"Action Man, right?"

Viktor x Hunter (Challenge #3)

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    Si era lasciato coinvolgere, di nuovo.
    La prima volta era stata Rowenta a trascinarlo negli anfratti sperduti dell’Inferius alla ricerca dei loro doppelganger, facendogli rischiare la vita senza un reale motivo. Si erano avventurati dentro un casolare abbandonato, con il sole a calare minaccioso dietro i tetti diroccati e la nebbiolina ad alzarsi come un presagio di morte. Gli erano venuti i brividi. Per un attimo, aveva creduto che sarebbero stati uccisi brutalmente dal primo assassino in circolazione, che quest’ultimo li avrebbe tagliati a pezzettini, vendendo poi i loro organi al mercato nero di Nocturne Alley in cambio di pochi Galeoni.
    Fortunatamente, a parte un paio di pipistrelli e ragni geneticamente modificati, probabilmente scappati da qualche laboratorio degli orrori, non avevano trovato nulla di interessante.
    Per quanto fosse un tipo molto cauto, che preferiva senza ombra di dubbio stare al sicuro nel suo adorato castello, non aveva avuto cuore di lasciare sola Roanoke. Si era parato davanti a lei senza esitazione (beh… forse qualcuna, ma non l’aveva dato a vedere) trasformandosi dal molesto Viktor a un vero Dallaire, più simile a Yves e Mephisto di quanto volesse dare a vedere. Non che ne andasse fiero, ma almeno quella parte di lui, quella più seria, più adulta, poteva servire a qualcosa.

    Nonostante quello, non era mai riuscito a comprendere il perché ci fosse tutta quell’urgenza di aiutare dei perfetti sconosciuti. A parti invertite non sapeva nemmeno se quei ragazzi avrebbero fatto lo stesso.
    Sicuramente, se avesse potuto scegliere, li avrebbe lasciati al loro destino, incurante della loro sorte; quell’Andy era stato chiaro nel raccontare le vicende capitategli durante la missione, ma… quindi? Se il Viktor alternativo fosse morto brutalmente, non gliene sarebbe importato un fico secco. Peggio per lui, no?

    Eppure, quella volta, gli era andata decisamente meglio. Non solo perché il luogo in cui si trovava era meno spettrale del primo, ma anche per la piacevole compagnia di Hunter. Niente da dire a Roanoke, era una bellissima ragazza dai lucenti capelli biondi e labbra a cuoricino e le voleva bene, ma—ehi, cosa dire di un aitante Corvonero, dalle spalle larghe e dal faccino tenero? Niente, non aveva di che lamentarsi.

    «Hunter, raggio di sole, non c’era bisogno della scusa del salvataggio per chiedermi un appuntamento. Ti avrei detto assolutamente di sì» trotterella accanto all’Oakes, con un sorrisetto malizioso ad increspargli le labbra «ti hanno mai detto che hai le orecchie a sventola più carine di tutta Londra?» detto questo, si guarda intorno, nella speranza di individuare una faccia sospetta.
    Non sapeva se nelle sue mani quei poveri malcapitati si sarebbero potuti considerare “protetti”, ma era sempre meglio che finire in quelle di qualche Mangiamorte dall’Avada Kedavra facile.
    Era sicuro che, in ogni caso, quei tipi fossero abbastanza furbi da non farsi trovare così facilmente; volevano essere aiutati? Dov’erano gli inizi che potevano aiutarli a scovarli e portarli al sicuro?
    Riteneva, con una certa sicurezza, che fossero degli imbecilli. Al posto loro… non avrebbe partecipato alla missione, semplicemente.

    «Ma Hunter come quello di Spyro? Mi faceva simpatia quel ghepardo. Solo che lui non portava vestiti, mentre tu sì» ammicca, sornione, tenendo però ben salda la bacchetta tra le dita. Gli piaceva provocare, specie un bel ragazzo come il Corvonero, ma questo non escludeva assolutamente che fosse attento ad eventuali pericoli. Era sempre stato fin troppo guardingo, specie dopo la brutta esperienza avuta con Mephisto. Non si fidava di nessuno, nemmeno di sé stesso.

    Non si faceva scrupoli nel flirtare con Hunter, né nel dimostrare un palese interesse. I filtri? Quali filtri? Li aveva dimenticati nel sontuoso salone della villa Dallaire, lì dove era cresciuto senza il minimo pudore «Pensi che il tuo doppio sia un genio come te?» domanda, puntando le iridi azzurre su un’aiuola. Assottiglia le palpebre per qualche istante, vedendo poi sbucare dalle foglie uno scoiattolo. Sospira, seccato, tornando a ciarlare «O magari un duro alla Snake? Meglio, alla Action Men? Tu non sei male, dietro quella maglietta sono sicuro che hai la tartaruga, ma—ci pensi? Un tipo come te, ma tutto il contrario» nuovamente, si volta verso la forte di rumore, ma senza individuare nulla di troppo eclatante «non mi fraintendere, non ti scambierei per nessun Jin Kazama al mondo» gli manda un bacino, prima di affrettare il passo verso i cancelli della parte est del parco.

    Viktor Asmodeus Dallaire
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    In quei giorni, Hunter avrebbe fatto carte false pur di mettere chilometri di distanza tra sé e il dormitorio di Corvonero. O la Biblioteca. O la Sala Grande. O la Torre di Astronomia. O, a dirla tutta, l’intero Castello. Tornare in camera a dormire, dopo la notte di Halloween, era una vera e propria tortura; frequentare le lezioni ogni giorno e dover convivere con la consapevolezza che Gideon e Julien fossero nella sua stessa stanza era una stilettata dritta al petto. Non era ancora bravo, il giovane Oakes, a mentire o a nascondere i propri sentimenti, era stampato sulla sua fronte il fatto che non stesse bene e, soprattutto, che quell’irrequietezza, quel forte desiderio di evasione erano sintomi che qualcosa non andasse per il verso giusto. In lui o nella sua vita. Non aveva importanza, non gli dava importanza se non nell’ipotesi in cui Halley se ne fosse resa conto. Lo avrebbe messo con le spalle al muro, letteralmente, e gli avrebbe estorto ogni minima informazione, anche con la forza qualora lo avesse ritenuto necessario. Quell’idea, anzi, quella consapevolezza che la sorella potesse essere più sveglia di lui in questi frangenti, lo atterriva. Era questione di giorni, se non ore, e non era pronto a dover affrontare anche la bionda, a dover giustificarsi, a dover cercare aiuto. Era Hunter, di solito, quello che dispensava consigli, quello che ascoltava fino all’ultima parola di uno sfogo o di un problema, per poi tirare le somme ed estrarre dalla sua mente una soluzione, così come faceva il prestigiatore con il suo cappello e il bianconiglio.
    In questo caso, però, era lui il problema. Era il suo essere e non sarebbero bastati trucchi o illusioni per allentare quella morsa che lo attanagliava fino a farlo soffocare.
    Era ostinato, testardo e orgoglioso al punto da rifiutarsi di accettare l’opzione più semplice. Se glielo avessero chiesto, sarebbe andato a caccia di Pokemon con Behan, avrebbe studiato il cielo senza interruzioni con Nicky per cercare altre forme di vita e aiutarla a tornare in quella che credeva fosse la sua casa, avrebbe girato il mondo calcando il palco con Mehan, assicurandogli sempre un alberello in tutte le sue coreografie al lato della scena. Se solo qualcuno glielo avesse chiesto, si sarebbe assicurato che anche l’impossibile potesse diventare reale, anche a costo di impiegare ogni suo respiro per un ideale che non sentiva, per una causa persa, per qualsiasi cosa gli impedisse di pensare.
    Per questo motivo, quando si prospettò l’idea di andare nuovamente alla ricerca dei doppioni del loro mondo, aveva colto la pluffa la balzo. Non che la prima volta gli fosse andata in modo splendido. Ok, con Rudy era riuscito a trovare ben due visitatori in realtà erano stati loro a trovare Oakes e Slavinsky e quella poteva essere considerata quasi come una vittoria, ma non avrebbe mai più messo piede nella Stamberga Strillante. Ammesso non avesse deciso di farsi venire un infarto o di provare nuovamente la brezza dell’essere minacciato. Sperava soltanto che, quella volta, se avesse contribuito alla causa incontrando altri AU, questi fossero quantomeno più gentili e collaborativi. Soprattutto la seconda. Capiva i motivi che li spingevano a stare sempre sull’attenti, a minacciare chiunque si trovasse davanti a loro, non era facile vivere ai margini della società, ma ciò non giustificava la maleducazione! Affatto!
    Con quei pensieri si era lasciato alle spalle il Castello, non prima di aver sfilato la sciarpa a sua sorella e di averle stampato un bacio in fronte, avendola intercettata all’ingresso. Il massimo che, al momento, poteva concederle.
    La foga di prender parte a una nuova avventura, di esplorare altre zone del mondo magico con la speranza di restarci secco, aveva fatto sì che tralasciasse una dettaglio particolare: la personalità eccentrica del ragazzo che camminava accanto a lui.
    Viktor Asmodeus Dallaire.
    Un nome altisonante che niente aveva a che fare col soggetto in questione. O, almeno, così Hunter credeva.
    Gli erano bastati cinque minuti a stretto contatto con il Grifondoro per fargli venir voglia di prendere a testate un muro o lanciargli contro un incantesimo silenziante. Si sentiva, più che a disagio, in imbarazzo per i modi del coetaneo. Era… troppo.
    Quando lo aveva chiamato raggio di sole un brivido freddo, che non aveva niente a che fare con le basse temperature, gli percorse tutta la schiena, facendolo rabbrividire. Da quando aveva fatto un po’ di chiarezza sulla sua sessualità, a quanto pare era l’unico a non esserci ancora arrivato, era diventato iper-consapevole dell’effetto che gli altri ragazzi potevano avere su di lui. Esagerava, sì, ma non riusciva a smettere di pensare che avrebbe potuto fraintendere i segnali quali?, che la percezione che gli altri avessero di lui potesse essere distorta, che potessero provare disgusto. Generalizzava, perché aveva paura che l’unica persona il cui giudizio davvero significasse qualcosa, potesse allontanarsi da lui, lasciandolo solo. Come tutti prima di lei.
    “Ah-Ah. Per quello devi parlare con mia sorella. È lei che mi combina gli appuntamenti e, se non passi la sua approvazione, puoi anche dimentic-EHI! Non ho le orecchie a sventola!” Sono io la sventola! Si portò le mani sulla parte del suo corpo incriminata, guardandolo sconvolto, come se gli avesse appena rivelato una scomoda verità. Non erano a sveltola? VERO? Halley avrebbe passato la sua intera esistenza a prenderlo in giro e lui sarebbe andato dritto al San Mungo, appena raggiunta la maggiore età per farsele risistemare, NON POTEVANO ESSERE A SVENTOLA. Non si era mai preoccupato del suo aspetto fisico, ma questo andava oltre! Ok che non si guardava quasi mai allo specchio ma non accorgersi di un tale difetto avrebbe minato la consapevolezza di essere un buon osservatore, no?
    Bloccò le orecchie sotto al cappellino e sollevò ancora di più la sciarpa che gli avvolgeva il viso, per sicurezza. Non si sentiva tranquillo accanto a Viktor. Aveva l’impressione che sotto quella facciata ci fosse molto, molto di più e che il suo atteggiamento, per quanto naturale, fosse quasi studiato. Magari era proprio nato così e il Corvonero era diventato un complottista, ma tant’è.
    Stavano facendo troppo rumore? Certo.
    Aveva paura di allontanare chiunque da loro? Ovviamente.
    Quella missione sarebbe stata un fiasco? Senza ombra di dubbio.
    Perché non stava facendo assolutamente niente per evitare di fallire? Perché aveva il sentore che Dallaire, solo per fargli un dispetto e metterlo ancora più a disagio, avrebbe solo peggiorato la situazione. O, almeno, sua sorella avrebbe fatto esattamente così e, se la conoscenza di Hazel e Halley gli aveva insegnato qualcosa, era che non si dovrebbe mai mettere un Grifone in gabbia. C’era quel sentore di sana (?) follia che accomunava gli adepti di Godric e lui amava abbastanza se stesso da evitare di esserne vittima.
    Portò le iridi azzurrine sulla figura accanto a lui, sbattendo piano le palpebre, guardando il giovane come se non avesse la benché minima idea di cosa stesse parlando.
    “Ovvio che porto i vestiti! Le temperature rasentano lo zero!”Non sono la Torcia Umana, anche se saprei come farti prendere fuoco! esclamò, mentre uno sbuffo di vapore acqueo abbandonò le sue labbra. “E no, sia io che mia sorella abbiamo nomi di stelle. Lei di una cometa, io di una costellazione. Hunter è l’altro nome con cui è conosciuto Orione.” Il cacciatore appunto. Abbassò lo sguardo, portandolo altrove, alla ricerca di qualunque indizio potesse far pensare al passaggio di chiunque volesse restare nascosto e non farsi trovare. Ma, soprattutto, per evitare che Viktor notasse il rossore delle sue gote. Non era abituato ai complimenti, così come non era abituato al contatto fisico o agli esseri umani in generale. Sì, aveva la sua cerchia di amici ma… non si era mai spinto tanto oltre?
    Non sapeva come altro definirsi o etichettare la questione. Una volta, un vecchio saggio disse di odiare gli abbracci perché non riusciva a vedere l’espressione dell’altra persona. Era un uomo solo, che viaggiava attraverso il tempo e lo spazio, e aveva imparato a non fidarsi di nessuno. E Hunter era così poco avvezzo ad essere una persona affettuosa che aveva smesso di credere anche nel più piccolo contatto umano. Eppure, era stato lo scontro di due labbra ad averlo ridotto in quello stato di frustrazione e rabbia? Rancore? Non lo sapeva neanche lui.
    “VIKTOR.”
    Si era arrestato di colpo, le labbra che formavano una O perfetta, gli occhi sgranati. Non sapeva perché avesse reagito in quel modo, o forse sì. Pensare che qualcuno avesse potuto scansionarlo, gli sembrava quasi una violazione della propria privacy. Era come… Merlino, come se gli avesse appena dato del pezzo di carne e fosse pronto a divorarselo!
    “La tartaruga c’è. È solo un po’ in letargo.” Aggiunse, cercando di allentare una tensione che solo lui provava. Perché il Grifondoro stava solo scherzando e lui non aveva dormito abbastanza per poter pensare in modo lucido. Non era offeso, anzi. Un po’, un pelino soltanto, gli faceva piacere che qualcuno lo avesse notato. Se non altro per la sua autostima, andata in frantumi la notte del 31 ottobre.
    “In quel caso si chiamerebbe Halley! Spero solo sia una brava persona e che, se dovessimo incontrarlo, non provi ad ucciderci. Una mente non stimolata nel modo giusto, per quanto geniale, potrebbe non svilupparsi o portare a conseguenze disastrose. Non mi sono mai soffermato più di tanto a pensare al mio doppione, ad essere onesto. Tu? Incapace di flirtare anche con i muri e silenzioso?” Sorrise appena per la sua provocazione. La verità era che non aveva mai preso davvero in considerazione l’idea di conoscere un altro Hunter, benché meno che potesse avere la personalità della sorella o, addirittura, di essere un criminale. Riteneva quasi impossibile che un altro Hunter avesse viaggiato nel tempo, essere finito nell’upside down e poi, per un motivo ancora sconosciuto, essere capitato nel suo universo. Ci sarebbero state tre versioni della stessa persona in quella realtà: lui, la sua copia, il bambino che ancora non aveva incontrato.
    Improbabile, ma non impossibile. Tuttavia, per quanto ci tenesse a sapere di più, a scoprire se il suo AU conoscesse i suoi veri genitori, non voleva incontrarlo.
    “Grazie, ora sono più tranquillo sapendo che non scapperai via con l’altro Hunter. Per un momento, ho temuto mi lasciassi solo! Sai, sono un tipo geloso!” Non è vero. "Piuttosto, fa male quando ti penetrano?" #4science
    Domanda lecita e voci di corridoio a parte (ne giravano un po' anche sul Dellaire), non lo avrebbe lasciato solo, vero?.
    Hunter Oakes | 17 y.o.
    2043: Uran Jackson
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    Si ritrova a sogghignare, non potendo fare a meno di portarsi una mano a coprirsi le labbra.

    Era ilare avere a che fare con uno come Hunter.
    Sin dal primo sguardo gli era sembrato fin troppo—come dire… insicuro? Forse quella era la parola adatta, ma non perfettamente calzante.
    E dire che, a suo parere, non avesse nulla da invidiare ai suoi compagni di Casata o a chiunque altro. Era alto, tonico, con degli occhi molto espressivi e dalla chioma sbarazzina; persino le sue spalle, coperte dal pesante giubbino, gli sembravano abbastanza forti e robuste. Più di una volta l’aveva visto bazzicare per i corridoi del Castello, intento a sbrigare i suoi affari, spesso in compagnia della sorella Halley. Una ragazzina—dalle molte sfaccettature, che gli faceva non poca simpatia.

    Eppure, su una cosa Hunter aveva ragione, sebbene non avesse espresso apertamente quel pensiero, rendendolo udibile. Il fatto che fosse bravo a fingere, non dare a vedere quanto fosse rotto.
    Per tutta la sua vita era stato costretto a sopravvivere, perché casa Dallaire non era un posto per i deboli di cuore, né per gli sprovveduti. Per questo, alla prima occasione, aveva optato per l’abbandono totale della famiglia in Francia e il conseguente trasferimento nella dimora dei nonni a Londra, trovando conforto nella presenza di suo cugino Charles. In quel modo aveva potuto frequentare Hogwartz, finalmente libero di respirare.
    Nonostante fosse abituato alle feste tutt’altro che piacevoli che i suoi genitori erano soliti imbandire, aveva sviluppato una capacità che gli aveva permesso di estraniarsi da tutto ciò che gli accadeva intorno.
    Oh, se l’Oakes avesse saputo cosa gli avevano fatto. Quali mani erano riuscite a toccarlo, quali sguardi si erano posati su di lui senza pudore, quali traumi si caricava sulle spalle; che una lama colma d’odio era quasi riuscita ad ucciderlo.
    Era un sopravvissuto, a conti fatti. Ma a che prezzo?
    Si era ripromesso di non permettere mai più a nessuno di tappargli la bocca e, soprattutto, non avrebbe più lasciato che controllassero la sua vita.

    Era un amante premuroso? Sì, ma era anche incapace di amare.
    Nella sua famiglia erano tutti incapaci di provare sentimenti che andassero al di là della pura e semplice attrazione fisica e di questo, alle volte, provava dispiacere. Gli sarebbe piaciuto amare fino a sentire il cuore scoppiare, ma temeva che non sarebbe mai successo. Alla fine però era venuto a patti con l’idea che nessuno avrebbe mai potuto amarlo, né riparare le parti ormai danneggiate, quindi tanto valeva godersi la vita senza pensieri ad arrovellargli il cervello.
    La cosa positiva era che, quanto meno, potesse decidere da solo chi portarsi a letto e come, senza essere costretto; era un traguardo, no?

    Ma Hunter non poteva sapere nulla di tutto quello, ed era meglio così. Gli sembrava un ragazzo così dolce da non aver bisogno di incubi ad infestargli la mente.
    Quell’incapacità di malizia era ilare, ma estremamente carina. L’altro non aveva nemmeno afferrato l’allusione ai vestiti, preoccupandosi più delle orecchie a sventola, che chiaramente non lo erano affatto, che dell’effettivo significato delle parole.

    Si ritrova quindi a ridere, scuotendo il capo, alleggerito. Non voleva pensare ad altro se non a quella stupida missione e a tediare, ancora un poco, quel simpatico Corvonero.

    «Mon chéri, come sei ingenuo. Potrei riscaldarti io» rallenta il passo, conscio che andare avanti da solo avrebbe potuto comportare dei rischi. Era un Grifondoro, certo, ma non era stupido come molti potevano pensare. Voleva preservare la propria vita, ma ci teneva anche a non far morire il suo accompagnatore. Sarebbe stato uno spreco madornale «Aww, ma che cosa carina» sporge il labbro inferiore, sbattendo le ciglia con fare quasi commosso «siete due adorabili stelline. Vorrei mettervi nel comò, tutti e due, e tenervi come oggetti da collezione» però sarebbe stato uno spreco anche quello a pensarci bene.
    Di nuovo, trattiene le risate, alzando però le sopracciglia e chiedendogli tacitamente quale fosse il problema. Andiamo! Gli aveva fatto un complimento e non si era nemmeno impegnato troppo! In genere era molto, ma molto più esplicito. Gli sembrava di avere a che fare con Bambi, tanto il candore che gli ispirava il Corvonero.
    Era troppo carino, davvero. Un cucciolo dal pelo arruffato, sconvolto e con un’espressione impagabile in viso. Aveva il sentore che quella missione si sarebbe rivelata inutile, ma tremendamente interessante.

    «Svegliamola da questo letargo, or dunque» ammicca, umettandosi le labbra, sventolando la bacchetta per rendere l’idea di quanto affermato. C’erano molti modi per fare quanto detto, ma era più una provocazione che reale intenzione di farlo, quindi non avrebbe esagerato.

    Lascia la frase così, in aria, ritornando a fissare davanti a sé, in cerca dei ragazzi sperduti. Non pensava che nessuno di loro si sarebbe mai avvicinato a due individui del genere e, se da una parte gli stava veramente sul cazzo quell’atteggiamento da prime donne, dall’altro era sicuramente una scocciatura in meno. Non aveva voglia di badare a dei fuggitivi, né di scortarli da Andy.

    Poi fissa Hunter con la coda dell’occhio, enigmatico, per un attimo fin troppo serio. Ma dura solo un istante, solo un battito di ciglia.
    Nonostante non gli importasse affatto del suo doppione, sperava che almeno lui avesse avuto la vita più facile; era un pensiero stupido, lo sapeva, ma almeno un Viktor poteva essere felice, no?

    «Ma figuriamoci» esclama, invece, schioccando la lingua sul palato «Sono sicuro che sappia flirtare bene. Non quanto me, ma quasi. Perché, sono riuscito a fare colpo? Posso impegnarmi se vuoi e provarci con te sul serio. Non devi essere geloso» figurarsi, non si sarebbe fatto nessun problema a tentare di sedurre l’Oake. Gli piaceva? Abbastanza. Era quel tipo di ragazzo a cui non avrebbe detto di no: intelligente, bello, spigliato—il suo ideale di uomo, insomma.
    In realtà era abbastanza certo di ricordare che i suoi standard si fossero abbassati di molto alla festa di Halloween e, francamente, non ricordava nemmeno chi avesse baciato o peggio. Però era okay, nessun problema, poteva convivere con la consapevolezza di aver fatto beneficenza.

    Lo sguardo malandrino muta in uno di tacita sorpresa, completamente scioccato da un simile quesito.
    «Mon dieu, che domanda piccante» si porta una mano al petto, sconvolto. Sul serio. Tutto avrebbe mai potuto pensare, ma non che Hunter gli chiedesse qualcosa di tanto imbarazzante. Non per lui, assolutamente, non aveva problemi a parlare di sesso! Ma il Corvonero era arrossito per una semplice battuta, figurarsi per certi argomenti.
    Nonostante questo, ritrova la compostezza, ponderando bene le parole. Presupponeva che non avesse mai avuto rapporti con altri uomini o che, perlomeno, il fare vago fosse dovuto a qualcosa che non voleva dirgli. Era normale avere paura o sentirsi inadeguati, era sempre così la prima volta.

    «Sì, fa male» ammette alla fine, sincero. Che motivo aveva di dirgli che fosse tutto rose e fiori? Faceva un male cane, specie senza la dovuta preparazione «ma se trovi qualcuno che ha un minimo di decenza e ti prepara bene, è anche piacevole. Dipende dal partner, insomma» fa spallucce, ma non riuscendo assolutamente a frenare la curiosità. Assottiglia le palpebre, rallentando fino a metterglisi accanto, agganciando il braccio a quello del ragazzo «dimmi un po’» eccola, la modalità da nonnina affacciata al balcone per carpire i segreti del paese «me lo stai chiedendo perché c’è qualcuno che ti piace e non vuoi farti trovare impreparato? O magari perché non vuoi che l’altro si faccia male?» ovviamente, la bacchetta sempre a portata di mano. Dubitava che, a quel punto, qualcuno li avrebbe aggrediti, ma la prudenza non era mai troppa «Vuoi fare pratica?» mormora, malizioso, ma chiaramente per prenderlo in giro.
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    Si portò la mano alla bocca, stupito della sua stessa domanda. Non capiva dove fosse finito il filtro cervello-labbra che era sempre, perennemente attivo e che, magicamente, si era disattivato.
    Non voleva sembrare scortese e, probabilmente, se avessero rivolto a lui la stessa domanda, sarebbe morto due-tre volte prima di rispondere. Non ce l’avrebbe fatta neanche da fantasma, ne era sicuro.
    Di solito mostrava più tatto, più rispetto per il suo interlocutore. Non voleva ficcanasare nella vita privata del Dallaire, ma aveva come la sensazione che sarebbe stato l’unico in grado di non giudicarlo, che avrebbe dato una risposta onesta alla sua curiosità. Avrebbe potuto formulare in tutto diversamente, non presupponendo che il Grifondoro fosse il passivo della coppia, ma ormai il danno lo aveva fatto.
    Forse era l’ansia crescente per la possibilità di incontrare gli abitanti dell’Upside Down a parlare per lui, oppure il semplice bisogno di sapere. Gli atteggiamenti di Viktor lo avevano spinto a fare delle supposizioni che le voci sentite in giro avevano semplicemente consolidato, ma non voleva necessariamente dargli del bottom. Apertamente, almeno.
    Alzò le spalle, abbassando un po’ la testa, quel tanto che bastava a mascherargli il viso, quasi completamente nascosto dalla morbida lana rossa di cui, ormai, aveva assunto tutte le sfumature. L’autocombustione era vicina e senza che Viktor avesse provato a scaldarlo col suo corpo!
    Ormai aveva dato inizio alle danze, non gli restava che ballare.
    Nonostante tutto.
    Il Grifondoro aveva ragione: era ingenuo. Non era come gli altri ragazzi della sua età, che avevano un unico pensiero nella mente. Non ci aveva mai provato con nessuna, né aveva mai preso parte ai commenti sul gentil sesso che erano volti a dare un mero giudizio volgare e puramente fisico della figura femminile che si ritrovavano davanti. Un po’ perché non ne era mai stato attratto, e ora ne aveva realizzato il motivo, un po’ perché sua sorella lo avrebbe scuoiato vivo, un po’ perché li riteneva davvero tristi. Era abbastanza intelligente da prendere le distanze e mettere da parte gli istinti animaleschi che sembravano possedere la maggior parte dei suoi coetanei.
    Sospirò piano, scuotendo lievemente la testa, sperando che il freddo potesse farlo rinsavire. Ci aveva pensato seriamente a tornare ad allenarsi, ad andare a correre sulle rive del Lago Nero, ma i suoi nuovi impegni con la band, le ronde dei Prefetti, i turni in Infermeria e le assegnazioni settimanali che doveva svolgere, lo avevano privato del suo tempo libero. Non riusciva a leggere un libro per svagarsi, tanto che crollava addormentato sui morbidi cuscini del suo letto, benché meno sarebbe stato in grado di svolgere dell’attività fisica. Un po’ gli dispiaceva, ma sperava di riuscire a ingranare e di rimettersi in riga già durante le vacanze di Natale, odiava quella festa al punto di disinteressarsene, tanto valeva sfruttare quella libertà dai suoi obblighi a proprio vantaggio.
    Inutile dire che, solo dopo, Hunter colse la malizia negli sguardi e nelle parole di Viktor.
    “Oh. Ooooh.” Fu la cosa più intelligente che riuscì a formulare in quel frangente, il guanto di pelle davanti la bocca, gli occhi talmente spalancati che le orbite rischiarono di cadergli giù e di rotolare via da cotanta inettitudine. Sorrise sghembo, le labbra ancora schermate dalla sua mano. “E io cosa ci guadagnerei se tu ci provassi con me?”
    Domandò, sinceramente curioso e, al contempo, terrorizzato dalla piega che avrebbe potuto prendere quella conversazione. Tuttavia, poteva essere il suo banco di prova: se fosse sopravvissuto, avrebbe avuto la certezza che i ragazzi gli piacessero davvero. Se fosse morto, beh, almeno poteva dire di averci provato. Non con Viktor, in generale. Nella vita.
    Poteva girarci attorno quanto voleva, ma era indubbio che, a spaventarlo, era anche la fisicità del coetaneo. Oggettivamente era bello, dubitava che qualcuno potesse attribuirgli altri aggettivi, di una bellezza statuaria. Gli zigomi alti e il naso appuntito sembravano essere stati scolpiti nel marmo, i capelli sempre perfetti non facevano altro che risaltare un paio di occhi troppo azzurri per essere veri. Troppo enigmatici per poter permettere di riuscire a capire cosa stesse macchinando il loro proprietario.
    Stava giocando col fuoco, Hunter. Viktor non lo avrebbe riscaldato, con tutta probabilità, lo avrebbe incenerito.
    Restò pietrificato sul posto quando percepì il braccio del Grifondoro attorno al suo, il respiro spezzato da quella vicinanza inaspettata. Se si fosse voltato, se solo avesse smesso di fissare il vuoto dinanzi a sé, si sarebbe specchiato in quelle iridi che, ormai, erano diventate due pozze di malizia.
    “Preparare hai detto… credo di aver letto qualcosa in merito…” sulle ragazze, però. Non era necessario specificare, ma era una mezza verità. Tutto quello che sapeva lo aveva imparato dai libri, dalle enciclopedie, dalle riviste mediche al San Mungo. Eppure, per quanto aveva creduto che i tempi fossero maturi, non aveva trovato molto riguardo alle pratiche omosessuali. O, forse, non aveva cercato abbastanza bene.
    “Mh. Quindi, oltre che all’anatomia personale, molto dipende anche dal fattore umano.”
    Lo disse più a se stesso che all’altro ragazzo, come a volerlo imprimere bene nella sua memoria. In fondo, era una lezione anche quella, no? Probabilmente no. Per questo si morse la lingua, evitando di chiedere oltre.
    Deglutì a fatica. Sentì la saliva bloccarsi all’ingresso dell’esofago, come se il suo corpo avesse dimenticato come funzionare. Tossì leggermente, sperando che una voragine si aprisse all’improvviso sotto i suoi piedi e che lo risucchiasse. Doveva aspettarselo, doveva pensare che il Grifondoro potesse ritorcergli la domanda, portandosi così in una situazione di vantaggio.
    “Non lo so.” Ammise infine, voltandosi appena. “Sì, credo di sì. Forse? Ma a questa persona piace un altro.” EUFEMISMO. Gli piaceva se stesso. O l’immagine di se stesso. O il suo clone. Non aveva ancora digerito il bacio tra Gideon e Julien, la sua mente si rifiutava di giungere a una conclusione logica. Il francese non aveva fatto altro che odiarlo da quando era arrivato a scuola e l’americano aveva solo amore da dargli. Che Yankee.
    Si morse il labbro, nervoso. Non aveva appena fatto coming out, vero? No, non aveva detto chi gli piacesse, solo che a questo qualcuno piaceva un’altra persone. E, di solito, alle ragazze piace un ragazzo. Quindi non doveva aver creato fraintendimenti? O, forse, non c’era davvero più niente da mal capire. Doveva parlare con Halley, doveva dirlo prima a lei… E se Viktor avesse sparso la voce nel Castello e fosse giunta alle orecchie dell’altra Oakes prima che lui potesse riuscire a parlarle? Stava sudando. Voleva morire.
    Eppure… Eppure non riusciva a smettere di pensare all’ultima domanda del Grifondoro, a quel mormorio sommesso. Stava scherzando, lo sapeva. Lo stava prendendo in giro, vero?
    “… Se ti dicessi di sì, tu cosa otterresti?”
    Hunter Oakes | 17 y.o.
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    A dispetto delle apparenze era un tipo molto discreto.
    Non gli piaceva sbandierare i fatti altrui in giro, così come non voleva che si parlasse dei propri. Se Hunter gli avesse confessato di provare attrazione per gli uomini, non avrebbe fatto altro che sorridergli confortante ed ascoltarlo, ma era palese che non potesse fidarsi di lui, date le voci di corridoio non troppo carine rivolte alla sua persona. Gli piaceva il sesso? Sì, ovvio. Ma gli piaceva di più creare un legame che non fosse per forza romantico, quanto di fiducia, soprattutto con chi riteneva degno della sua attenzione.
    Il Corvonero era entrato nelle sue grazie immediatamente, ma purtroppo non in senso letterale. If you know what I mean.
    E, un’altra cosa che non aveva mai capito del tutto, era il motivo per cui tutti lo pensassero passivo. Okay, gli piaceva sicuramente prenderlo proprio lì, ma questo cosa voleva dire? Niente. In realtà era abbastanza versatile—

    A parte questo, finalmente, sembrava che l’altro avesse colto la malizia nelle sue parole, rimanendone fin troppo sconvolto. Diamine, era davvero troppo carino, non riusciva nemmeno a capire come avesse fatto a non notarlo prima.
    Chiaramente Hunter non l’aveva offeso, anzi, era riuscito in qualche modo a far si di risultare ancora più attraente ai suoi occhi, quasi che il tono razionale fosse stato un incentivo per focalizzarlo in un’altra ottica.
    Un sexy scienziato.

    Le guance rosse a mimetizzarsi con la sciarpa non erano di certo passate inosservate, così come la domanda che, se in un primo momento era riuscito a sorprenderlo, forse più della prima, l’aveva posto in una situazione vantaggiosa. Per carità, non intendeva di certo approfittare di un’anima pura come l’Oakes, ma era lecito essere curiosi, soprattutto vista la situazione.

    «Lo vuoi sapere sul serio, mon amour? Il tuo cuoricino reggerebbe al peso di quello che ti farei?» domanda, con un tono dissoluto, quasi volesse far leva sulla curiosità del ragazzo. Forse, in realtà, l’aveva già stuzzicata.
    Per la prima volta, comunque, si trovava in una situazione in cui immaginava di non poter andare più in là delle parole e non perché a conti fatti Hunter non gli apparisse affascinante, nella sua timidezza, ma era proprio quello a bloccarlo dal fare qualsiasi mossa azzardata.
    Era una scelta difficile.

    In ogni caso, lo ascolta ciarlare, alzando gli occhi al cielo per quelle constatazioni fin troppo scientifiche «Anatomia personale? Chéri, rilassati» gli accarezza il braccio, provando ad infondergli un attimo di calma, mostrando quanto fosse fisico. Gli piaceva toccare le persone, sentire sotto i polpastrelli la morbidezza della pelle, il calore del corpo e gli dispiaceva non poterlo percepire a causa del giubbotto pesante; avrebbe voluto davvero poter mostrare al ragazzo che non funzionasse tutto in base a degli stimoli calcolati, ma che in quei casi entrasse in gioco anche altro, probabilmente l’istinto «pensa più con il cuore che con la mente. Vous devez être plus passionné, mon trésor. Non puoi ridurre la fisicità ad un mero atto anatomico. Il sesso è arte, è passione» poi arresta il passo, facendo fermare entrambi, ascoltando il Corvonero con un certo interesse «Sai, stellina» gli rivolge un sorriso appena più dolce, questa volta facendo scendere la mano a prendere quella altrui, solo per accarezzarne il dorso «alle volte non è come sembra. I forse non sono sicurezze» poi, gli occhi azzurri si posano sul viso paonazzo di Hunter, questa volta con lo sguardo nettamente più lascivo. Per caso l’Oakes stava tentando di sedurlo? O di flirtare con lui?

    Era un gioco pericoloso quello che stava cercando di condurre, riusciva a rendersene conto?
    Elegante, come solo un Dallaire poteva esserlo, si para davanti al ragazzo poco più alto di lui, le palpebre appena affilate, avvicinandosi e tirando con le dita affusolate la sciarpa, per farla scivolare poco più giù, scoprendo il naso all’insù rosso per via del freddo.
    Con nonchalance, quasi fosse naturale, posa un bacio sulla guancia accaldata, appena più vicino alle labbra, meno intrepido di quanto avrebbe voluto essere. Fosse stato un altro, non avrebbe perso tempo nel baciarlo, ma Hunter? No, non gli sembrava pronto per reggere la botta. Era chiaro che parlasse senza filtri ad impedirgli di mettersi in una situazione tanto pericolosa.
    Perché lui era un pericolo, persino il suo nome era annunciatore di malizia, avrebbe dovuto intuirlo.

    Ma non era uno stronzo e sapeva cosa fare. Non era tanto cosa lui avrebbe guadagnato dalla proposta fattagli per scherzo, ma il contrario. Cosa voleva Hunter? Se gli piaceva un altro ragazzo, o un’altra ragazza, perché era lì a dargli corda? Forse, non gli era poi così indifferente?

    «Dipende. Tu cosa vuoi che io guadagni?» mormora, ferino, ma stranamente mansueto. Qualcuno avrebbe potuto dire predatore. «Perché sono ingordo, mon amour. Quindi pondera bene la risposta, perché potrei anche mostrarti cosa voglia dire il termine seduzione. Nel significato più piacevole che tu riesca ad immaginare.»

    E non mentiva mica, anzi.
    Era abbastanza certo delle proprie parole, non c’era assolutamente traccia di insicurezza in quelle iridi azzurre, velate appena di curiosità e chiara lascività. Se lo spasimante di Hunter era stato così cieco da non accorgersi dell’Oakes, beh—era evidente che avesse bisogno di un paio di occhiali, ma ancora meglio di una bella svegliata. Il Corvonero non era solo bello, nella maniera più superficiale di vedere le cose, ma tremendamente intelligente; poteva vedere chiaramente quel guizzo d’ingegno spiccare nel color cielo dei suoi occhi.
    Se la misteriosa cotta segreta era così stupida da non prestare attenzione a Bambi (sì, ormai per lui sarebbe stato Bambi), che dire... non avrebbe atteso un secondo di più.
    Viktor Asmodeus Dallaire
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    Edited by Fancy|Bitch - 22/11/2018, 02:31
     
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    Hunter Oakes era ufficialmente il ragazzo più stupido dell’intero Regno Unito. Magico e non, se vogliamo davvero essere precisi.
    Si chiese più e più volte cosa stesse facendo e, soprattutto, cosa stesse dicendo.
    Nella sua mente, aveva programmato un pomeriggio tranquillo, lontano dal Castello, dove l’unico pericolo doveva essere rappresentato dall’eventualità di incontrare gli indesiderati, incattiviti dalla solitudine e dalla vita che erano costretti a fare negli ultimi mesi. Aveva messo in conto giusto qualche minaccia e l’eventualità, remota, che potesse scoppiare una rissa.
    F i n e .
    Non ci doveva essere altro. Una giornata come tutte le altre, più o meno, in cui onorava i suoi doveri e svolgeva i suoi compiti, in cui non accadeva niente di particolare, nulla di cui andare particolarmente fiero.
    Amava la sua routine, amava quei gesti e quelle sensazioni ripetute, la tranquillità che gli trasmetteva il ripetere sempre le stesse cose. Gli sembrava, in questo modo, di avere ogni cosa sotto controllo, di poter prevedere quello che sarebbe successo l’indomani secondo un semplice calcolo delle probabilità. Niente di nuovo, nulla che potesse turbare quell’equilibrio che lo manteneva sospeso a un filo, sull’orlo di un precipizio.
    Sarà che la sua vita aveva subito l’influenza delle scale di Hogwarts, a cui piace cambiare, sarà che erano subentrate così tante variabili a mescolare e complicare i suoi calcoli, ma, ultimamente, il Corvonero viveva la sua vita una crisi isterica alla volta. Sentiva i nervi a fior di pelle, era quasi scontroso ma sempre entro i limiti dell’educazione. Se rispondeva stizzito, chiedeva immediatamente scusa. Se alzava di mezzo tono la voce, supplicava il perdono, lanciandosi in descrizioni dettagliate per spiegare i motivi per cui lo avevano spinto ad agitarsi leggermente.
    La verità era che il cambiamento lo turbava, minava le fondamenta stesse della sua psiche. Quando pensava di aver raggiunto una sorta di bilanciamento tra vecchio e nuovo, tra ciò che era abituato a fare e ciò che avrebbe dovuto fare, aveva pensato bene di sganciare la bomba. Gideon, aveva solo acceso la miccia.
    “No.” Scosse il capo, rispondendo candidamente al quesito. “Non penso reggerebbe.”
    Era ingenuo, sì, ma non stupido. Tuttavia, la curiosità lo stava logorando. Voleva sapere fino a dove il Dallaire si sarebbe spinto, ma, soprattutto, qual era il suo limite.
    Stava usando il Grifondoro per testare se stesso? Non sapeva dirlo con certezza. Non poteva dirlo con certezza, ma sicuramente non più di quanto Viktor stesse giocando con lui. Lo aveva visto lo sguardo da predatore, gli occhi farsi sottili. Era Hunter la vittima e questo era chiaro a entrambi.
    “Ne varrebbe, però, la pena?”
    Domandò allora. Si stava distruggendo e lo stava facendo con le sue stesse mani. Era tutto così nuovo che non sapeva come comportarsi, quando smettere prima che fosse troppo tardi. Ammesso non avesse già superato il limite.
    Era come un cane che provava a mordersi la coda. Da un lato voleva esplorare quell’aspetto di sé, andare fino in fondo e cercare di capirsi quanto più possibile, provando a conoscere quel nuovo Hunter che era stato sempre lì, nascosto, in attesa di essere trovato. Dall’altra parte, non voleva farsi male, non voleva far male. Non voleva che il Grifondoro lo odiasse o che restasse ferito per un suo comportamento avventato, non voleva neanche che si spingesse troppo oltre il limite sol per dimostrargli qualcosa. Non ne sembrava il tipo, ma provava un senso di vergogna per quella richiesta che era a un passo dallo scusarsi, dal sollevare bandiera bianca e arrendersi alla consapevolezza che non sarebbe mai andato oltre i libri, perché le persone gli facevano troppa paura. Perché lui si faceva troppa paura.
    Il contatto del coetaneo, però, gli fece morire le parole sulla punta della lingua. Portò le iridi azzurrine a fissare il suo braccio, come se non fosse mai stato lì. Sentiva la pressione della mano di Viktor anche attraverso i diversi strati di stoffa e piume che la separavano dalla sua pelle. Si irrigidì impercettibilmente, ascoltandolo con attenzione.
    Rilassarsi? Come avrebbe potuto? L’istinto gli stava urlando di scappare, di smaterializzarsi lontano; la testa, invece, pretendeva risposte che forse il suo interlocutore era l’unico disposto a dargli. Non che avesse chiesto prima ad altri, sia chiaro. Hunter non andava a chiedere in giro alla gente quanto fosse piacevole, o meno, la penetrazione anale.
    “Certo che è riconducibile tutto a una questione anatomica. Si parla di due corpi che, stimolandosi a vicenda, raggiungono il culmine del piacere in un orgasmo. È istinto di sopravvivenza. È prosecuzione della specie. È scienza.”
    Constatò piano. Non lo aveva mai detto ad alta voce, ma era quello che pensava del sesso. Aveva edulcorato il tutto dai sentimenti. Si poteva provare piacere senza essere necessariamente legati emotivamente a qualcuno. Se tutte le specie avessero ragionato così, parlando di sesso, arte e passione, essendo prive di coscienza, si sarebbero già estinte da tempo. Il sesso era stato a lungo tempo strumentalizzato per fini economici. I doveri coniugali erano il retaggio di una società antica che vedeva la sessualità come un tabù e che doveva essere arginata, limitata esclusivamente a degli aspetti della vita umana che andavano di pari passo con i concetti di eredità, possesso, proprietà e lignaggio.
    “Non puoi provare sentimenti per la mano con cui ti masturbi.”
    La mente del giovane Oakes funzionava così: prendeva un problema, un argomento, una tradizione, una norma e la sviscerava per analizzarla in ogni aspetto, fino a ridurre il tutto secondo uno schema fatto di logica inoppugnabile. Tuttavia, per quanto si parlasse solo di sue corpi, per quanto si sforzasse a pensare a tutto come se fosse un’azione meccanica, non riusciva a pensare lucidamente, non quando la scena di Gideon gli veniva riproposta dalla sua mente. Se tutto era davvero così logico, se bastava davvero ridurre ogni cosa ai minimi termini, perché non riusciva a voltare pagina, ad andare oltre?
    I forse non erano sicurezze perché era lui il primo ad aver appena rimesso in discussione ogni cosa. Ma come avrebbe potuto spiegarglielo se il Grifondoro aveva la sua mano tra le sue? Come avrebbe potuto spiegarglielo se l’incertezza di quel che sarebbe potuto succedere lo teneva inchiodato sul posto, incapace anche solo di proferire parola?
    Il vento gelido che lo colpì all’improvviso lo fece trasalire. Percepì il volto del Dallaire, più che vederlo, avvicinarsi al suo. Era paralizzato, incapace anche solo di muovere un solo muscolo. Avrebbe voluto arretrare? Spostarsi? Girare sui tacchi e correre via? Boh.
    Era in tilt.
    Portò la mano, quella libera dalla presa di Viktor, nel punto in cui poco prima vi erano le sue labbra. Inspirò tutta l’aria che i polmoni potevano contenere, bloccandola lì, per qualche secondo, il tempo necessario per riavviare il sistema.
    Lo aveva baciato. No, non era un bacio vero, ma il contatto c’era stato. Lo aveva visto. Non poteva fare altro, impalato com’era. Non aveva neanche chiuso gli occhi, per la curiosità, o il terrore. Era successo realmente. A lui!
    Non aveva appena tradito il suo one sided and unrequired love, vero? Nonostante, in quella relazione a senso unico, sconosciuta persino all’altro, era stato l’Oakes ad essere tradito per primo.
    “Perché?”
    Poco più che un sussurro. Non poteva piacergli, non sul serio. Hunter non piaceva mai alla gente, non in quel senso. Era un bravo ragazzo, era responsabile, intelligente. Era un bravo amico. La spalla su cui piangere, quello che aveva sempre la cosa giusta da dire. Era il fratello di Halley e bastava questo, a volte, per voler diventare suo amico. Perché erano nel giro della sorella, o perché volevano farsi un giro con sua sorella.
    Stavano giocando, vero? Bastò questo pensiero a farlo tornare con i piedi per terra. Non poteva che essere così.
    La mia verginità. Speravate davvero rispondesse così, eh? Malandrini.
    Se fossero stati gli acclamati protagonisti di un teen-drama di successo, questa sarebbe stata la scena in cui il Corvonero avrebbe passato un braccio attorno la vita sottile del Grifondoro, abbandonando strategicamente la sua mano su una delle natiche del coetaneo, mentre le dita dell’altra si sarebbero chiuse attorno al suo mento. Lo avrebbe attratto a sé, facendo scontrare le loro intimità, sussurrandogli un “sii ingordo.” a fior di labbra.
    Ma, nella realtà, Hunter era una patata ed era talmente imbottito che, se avesse provato a tirarsi addosso il Dallaire, avrebbe visto quest’ultimo sprofondare nel giubbotto e rimbalzare via. In pratica, avrebbero passato l’intero pomeriggio a giocare a nascondino. Senza contare l’interdizione del momento, l’incapacità di poter dire o fare qualcosa di sensato, o che avesse, quantomeno, la parvenza di un ragionamento alle spalle.
    Cosa voleva che Viktor guadagnasse? Non stava a lui deciderlo, poteva solo offrire qualcosa. Ma cosa? Non era ricco, quindi non avrebbe potuto pagarlo e, pur avendo i galeoni, non lo avrebbe fatto. Sarebbe stata prostituzione e quell’ipotesi era da scartare in partenza.
    Poteva offrirgli il suo tempo, ma sarebbe risultato di una noia mortale, già lo sapeva. Il Grifondoro era troppo dinamico, vivace e versatile per trovare interessante un tomo di astronomia in cui si analizzava l’orbita di Saturno e le sue influenze sulla terra. Benché meno un libro su come curare le lesioni da incantesimo, le foto animate erano sufficienti a far perdere a chiunque l’appetito.
    C’era anche l’opzione dei 404-not found, ma non era ancora arrivato il momento di svelare al mondo intero l’identità dei quattro musicisti che avevano debuttato alla festa di Halloween, così come dubitava fortemente che ci potesse essere una ressa per i posti in prima fila di un loro eventuale show.
    Se gli avesse dato carta bianca, avrebbe, probabilmente, firmato per la sua condanna a morte.
    “I-I-Insegnami.” Balbettò dopo quella che gli parve essere un’infinità. Il Dallaire non aveva riso, non lo aveva deriso come si sarebbe aspettato da chiunque altro. C’era una sicurezza in quello sguardo che lo aveva messo a nudo, con le sue insicurezze e quell’innocenza che lo aveva protetto fino a quel momento.
    Non sapeva cosa fosse la seduzione, se non una mera definizione tratta dal dizionario, né poteva immaginare potesse essere o diventare una parola a lui attribuibile. Questo dubbio, questa mancata conoscenza, innescava in lui il meccanismo del voler apprendere, dello sperimentare per poi trarre le sue conclusioni. Era una peculiarità di alcuni? Era qualcosa che si poteva apprendere? Veniva ereditata? Perché Julien sì e lui no?
    “Guadagni me. Come allievo.”
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    Lo sapeva, aveva rotto Hunter.
    Era riuscito a far esplodere quel cervellino sempre in movimento, governato dalla logica piuttosto che dall’istinto. Avrebbe dovuto capirlo subito che esagerare avrebbe portato a quello, ad un totale blackout da parte del Corvonero, ma—non riusciva proprio a figurarsi qualcosa di diverso da quegli occhi appena più sgranati, colmi di domande. E proprio una di quelle che, per un attimo, lo porta a riflettere: perché?

    C’erano davvero troppe risposte, ma quelle più calzanti alla situazione erano sicuramente tre. Primo: era fatto così. Non c’era modo di tenere a freno la sua lingua, specie con chi, era evidente, attirasse il suo interesse. Gli piaceva provocare, ma anche conquistare e ogni volta si stupiva di come tutte le sue prede fossero diverse, con mille sfaccettature che forse lui non avrebbe posseduto mai. Secondo: Hunter era bello. Da così vicino, poteva guardare senza risultare indiscreto ogni singola macchia della pelle, persino le lentiggini sul naso, o le labbra appena screpolate dal freddo. Oppure, gli occhi azzurri velati di preoccupazione o forse era solo la sua impressione e si trattava più di curiosità, la stessa che l’aveva portato fino a quel punto. Terzo: amava l’intelligenza. Non c’era niente di meglio che del sesso fatto con qualcuno dall’ingegno spiccato, ma anche solo potersi dedicare allo studio non era male. Gli piacevano i dettagli, per ognuno dei suoi partner ricordava qualcosa. Di Hunter quel qualcosa avrebbe potuto essere quel lato totalmente razionale che gli impediva di lasciarsi andare. L’aveva dimostrato apertamente dicendogli, a chiare lettere, che il sesso fosse solo qualcosa di puramente biologico e no, davvero, non si trovava per niente d’accordo con quella definizione. Certo, lo era, ma non erano più nel milleottocento, dove le dame dovevano alzare la gonnella per compiacere l’uomo e sfornare figli, in modo tale da continuare la dinastia. In gioco, tra due persone innamorate o, magari, anche solo attratte fisicamente, entravano in gioco molti più stimoli che solo il pensiero di riprodursi. Andava al di là di ciò che la scienza poteva comandare, perché il sesso era anche passione, arte, ma soprattutto totale abbandono.

    Abbandonarsi nelle mani di qualcuno richiedeva fiducia, un'ingente dose di coraggio. Era difficile determinare quali scelte portassero a fidarsi di un individuo piuttosto che un altro, ma lui era abituato a scegliere con gusto e con cognizione di causa. Non si sarebbe spinto tanto oltre, trasformando lo scherzo in una chiara richiesta, se non avesse avuto del reale interesse per il Corvonero. Lo intrigava, invero. Più per l’impossibilità di toccarlo come avrebbe voluto, che per diletto. Non lo stava prendendo in giro, anzi, era piuttosto serio arrivati a quel punto, ma si chiedeva se Hunter fosse in grado di andare avanti.

    «Perché sei interessante» ed era la verità, no? «E un bel ragazzo. Il plus è che sei intelligente, il tuo lato scientifico ha un che di affascinante. Mi piacerebbe sentirti parlare di—non so, Trasfigurazione. Sono sicuro avresti tanto da raccontarmi» era una delle sue materie preferite, quindi perché non unire l’utile al dilettevole, stuzzicando la curiosità dell’altro con lo studio? Spesso gli sembrava di essere considerato superficiale solo perché gli piaceva il sesso, perché era fin troppo esuberante. Ma da quando in qua le due cose dovevano necessariamente escludersi?

    Tranquillo, si umetta le labbra, abbandonando la mano del Corvonero per agganciarle entrambe alla sciarpa svolazzante. Accenna un sorriso enigmatico, senza abbandonare le iridi chiare dell’altro, cercando di capire come comportarsi. Non avrebbe mai creduto che le sue provocazioni sarebbero arrivate a toccare Hunter. L’aveva sempre considerato fin troppo cauto per mettersi in mezzo a certe questioni; se poi si sommava anche l’interesse per un’altra persona, beh-- «Quindi, se ti baciassi, andrebbe bene?» domanda, infine, suggendo il labbro inferiore sovrappensiero, giochicchiando con il piercing alla lingua «Perché per insegnarti, dovrei partire dalle basi, mon trésor. Non posso sconvolgere il tuo animo da Bambi così, di botto» non lo voleva mica sulla coscienza, per Godric. I suoi modi erano fin troppo spinti per poter avere un riscontro positivo, quindi era meglio porre un freno ed adottare un nuovo metodo.

    Se avesse saputo quali assurde paranoie aveva l’Oakes, comunque, gli avrebbe tirato uno schiaffo per farlo riprendere. Oh, andiamo. Andiamo! Cos’aveva di meno rispetto ai suoi coetanei? Cosa c’era di sbagliato nel prendersela con la dovuta calma? Lo invidiava, per questo. Avrebbe voluto avere lui la fortuna di non aver dovuto imparare cosa volesse dire la parola “orgia” da bambino; avrebbe fatto volentieri a meno di vedere i suoi genitori nudi con altri commensali, si sarebbe risparmiato quelle ore a chiedersi perché fosse toccato a lui, quella notte di tanto tempo prima, avere l’anima e il corpo sporchi di sangue. Si sarebbe risparmiato tante cose, rimpiangendone altrettante.

    Il sesso era l’unica cosa che gli venisse naturale, dopotutto. Non doveva mettere una maschera, né pensare. C’erano solo ansimi, gemiti e corpi intrecciati, fine. Non c’erano stupidi sentimenti a mettersi in mezzo, non c’erano sguardi complici dopo l’amplesso, non doveva aprirsi fino a rompersi di nuovo. Era semplice ed andava bene così.
    Avrebbe potuto insegnare a Hunter ad affrontare le cose in un modo simile, ma dubitava che il Corvonero potesse mai essere tanto vuoto da non provare sentimenti, al contrario, aveva la sensazione che avrebbe finito con il rimanere scottato.

    «Un piccolo Padawan» mormora, ora un po’ più calmo. Era così, lui.
    Quando era l’ora di scherzare o poteva permettersi d’essere un burlone, non perdeva tempo, ma c’erano momenti in cui quella maschera cadeva, lasciando intravedere per un attimo l’animo Dallaire. Era tutto fuorché infantile, in realtà era fin troppo adulto.

    «Facciamo così» dice in un sospiro, non allontanandosi da Hunter, aspettando ancora la risposta per un bacio, ma nulla più «io ti prometto che aspetterò una tua risposta, sia negativa che positiva e sarò qui quando vorrai. Ma prima risolvi le cose con il tuo spasimante, dolcezza. Non voglio che sia una cosa di cui potresti pentirti. Però, un bacio me lo puoi concedere, uhm?»

    Sorride, quindi, incastrando la lingua tra le labbra con fare sornione.
    E dire che tutti lo credevano senza cuore, pff.
    Viktor Asmodeus Dallaire
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    I am not a hero.
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    Che occhi grandi che hai!
    Ma è per scansionarti guardarti meglio, Corvetto mio.
    Che bocca grande che hai!
    È per accoglierti baciarti meglio, cerbiattino.
    Che mani grandi che hai!
    È per toccarti meglio, cucciolino.
    Che orecchie grandi che hai!
    È per sentire i tuoi ansititi meglio piccolo mio.


    Sarebbero bastate queste poche righe per riassumere in chiave parodistica e soft porn tutto quello che era accaduto in quel momento. Se Cappuccetto Rosso quella mattina era uscita da casa per andare a trovare la nonnina ed era finita tra le fauci del lupo, lo stesso si poteva dire di Hunter. Più o meno. Metaforicamente parlando.
    Era una situazione così surreale che stentava a credere stesse accadendo realmente, che tutto quello fosse vero. La realtà attorno a lui era troppo nitida per essere un prodotto onirico, il tempo scorreva in modo normale, senza stacchi di scena improvvisi, senza impennate. Le scene dilatate, i silenzi infiniti, erano solo una sua percezione, frutto della sua fantasia. Se ne accorgeva guardando i rami mossi dal vento degli alberi attorno a lui o le foglie dei cespugli che danzavano intrepide, non curanti di ciò che stesse accadendo dinanzi a loro.
    Hunter respirò piano, inspirava ed espirava lentamente, come se da quella risposta ne dipendesse quasi la sua vita. E un po’, in una minuscola percentuale, era così.
    Quando aveva visto il McPherson baciare l’Odair, il suo intero mondo si era fermato, collassando su se stesso. Aveva provato emozioni che, normalmente, non gli appartenevano: rabbia, invidia, gelosia. Lui. Lui che si innervosiva solo quando era strettamente necessario, che riteneva la collera uno spreco di tempo ed energie, che preferiva impiegare altrove. Lui che non guardava gli altri sperando di essere come loro, di rubare i loro successi, ma che, invece, si accontentava sempre di ciò che aveva e che escogitava un modo per migliorarsi ed evolversi. Lui che aveva sempre condiviso tutto, anche la cosa più piccola. Sentire quelle cose, all’improvviso, e tutte insieme, lo aveva sconvolto quasi quanto il gesto stesso. Lui voleva il Concasasta in un modo che non aveva mai provato prima. Voleva essere Julien, più che essere come Julien. Voleva essere, per una volta, la prima scelta di qualcuno. Voleva essere desiderato, voleva che quel qualcuno si accorgesse di lui. Voleva vivere, almeno per una volta, la sensazione di essere quello giusto al momento giusto, non il fratello di, il compagno di stanza di, l’amico di. Voleva essere Hunter, il vincente.
    Le parole di Viktor, per quanto possibile, lo fecero arrossire ancora di più. Distolse lo sguardo, trovando infinitamente interessanti le punte dei suoi piedi, la sfumatura di marrone del terreno sotto le sue scarpe. Wow. Così banale da essere quasi entusiasmante. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Come si rispondeva a un complimento? Grazie, anche a te e famiglia, come quando si ricevevano le cartoline di Natale? È stato gentile da parte tua, condendo il tutto con una poderosa stretta di mano? Ma poi avrebbe ridotto tutto a un mero fattore fisico, lo avrebbe oggettificato, dando l’impressione di non voler andare oltre, di volersi fermare solo a un livello di conoscenza superficiale, quando non era così. Lo aveva visto, sapeva che non c’era solo la versione frivola del Grifondoro, ne aveva avuto quasi la certezza quando il suo tono si era fatto più serio. Era così vicino che aveva visto i muscoli del viso tendersi, indurendosi impercettibilmente. Poi, però, il Dallaire iniziò a parlare la sua lingua, stuzzicando così la sua attenzione.
    “Davvero vorresti che parlassi della Trasfigurazione?” lo guardò incuriosito, e non imbarazzato, per la prima volta negli ultimi minuti, l’entusiasmo che man mano rimpiazzava lo stupore. “È la branca magica più scientifica… sei sicuro di volermi sentire sciorinare, per ore, nozioni riguardo le differenze tra dissimulazione e disillusione, la magia alla base del processo di trasformazione corporea che porta a diventare animagus o… non so, dell’evocazione?” Lo stava prendendo in giro, vero? Perché non c’era materia più difficile, precisa ed esatta di quella che il ragazzo aveva appena nominato. A differenza di altre materie in cui bastava un po’ di creatività e uno sventolio di bacchetta, quella disciplina richiedeva una certa predisposizione, precisione e rigore. Tutte cose che lui trovava entusiasmanti.
    “Qualcuno potrebbe vederci!” esclamò scandalizzato, balzando quasi indietro a quella proposta che era tutto meno che inaspettata. Peccato che il parco al momento fosse deserto e che, oltre agli uccelli che sembravano non volerne sapere di migrare in zone più ridenti e assolate, vi fossero solo loro.
    Però il coetaneo non aveva poi tutti i torti e il suo ragionamento non faceva una piega. Non che Hunter fosse così sprovveduto da pensare che sarebbero partiti dalla stretta di mano, ma pensava che le basi fossero, ad esempio, l’atteggiamento, il modo di parlare, di rapportarsi con gli altri, o, addirittura, la camminata spavalda! NON UN BACIO! C’erano delle cose da fare prima di scambiarsi la saliva, o i germi, no? NO!?
    Sospirò piano, in uno sbuffo di vapore che scappò dalle sue labbra, ormai incrinate in una smorfia fin troppo amara. Fece un passo in avanti, dimezzando la distanza che lo separava da Viktor, prima di poggiare la fronte sulla sua spalla, le mani abbandonate lungo i fianchi. Quella conversazione lo aveva davvero sfinito.
    “Non c’è nessuno spasimante. O, almeno, non più.” Era quella la verità, per quanto potesse far male. “Sono stato twinfriendzonato e non credo ci sia molto altro da aggiungere. Solo non…” non voglio innamorarmi più? Non voglio più sentirmi così? Non voglio che qualcun altro si faccia spazio nella mia mente rubandomi ogni pensiero? Non voglio vivere con la consapevolezza di essere sempre e solo un amico? “… non mi importa che sia un bacio o altro. Non più, almeno.” Il profumo del Grifondoro gli solleticava le narici, costringendolo quasi a sollevare nuovamente il viso per evitare di starnutirgli sul cappotto e costringere l’altro a maledirlo per aver macchiato un capo che sicuramente valeva più di lui. “Non voglio che tu ti senta usato ma, se così non fosse, allora va bene. Va bene tutto.”
    Hunter Oakes | 17 y.o.
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    C’era qualcosa che non andava.
    Non era il silenzio ad aleggiare tra di loro, ma la sensazione che Hunter fosse perso in pensieri spiacevoli, così a fondo da rischiare di annegarvici. Non voleva che lo facesse, non voleva che si perdesse.
    Forse baciarlo avrebbe potuto aiutarlo a respirare, forse il verso sconvolto con annesso “potrebbero vederci!” era più esplicativo di ogni coming out.
    Ora ne aveva la conferma. Non c’era bisogno di un genio per comprendere quanto il Corvo fosse a disagio con quell’aspetto di sé; non riguardava il sesso, forse più la vergogna di essere visto con un uomo. Forse la paura di poter essere giudicato.
    Era normale, chiaramente. L’Oakes, dal primo momento, gli era apparso fin troppo attaccato alla sicurezza che la scienza, la razionalità, fossero la strada giusta in ogni situazione. Spoiler: no.
    Era giusto incazzarsi, era giusto ribellarsi, ma ancora di più esternare i sentimenti senza nessuna vergogna. Voleva piangere? Che lo facesse. Voleva urlare? Ancora meglio! Voleva baciare un uomo? Niente da dire.
    Accettarsi non era mai semplice, lo sapeva, ma non era impossibile.

    Fortunatamente per Hunter non era Mephisto. Suo fratello si sarebbe crogiolato nel dolore, avrebbe deriso i suoi sentimenti, si sarebbe fatto beffe del Corvonero fino a farlo morire. Ma lui no e ferirlo, nonostante gli scherzi, nonostante le battute, era l’ultima cosa che desiderasse. Aveva ancora la capacità di esaminare gli altri e anche se a primo acchito potesse sembrare solo un modo per squadrarli da capo a piedi, come dei pezzi di carne, alle volte (come in quel caso) si soffermava ad indagare meglio, cercando di scavare più a fondo, tentando di mostrarsi più comprensivo.
    Se gli altri avessero passato i suoi traumi, probabilmente, avrebbero tentato la morte. Lui ci aveva provato, ma senza riuscirci, lo dimostravano i segni sulle braccia, o i segni ormai sbiaditi della corda. E era stato quello, più di tutto, ad averlo avvicinato alla consapevolezza che piangersi addosso non valesse nulla, non portasse a niente se non altra autocommiserazione e dolore.
    E allora, Hunter, poteva essere aiutato?
    Era un quesito difficile, ma non pensava di volersi dare per vinto. O lasciarlo lì ad arrovellarsi il cervello in cerca del perché non andasse, non fosse abbastanza.
    Lui aveva dovuto lottare da solo le sue battaglie, ma non era necessario che il coetaneo facesse lo stesso.

    «Ma certo» risponde, sorpreso, tanto quanto l’Oakes. La Trasfigurazione era una delle sue materie preferite in assoluto, forse seconda solo ad Erbologia «starei ad ascoltarti anche se mi parlassi di peso corporeo, della quinta variabile sconosciuta o anche della Trasformazione Trans-specie. Lo sapevi che Melofors può trasformare le persone in delle zucche!? Te lo immagini?» esclama, questa volta con uno spirito più simile a quello del ragazzo, sorridendogli per la prima volta con un guizzo di interesse totalmente diverso dalla malizia. Gli occhi a brillare di una luce tutta nuova, che difficilmente esternava, abituato a non avere riscontro. Oh, era così contento d’aver trovato qualcuno a cui interessasse parlare di variabili, disillusione, Detrasfigurazione! Chissà se, parlando di Erbologia, avrebbero trovato un altro punto in comune. O magari era più un tipo da Astronomia?

    Ma eccolo, alla fine, il cedimento.
    Con una certa apprensione lo vede fare un passo avanti per poi sentire il peso del capo altrui sulla propria spalla, come se avesse perso di botto le forze. La disillusione di Hunter lo fa tremare, questa volta non di piacere, non di sollievo, solo di tristezza.
    Poteva sentire chiaramente il fiato altrui sul collo, scoperto dalla sciarpa. Anche il profumo leggero di shampoo e la ruvidezza del cappello sulla guancia. Si sarebbe arrossata sicuramente, ma non aveva assolutamente importanza, arrivati a quel punto.
    L’atmosfera di gioco era mutata, quasi immediatamente, in una più tesa, malinconica, a cui era così tanto abituato da non essere nemmeno sorpreso.

    «Non c’è nessuno spasimante. O, almeno, non più.»

    Gli si era stretto il cuore.
    Le parole di Hunter erano state come una stilettata nel petto. Poteva sentire, percepire sottopelle quella sensazione di inadeguatezza, di totale abbandono. Era come se il Corvonero si fosse ormai dato per vinto, sopraffatto dal pensiero che quella persona con cui avrebbe voluto condividere l’amore l’aveva invece rifiutato. Vederlo accasciarsi, inerme, sulla sua spalla era—diamine. Per la prima volta in tutta la sua misera vita, si sentiva come se avesse davanti a sé un ragazzo fatto di cristallo, pronto a rompersi alla prima crepa.
    Se avesse saputo, non avrebbe calcato la mano. Non gli avrebbe detto nulla che potesse peggiorare la situazione, già di per sé abbastanza critica, a quanto gli sembrava di capire.
    Non era esperto in relazioni sentimentali, ma sapeva quanto un cuore spezzato potesse fare male e lo comprendeva.

    Con delicatezza, le dita affusolate abbandonano il capo di lana, per dedicarsi ad altro; una mano si posa sulla nuca del Corvo, coperta dal pesante cappellino, accarezzandogli però la parte scoperta con una certa dolcezza, quasi volesse confortarlo. L’altra, si posa sulla spalla, senza malizia, ma solo con l’intento di reggersi.

    «Lo sai, vero, che la colpa non è tua?» mormora, serio «Purtroppo, Hunter, il cuore è imprevedibile. Non ci sono materie scientifiche che tengano, non c’è nulla che tu possa fare per cambiare questa ovvietà» perché se da una parte avrebbe voluto strozzare quello sconosciuto, dall’altro lo capiva, sapeva che non avesse colpe. Non c’era nulla da dire riguardo alle scelte personali, qualsiasi esse fossero, specie se riguardavano i sentimenti. Hunter se ne sarebbe dovuto fare una ragione, alla lunga «Ma tu non hai niente che non va, okay?» quando l’altro si solleva, lo guarda negli occhi, sincero, con le sopracciglia appena aggrottate per l’intensità delle sue emozioni «Fa male essere rifiutati, ma lo è ancora di più pensare di non essere abbastanza. Manchi di rispetto a te stesso e, francamente, se posso essere onesto—se questa persona non ha visto nulla in te, ce ne sarà un’altra che ti vorrà fino a farti scoppiare il cuore. Per ora ti sembrerà una montagna invalicabile, ma con il tempo ti prometto che passerà. Il dolore al petto svanirà e starai meglio» accenna un sorriso, convinto delle proprie parole.
    Nonostante sapesse che per lui non ci fosse nessun amore pronto a sorreggerlo, che forse non avrebbe mai provato quel piacevole crogiolamento nelle braccia di un altro, era sicuro che Hunter l’avrebbe trovato. Qualcuno che fosse in grado di metterlo al primo posto, dove meritava di stare.

    Scuote il capo, alla fine, sbuffando «Non essere sciocco. Non va bene tutto, lo sai anche tu e, per carità divina, non mi sento usato» schiocca la lingua sul palato, riprendendolo «lo so che non mi conosci bene, che ti sembro forse non adatto a certi discorsi—ma se vuoi scappare, se vuoi fuggire per un attimo da chiunque—io sono qui, qualsiasi cosa tu desidererai fare. Ti ho già detto che mi troverai» afferma, sicuro.
    Alla fine, poteva essere utile ad entrambi trovare un punto di fuga.
    Viktor Asmodeus Dallaire
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    Edited by Fancy|Bitch - 23/11/2018, 10:17
     
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    Sentì le dita di Viktor sulla propria nuca, il freddo pungere quella zona di pelle che fino a quel momento era rimasta al caldo, protetta dal capo di lana. Rendeva tutto più reale, come se avesse davvero avuto bisogno di una conferma che tutto quello stesse accadendo davvero, che quelle braccia che lo circondavano fossero vere. Una parte di lui sperava che fosse stato frutto della sua immaginazione, che quella conversazione fosse una delle tante che la sua mente gli riproponeva in quei giorni, cambiando per una volta il suo interlocutore, dando al Dallaire il ruolo di co-protagonista di quell’atto, di giudice della sua vita. Se avesse letto in quelle iridi trasparenti del disprezzo, lo avrebbe accettato di buon grado; se vi avesse trovato del disgusto, se ne sarebbe fatto una ragione. Il suo giudizio sarebbe stato marginale, una sentenza appellabile, mai definitiva. Se quella situazione fosse stata una sua proiezione mentale, allora significava che il suo inconscio aveva avuto pietà, almeno per una volta, di lui. Solitamente, era quello il momento in cui si sarebbe dovuto svegliare dalla trance in cui era caduto, tornando con brutalità nel mondo reale, in cui l’incubo di vedere il disprezzo nello sguardo della sorella lo portava a evitarla quanto più possibile, sfruttando la vastità del Castello e l’ammontare spropositato di cose da fare.
    L’altra parte di lui, quella razionale e, apparentemente, ancora a contatto con il mondo, voleva credere alle parole del ragazzo. Ma lui, lui odiava gli abbracci. Per quanto volesse perdersi nel calore di quel corpo, stringendolo disperatamente al proprio, c’era sempre una vocina nella sua testa che lo spingeva a dubitare, a negare che tutto quello che il Grifondoro gli stesse dicendo fosse vero. Sentiva la sua voce, la flessione francese che rendeva la cadenza del ragazzo peculiare, unica. Ma non lo vedeva. Non poteva sapere se credesse davvero che la colpa non fosse sua. Lui era un’anomalia, la nota stonata in un mondo che ancora non vedeva l’essere omosessuale come normalità. Tutti erano abituati a dare per scontato che l’orientamento sessuale potesse essere uno, canonico, uguale per tutti. Hunter era una delle variabili impazzite e questo lo terrorizzava. Lui che aveva sempre pensato negli schemi, si ritrovava a non avere più un appiglio. La sua vera paura non era quella che il mondo potesse non accettarlo, quanto il giudizio dell’unica persona che davvero contasse per lui. Se i suoi genitori, dopo una vita passata a cercarli, lo avessero allontanato, rifiutandolo per la sua sessualità, avrebbe capito. Lo avrebbe accettato: aveva passato talmente tanto tempo lontano da loro che non ne avrebbe sentito la mancanza. Delusione, quella sì. Ma con Halley era tutta un’altra storia.
    Non sapeva se Viktor si stesse riferendo a quella colpa, o al fatto che lui non si sentisse più abbastanza, come se quell’accorgersi in ritardo di un aspetto tanto importante di sé lo avesse portato anche a tradire se stesso; come se già essere Hunter fosse un problema a monte.
    Era difficile lasciarsi andare completamente, accettare che ci potesse essere qualcos’altro a determinare le sue azioni, oltre la ragione, oltre il rigore della razionalità. Era un pensiero stupido, lo sapeva, ma non riusciva a capacitarsene. Hunter era tornato indietro per cambiare le cose, e dopo aver passato 26 anni ad amare una sola persona, a soffrire per lei, a soffocare le lacrime dietro una maschera di gioia, anche mentre lo guardava fermo davanti all’altare, in attesa della sua sposa, sembrava essere nuovamente al punto di partenza. Pronto a riscrivere la stessa storia ancora una volta, con persone diverse, come se quel cuore che gli batteva nel petto non facesse altro che destinarsi alla persona sbagliata. Questo, però, il Corvonero ancora non lo sapeva. Il passato di Uran era un mistero per lui e, probabilmente, avrebbe sperato che il suo destino non fosse talmente ironico da farlo incappare negli stessi errori.
    Faceva ancora in tempo a imbottigliare tutto, a chiudersi a riccio, proteggendosi da quella minaccia che lo avrebbe scottato ancora. Che si chiamasse Gideon, Viktor, Noah, Charles, Alexander, Ethan, John, Sebastian, non aveva importanza. Forse era un pensiero troppo drastico, forse era impossibile, ma non significava affatto che non potesse, almeno, provarci. Per poi fallire miseramente, ma ne valeva la pena fare un tentativo. Lo doveva a lui, al suo equilibrio, alla sua serenità. Il dolore, però, doveva restare. Non era masochismo, quanto la voglia di ricordare, per non ricadere nello stesso errore. Per non farsi male di nuovo. Non voleva che Viktor fosse il chiodo che avrebbe scacciato Gideon. Sarebbe stato ingiusto, per entrambi. Il Dallaire meritava qualcun* che si prendesse cura di lui, in grado di amare ogni sua sfaccettatura, ogni piccola imperfezione che lo rendevano unico. Era eccentrico, vivace, ironico e solo uno stupido avrebbe potuto pensare che fosse anche superficiale, che non fosse all’altezza di quella vita che aveva imparato ad accettare, nonostante tutto.
    Avrebbe voluto parlare con Viktor della sua passione, davvero. Quel guizzo nello sguardo del Grifondoro gli aveva fatto credere che fosse una passione condivisa, una materia che entusiasmava entrambi (cosa non entusiasmasse l’Oakes? Divinazione. Senza ombra di dubbio), un fragile filo che avrebbe potuto tenerli legati anche al di là di quel pomeriggio di ricerche. Ma se si fosse avvicinato troppo? Se ci fosse stato dell’altro oltre alla pura fisicità?
    Quel contatto, però, lo stava mandando a fuoco. Non sapeva dire se lo stesse scaldando o se lo stesse bruciando, se fosse un fuoco amico o meno. Una cosa era certa: il Grifondoro era ancora lì, nonostante tutto. Era in piedi, davanti a lui, reale. Non era scappato davanti alle sue paure, non lo aveva lasciato solo.
    Sorrise lievemente, mormorando un Grazie poco udibile, la voce resa roca dal peso di quella situazione. Avrebbe potuto controbattere a ogni singola parola che il Dallaire gli aveva appena rivolto, perché quella era la sua natura, ma non lo fece. Si concentrò sulla sua presenza, sulla sua postura dritta, sul conforto che gli stava offrendo. Hunter voleva sconfiggere le sue paure e lo avrebbe fatto, un passetto alla volta. Se questo significava prendere consapevolezza di sé, non gli restava altro che accettarsi. Conoscersi. Doveva iniziare dalle basi.
    Azzerò la distanza che lo separava da Viktor, poggiando le sue labbra su quelle del ragazzo.
    In quel momento, nulla più aveva importanza.
    Hunter Oakes | 17 y.o.
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    Non era una persona facile, per niente.
    Anzi, era proprio il contrario, tanto da essere persino definito pesante. Non amava dare troppo di sé a nessuno, piuttosto preferiva lasciare un alone di superficialità artefatta, in modo da non dover combattere contro la sensazione di essere inadeguato. Perché esporsi, dare modo ai sentimenti di affiorare, era quanto di più pericoloso ci fosse al mondo e lui, da ingenuo, l’aveva sperimentato, decidendo di non ricascarci.
    In una cosa i suoi genitori erano stati bravi: insegnargli la nobile arte dell’insensibilità. Sia chiaro, non era affatto un pezzo di marmo privo di emozioni, l’aveva dimostrato rimanendo accanto ad Hunter nonostante fossero quasi sconosciuti, ma era indubbio che nessuno avesse mai avuto un effetto tanto stordente, quanto carico di confusione.

    Non era semplice sorprenderlo, ancora di più coglierlo alla sprovvista. Era sempre pronto a fare in modo di sapere come controbattere, saper difendersi dalle parole malevole lanciategli addosso sia dai compagni di Casa che dal resto degli studenti; era persino diventato abbastanza indifferente ai commenti riguardanti la propria sessualità. Non aveva mai dato il suo cuore a nessuno, troppo codardo per rischiare, ma forse più ferito di quanto volesse ammettere. Piuttosto, si accontentava di sbocconcellare affetto qui e lì, in mancanza di quello che, purtroppo, gli era venuto a mancare fin dalla tenera età. Era stato così abituato al vizio, all’ostentazione e al totale annichilimento delle emozioni, da non avere più un briciolo di speranza per una vita migliore, magari al fianco di qualcuno.
    Le interazioni romantiche l’avevano sempre messo in allarme; era capitato che dei suoi spasimanti gli confessassero di essersi innamorati, ma come spiegare quel vuoto nel petto? Come dire loro che era spezzato e, probabilmente, incapace di ricambiare?
    Spesso si rifugiava in sorrisi sghembi, in frasi come “io amo tutti, ma nessuno può avermi” solo per sfuggire all’inadeguatezza del momento.
    Il suo cuore non batteva mai veloce, agitato, dopo un bacio. Non aveva mai provato l’ebbrezza del sesso fatto con amore, ma solo per piacere.
    Quell’organo che tutti associavano ai bei sentimenti era fermo come un orologio rotto, forse da così tanto tempo da pensare che fosse meglio buttarlo e arrangiarsi senza.

    Quindi, era comprensibile il panico dovuto al bacio di Hunter, talmente inaspettato da fargli chiedere se fosse reale. La sorpresa di quel passo deciso, di quelle labbra sulle proprie, di quello sguardo enigmatico, erano stati più violenti di un pugno nello stomaco.
    Aveva già rinunciato all’idea che l’Oakes si sarebbe spinto oltre, perché non credeva fosse possibile portarlo al di là della facciata fatta di razionalità e serietà, non quel giorno perlomeno. Ed era stato chiaro nel dirgli che fosse ingiusto darsi la colpa, che fosse per un amore non ricambiato o, più profondamente, per essere la voce fuori dal coro, piuttosto che una pecora tra le pecore. E non che essere omosessuali, pansessuali, demisessuali cambiasse qualcosa, ma sapeva quanto potesse essere difficile venire a patti con la diversità; aveva capito immediatamente la preoccupazione dell’altro, perché la vedeva spesso guardandosi allo specchio. Fingere non era facile, ma nemmeno esporsi così tanto da aver paura di perdere tutto in un solo, pericoloso istante.

    Gli occhi azzurri, sgranati dalla sorpresa, tradivano chiaramente il suo panico, dovuto principalmente alla consapevolezza di avere il cuore in gola. Era assurdo pensare che un singolo, piccolo bacio potesse ridurlo così, eppure eccolo lì, fermo come una statua di sale, impietrito.
    Il fatto era che aveva sempre dato baci volti ad uno scopo diverso, più per conquistare, per corteggiare, o durante il sesso, che per pura voglia di farlo. Era difficile da spiegare, eppure quel tocco era diverso, nulla a che vedere con la semplice voglia fine a sé stessa. Alla fine, era stato Hunter a romperlo, a fargli ingarbugliare lo stomaco in una morsa stretta, strettissima, incapace di districarsi.
    Era riuscito persino a farlo avvampare. Lui, incapace di provare vergogna, era rosso come un pomodoro maturo.

    Si ritrova ad osservare da vicino le lentiggini sul naso dell’Oakes, il pallore del viso, probabilmente dovuto al freddo. Le ciglia lunghe, le sopracciglia appena più aggrottate, forse concentrato dalla situazione. Da quella distanza poteva percepire persino il fiato altrui, caldo, lavico quasi, farlo morire un po’ di più.
    Ora era il suo turno quello di chiedersi se non fosse meglio scappare a gambe levate, lasciarsi tutto quello alle spalle come un sogno abbastanza vivido e darsi all’ippica nella Foresta Proibita insieme ai Centauri.
    Qualcosa, però, gli diceva che non potesse (anzi, non volesse) farlo, data l’intensità di quanto provato.

    Perché. Perché non poteva provare la solita indifferenza condita di malizia? Perché non riusciva, nella maniera più assoluta, a pensare ad altro che alla semplicità di quel bacio? Perché diamine Hunter si era rivelato così inaspettato, quando tutti erano tanto palesi da rasentare il ridicolo?

    Error 404 Viktor not found era la definizione perfetta per descriverlo in quel momento.

    Nonostante l’evidente incapacità di realizzare, stringe la presa sul giubbino del Corvonero, lasciando che l’altra mano resti poggiata sulla nuca scoperta. Gesù. Ge-sù. Gli tremavano le mani.
    Sospira nel bacio, decidendo di calmarsi e rispondere; non voleva che Hunter interpretasse male il suo improvviso irrigidimento, né che credesse possibile una stupidaggine come il suo rifiuto. Come diamine avrebbe potuto provare disgusto, quando tutto quello che sentiva erano i brividi scivolargli lungo tutta la schiena come una secchiata d’acqua gelida?
    Gli faceva tutto tranne che schifo, Cristo Benedetto.

    Deciso, ma non come al suo solito, forse più incredulo che altro, schiude appena le labbra, alla ricerca di un contatto più intimo, meno impacciato. La mano posata sulla nuca lo attira più a sé e chiude gli occhi, baciandolo senza esitazioni. Doveva smetterla di dare un peso a quel bacio, Hunter voleva solo sperimentare e lui l'avrebbe accontentato; era ingenuo credere che il suo cuore l'avesse tradito, tanto da farlo sentire un idiota.

    Aveva l’impressione che non ne sarebbe uscito vivo e nemmeno tutti i pugnali conficcati nel petto potevano, in nessun modo, spaventarlo tanto come quel contatto umido.
    La missione, ovviamente, era andata allegramente a farsi benedire.

    Viktor Asmodeus Dallaire
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    Era rimasto sospeso, le labbra a contatto con quelle di Viktor. Bloccato a mezz’aria, con un enorme punto interrogativo tra le sopracciglia perfettamente distese. Non aveva un’espressione. Meglio, ce l’aveva, ma era talmente confuso e colto alla sprovvista che no, non sapeva quale fosse. Poi, la realizzazione di quel gesto, lo colpì come uno Schiantesimo. Per tutti i Pianeti del Sistema Solare, cosa aveva fatto? Sapeva di avere la bocca poggiata su quella del Grifondoro, era consapevole di essersi avvicinato volontariamente al ragazzo per baciarlo ma… CHE AVEVA FATTO?
    Era in attesa di risposta, appeso, leggermente piegato in avanti per colmare quel gap di altezza. Le braccia erano ancora lungo i suoi fianchi, perché se il Dallaire fosse voluto darsi alla fuga, avrebbe anche potuto farlo. In realtà, se Viktor avesse voluto fare qualsiasi cosa, dal tirargli un pugno all’urlargli contro, avrebbe potuto farlo. Avrebbe capito. Certo, ci sarebbe rimasto un pochino male, ma avrebbe fatto finta di essere inciampato con eleganza e aver arrestato il momento prima di travolgerlo fisicamente. Perché probabilmente o avevano bloccato il tempo, o il coetaneo stava riavviando il sistema, o stava per avere un arresto cerebrale. Eppure non era uno Special, non aveva il potere di folgorare le persone, quella era una delle poche certezze della sua vita. Tenne gli occhi aperti per cogliere un segnale, qualsiasi segnale e… OH. ERA TUTTO ROSSO IN VISO. Era rabbia? Imbarazzo? Vergogna? Non voleva li vedessero come lui aveva fatto notare prima? Sarebbe esploso? Se fosse svenuto, avrebbe dovuto rianimarlo? Beh sì. Ma come? Con una respirazione bocca a bocca? E se il coetaneo avesse detto che ci stava prendendo gusto, accusandolo poi di necrofilia? No, stupido Hunter, in quel caso dovrebbe essere morto. Quiznak.
    Era confuso. Prima gli doveva un bacio, poi, quando si era mosso per farlo, si era impallato. Credeva fosse quello il momento giusto per fargli capire che lui c’era, che credeva nelle sue parole non meno di quanto credeva nella terza legge della dinamica, quella secondo cui ad ogni azione corrispondeva una reazione uguale e contraria. Non si aspettava certo la versione pseudo-romantica di quell’uguale e contraria, ma quantomeno una reazione. Una qualunque. Una che non lo avesse fatto sembrare e sentire l’idiota più grande dell’intero universo. Era pronto a ritrarsi, aveva già le scuse sulla punta della lingua, stava per interrompere quel contatto, quando sentì qualcosa cambiare. La pressione delle dita sul suo giubbotto fu inaspettata, quasi quanto quel sospiro caldo che gli fece vibrare le labbra di un qualcosa che non poteva ancora definire. Stava per chiedergli se stesse bene, se fosse tutto a posto, quando le parole gli morirono in gola, zittito ancor prima di poterle pronunciare da quel movimento leggero che solo da una distanza così vicina, pari allo zero, avrebbe potuto percepire. Il tremore di quei polpastrelli riecheggiava su quella parte di pelle esposta, sebbene in quel momento si era spogliato metaforicamente, eh di ogni emozione. Gli era sembrato ci fosse l’atmosfera giusta, che fosse il momento favorevole. Forse avrebbe dovuto dubitare di quell’istinto che era stato dimenticato per anni. Se i suoi calcoli fossero stati giusti, però, doveva accadere qualcosa. Per quanto stesse aspettando anche il più piccolo segnale del Dallaire, restò comunque stupito quando il Grifondoro lo attirò a sé, dandogli quel permesso che non sapeva di star aspettando. Gli sfuggì un suono indefinito, sorpreso di quel contatto che si stava approfondendo. Saggiò quelle labbra così morbide e carnose, più di quanto non si aspettasse; un braccio a cingere la vita del ragazzo, una mano che si poggiava delicatamente su quel viso così vicino. Si lasciò guidare in quel gesto che aveva sempre identificato come uno scambio di saliva e che ora si mostrava per quell’enigma di sensazioni intricate che partivano da una parte indistinta del suo corpo. Si sentiva leggero, privo di preoccupazioni, come se per una volta fosse autorizzato a sospendere ogni pensiero, facendosi cullare da quella danza lenta, fatta di timidi tentativi.
    Si allontanò da quel calore solo per prendere fiato, la fronte a contatto con quella del francese, come se ancora non fosse pronto a lasciarlo andare. Portò una mano alla testa, abbassandosi il cappellino di lana sugli occhi, quasi volesse celare così quella punta di imbarazzo che stava provando. Non era per Viktor, non era per il bacio, quanto per quello che sarebbe successo da quel momento in poi. Non fu in grado, però, di mascherare quel sorriso che gli illuminava il volto, che si sarebbe riflesso nel suo sguardo non appena rimise l’indumento al suo posto, scoprendosi nuovamente, osservando quelle labbra che sembravano quasi più gonfie e rosee. Le sfiorò con un dito, stupendosi che fosse stato lui a renderle così, quasi fossero diventate ipnotiche <del>e le cose di cui si sarebbe poi stupito sono davvero in quantificabili
    Aveva bisogno di tempo per trarre le sue conclusioni, per pensare a mente fredda, in maniera lucida e distaccata. Non voleva farlo in quel momento, non quando stava così bene.
    “Mh. Dovremmo…” si umettò le labbra, meravigliandosi conservassero ancora il sapore del Grifondoro “forse dovremmo continuare a cercare.”
    Era impacciato, sì.
    In fondo, era pur sempre il suo primo bacio.
    Hunter Oakes | 17 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
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    Oh, sapeva che agli occhi di Hunter quella sua reazione fosse stata una contraddizione. Persino per sé stesso lo era, tanto da chiedersi il perché avesse reagito come un idiota di fronte ad un semplice, banale assurdamente dolce, bacio. Come aveva detto all’Oakes poco prima di quel contatto, però, le emozioni non potevano essere controllate. Per una volta, avrebbe davvero voluto aver torto.
    Non era abituato a tocchi leggeri, alla calma, ai brividi, benché meno ad avere qualcosa di indefinito sbatacchiargli nello stomaco, facendolo sentire tra le nuvole.
    E dire che, come al suo solito, aveva iniziato tutto quello per scherzo. Che pensava di scamparla con delle risate e degli sguardi imbarazzati, stuzzicando il giovane Corvonero, consapevole però che non fosse assolutamente una delle sue tante conquiste, tanto più un’anima candida, forse fin troppo pura per poter essere anche solo sfiorata da una delle sue mani.

    Parlare con lui, sentire affinità, conoscerlo appena un po’ di più per via delle stesse passioni, era stato sorprendente, persino più di quel contatto umido. E forse era stato proprio quello a fargli fremere le mani, a permettere all’altro di stringergli i fianchi, di perdersi così tanto e così assurdamente in una piacevole sensazione di calma, accarezzandogli con delicatezza i ciuffi scuri sfuggiti al copricapo.
    In genere era lui quello che fermava tutto. Che poneva dei precisi paletti per evitare di approfondire la conoscenza. Alle volte evitava persino di parlare, se non per provocare, limitandosi al puro atto carnale, piuttosto che agli interessi comuni. Non gli era mai interessato, perché non era un tipo da smancerie, né da azioni romantiche e dettate dal cuore.
    Se avesse saputo, quel giorno, che si sarebbe ritrovato vittima di quell’organo traditore, avrebbe finito con il rimanere al sicuro tra le mura del Castello, nascondendosi sotto le coperte ed evitando qualsiasi contatto con il mondo esterno, in particolare con Hunter.

    E ora, come poteva non pensare a quelle labbra sulle sue? Alla morbidezza e alla gentilezza nei tocchi del coetaneo? Come avrebbe fatto a dormire la notte, quando il pensiero di quelle braccia l’avrebbe ossessionato persino nei sogni?

    Per un attimo, si ritrova a tremare, ma prova a ricomporsi subito, per evitare di far capire all’altro quanto l’avesse scombussolato. Si sentiva così, perso. Incapace di razionalizzare quanto accaduto, se non con un “sono fottuto” stampato nel cervello, indelebile. Aveva sentito parlare del famoso “colpo di fulmine” ma non avrebbe mai pensato che sarebbe capitato a lui, troppo abituato alla solitudine per credere davvero di poter avere un interesse che andasse al di là del sesso.
    Decisamente, non si parlava di quello. Si era dato la zappa sui piedi da solo, non immaginando che l’Oakes l’avrebbe preso sul serio; che poi, in realtà, aveva agito nella maniera più ovvia possibile.
    Solo… perché non era indifferente come al solito?

    Cazzo, probabilmente sarebbe stato davvero ore a sentirlo parlare di Trasfigurazione, solo per interromperlo e baciarlo ancora, e ancora, e ancora, fino a consumargli le labbra. Era un pensiero così stupido da rasentare l’idiozia, perché immaginava che quel contatto fosse stato scaturito solo per curiosità, o magari a causa di un cuore spezzato. Non c’era molto da credere, arrivati a quel punto e non voleva, nella maniera più assoluta, rimanerne deluso o, peggio, scottato. Avrebbe fatto il giusto, mantenendo la parola data, ma imponendosi di non lasciarsi coinvolgere.

    Era bastato poco per far morire quelle certezze.

    La mancanza di quel contatto lo porta, per un attimo, a sporgersi per riprendere quelle labbra, spontaneamente. A quel punto, apre gli occhi, trovandosi di fronte l’Oakes intento a nascondersi con il cappellino, rosso in viso. Sta quasi per parlare, dicendogli che andasse tutto bene, ma quando lo vede sorridere… deglutisce, umettandosi il labbro inferiore per ricercare il sapore di Hunter, ritrovandosi nuovamente in uno stato di totale confusione. Vederlo sorridere in quel modo era stata la stoccata finale, il totale sgretolamento di tutti i suoi buoni propositi. Persino il polpastrello a delineargli il labbro inferiore lo porta a trattenere il fiato, rilasciandolo subito dopo con un certo bisogno. Erano gonfie e rosse? Ad Hunter piacevano?

    Aveva l’impressione che il Corvo avesse oliato quell’ingranaggio rimasto bloccato da anni. Gli faceva paura, assoluto terrore. Eppure, contagiato da quella breve risata, non può fare a meno di portarsi una mano a coprirsi la bocca, ridacchiando. Godric, se era nervoso.
    I suoi occhi, a parte il guizzo sorpreso, non erano che una pozza cristallina, animati da una felicità stupida, ma genuina. Niente malizia, solo totale dolcezza.

    «Mhm-mh» annuisce, mordendosi le labbra per trattenere l’ennesimo sorriso in procinto di nascere. Poteva sentire il retrogusto dolce di Hunter a solleticargli la lingua «la missione, giusto» pff—ormai aveva persino dimenticato il perché si trovassero lì.

    Maledetto Oakes, cosa gli aveva fatto?
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    beh dai poi ci penso
    Piuttosto, fa male quando ti penetrano?
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    C'era sicuramente un motivo, se victoria odiava la gen z. Se odiava chiunque in generale, ad essere sinceri, ma in particolare i ragazzini. Mica per niente ne aveva uno incollato alle chiappe - letteralmente - ventiquattr'ore su ventiquattro, sebbene fergie avesse ormai abbandonato ufficialmente l'era teen; rimaneva comunque uno di loro, e la quinn lo sopportava (amava) perché prendersi cura dei cuccioli più rompicoglioni era sempre stata la sua vera debolezza. Il che spiegava come mai i suoi migliori amici fossero gente come frankie, frederick e amos. Se negli ultimi anni non si fosse avvicinata a roy, condividendo con la cugina un dolore che aveva minacciato di lacerarle il cuore e la mente, facendola vacillare sull'orlo di un precipizio davvero troppo profondo, avrebbe finito per uccidere tutti e tre nel modo più lento e brutale possibile. C'era voluta tutta la dedizione, il sacrificio e l'alcol di questo mondo per capire che aveva già perso fin troppo; che le rimanevano solo quel gruppetto di disagiati, e ciò che restava ancora in piedi della sua famiglia.
    «questa storia del banchetto sta cominciando a diventare un'ossessione, jackson.» la loro, di conversazione, era giunta ormai al solito punto cruciale, quello in cui fergie proponeva l'ennesima trovata assurda e la bionda si vedeva costretta a ridimensionare le sue prospettive, perlomeno quando sapeva con assoluta certezza che tal situazione sarebbe finita male. Per lui o entrambi, dipendeva sempre da quanto vic fosse disposta a lasciarsi coinvolgere. Non possedeva il dono della preveggenza - sebbene l'idea di spendere qualche soldo in uno dei laboratori le fosse anche passata per la mente -, ma conosceva abbastanza bene i suoi polli per capire quando era il caso di stringere la presa e riportare il bambino ubriaco sotto l'ala protettrice di una figura più autorevole che materna. Gli serviva un po' di disciplina, oltre che ad una buona paccata di tanto in tanto, e victoria era più che disposta a concedergli almeno la prima; per quanto riguardava i limoni duri contro i muri, era stata chiara fin dalla prima volta in cui l'aveva beccato, candido come un agnellino, a fissarle il seno. Niente 'quando si congelerà l'inferno', 'il giorno che gli asini impareranno a volare' e altre massime tipiche della generazione millennials, ma un più semplice, e onesto «quando non avrai più bisogno che ti faccia da madre allora magari ci penserò.»
    Tanto lo sapevano entrambi che quel giorno non sarebbe mai arrivato.
    «anche se devo ammettere che hai un certo ascendente su certe milf piene di grana.» sollevò le iridi chiare sul volto del ragazzo, l'ombra di un sorriso a tendere le labbra tinte di corallo. Quando l'aveva trovato, quasi cinque mesi prima, se ne stava in piedi su uno di quei banchi dove i testimoni di geova cercavano di costringerti a firmare in nome della loro causa e del signore, cercando di tenere a bada arzille signore infoiate alla ricerca di un baci da quel bel figliolo in cambio di pochi spiccioli. Non sapevano, ovviamente, che fergie puntava a bem altre somme, sebbene non avesse tenuto conto dell'accanimento con cui certe donne mature e frustrate potevano lanciarsi su un ragazzo giovane e dall'aria prestante. Si era dovuta fare largo a spallate rischiando alcune borsettate in faccia, finché giunta ai limiti del banchetto lo aveva afferrato per una gamba e trascinato giù: solo una rapida smaterializzazione aveva salvato entrambi dal linciaggio collettivo delle milfone. Tornò a dedicare la propria attenzione alla fotografia trovata nel portafogli che teneva tra le mani, il ritratto pulito di una famigliola da mulino bianco, con tanto di yorkshire seduto comodamente sulle gambe della bambina più piccola. Un istante bastò a victoria per decidere di passare oltre, coprendo la foto con il palmo della mano mentre le dita affusolate estraevano le banconote, che non perse tempo a contare: aveva abbastanza soldi di suo per fregarsene di quelli degli altri, ma essere ricca non escludeva la possibilità di divertirsi comunque nel commettere qualche piccolo crimine. Le provava tutte per far passare il tempo e non pensare a suo padre, a gwen o a marcus, all'espressione sui loro volti in quei brevi istanti di comprensione quando si erano resi conto che era finita; l'ingresso di fergie nella sua vita le aveva semplicemente offerto l'ennesimo hobby, niente di più.
    «Piuttosto, fa male quando ti penetrano?» per poco non le caddero i soldi di mano. Camminavano all'interno del parco da un po' e, fino a quel momento, non gli era capitato alcun incontro spiacevole: se ne stavano tutti ben chiusi nelle proprie case, evitando il freddo come la peste, e forse anche qualcos'altro. Se c'era una cosa che vic aveva capito da quando quelle stupide giratempo l'avevano spedita in una realtà che della sua aveva solo l'apparenza - per dire, brad pitt e george clooney non stavano nemmeno insieme - era che molti avevano smesso di sentirsi al sicuro camminando per le strade della londra magica, una sensazione di impotenza che loro avevano già provato prima. Invece i due ragazzini profondamente presi dalla loro conversazione a sfondo sessuale se ne andavano a zonzo belli tranquilli, flirtando come gli adolescenti che erano, senza pensare alle conseguenze. Avrebbero dovuto derubare anche loro, solo per dare ai due bimbi una lezione sulla sicurezza nei parchi quando cala il sole, ma in fondo il cuore della quinn era lo stesso che batteva nel petto di una lontana, lontanissima murphy skywalker. Sentiva il richiamo dello shipping compulsivo, victoria, nonostante l'aria perennemente scocciata sul volto dai tratti perfetti e quello sguardo incapace di lasciarsi leggere davvero, quasi scoprire cosa ci fosse realmente dietro potesse ucciderla. «sssh.» premette il palmo della mano sulla bocca di fergie, tirando il ragazzo verso di sé ed entrambi dietro il tronco di un albero, abbastanza vicino a viktor e hunter per permettere ai due di sentire distintamente ogni parola; sufficienti, quei metri a dividerli, per concedere a vic il beneficio del dubbio, quando all'ennesimo battito di ciglia il volto dell'hoakes le sembrò familiare pur non essendolo.
    Quasi una sensazione di dejavu.
    Di una piccola mano che le si aggrappava alla stoffa dei pantaloni per costringerla a chinarsi e giocare sul pavimento. Per élite jenkins-beech, che la bionda aveva imparato a conoscere frequentando elijah e maeve, occupando la stanza per gli ospiti a casa loro una settimana sì e l'altra pure nei periodi in cui sentiva di non farcela ad andare avanti, lei era semplicemente zia vic.
    «muffliato.» quasi un sussurro il suo, ma chiaro e fermo quanto il movimento del polso dall'alto verso il basso, la punta della bacchetta rivolta contro le figure di hunter e viktor; non aveva senso spiare due piccioncini tubanti senza poter anche commentare in live, ed era quasi certa che fergie le avrebbe comunque chiesto di utilizzare la magia così da ciatellare senza farsi beccare. Lo conosceva abbastanza bene, quel punto, da anticipare quasi tutte le richieste del jackson, soddisfandone una discreta parte. Che in fondo era davvero troppo buona, victoria quinn, molto più di quanto le piacesse dare a vedere. «fergie, togli quella mano.» deadpan, il tono di voce tornato ai soliti livelli acustici senza più il timore di essere beccati, vic piegò la testa osservando il volto dello special rimastole accanto quando lo aveva trascinato dietro l'albero, un sospiro quando lui le mostrò la mano libera sventolandola in aria. Con quell'aria da cucciolo innocente creata ad hoc per fregare chiunque, ma non lei. «l'altra.» tipo quella che le stava premendo sul seno destro da almeno due minuti. E quando finalmente la sentí più contro la stoffa imbottita della giacca, tornò a voltarsi in direzione della coppietta, che nel frattempo sembrava essersi decisa a passare all'azione. come avresti dovuto fare tu quando c'era ancora la possibilità. Una voce infernale, quella, che scacció con forza dalla propria mente, insieme alla fugace visione del sorriso di gwen, quello stesso raggio luminoso che l'aveva accompagnata per anni ogni ogni giorno, sempre al suo fianco. Si era frenata di fronte alle convenzioni sociali, ad ub problema etico che, a conti fatti, non esisteva: gwendolyn non era mai stata davvero sua sorella, eppure vic aveva sacrificato i propri sentimenti in nome del legame creato nel tempo, a suon di lacrime e risate e sacrifici.
    L'aveva capito troppo tardi, di aver sprecato la sua unica possibilità.
    «si stanno già baciando. voi maschi siete davvero troppo rapidi.» una breve occhiata traversa in direzione di fergie, un sospiro teatrale ad abbandonare le labbra dischiuse. «in tutto.» eh.

    victoria
    (murphy skywalker)
    quinn

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    down
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    Edited by saudade. - 2/12/2018, 17:22
     
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    All these tattoos in my skin, they turn you on Lotta smokin', drinkin' – that's the shit I'm on Heard you not the type that you take home to Mom
    «stavo pensando,» un sorriso impercettibile sfiorò le labbra di Fergie, mentre sfilava le poche banconote presenti nel portafoglio di un certo Gideon McPherson e le infilava nella tasca posteriore dei jeans. Non dovette alzare lo sguardo per percepire che Victoria Quinn, a quel non troppo fortunato esordio dell'ex Serpeverde, avesse alzato gli occhi al cielo: uno, non era mai un buon segno quando il Jackson pensava; due, la bionda doveva aver messo in dubbio diverse volte la capacità stessa di Ferguson di poterlo effettivamente fare.
    Il fatto che non si comportasse in maniera intelligente non significava che non lo fosse, ma –come ogni qual volta capitava l’occasione - non avrebbe espresso quel pensiero ad alta voce. Si fermavano tutti all'aspetto da delinquente, alla smorfia della bocca o l'ammiccare degli occhi, senza valutare l'ipotesi che potesse trattarsi di finzione.
    E facevano bene, perché non la era - semplicemente, fare l'idiota non includeva necessariamente esserlo. Erano in pochi, di quei tempi, a saperlo. Victoria era una di quei pochi, ma le piaceva comunque fingere di credere che Fergie fosse una specie di razza pre-sapiens: era il suo modo per dirgli che gli voleva bene.
    C'erano modi peggiori per dimostrarlo. «che dovremmo dare un’altra opportunità al banchetto.» concluse, per quella che doveva essere la centesima volta nel corso di quei quattro mesi, facendo guizzare gli occhi scuri sulla bionda. Quello del Jackson era uno sguardo perennemente divertito e di biasimo, poca importanza aveva fosse del mondo o se stesso – eppure, in quel momento come nei novantanove prima, non stava affatto scherzando. Quel che Victoria, cresciuta fra caviale e champagne, pareva non comprendere neanche dopo gli anni di alleanza con i più concreti e reali Freddie Hamilton o Fergie Jackson, era che i soldi servivano, e bisognava guadagnarseli. Perfino, se non soprattutto, in una realtà come quella, dove avrebbero potuto comprare silenzi e costruire collaborazioni che li avrebbero portati un passo più fottutamente vicino al resto dello squadrone della speranza. C’erano migliaia di modi per raccogliere cash, ed il Jackson – con il suo animo da ricco manager ed il portafoglio sempre vuoto – li conosceva tutti.
    Semplicemente, non tutti gli piacevano. Rapine? Quelle in grande richiedevano organizzazione e materiale che non possedevano, mentre quelle in piccolo davano loro il minimo conforto di avere qualcosa. Spaccio? Fino a quel momento aveva funzionato, Dio ringrazi la capacità di creare acidi di Fergie, ma trovare clienti fissi di quei tempi era più complesso del previsto. La carriera a cui ambiva il Jackson era il mercenario, ma nessuno ti assumeva senza un minimo di curriculum - e lui, because of reasons, non aveva qualifiche in quell’universo. C’era sempre l’opzione furto-con-morto, ma non era una delle alternative che sconfinferavano di più l’ex Serpeverde: sapeva uccidere, se strettamente necessario, ma potendo avrebbe preferito evitarlo. Tipo per sempre. Non era una questione morale, quanto più… beh, no, era decisamente fottuta morale: malgrado il quartiere di merda in cui era cresciuto, i suoi genitori l’avevano cresciuto bene, ed a Fergie mancava il freddo pragmatismo di un qualunque assassino.
    Anche quel giorno, come i precedenti, tacque l’alternativa al banchetto – a cui aveva pensato sin dal primo momento in cui, in piedi sulla bancarella, aveva posato gli occhi su di lei – perché non era particolarmente emozionato all’idea di metterla in pratica, considerando che avrebbe implicato vendere Victoria Quinn al miglior offerente. Tristemente, , pur amando la ragazza l’avrebbe fatto, ma Vic gli piaceva troppo perché potesse dare effettiva priorità ad una strada del genere: diciamo che restava sotto la top tre, ma ancora nella top dieci.
    Ho già accennato al fatto che la Quinn lo amasse così, vero? «questa storia del banchetto sta cominciando a diventare un'ossessione, jackson.» Riportò la propria attenzione al portafoglio stretto fra le mani, sorridendo sghembo dell’affermazione della Quinn quanto del nome riportato sulla carta d’identità: Phobos Campbell, il terzo dei Campbell che avevano derubato, ed il terzo ad offrire loro più erballegra che non denaro contante. Che adorabile famiglia. «anche se devo ammettere che hai un certo ascendente su certe milf piene di grana.» Ricambiò lo sguardo di Vic arcuando entrambe le sopracciglia, facendo segretamente tesoro di quei complimenti che la Quinn era così arida a donare – perfino ad uno come lui che li avrebbe meritati tutti. – ed offrendole una scrollata di spalle atta a liquidare il discorso. «e ti stupisce?» perché, diciamocelo, non avrebbe dovuto: Fergie offriva quel brivido di pericolo e gioventù che al mondo tutti agognavano e cercavano ovunque senza trovarlo mai – inoltre, ce l’aveva scritto nella fossetta sul mento quanto fosse un cerotto temporaneo ai loro problemi. Quelli come Ferguson Jackson, in un universo o nell’altro, non erano fatti per restare – erano creati con la stessa materia dei sogni del vento e le nuvole e l’oceano. Lanciò il portafoglio in uno dei cespugli del parco, la testa vagamente reclinata all’indietro a cercare un senso fra le fronde degli alberi. Sembrava tutto così…assurdo, al Jackson. Finto, un sogno – o incubo, a seconda delle giornate – durato troppo a lungo del quale non riusciva a liberarsi. Erano passati mesi, ma ancora non era riuscito a rendersi conto della portata di quel viaggio: gli pareva il giorno prima che, pregno di una certezza giovanile ed illusoria, aveva congedato il Cobain con un ci becchiamo fra mezz’ora.
    Era proprio il degno erede di Freddie Hamilton #5minuti ma questo, tristemente, il nostro amabile eroe non poteva saperlo. «Piuttosto, fa male quando ti penetrano?» Seguendo l’istinto che mai l’aveva tradito, senza neanche sprecarsi a spostare lo sguardo dagli alberi mise mano al calcio della Nighthawk stipata al proprio fianco, sollevando la canna nel punto dal quale provenivano le voci. Nello stesso istante, Victoria spinse entrambi dietro un albero, tenendo il Jackson decisamente più vicino di quanto normalmente il buon senso le avrebbe detto di fare: poteva anche trattarsi di una situazione di pericolo, ma neanche in casi straordinari Ferguson si sarebbe perso la possibilità di palpare Victoria Quinn. La bionda mise fine al suo sogno nell’usuale modo rapido e secco che da anni gli spezzava il cuore. Piegò la bocca in un broncio, spostando gli occhi oltre la corteccia per cercare la fonte di quel contrattempo. Solo in un secondo momento, il cuore a pompare adrenalina nel flusso sanguigno e la vista dolorosamente acuta, lo Scelto si rese conto di quel che aveva appena sentito. Corrugò le sopracciglia senza abbassare l’arma, aprendo e richiudendo la bocca per cercare di formulare un pensiero coerente.
    «ha davvero fatto una domanda sulla penetrazione?» domandò infine, incapace di trattenere il guizzo divertito della bocca. Aveva bisogno di conferme – la sua mente tendeva a viaggiare ad un ritmo diverso da quella degli altri – e per quanto ne sapeva, la conversazione poteva non avere alcuno sfondo sessuale: Fergie era capitanato da ormoni e cattivi propositi, non bisognava mai far affidamento al suo senso del giudizio. «ma se trovi qualcuno che ha un minimo di decenza e ti prepara bene, è anche piacevole. Dipende dal partner, insomma»
    No, vabbè: stava succedendo davvero.
    Victoria Quinn e Ferguson Jackson, nascosti dietro il tronco di un albero il quale, chiacchiere (e non solo) del genere se ne sorbiva quotidianamente, erano capitati a portata d’orecchio di una metafisica conversazione sul sesso.
    Il sogno dell’ex Serpeverde. «Mh. Quindi, oltre che all’anatomia personale, molto dipende anche dal fattore umano.» Portò una mano al cuore e l’altra a premere incredula sulla bocca, l’arma ancora stretta nel pugno e la sicura inserita per evitare incidenti. Cosa – cosa stavano origliando? «vic,» bisbigliò, malgrado i due fringuelli non potessero udirli. «mi stai dicendo che il sesso non è solo l’atto meccanico di un chiodo ficcato nel muro?» aprì la bocca, scosse drammatico il capo. «SH00000000K» cioè, davvero ragazzino. Davvero. E pareva pure stupito, il signorino la-penetrazione-fa-male, nell’asserire l’ovvietà della situazione. Fremeva dal bisogno di interromperli, stringere un braccio attorno alle spalle di colui che pareva aver scambiato il moro per wikihow, e suggerirgli di provare a infilarsi a secco un anal beads nel culo, ma per pura curiosità di sentire dove volessero andare a parare, si trattenne.
    A stento. I veri motivi che lo bloccarono al fianco di Vic erano Vic stessa, e la misera – ma non inesistente – possibilità di assistere ad una bella sessione di petting all’aria aperta (non perché fosse un voyeurista, ma perché una delle sue attività preferite era interrompere le coppie sul più bello; ad ognuno i propri passatempi). «Lo vuoi sapere sul serio, mon amour? Il tuo cuoricino reggerebbe al peso di quello che ti farei?» Uhh. Si sventolò il viso infilando un dito nel colletto della giacca, fischiando acuto fra i denti. «non si va per il sottile, uh»
    Il sesso è arte.
    Un filosofo del SESSO! NOOOOOOOOOOO TROPPO BELLO. Sembrava una delle puntate del podcast di Nathan Withpotatoes, dove l’uomo teneva lezioni tipo bondage for dummies et similia. «sono quasi conquistato» Quasi, perché Fergie era la persona meno sottile del mondo; tutto quel parlare rendeva l’argomento molto meno scottante di quanto avrebbe dovuto essere.
    This is so sad alexa play turn down for what.
    «Perché sono ingordo, mon amour. Quindi pondera bene la risposta, perché potrei anche mostrarti cosa voglia dire il termine seduzione. Nel significato più piacevole che tu riesca ad immaginare.»
    GUUUUUUUUUUUUUUURL. Privo della solita malizia con il quale s’approcciava a Vic, ma con la confidenza data dagli anni passati in sua compagnia, le prese la mano e se la premette sulla bocca, così da aggiungerla alle proprie – solo dieci dita, a quel punto, non bastavano per fermare l’ovazione di ultras del Jackson.
    Sollevò ammirato i lucidi occhi castani su Victoria. «ho partecipato visto porno iniziare in maniera più soft» sussurrò, quasi commosso, sentendo un’ondata di fierezza per il filosofo. Quello era il punto della conversazione in cui, in universo ideale, Filosofo sbatteva Nerd contro il primo albero e gli infilava una mano, gelida d’inverno, nei pantaloni, iniziando a dimostrare con i fatti quel che pareva essere così bravo a narrare a parole. Ci sperò davvero, Fergie.
    «Non puoi provare sentimenti per la mano con cui ti masturbi.»
    Spostò gli occhi su Vic stringendosi nelle spalle. «ho una maglia con quella scritta»
    GUADAGNI ME.
    COME «allievo» ripetè, indeciso se iniziare una standing ovation o sbattere la testa contro il muro. Erano passati dal porno al porno-basato-su-greys-anatomy? Non era certo di apprezzare quella peculiare piega di eventi - voleva l’azione. Schioccò la lingua sul palato sospirando greve. «non si chiede mai il permesso per baciare qualcuno, mon ami. spezza il momento» oh, ma doveva insegnare tutto lui? (sì).
    «qualcuno potrebbe vederci!!!&&»
    Mmm watcha saay. Quello sarebbe stato il momento in cui Fergie avrebbe dovuto sentirsi colpevole, ma non sarebbe stato Fergie se avesse provato vergogna: chiuse invece la mano a pugno per batterlo contro le nocche della Quinn. Puoi scommetterci il culo, Nerd.
    Ah no, aspetta, lo stai già facendo. Ihih.
    «non ho mai visto un flirt più awkward» osservò sovrappensiero, poggiando una spalla alla corteccia dell’albero. Gli adolescenti erano troppo impegnati a parlare (anziché pomiciare) per prestare attenzione al movimento delle foglie, ed il Jackson si permise di posare l’arma ed incrociare le braccia sul petto. «è quasi …» reclinò il capo cercando la parola adatta, finendo per umettarsi le labbra ed arricciare il naso. «tenero» fra l’incredulo ed il distratto, sorrise ai due – e non, stranamente, dei due - volgendo un’occhiata di sottecchi alla Quinn. Beh? Il fatto che non fosse un ammiratore di romanzi harmony e credesse più nel potere di una paccata dura che in un mese di appuntamenti galanti, non significava che non potesse apprezzare certi clichè - solo che non era interessato a viverli in prima persona.
    Però, insomma. Si era fatta una certa, ed i due – anziché andare al dunque – continuavano a ciarlare e flirtare come vecchi nei siti d’incontri. Battè le mani fra loro e sospirò seccato, sicuro che a quel punto fosse loro abbastanza vicino spiritualmente da non dormire la notte se non avessero almeno consumato l’innocente relazione con un bacetto. Dai, mica era chiedere tanto, no? Si era perfino ridimensionato (era passato da penetrazione, al petting, ad un misero bacio) nei suoi sogni, potevano almeno dargli quella gioia.
    E poi, sempre inaspettato, avvenne.
    OH MY GOD
    IT’S HAPPENING!!!&&& Sollevò le mani a coppa attorno alla bocca gridando entusiasta, battendo le mani fra loro come un tifoso allo stadio. «Più LINGUA!» strillò, scuotendo però il capo con un certo orgoglio. Ah! Com’erano cresciuti! Dalla retorica alla pratica era un attimo!
    «si stanno già baciando. voi maschi siete davvero troppo rapidi. in tutto.»
    Si fermò ed arcuò un sopracciglio in direzione della bionda, volgendole il classico sorriso alla Jackson che serviva sempre con una buona dose di sarcastico scetticismo – non aveva bisogno d’altre parole, se non quelle impresse nella bocca e negli occhi, per mostrare al proprio interlocutore quanto sciocca ed infantile trovasse la loro affermazione. «sarei onorato di dimostrarti che non siamo tutti così» piegò il capo sulla spalla ampliando il sorriso. «hai evidentemente un pessimo gusto per i tuoi amanti» si strinse nelle spalle tornando a posare le iridi sui Ferd (Filosofo x Nerd). «puoi incolpare solo te stessa» Beh? Doveva proteggere l’onore della razza maschile.
    «Mh. Dovremmo…forse dovremmo continuare a cercare.»
    Mhmh, non credo proprio sono io la guardia cit- betta.
    «Mhm-mh. la missione, giusto»
    Ma quale missione? Cercare cosa? Non poteva trattenersi oltre, Ferguson Jackson - andava contro la sua natura. Lanciò uno sguardo alla Quinn, e prima ch’ella potesse dire qualcosa, scivolò fuori dal nascondiglio entrando nel campo visivo dei due piccioncini, l’arma nascosta fra i jeans e la schiena e l’indice sollevato verso di loro. «alexa, questo è inaccettabile, metti watcha say di jason derulo» schioccò con disapprovazione la lingua sul palato, spostando gli occhi dall’uno all’altro con un sopracciglio inarcato. «facciamo così: qualunque cosa stiate cercando, la cerchiamo noi» che fossero alla ricerca del portafoglio di uno dei Campbell? «voi continuate pure a fare…» un vago cenno con le mani nella loro direzione, la mano destra a frugare nella tasca della giacca per prendere una sigaretta. C’era un modo carino per suggerire quel che la sua mente, depravata ma adorabile, stava dipingendo dietro le palpebre semi abbassate? Alzò gli occhi al cielo cercando una risposta polite, piegando poi la bocca in un sorriso soddisfatto e languido. «preliminari.»
    E poi osavano dire non fosse delicato.

    ferguson
    (jane darko)
    jackson

    20 y.o. ✖ poison generation ✖ slytherin ✖ thug life
    upside
    down
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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14 replies since 20/11/2018, 14:09   605 views
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