infilò nuovamente la sigaretta nella bocca dischiusa del guaritore. Istintivamente arricciò le labbra sul filtro, scuotendo il capo in un tic nervoso quando percepì l’umidità della saliva lasciata dall’altro.
    Non lo
    Sopportava.
    Non rispose, sordo a tutto eccetto il battito terrorizzato del proprio cuore. Fu il primo a cedere - hai vinto una battaglia, non la guerra - e distogliere lo sguardo dal Jackson per posarlo sul resto della combriccola. Tutti – tutti! – i suoi amici. La sua famiglia. Il pensiero che avrebbe potuto perderli, di nuovo, lo mandava pericolosamente sul ciglio di un attacco di panico.
    E non aveva avuto, comunque, il coraggio di dirlo a nessuno di loro.
    «non sei obbligato a venire» Lo sapeva.
    Rispose con una risata rauca e secca, il capo lievemente inclinato all’indietro. «fottiti» sorrise morbido ed ironico, ritrovando lentamente un mediocre controllo di se stesso: c’era Sam; c’erano Meara e Winston e Barry e Preston e CJ; c’erano Zac e Andy e Percy; c’erano Todd e Roy e Elijah e Billie e Amalie. Non era neanche da mettere in discussione il fatto che potesse non andare: non aveva altra scelta. «hai sbagliato a pronunciare f-» «fottiti» replicò ancora, corrugando le sopracciglia e lanciandogli un’occhiata severa – per quanto severo potesse mai apparire un Frankie Cobain.
    Alla risata roca di Ferguson Jackson, il poliziotto si rese conto di tre cose: aveva smesso di tremare; il muscolo cardiaco aveva smesso di frantumargli le costole.
    E –
    Quando l’altro fece per andarsene, senza pensarci, strinse le dita attorno al suo polso impedendogli di allontanarsi. Non alzò gli occhi verso l’altro, temendo – sinceramente – cosa potesse leggervi; non ne aveva idea. Aspirò dalla sigaretta, la prese fra pollice ed indice, e la offrì all’altro dalla parte del filtro: tregua?, diceva il gesto del Cobain.
    Prevedibilmente frainteso, perché Fergie si allungò aspirando direttamente dalle sue mani posando appena le labbra sulle sue dita. Ma perché doveva essere così…così…Così Ferguson Jackson, il quale riusciva a rendere tutto – tutto! – quel che faceva, vagamente perverso.
    O forse era Frankie, a leggere fra le righe qualcosa che non c’era.
    «non morire» sbottò a bassa voce, sentendo il petto alleggerirsi ad ogni parola. Avrebbe voluto, e dovuto dirlo, ad almeno trenta persone prima che il nome di Fergie sbucasse in lista, ma…era più difficile, con gli altri. In pochi conoscevano il Cobain serio, e sapevano che quando capitava nei paraggi, era sempre…più pesante, del Frankie normale. Ma Ferguson? Non era mai stato amichevole nei suoi confronti – non erano amici, non erano famiglia, non erano niente.
    «sentiresti la mia mancanza?» E rieccolo. Ruotò gli occhi verso il cielo, sbuffando seccato fra i denti. Rimpiangeva tutto. «no» mentì, buttando la sigaretta per terra.
    Fergie si strinse nelle spalle iniziando a seguire il primo gruppo che aveva iniziato ad avviarsi. «ci vediamo fra mezz’oretta, agente» picchiò il pugno sul petto, baciò le nocche, e sollevò le dita verso l’alto.
    Suo malgrado si ritrovò a sorridere, chiedendosi – per…la scienza…- distrattamente come proseguissero i disegni tribali che spuntavano sul collo, e la sua immaginazione prese -…come sempre; nulla di personale – la tangente verso uno scenario non del tutto platonico dove con l’indice seguiva ogni linea d’inchiostro, la lingua –
    «cobain…....»
    Sobbalzò sul posto alzando il capo verso CJ Hamilton, il cui tono di biasimo non lasciò spazio a dubbi su quanto avesse visto. Caso mai non fosse stato chiaro dalla voce, il raccapricciato sguardo acquamarina cancellava ogni possibile appiglio d’innocenza. ODIAVA I TELEPATI, OKAY. «FATTI I CAZZI TUOI»
    Severo ma giusto.

    4 mesi prima, post-missione.
    «diario di bordo di frankie cobain,» sollevò gli occhi verso il cielo di Londra, il naso arricciato nel cercare di leggere nelle stelle che cazzo di ora fosse. Beh? Nei film la facevano passare per una cazzata, sperava…boh, di trovarci qualche proiezione al neon? Qualche indizio utile. Si scosse nelle spalle continuando a camminare, scribacchiando le sue memorie su un pezzo di giornale nel quale era inciampato il giorno prima. «giorno due» si fermò nel bel mezzo della strada, la chitarra a pesare sul petto ed il viso ancora sporco di polvere e cenere. «ma potrebbe essere VENTI, per quanto mi riguarda» strillò (ma in un sussurro) esasperato, premendo la penna così forte da bucare la carta.
    Razionalmente sapeva di aver visto solo due tramonti, il che implicava fossero passati solo due giorni da quand’era stato catapultato IN UNA FOTTUTA REALTà ALTERNATIVA - e no, neanche quella con se stesso e Sam, l’altra! - ma di cuore, Frankie era certo fossero passati almeno due secoli e mezzo. Non era fatto per stare da solo, il Guaritore; non era fatto per nascondersi, o per non avere la più pallida idea di cosa fare: dov’erano i suoi amici? DOV’ERA PERCY?
    Non ci poteva credere. Non ci voleva credere.
    Calciò un invisibile sassolino della strada, la schiena curva sul diario come una Elena Gilbert qualunque.
    «la vita fa schifo» e sì, mentre scriveva sentiva il bisogno di auto dettarsi le parole: non ne poteva più del silenzio, e della solitudine. Comprendeva perché Laura Pausini ci avesse scritto una canzone.
    Era proprio una merda.
    «non solo non hanno ancora scoperto che mj se la sta sballando alle bahamas» 2020, stay tuned. «ma pitbull non ha ancora #uscito l’album diss contro eminem» 2021, manca ancora troppo!
    «i n a c c e t t a b i l e»
    Sconvolgente. E sempre meglio dedicare a quel fottuto pezzo di giornali pezzi casuali della sua vita, piuttosto che mettere nero su bianco il fisicamente dolorante ”ho perso tutti”.
    Aveva perso
    Tutti.
    Si era svegliato da solo in una stradina secondaria di Diagon Alley, e ci aveva messo – decisamente troppo - tempo prima di comprendere cosa fosse successo; tempo impiegato abilmente per entrare in una crisi di panico DOC, conclusa in un pianto affatto liberatorio che aveva reso gli occhi del Cobain rossi come l’album di Taylor Swift. Aveva trovato consolatorio il fatto che almeno Kurt – la chitarra – l’avesse accompagnato in quel viaggio?
    …mentirei se dicessi di no. Si accontentava davvero di poco, oramai.
    Sospirò, si trascinò ancora per qualche metro. Erano morti? Era da solo? Come sarebbe tornato a casa.
    Ma non erano solo quelli i pensieri a guidare il Cobain per le strade di Londra. Era un bisogno più urgente, più disperato e capriccioso. Un bisogno che aveva dei nomi, e dei fottuti cognomi che dopo cinque anni ancora gli affaticavano respiro e vista.
    Si fermò ai piedi di una villa dalle mura bianche e le finestre affacciate sulla strada. Smise di respirare, sollevando con lentezza esasperante le iridi brune sul campanello. Poteva percepire il proprio cuore scontrarsi contro le vertebre, la gola secca e gli occhi già umidi. Qualche anima ottimista vi avrebbe detto che il tempo guariva ogni cosa; che la morte fosse una tappa necessaria nella vita di tutti, ed in quanto tale andasse accettata. Che bisognasse imparare a dire addio.
    Gli addii non erano mai stati il suo forte.
    Non voleva essere molesto. Non voleva intromettersi in vite che non gli appartenevano - sapeva le regole - voleva…voleva solo…
    Voleva solo vederli. Da lontano, capite. Non gli importava che non fossero i suoi - erano comunque loro, ed erano comunque vivi. Aveva troppe questioni in sospeso, Frankie Cobain; troppi saluti ancora appesi sulla lingua dall’agrodolce sapore di sangue ed erba. Per cinque anni aveva creduto avrebbe mai più avuto l’occasione di vedere il loro sorriso, o sentire la loro risata.
    Cinque anni erano un lasso di tempo fottutamente lungo, quando avevi appena ventun anni.
    Lesse il cognome sul campanello.
    Il cuore sprofondò in un punto imprecisato del ventre, la bocca arida quanto le vene.
    Non si era accorto di quanto ci avesse sperato, finchè sul campanello non aveva trovato il cognome sbagliato. Mai, Frankie, avrebbe sbagliato casa: ricordava tutto. Le scale sul quale era inciampato almeno un centinaio di volte, correndo per entrare in cucina; le camere dal quale si era affacciato perché l’odore di fumo non rimanesse sulle pareti; la taverna dove aveva imparato a suonare la chitarra.
    Fece guizzare ruvido la lingua sul labbro inferiore, sentendo di aver perso l’ennesima guerra. Testardo, forzò la serratura del cancello e s’infiltrò nel giardino della villa.
    Si rannicchiò sul patio con le ginocchia premute contro la fronte, lasciando uscire il singhiozzo secco trattenuto fino a quel momento.
    Aveva letto sul giornale – lo stesso trattenuto nel palmo – che Gwen fosse morta.
    Non aveva la più pallida idea di come raggiungere la casa di Gkee o Noah.
    Ma almeno in Jeremy, ci aveva sperato - così tanto da non riuscire a trattenere il pianto secco a bagnare le gambe, stupido ed insensato. Credeva davvero di aver finito le proprie lacrime, Frankie Cobain – di averli già pianti abbastanza. Perché non smetteva mai di far male? Perché –
    «mi -» aspirò tremulo, serrò i denti. «mancate così tanto» si concesse di dirlo.
    Dopo giorni, mesi, anni, si permise d’ammetterlo ad alta voce: gli mancavano terribilmente e disperatamente, unti dal senso di colpa del quale mai – mai! – era riuscito a liberarsi. Una volta iniziato a piangere, fu impossibile smettere; una volta iniziato a bofonchiare, neanche ci provò a chiudere la fottuta bocca. «e ora – e ora ho perso anche gli altri? avevo - avevo promesso» di fare il bravo, di non commettere più gli stessi errori.
    Di non permettere che mi lasciassero solo.
    «sono così stupido» Un altro singhiozzo arrabbiato.
    «non è giusto» Non lo era mai stato.
    «c-come – come funziona? Dio, c-che - che cazzo dovrei fare
    «smetterla di piangere»
    «dio, perché hai la voce di samantha?»
    «frankie-»
    «non è divertente. come – cristo, come ho potuto perdere mia sorella
    «franklyn -»
    «mi sembra ancora di sentire la sua voce…»
    «frankie, smettila di dire a tutti che sono morta.»
    Alzò il capo asciugando il naso sulla spalla, il palmo a strofinare gli occhi gonfi dal pianto. «sammy?» Era…era davvero lei? Per un secondo - un secondo - fu semplicemente troppo, e nell’incontrare gli occhi chiari della Cobain temette di rimettersi a piangere. Qualcosa dovette passare dall’espressione di Frankie, perché Samantha ingollò qualsivoglia commento ironico sedendosi sul suo stesso scalino. Non ebbe bisogno d’altro, il Cobain minore, per appiattirsi al fianco della ragazza ed affondare il viso sulla sua spalla, stringendola a sé con il lieve tremolio di chi ancora temeva fosse un allucinazione. «mi hai trovato» Il sopracciglio arcuato della ragazza diceva sei prevedibile, Franklyn, ma il sorriso divertito e gentile raccontava un’altra storia – una di quelle che si seguivano ed inseguivano nei secoli.
    Letteralmente.
    «sempre.»

    Oggi
    «dovevi proprio?» In quei lunghi mesi di convivenza, Sam aveva cercato di convincerlo più volte a lasciare Kurt a /casa/ quando andavano in esplorazione, a suo dire attirava troppo l’attenzione, ma la risposta di Frankie non era mai cambiata. Quel giorno, come se non bastasse la chitarra stretta al petto, il Cobain era (FINALMENTE.) riuscito a rubare il cappellino di un poliziotto: gli mancava il distintivo, e poi si sarebbe quasi – quasi. – sentito normale.
    «sì» rispose senza guardarla, premendo il copricapo sui capelli color sabbia. Assolutamente necessario. Nelle lunghe (e vane.) settimane a susseguirsi l’una dopo l’altra, Frankie – che aveva lo spirito di sopravvivenza di una cicala – aveva seguito ciecamente Samantha mentre li manteneva in vita, dando il proprio contributo con (sempre sentite, e sempre perfette) colonne sonore appropriate all’occasione. Mentre girovagavano per un’ala semi deserta del Carrow’s District, dove Frankie si affacciava ad ogni gabbia alla ricerca di Fergie (beh? Era un animale ed era abituato alle sbarre, il dubbio era lecito) e lasciava sulle pareti strani geroglifici alieni e nomi di tronisti sperando di attivare il Coop-radar, aveva scelto una quieta Highway to Hell - perché, checchè ne dicesse il mondo, aveva uno spiccato senso dell’umorismo. Mentre camminavano, teneva il cappello davanti a sè sperando che qualche talent scout scorgesse la sua vena da rockstar e gli concedesse uno spazio nella sua casa discografica: non gli bastava essere conosciuto nel mondo (trash) del canon, NOSSIGNORI.
    Voleva conquistarsi anche l'au.
    Gli mancavano i podcast con lsd boi sulle ultime newz del mondo musicale. Gli mancavano i reggiseni che le fan lanciavano sul palco ai suoi (sporadici) concerti di nicchia.
    Gli mancava essere Franklyn Cobain, colui che di notte riportava in vita il rock e di giorno combatteva il crimine per le strade di Londra: quel Frankie stropicciato e smunto che si ritrovava a fissare allo specchio da quattro mesi a quella parte, meh. Non era il suo tipo. «No stop signs / Speed limit / Nobody's gonna sloooW ME DOOooWN» canticchiò, strimpellando sulla chitarra, qualche passo avanti rispetto a Sam. Sapeva quali fossero le regole quando si entrava in un mondo au, ma sapeva anche che nel loro caso specifico non valessero: impossibile qualcuno li riconoscesse, oramai erano morto da quasi cent’anni – anno in più, anno in meno. «Like a wheel / Gonna spin it / Nobody's gonna mess me around» saltellò esibendosi in una piroetta di classe, e con la coda dell’occhio colse una chioma color rubino. «Hey, Satan / Payin' my dues / Playin' in a rockin' band» ma dai – su quella giacca c’era scritto Andy Sucks? HA! ANDY! La indicò ridacchiando divertito a Sam, scuotendo appena il capo incredulo. Fra tutti i nomi, proprio Andy S-ucks! Dai, era esilarante! «Hey, mamma / Look at me / I'm on the way to - AAAAAAAA» *frankie shrieks*
    Abbandonò le braccia lungo i fianchi facendo ricadere la chitarra contro il petto, lo sguardo a guizzare da «toDD» a «GKEE» e non connesse più il cervello, dimentico per un istante - un istante - che la sua Jericho Lowell fosse morta. Si fiondò verso la ragazza senza pensarci, stringendole le braccia al petto e sollevandola di qualche centimetro da terra. «SAM, GUARDA - oh» si ritrovò a ricambiare l’occhiata di un lucente, brillantissimo, shuriken puntato alla sua fronte. «mollami o te lo pianto nel cranio»
    ……
    …………
    ……………. «…….sam?» may day, may day.
    Something went wrong.
    frankie
    (barnaby jagger)
    cobain

    21 y.o. ✖ healer ✖ cop ✖ hufflepuff
    upside
    down
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    Edited by #epicWin - 29/11/2018, 03:57
     
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    dressed to kill

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    «uccidere?» Voleva forse uno spelling? Arcuò le sopracciglia e volse l’intero busto verso il Milkobitch, il capo reclinato per lanciargli un’allusiva – e non particolarmente amichevole, ma dov’era la novità - occhiata. «uccidere.» confermò, scandendo ogni sillaba e rotolando piacevolmente tutte le lettere sulla punta della lingua: ah, più bello della parola “uccidere” c’era solamente l’atto in sé! Sorrise perfino, Jericho Lowell, malgrado quella smorfia lieta non avesse nulla a che fare con il proprio interlocutore, e tutto con il mero essere scesa a patti con la nota psicopatica che scorreva nelle vene dei Lowell: eh vabbè, era andata così. Il sospiro di Todd portò con sé un’ondata di gelo che fece drizzare le spalle a Jericho e farle ruotare seccata gli occhi verso una galassia lontana, la linea tremula dei suoi poco allegri pensieri a titillare la parte del cervello impegnata a captare eventuali interferenze esterne. Lo sapeva, maledizione!, che non doveva dargli spunto di conversazione – perché l’aveva fatto? Odiava parlare, e odiava le persone tristi. Se Todd Milkobitch si fosse messo a piangere, l’avrebbe piantato in asso.
    Nel senso metaforico, ma anche letterale. Poteva sempre conficcargli uno dei coltellini nel piede ed attaccarlo temporaneamente al suolo dello zoo. «Sai le somigli molto» Se le sopracciglia fossero schizzate più in alto, si sarebbero fuse ai capelli. Non ricordava di aver mai - mai! - ricevuto offesa più grande di quella: somigliava a HEIDRUN CRANE? Quando era caduta così in basso? Dove aveva fallito nella sua vita? «Metti più paura di Run, ma sei cazzuta quanto lei. Anche lei ucciderebbe se ci fosse qualcuno che non le piace.» Ah, ecco. Sbuffò un sibilo fra i denti e tolse una mano dalla tasca, prendendo la sigaretta ancora fra le labbra per spegnerla seccata al suolo. Piantonò lo scarponcino per terra e schiacciò la cicca, un accusatorio indice contro il ragazzo. «punto primo: sono più cazzuta di lei» priorità. Come osava dire che Run - RUN - fosse più badass di lei? Ma in quale universo? Certamente non nel loro; magari Todd, zitto zitto, anziché essere il canon era un au: au Todd Milkobitch avrebbe, forse, potuto avere ragione, considerando che “Gkee” sembrava essere stata amica di tutti.
    Brividi. «punto secondo -» Non sapeva come avrebbe continuato la frase – di punti per il quale ella fosse migliore della Crane, ne aveva almeno un centinaio, fra cui cose tipo…non essere mai morta, per intenderci; il basic – perché, mentre il gingerbitch continuava a sospirare la propria frustrazione adolescenziale, la Lowell colse un movimento nella periferia visiva del suo sguardo. Si immobilizzò e strinse l’arma nipponica fra le dita, gli occhi a guizzare verso la zona dal quale percepiva le onde della presenza di qualcun altro. «taci» biascicò secca, muovendo appena le labbra, tirandogli una gomitata nel fianco ed indicandogli il luogo incriminato con un rapido cenno del capo. Difficile che passassero inosservati, considerando che il più piccolo continuava a strimpellare la chitarra (che fosse un mendicante?) cantando a squarciagola quasi fossero al Coachella. Anche solo per quel motivo, disturbo della quiete pubblica, puntò le iridi zaffiro verso di lui, stringendo pensosa le labbra fra loro. Quand’egli ne incrociò lo sguardo, Jericho ebbe un attimo di sbandamento, perdendo momentaneamente equilibrio e lucidità.
    Perché l’aveva già visto. Lungi dalla Lowell notare le differenze d’età in quel momento, non aveva prestato granché attenzione al ragazzo neanche la prima volta, ma era difficile dimenticare un’esperienza metafisica come quella degli specchi incrociati: era uno dei cowboy. Era con DARDEN E GEMES E JAY. Erano…erano tornati? Cosa stava succedendo. «tu» sibilò, gli occhi ridotti ad una fessura. «todd» Li…Li conosceva? Jericho lanciò un veloce sguardo interrogativo al ragazzo al proprio fianco (…forse si era sbagliata? forse l’aveva visto ad hogwarts? Odiava tutti da sempre, non si era mai cagata i suoi compagni) ma ogni dubbio sparì come neve al sole al secondo strillo dell’aspirante Jimi Hendrix. «GKEE»
    Beh. Quello escludeva la possibilità che conoscesse Jericho Karma Lowell, altrimenti non l’avrebbe mai chiamata in quel modo.
    Né sarebbe stato così stupido da correre, come Heidi quando portava al pascolo Fiocco di Neve, nella sua direzione. Scosse il capo in un gentile - gentile! ma ci rendiamo conto? - gesto di monito, ma l’altro la ignorò preferendo invece auto decretarsi kamikaze. La Lowell svuotò i polmoni in uno sbuffo sonoro quando le braccia di lui le si strinsero alla vita, sollevandola - SOLLEVANDOLA - da terra come fosse stata un pupazzo. C’era qualcosa di più umiliante e vergognoso al mondo? Tolse lo shuriken dalla tasca per sbatterlo, quasi letteralmente, in faccia dell’altro – poco se ne sbatteva di spegnere ogni entusiasmo e gioia di vivere.
    Un poco, ad osservane i lineamenti giovani e sollevati, si sentì in colpa. Non l’avrebbe mai, mai ammesso, ma in cuor suo… oddio, lo stava per dire. Sospiro. In cuor suo nell’aver scoperto di essere stata amata, seppur in un’altra vita, da così tante persone, le aveva fatto piacere – si era sentita lusingata. L’aveva costretta a domandarsi se anche lei, vivendo la vita di Gkee, avrebbe avuto più amici che killer buddies. Non fraintendente, non…non rimpiangeva essere se stessa, ma valutare alternative non era certo un reato. E, sapendo che l’altra Jericho fosse morta, poteva capire perché il ragazzo avesse agito in quel modo.
    Ma.
    Ma. Anche considerando ambedue i fattori, non era abbastanza perché la Lowell sopportasse in silenzio quella caterba di puttanate. «mollami o te lo pianto nel cranio» sillabò lenta, battendo le ciglia con disinvoltura. «….sam?» «ora.» rettificò, avvicinando pericolosamente la lama alla fronte dell’au.
    Piano con la confidenza, ragazzino.
    Sentì la presa allentarsi, e non se lo fece ripetere due volte prima di districarsi dalla stretta mortale dell’amico di Sam. «bravo ragazzo» avvisò, senza deporre lo shuriken, indietreggiando di un passo per mettere più distanza fra loro. Ignorò volutamente la fitta di dolore negli occhi scuri del ragazzo: non era un suo problema. «ora, con calma, ricominciamo» Schioccò la lingua sul palato facendo guizzare gli occhi azzurri dall’uno all’altro, tornando poi ad una svogliata occhiata in direzione di Todd. Non poteva occuparsi lui di quelle chiacchiere polite? Non erano il suo genere. No? Niente?
    Mmmm. «vi stavamo cercando» Più o meno. «cioè, andy vi sta cercando.» fosse mai che pensassero, erroneamente, che alla Lowell potesse sbattere qualcosa. «possiamo portarvi dagli altri» volse il peso delle iridi blu sul ragazzo più giovane. «ma niente più abbracci» in un ringhiò, sancì le sue condizioni: patti chiari, amicizia lunga.
    I can smell your fear The only reason that I'm here Is to wreak havoc Everybody prayin' that I'll change, yeah Maybe one day but tomorrow I'll be back at it
    23.11.18 | telepathy | hitman
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    jericho karma
    @jklowell
     
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    Spero di essere Todd

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    Ian Todd Milkobitch
    Non sono sfortunato, sono gli altri più fortunati di me.


    «punto primo: sono più cazzuta di lei» disse quasi offesa per quello che gli aveva appena detto il rosso e dovette ricredersi sulla propria frase, perché in effetti faceva sicuramente più paura della sorella, ma forse incideva che con Run ci era cresciuto ed era di parte ma dire che Run non era cazzuta era ingiusto ”Non osare contraddirla, se ti picchia potrebbe ridurci a pezzi”
    «zitto «taci» Todd rimase ghiacciato sul posto, la ragazza aveva il dono di intimorirlo, non che gli altri non lo facessero, insomma era praticamente timido con tutti, solo con Mickey si permetteva di comportarsi come voleva, ma non contava visto che era immaginario.
    Guardò la mora non disse altro perchè aveva davvero paura e soprattutto vennero investiti da un ragazzo, che lo so, in teoria doveva conoscerlo almeno di vista ma non era così; Todd non conosceva nessuno, da sempre. Ecco forse era quello il momento in cui poteva scappare dalla mora e dalla sua furia; era stata abbracciata contro la sua volontà e dubitava fortemente che fosse disposta a farsi abbracciare in quel modo da chiunque, forse nessuno aveva davvero mai osato tanto. «secondo me sono morti »
    «Mickey per favore» deglutì, facendo un passo indietro, non voleva finire nel giro di pugni, voleva evitare di tornare a casa con un occhio nero, anzi se proprio vogliamo dirla tutta lui ci voleva tornare a casa. Ma come se fosse diventato di nuovo visibile la mora lo guardò male e si ghiacciò sul posto.
    «vi stavamo cercando» lui di sicuro, riguardo a lei non era molto sicuro,ma di nuovo non era così convinto di voler esternare il proprio dubbio. « possiamo portarvi dagli altri» «sarete al sicuro» disse qualcosa anche lui, giusto per ricordare ai presenti che era presente anche lui, ma non era davvero importante ecco. «ma niente più abbracci» «o rischi la morte e nessun posto sarà più sicuro»disse quasi in un sussurro, cercando di non ridere, forse era per il nervoso perchè sapeva di aver detto qualcosa di non appropriato, vero ma la ragazza poteva non apprezzare quelle parole. Per evitare la morte si voltò, cercando di non cadere sui proprio piedi «Ok, andiamo!» e se avesse potuto avrebbe anche iniziato a correre per mettere qualche metro di distanza tra lui e la mora, ma faticava a camminare, rischiando molte volte di farsi male, figuriamoci se avesse anche iniziato a correre, sicuramente sarebbe morto. Come? Usa la fantasia che io non riesco al momento.







    loser
    ex-corvonero
    18 y.o


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    made in china — I'm here at the beginning of the end
     
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