"The ice inside me melts."

Aaron x Mabel

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    Il dormitorio, per la prima volta in otto anni, gli era sembrato il posto più sicuro di tutta Hogwartz.
    Una volta rimasto solo, senza Mabel a fargli da tentazione, era riuscito a prendere il primo, autentico respiro di sollievo e liberazione della giornata; ovviamente non perché il ragazzo fosse stato un peso, tutt’altro, ma perché era arrivato al punto che sentirselo così vicino rischiava di fargli perdere quel poco di autocontrollo che, negli anni, era riuscito a racimolare. E non si trattava di rabbia o pentimento, né di qualsiasi altra cosa negativa che l’aveva accompagnato da sempre, ma più la pressante sensazione d’essere ad un passo dal caderci con tutte le scarpe.
    Era terribilmente—spaventato dalle sensazioni che il Withpotatoes era riuscito a provocargli, sconquassandogli le viscere e riducendolo ad un ammasso di cuoricini svolazzanti. Come cavolo aveva fatto a ridurlo così? Era chiaro che l’Amortentia, a quel punto, non c’entrasse nulla ma che, se ci pensava bene, a parte alcune uscite discutibili, non aveva fatto altro che fargli esprimere ciò che pensava realmente del Tassorosso.

    Su quel letto, ancora sfatto, sentiva il peso di quel bacio non dato e, allo stesso tempo, sollievo per essere riuscito a mantenere la decenza, soprattutto la lucidità necessaria per capire che non fosse il momento adatto per appropriarsi di quelle labbra. Sembrava sciocco, forse quasi pretenzioso, ma due anni di differenza potevano essere abbastanza per creare un divario di esperienze, senza contare il carattere diametralmente opposto che, non sapeva come, riusciva a collegarli e renderli l’uno il perfetto compensatore dell’altro.

    Disteso, con la testa sul cuscino e gli occhi puntati al baldacchino, non poteva fare a meno di chiedersi se avesse fatto bene a fidarsi così ciecamente di Mabel. A conti fatti, lo conosceva da poco, forse qualche mese; alla sua ex ragazza c’erano voluti anni per riuscire a strappargli un appuntamento, un bacio e, conseguentemente il cuore dal petto, mentre con il Withpotatoes era bastato uno sguardo, notare il cielo nei suoi occhi, per cadere come un emerito imbecille nella trappola dell’infatuazione.
    Si era ripromesso, dopo la storia con Chloe, di non lasciarsi andare troppo, di preservarsi per non rimanere nuovamente scottato; ricordava chiaramente i capelli biondi della giovane Grifondoro sparsi sul letto, lo sguardo colpevole del tradimento, le labbra rosse e con il trucco sbavato. Aveva sofferto come un cane per quella stupida ragazzina, era stata il suo primo amore e gli aveva spezzato il cuore in mille pezzi. Era stato uno strumento, un passatempo; chi mai avrebbe potuto amare uno come lui? Era stato ingenuo e speranzoso che, almeno lei, avesse visto il buono in quei modi solitari e dall’animo fragile. La corazza che si era costruito intorno serviva per non lasciare che nessun’altro riuscisse più a scalfirlo.
    Si era annullato per lei, aveva rinunciato alla lettura, al disegno, alle sue passioni solo per essere degno di starle accanto; un secchione con la più bella della scuola? Era meglio un aitante Cacciatore della Squadra Serpeverde. Ma nemmeno questo le era bastato.

    Ora, non c’era alcun paragone possibile da poter fare tra Chloe e Mabel, ma aveva paura. A mente lucida, dopo un incantesimo per riprendersi da quel dopo sbornia terribile, aveva realizzato quanto fosse stato incauto. No, non si pentiva di nulla e desiderava ancora baciare il Withpotatoes con la stessa intensità di qualche ora prima, ma era stato stupido farsi vedere così dannatamente fragile, scoprirsi per rivelare il fianco. Era sicuro che, di lì a poco, il cuore gli sarebbe esploso nella gabbia toracica dal terrore.
    E se Mabel avesse spezzato il suo cuore come aveva fatto Chloe? Se avesse deciso di calpestarlo e ridere di lui?

    Scuote il capo con decisione, dandosi dell’idiota. Doveva smetterla, non avrebbe mai fatto nulla del genere.

    --

    Erano passati tre giorni dalla festa e dal conseguente dialogo con il Tassorosso.
    Per la maggior parte del tempo era rimasto nell’Aula di Pozioni per dedicarsi a quella che intendeva preparare per Mabel. Aveva fatto innumerevoli tentativi, testando senza alcun amor proprio la pozione su sé stesso. C’erano stati effetti collaterali poco preoccupati, fortunatamente, tra cui vomito, alle volte febbre, qualche giramento di testa, ma nulla di più. Solo una volta si era davvero preoccupato, quando una delle sue iridi, da azzurro cielo era diventata di un vivido verde foresta che, per suo sollievo, era sparito in un paio d’ore.
    Alla fine, in ogni caso, era riuscito nell’intento. Non senza penare e spaccarsi la schiena sui tomi di Pozioni e su quei dannati calderoni, ma come aveva già accennato a Mabel era un pozionista abbastanza bravo e sapeva il fatto suo.

    Dati gli impegni di entrambi, aveva deciso di scrivere un biglietto al Withpotatoes, con poche e semplici righe dalla grafia impeccabile:

    “La pozione che ti avevo promesso.
    Ne basta una goccia sulla lingua per far sì che sia efficace.
    Non esagerare, mi raccomando.
    Tuo, Aaron.”


    Il piccolo gufo avrebbe consegnato la lettera e l’ampolla ben protetta nelle mani del destinatario. Sperava che l’altro non avesse mal interpretato la sua sparizione, ma—non aveva avuto tempo per cercarlo, impegnato com’era nel combattere la nausea causata dalle pozioni mal riuscite ma, soprattutto, a leggere tomi su tomi per riuscire a tener fede a quanto promesso.
    --

    Le lezioni erano finite da un pezzo, ormai.
    L’inverno gli piaceva molto, era una stagione fredda e intima; ciò che non apprezzava, invece, era la mancanza del sole. Stare seduto per terra di sera, nella Torre di Astronomia, era un qualcosa che trovava rilassante; il blocco da disegno sulle gambe, il pennello tra le labbra e la piacevole consapevolezza del silenzio. La lanterna magica ad illuminare e riscaldare perfettamente tutto intorno a lui, gli dava modo di completare quanto iniziato.
    Ne aveva tanti di quaderni, riempiti dalla sua grafia perfetta; spesso erano quelli che prestava a Mabel per studiare, incurante che potessero rovinarsi. Poi c’erano i suoi appunti, quelli che teneva per sé, dove ogni cosa era accompagnata da un acquerello. C’erano piante di Erbologia, studiate nel dettaglio, con delle descrizioni poste ai lati dei disegni; le creature magiche, le ampolle, le rune antiche, le costellazioni di Astronomia e persino quegli stupidi oggetti che i babbani si divertivano a fabbricare. Erano sparsi lì per terra, accanto a lui, in attesa di essere aperti e utilizzati, vicino alla tracolla. Per ogni singola materia, ne aveva uno, ma c’erano anche quelli utilizzati solo per imprimere su carta i paesaggi, i corpi e i volti più armoniosi; sì, era ossessionato dall’ordine, non poteva farci poi molto.
    Non si sentiva comunque a proprio agio nel mostrarli a qualcuno, troppo riservato per poter condividere una passione tanto delicata come il disegno. Non gli sembrava nemmeno di aver mai parlato a Mabel di qualcosa di tanto personale, in effetti.
    Avrebbe dovuto avvertire il Withpotatoes dell’intenzione di stare insieme, ma non l’aveva visto da nessuna parte quel giorno.

    «Nox, stai fermo» sente miagolare il gatto nero che, ripreso, si siede davanti alla lanterna come una statua, gettando un’ombra inquietante sul pavimento in pietra. Le iridi dorate brillano per un istante e poi miagola di nuovo, spostandosi verso di lui, acciambellandoglisi accanto.
    Distrattamente, prende ad accarezzargli il capo, pensieroso.

    Aaron Felix Icesprite
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    Edited by Miss Badwrong - 19/11/2018, 19:14
     
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    «Ci becchiamo domattina, okay dude?» lasciò una pacca sulla spalla del proprio compagno di squadra e si precipitò allegro su per le scale che portavano dritto alla Torre di Astronomia. Dio, quando mai s'era sentito così? Invero, con Aaron era stato felice, tanto da non riuscirci nemmeno a credere, ma c'era sempre stato quel dannato alone di disagio che gli aveva impedito di esprimere a pieno ciò che sentiva. Tanto per dirne una, se ora avesse avuto l'occasione di ritrovarsi ad un palmo dal viso dell'Icesprite com'era successo qualche settimana prima, non avrebbe certo esitato ancora a baciarlo. Ripensandoci, si pentiva amaramente di non essersi spinto oltre con il Serpeverde quando si era presentata la situazione ideale, ma forse alla fine era stato un bene: aveva iniziato a convincersi che l'invito all'attesa del maggiore non fosse stata altro che una trovata gentile per respingerlo. Non avrebbe saputo spiegare altrimenti le sue continue sparizioni, né tanto meno il modo con cui aveva accuratamente evitato che si creasse nuovamente una situazione d'intimità fra loro. Non era arrabbiato, come avrebbe potuto? Poteva capirlo, non trovava neppure una buona ragione per cui uno come Aaron potesse interessarsi ad uno come lui in quel senso, però doveva ammettere che si sarebbe aspettato maggiore schiettezza da parte sua. Magari era meglio così, meglio il silenzio che sentirsi dire chiaramente 'no grazie, io passo'. E non è che non lo facesse comunque soffrire, non è che non patisse terribilmente l'impossibilità di un altro contatto con lui, di potergli stringere la mano come aveva fatto poco tempo prima, solo che non voleva diventare per lui un problema. Poteva accontentarsi di quello che avevano, se lo sarebbe fatto bastare, e intanto avrebbe cercato di non pensare a nient'altro che potesse compromettere il loro rapporto irrimediabilmente.
    Meh.
    Meh.
    Siamo seri, Mabel non era tanto maturo da arrivare ad un tale livello di controllo come niente fosse. In un primo momento non l'aveva presa così bene, specie quando, nei giorni immediatamente successivi alla festa di Halloween, Aaron aveva completamente smesso di farsi vedere in giro. Il pensiero che la ragione dietro quella sua sparizione potesse essere ciò che avevano condiviso nel dormitorio Serpeverde gli stringeva le viscere e minacciava d'ucciderlo. E poi era arrivata la consolazione, magra eppure qualcosa: la pozione che l'Icesprite gli aveva promesso, quella che avrebbe potuto cambiargli la vita. Entusiasta, sia per l'ampolla e sia per il gesto del maggiore, si era precipitato a ringraziarlo, aspettandosi... Non sapeva neanche lui cosa, ma in qualche modo aveva creduto che la pozione potesse rappresentare per lui un nuovo inizio sotto tanti aspetti, Aaron compreso. Aveva dovuto ricredersi: non era cambiato niente. Non che l'altro fosse improvvisamente freddo o più distaccato del solito, solo che sembrava quasi essersi pentito di qualunque cosa ci fosse stato fra loro, quasi che avesse paura di mostrarsi vulnerabile ancora una volta. Eppure avrebbe dovuto saperlo che di Mabel poteva fidarsi, che Mabel non era uno che feriva gli altri, mai di proposito almeno.
    Quanto meno la pozione, oltre che per i suoi problemi d'attenzione, si era rivelata un toccasana anche per quegli altri suoi problemi. Il ritrovarsi improvvisamente capace di portare a termine un compito senza dover tergiversare per ore e ore davanti alla pergamena vuota, il riuscire finalmente ad ottenere un voto discretamente buono in Incantesimi, migliorare persino i propri risultati a Quidditch: quelle erano le cose di cui aveva bisogno per ritrovare la fiducia in sé stesso, e dunque non poteva che ringraziare le capacità di pozionista di Aaron. Con la sua rinnovata autostima gli era sembrato più semplice anche aprirsi agli altri e si erano fatte più rade le occasioni in cui necessitava di starsene per conto proprio, troppo impegnato a tenere una conversazione ora con quel compagno di Casata, ora con quell'altro Corvonero. Una sola cosa gli mancava, una soltanto, per essere completamente felice, ma aveva imparato ad accontentarsi.
    «Merlino, ti cerco da una vita!» esclamò, scavalcando gli ultimi due scalini e giungendo alle spalle dell'Icesprite come un felino in agguato, probabilmente sottraendogli qualche anno di vita per l'irruenza. «Si può sapere che fine avevi fatto?» senza aspettare risposta, si sedette a gambe incrociate dinanzi al Serpeverde, allungando un braccio per fare una carezza al suo gatto nero. Con la mano libera si tastò la tasca della divisa in cerca dell'ampolla con la pozione del maggiore, ma per la fretta tirò fuori anche il pacco di sigarette che aveva preso l'abitudine di portarsi dietro negli ultimi giorni. Come un ragazzino scoperto a fumare dalla mamma, si affrettò a rimetterlo al suo posto nella speranza che l'altro non si fosse accorto di niente. «Mh, sai? Mi ha chiesto di uscire Leòn, il Grifondoro della Lezione di Cura delle Creature, hai presente?» lo disse come se non fosse niente d'importante, quasi a volergli sottolineare che ormai sulla loro situazione poteva stare tranquillo, non c'era più bisogno di spiegare niente. «Dovremmo vederci domani sera.» e, tirato fuori il contagocce dell'ampolla, se ne lasciò cadere due o tre sulla lingua.
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    Aveva perso dieci anni di vita, letteralmente.
    La voce di Mabel, amplificata per via del silenzio, era stata come una bomba nelle sue orecchie abituate alla quiete. Non si aspettava di certo che lo trovasse e non che si stesse nascondendo, per carità; era solo che, vista la settimana intensa, non aveva avuto modo di finire i compiti e, se voleva passare l’anno, doveva darci dentro. Non gli era nemmeno passato per la mente che il Withpotatoes avesse interpretato male quell’assenza; pensava che fosse chiaro, soprattutto per via della pozione, che tenesse a lui, che fosse preso e che gli dispiacesse di non poter essere più presente, non con tutto il carico di responsabilità sulle spalle.

    In realtà, era sinceramente deciso a mandargli al più presto un gufo per chiedergli un appuntamento. Aveva ragionato molto sulla loro—beh, intesa, ed era giunto alla conclusione che fosse inutile pensarci troppo e che l’interesse per Mabel fosse abbastanza forte da convincerlo a rischiare. Sì, si fidava abbastanza del Tassorosso, d’altronde la sensazione della sua mano e le labbra ad un soffio dalle proprie erano segni indiscussi di quanto gli facesse effetto.

    Si ritrova quindi a trasalire, spaventato, ma voltandosi verso la fonte di tanto rumore. A prima occhiata, il Withpotatoes gli sembrava più—spavaldo? Non aveva assolutamente idea del perché avesse pensato ad un termine tanto sciocco, eppure era stata la prima impressione, abituato alla pacatezza che era solito riservargli. Certo, Mabel era sempre stato un po’ scemo, spesso se ne usciva con balbettii imbarazzati o tic irrequieti, ma quella volta—che fosse merito della pozione?

    «In realtà, ti ho cercato anche io in questi giorni, ma non ti ho trovato» ammette, rivolgendogli un sorriso tranquillo, affettuoso quasi, totalmente ignaro della piega che di lì a poco avrebbe preso la conversazione «sono stato sommerso dai compiti, ti avrei mandato un gufo per farti sapere che—sì, sono ancora vivo» lo segue con lo sguardo, fino a vederlo sedersi di fronte a lui, incurante, totalmente euforico, per poi accarezzare Nox con spensieratezza.
    Con la coda dell’occhio nota l’ampolla fuoriuscire dalla tasca della divisa, accompagnata da un pacchetto di sigarette; okay, cosa? Non ricordava affatto che Mabel fumasse, anzi.
    Aggrotta le sopracciglia, dubbioso, osservando meglio quel viso conosciuto, ma che—in quel momento sembrava non riconoscere. Dov’era il mezzo sorriso? Dov’erano quegli sguardi insicuri?

    Poi, la doccia fredda.
    Se il suo cuore non fosse stato compresso nella gabbia toracica, sarebbe crollato in mille pezzi sul pavimento della Torre di Astronomia. Era—basito. Sul serio, era scioccato.
    Non aveva nemmeno parole per commentare quell’uscita infelice del Tassorosso, non—non poteva e basta.
    Come un déjà-vu, sente lo stomaco chiudersi e il costato dolere, ferito come un animale braccato.

    Come.
    Come poteva stare lì, con il sorriso sulle labbra, con fare spavaldo a dirgli che un tizio qualunque gli avesse chiesto di uscire e lui, tronfio, aveva accettato. Come potevano, pochi giorni di silenzio, fargli credere che avesse il diritto di buttarlo come un giocattolo usato. Perché, se i dubbi erano così tanti, non gli aveva mandato un gufo per risolvere la situazione? Avrebbe risposto in un lampo, senza esitazione.
    Avrebbe voluto parlare, sul serio. Avrebbe voluto urlargli in faccia di andare al diavolo.

    Non riusciva. Semplicemente… gli mancava la voce.
    Le due, forse tre gocce a scivolare sulla lingua non passano inosservate, ma la sua pozione non era fatta per quello, per far diventare uno stronzo Mabel, ma per renderlo migliore.
    Una cosa buona, però, era riuscita a farla. A mostrarlo per quello che realmente era: un coglione.

    «Siete tutti uguali» riesce a mormorare, con la voce spezzata. Di nuovo, sembrava di avere Chloe davanti agli occhi. Era stato un idiota ad essersi—infatuato di un tale imbecille «tutti uguali» no, non avrebbe lasciato che l'altro lo vedesse crollare. Avrebbe raccattato le sue cose, da signore qual era, lasciandosi dietro quell’orrenda sensazione di delusione.

    Per questo motivo, inizia a sistemare i quaderni dentro la tracolla, con le labbra strette.
    Che quello potesse servirgli da lezione, una volta per tutte.
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    Sì, lo aveva fatto un po' di proposito. Non per cattiveria eh, soltanto perché voleva sbattere in faccia ad Aaron che non era un cagnolino pronto a servirlo con il suo comodo, ed un po' perché sperava ancora di vedere un minimo d'interesse in quei suoi occhi blu come il ghiaccio. Il Mabel d'una volta non l'avrebbe mai fatto, sia chiaro, non era mai stato un tipo meschino, ma vuoi un po' per l'assuefazione procuratagli dall'intruglio di Aaron, vuoi per quella sconosciuta sensazione di sicurezza, ecco, era successo. Non ne andava fiero, affatto, specie perché probabilmente alla fine neanche sarebbe uscito davvero con Leòn, non aveva certo voglia di imbelegarsi in un'altra storia senza speranza -in quel caso per suo scarso interesse-, e se aveva lì per lì accettato era stato solo per... Quello? Per dimostrare qualcosa, ad Aaron e a sé stesso.
    La parte più buona di sé avrebbe detto che l'aveva fatto per togliere il Serpeverde dall'imbarazzo, ed un po' magari era davvero così... Non lo sapeva più. Era difficile gestire quel nuovo Mabel, abituato al silenzio ed alla pacatezza, ora preso da una strana euforia che gli impediva letteralmente di star fermo. Chissà poi se era un effetto collaterale della pozione, o se era il misto pozione-Mabel a combinare un tale risultato. E dire che poteva anche esser positivo se solo, senza una guida, non si fosse ritrovato improvvisamente come un ragazzino lasciato libero per la prima volta in mezzo ai grandi. Spaesato, entusiasta, incapace di darsi un freno e di capire cosa era giusto e cosa era sbagliato. Ma era sempre Mabel, sempre Mabel, e non voleva ferire Aaron, certo che non voleva. Per questo colse immediatamente l'espressione delusa sul suo viso, le parole appena biascicate un attimo prima di alzarsi in piedi rabbiosamente col chiaro intento di lasciarlo lì senza aggiungere altro. Si sporse in ginocchio per afferrargli il polso e fermarlo, chiedendosi come avesse fatto a sbagliare ancora. Cristo, doveva avere proprio un talento per dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato.
    «Oh, parliamo un attimo?» e si alzò in piedi, avvicinandoglisi per impedirgli di andar via. Forse il vecchio Mabel non sarebbe riuscito a farlo, forse l'avrebbe guardato andarsene senza dire una parola e sarebbe rimasto lì per tutta la notte a rimuginare. La cosa positiva di quel nuovo Mabel era che, per lo meno, aveva il coraggio di reagire, ma era anche vero che il vecchio Mabel non si sarebbe mai neppure cacciato in quella situazione. Era un bel dilemma a dir la verità: tornare ad essere lo sciocco codardo ed incapace di sempre, con Aaron, o avere la vita che aveva sempre sognato d'avere, senza Aaron. «Risparmiami la scenata da ragazzo geloso, ti-prego. E' una stronzata, se ti fosse importato avresti potuto anche farlo presente nelle scorse due settimane.» c'era un leggero nervosismo nella sua voce, risultato di così tante cose non dette ed accumulate ad arrovellargli il cervello. Ma non voleva allontanarlo, certo che no. «Senti,» sospirò, allontanandosi di appena un passo dal maggiore. «a me va bene essere amici. E' okay, posso accettarlo.» in realtà neanche per un cazzo, a pensarci, ma che altro poteva dire? «Pace fatta?» sì, ogni volta che pronunciava quelle due magiche parole finiva sempre, puntualmente, per fare incazzare Aaron ancora di più, ma proprio la cosa non voleva entrargli in testa.
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    La gelosia era l’ultimo dei sentimenti che in quel momento rischiavano di spaccarlo in due.
    C’era delusione, amarezza, rimpianto e quello peggiore di tutti, dal sapore amaro come il fiele: sofferenza. Stava letteralmente soffrendo, non solo mentalmente, perché quello schiaffo in pieno viso era stato come un veleno sottopelle, ma anche fisicamente. Lo stomaco chiuso, il cuore a battere frenetico nel petto, gli occhi a pizzicare senza poter fare niente per impedirlo.

    Era stato cieco, di nuovo. Si era lasciato incantare dalle belle parole, da quelle iridi azzurre, da quelle confessioni sussurrate nel dormitorio verde-argento. C’erano state le mani intrecciate, le carezze, i tremiti e gli sguardi complici. La timidezza di Mabel che l’aveva conquistato, quell’intelligenza spiccata nascosta dietro le pieghe della sua insicurezza; i riccioli a ricadergli sulla fronte, le lentiggini sul naso.
    Se provava a figurarsi davanti l’immagine del Withpotatoes, seduto sul suo letto con quel sorriso dolce sulle labbra—gli veniva da vomitare. Sentiva la bile, l’acido lungo l’esofago.
    E dire che si era impegnato, per lui; aveva passato le notti a studiare per aiutarlo, per poterlo vedere felice. Era stato chino su quei fottutissimi libri per scorgere la gioia in quegli occhi che l’avevano ammaliato come uno stupido ed aveva finito per dover recuperare, in fretta e furia, i compiti arretrati.

    Il pensiero di poterlo finalmente rivedere era stato confortante, dopo giorni di lontananza, dopo aver vomitato l’anima, essere stato così incauto da testare la pozione su di sé, per evitare che potesse nuocergli.
    Gli avrebbe chiesto un appuntamento, come il romantico che era, perché avrebbe davvero voluto dargli quanto meritasse.
    Era stato ingenuo.
    Non sapeva che effetto avesse avuto la pozione su Mabel, ma era evidente che l’altro avesse totalmente ignorato qualsiasi indicazione gli avesse fornito. Era diventato un’altra persona, uno che—non riusciva nemmeno a guardare in viso per quanto gli facesse—disgusto.

    «Togliti» la sua voce, ancora, si rifiutava di collaborare. Più che minaccioso, sembrava solo… rotto.
    Il tono era spezzato, quasi si stesse sforzando di mantenere un certo contegno, ma ecco.
    Si poteva davvero pensare una cosa del genere? Gelosia? Se ti fosse importato? Come cazzo si permetteva?

    «Gelosia? Cosa?» mormora, confuso, sentendosi sempre più idiota, sempre più—sopraffatto da simili accuse. Avrebbe voluto rispondere alle stupide affermazioni di Mabel, ma ancora una volta, si ritrova con il nodo in gola, incapace di proferire parola.
    Perché? Perché Mabel si stava comportando così nei suoi confronti? Quale motivo contorto l’aveva portato a pensare che non gli importasse?

    «Fammi passare.»

    Erano anni che non sentiva l’urgenza di piangere. Sul serio, non sapeva come, ma il Withpotatoes era riuscito a farlo sentire come un ragazzino spezzato dalla prima, vera, cocente delusione.
    Sentiva chiaramente gli occhi liquidi, le ciglia fin troppo umide, ma non voleva dare modo all’altro di accoltellarlo ancora una volta.
    Parlava di amicizia, di gelosia, ma erano tutte parole vuote.

    Abbassa lo sguardo, stringendo per un attimo i denti. “Pace fatta”.
    Le spalle tremano, questa volta cariche di frustrazione «Chiudi quella cazzo di bocca!» grida, facendo rimbombare la voce profonda e iraconda tra le mura. Ne aveva abbastanza.
    Si avvicina, questa volta minaccioso, ma piuttosto che dargli un pugno, con decisione, mette la mano dentro la tasca della divisa, lì dove aveva visto poco prima l’ampolla.
    La afferra e, con rabbia, la lancia al muro, facendo evaporare la pozione con uno sbuffo di fumo.

    «La vedi, quella, brutto coglione?» si volta verso Mabel, l’odio ad incendiargli gli occhi, qualche lacrima a rigargli le guance senza poterla controllare «È la rappresentazione della stima che avevo nei tuoi confronti. Dei miei sentimenti per te» sibila, la voce tremolante a tradire il suo reale stato d’animo «li vedi?» domanda, furioso «ho sbagliato, non meriti niente. Non sei niente e mai lo sarai» indica con il dito i frammenti di vetro, le labbra serrate in una linea tremolante.

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    Non era mai stata sua intenzione tradire Aaron. A dire il vero, se anche avesse voluto, non ne sarebbe stato in grado: aveva ormai votato ogni singola parte di sé al Serpeverde, sapeva che nient'altro sarebbe mai più riuscito ad accenderlo come il solo più lieve contatto con il maggiore. Il problema tuttavia era che, per quanto si sforzasse d'affermare il contrario, Mabel non si fidava abbastanza di lui. Era certo che l'Icesprite si stesse sbagliando, che non potesse provare davvero per lui l'interesse che diceva di provare o che, in ogni caso, gli sarebbe passata quando l'avrebbe conosciuto meglio, quando si sarebbe reso conto di avere di fronte nient'altro che una nullità. Era solo questione di tempo, e Mabel non voleva attendere così a lungo, non voleva dover assistere alla lenta agonia di quegli occhi blu sempre meno brillanti, sempre meno attratti, sempre più indifferenti. Aveva trovato la soluzione per entrambi senza neppure provare a parlarne con l'altro, con troppa paura per mettere chiaramente le carte in tavola, ed ecco cos'aveva ottenuto: ancora più rabbia, ancora più dolore, ancora più delusione. Non avrebbe voluto che le cose andassero in quel modo, ma l'atteggiamento sdegnosamente tronfio che era andato a sommarsi al suo sciocco codardo modo d'essere di sempre aveva finito per ridurlo così, in balia della sua stessa insicurezza. Perché sì, seppur mascherate da quel finto orgoglio, le sue paure erano ancora lì, più forti che mai. Riusciva ancora a sentirle, una per una, tremare sotto al peso delle parole di Aaron, dell'odio che mai prima d'allora gli aveva rivolto, neanche per sbaglio. E una parte di sé avrebbe voluto solo scusarsi, chiedergli di perdonarlo perché era stato davvero un coglione, perché nel tentativo di riparare ogni cosa aveva finito per incasinare tutto come suo solito, perché in fondo non aveva mai avuto intenzione di ferirlo ma solo di poterlo avere senza la paura di perderlo sul più bello. Ma un'altra parte, quella che in quei giorni s'era fatta preponderante, non voleva accettare di aver sbagliato ancora, di essersi rivelato lo stesso di sempre malgrado la pozione, di essere praticamente senza speranze. E fu proprio quella parte ad incassare il colpo più grosso, in concomitanza al distruggersi dell'ampolla che l'aveva tenuta in vita fino a quel momento, nell'ovvia constatazione che forse non l'avrebbe mai più riavuta indietro. Come un tossico costretto all'astinenza, sentì la rabbia scorrergli nelle vene ed il cieco terrore di non poter più star bene, di dover tornare ad essere quello di sempre contro la sua volontà, solo perché quel dannatissimo Serpeverde aveva deciso così per lui. Voleva così tanto mettergli le mani addosso, così tanto, così tanto... «Bravo, davvero. Ottima mossa.» mormorò a denti stretti, piegando il viso per non doverlo guardare ancora. Dio, forse lo odiava, forse non poteva accettare di perderlo. Era come se due Mabel diversi vivessero dentro di lui, lottando per avere la meglio: uno voleva solo riavere il suo Aaron indietro, l'altro voleva spaccargli la faccia. «Sei stato tu a volermi migliore, a dire che ci saresti stato» non avrebbe voluto gridare, ma si ritrovò a farlo ancor prima di accorgersene. «invece dove cazzo eri quando avevo bisogno di qualcuno che mi guidasse? Te lo dico io: impegnato ad evitarmi per non dover sopportare ancora di avermi vicino.» ormai sentiva gli occhi bruciare, le lacrime in procinto di scivolargli giù per le guance. «Non avrei dovuto credere neanche per un secondo di poterti piacere sul serio.» si passò una mano fra i capelli, premendosi la fronte per impedirsi di piangere. «E non piangere, cristo.» parlava con sé stesso ormai, non con Aaron.
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    Si era rotto qualcosa.
    E non erano solo i cocci di vetro, infranti contro il muro in uno scatto di rabbia, o degli occhi pieni di rancore di Mabel a fissarlo come se fosse lui il problema, come se avesse cercato quell’allontanamento.
    C’era la frustrazione in entrambi, le parole cariche di risentimento mescolate a quelle più velenose e incontrollabili dei giorni passati a non parlare.
    Che la sua mossa fosse stata ottima o meno non aveva importanza, ma per lui era stata corretta.
    Quella pozione aveva reso il Tassorosso un imbecille, un ragazzino prepotente e dai modi che non gli ricordavano più la persona di cui si era preso una sbandata, ma di un idiota come un altro, uno stupido stereotipo del ragazzo medio, interessato solo ad essere il più forte in mezzo alla marmaglia di altri stupidi.

    Che lo odiasse, per avergli tolto l’occasione di poter avere una vita migliore, non gli importava. Preferiva non rendersi complice di una pozione tanto pericolosa. Sembrava come se, con l’aiuto di quest’ultima, Mabel avesse perso sé stesso, il ragazzo dalle mille sfumature, dalla dolcezza che era stata importante nei giorni precedenti; prima di quel momento, a prescindere dalla pozione, l’avrebbe sorretto fino a crollare sotto il peso di altre responsabilità. L’avrebbe aiutato a farcela, perché Mabel lo meritava. Il suo Mabel, non quel coglione davanti a sé, quell’ombra scura a contaminarne la bellezza. Non c’era niente di bello in quel viso contorto dalla rabbia, dall’astinenza. Sembrava un cocainomane in cerca della sua dose.

    Dov’era stato lui? Già, ottima domanda. Era stato stupido nell’affidare al minore un compito tanto semplice come quello di prendere una fottutissima goccia di pozione al giorno, piuttosto che tutta la boccetta nel giro di poche settimane. Aveva pensato che Mabel avrebbe capito che non si era allontanato, per Dio! Perché avrebbe dovuto? Gli aveva detto chiaramente che lo rendesse migliore, si era aperto così intimamente che pensava non ci fossero dubbi sull’autenticità di quel sentimento.

    «Io non ti volevo migliore, stai scherzando?!» risponde, incredulo, quasi non potesse credere alle parole che l’altro gli stava rivolgendo. Come poteva pensare una cosa del genere, dopo tutto quello che gli aveva detto? Mabel era bellissimo, persino quando balbettava o abbassava lo sguardo in imbarazzo. Che motivo avrebbe mai avuto per cambiarlo? «Le mie indicazioni erano chiare, se avessi avuto bisogno di me per gestire qualcosa del genere, bastava un fottutissimo gufo! Ma la vuoi sapere la verità? Quella che stai raggirando, facendo cadere la colpa sul sottoscritto, solo perché ti fa comodo?» si avvicina, spintonandolo in preda alla foga del momento, incapace di tenere le mani nelle tasche. In qualche modo, nonostante tutto, voleva toccarlo «Perché ti piace. Ti piace la sensazione di essere migliore, di poter sbattere in faccia agli altri quanto sei splendido, quanto sei figo, con quel sorrisetto tronfio da bullettino del cazzo» sibila, incurante di essere troppo vicino al viso dell’altro «Ero impegnato sai a fare cosa? A recuperare i compiti persi a causa del tempo che ho evidentemente sprecato dietro quella pozione che più che aiutarti, ha fatto uscire ciò che realmente sei. Una merda. Una merda con il fiocchetto in testa, decorata per l’occasione. Sai, dov’ero in questi giorni? A cercare di capire come chiederti un appuntamento, da perfetto idiota. Ah, sono così stupido. Così imbecille. Ero a sbrigarmi per consegnare i fottutissimi compiti per essere libero. Perché non mentivo, sai? Quando dicevo che meritavi di meglio che un bacio dato sul mio letto, ero maledettamente serio. Perché volevo baciarti facendoti capire quanto contassi per me» punta le iridi gelide, velate di lacrime, su quelle del Withpotatoes, non trovandovi però l’azzurro che l’aveva sempre fatto impazzire. Era solo una fiumana di parole, in quel momento «Ti sono bastate due settimane per crederti superiore. Due settimane per offendermi credendo che fossi sparito per codardia. Oh, lo sai che non scapperei mai, piuttosto ti avrei detto chiaramente che non fossi interessato. Ma scappare? Ah, per chi mi hai preso? Per te? Il codardo sei tu, che ti rifugi dietro una pozione per scappare da quello che sei» scuote il capo, facendo un passo indietro «io ti volevo felice» mormora, poco dopo, abbassandosi per poter prendere gli ultimi appunti rimasti sul pavimento «ma non desideravo cambiarti, no. Non sono io quello a volersi vedere diverso» si umetta le labbra, sentendo il sapore salato delle lacrime, scacciandole via con un gesto secco della mano.

    «Fammi passare, adesso» era stanco. Stanco di non riuscire a ritrovare in Mabel quello che aveva visto quel giorno nel dormitorio.
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    «Ah, bastava un gufo.» mormorò beffardo sovrastando le parole altrui, scuotendo la testa con un amaro sorriso fra le labbra. Possibile che fosse tanto difficile da capire? Per Mabel non era stato semplice riscoprirsi capace, né tanto meno accettare che forse, forse, ciò che era rotto in lui poteva essere riparato davvero. Avrebbe voluto avere Aaron accanto perché l'aiutasse a muoversi in quella consapevolezza sconosciuta, forse con lui sarebbe riuscito a muovere i passi nel verso giusto piuttosto che lasciarsi prendere dal suo infantile entusiasmo, lo stesso che l'aveva portato ad accettare una sigaretta nella pausa pranzo ed a raddoppiare le dosi della pozione per sentire ancora di più quell'euforia, perché sovrastasse il rammarico di non sapere che fine avesse fatto il Serpeverde, le paure di cui non si era ancora liberato. Non era una pozione del coraggio, invero, ed infatti non l'aveva reso più audace, ma era riuscito a proteggere la sua insicurezza dietro ad un velo di falsa convinzione, alimentato dai primissimi risultati positivi che era riuscito ottenere negli ultimi diciotto anni.
    Forse Aaron aveva ragione. Forse era vero, gli piaceva sentirsi migliore, ma non per le ragioni di cui l'Icesprite sembrava essersi convinto: non gli importava cambiare per sé stesso, si era rassegnato ormai parecchio tempo prima; voleva solo sentirsi degno di uno come lui, non voleva più essergli un peso ma qualcuno da stimare. Non voleva migliorarsi per sé, voleva migliorarsi per Aaron, era sempre e solo stata quella la sua intenzione.
    Scosse la testa ancora dunque, non preoccupandosi neppure d'indietreggiare trovandosi ad un palmo dal viso del maggiore. Fece per aprir bocca, ma non ne ebbe il tempo: senza dubbio, il Serpeverde aveva alle spalle ben più esperienza di lui in fatto di parole. E riuscì persino a stupirlo ancora, perché a Mabel non era passato per la mente neppure per un attimo che l'altro avesse potuto prendere tanto a cuore la sua situazione. Doveva aver usato ogni attimo del suo tempo per preparargli quella pozione in così breve tempo, avrebbe dovuto immaginarlo, e successivamente aveva dovuto sforzarsi ancora per... Un appuntamento. Merlino, Aaron Icesprite aveva mosso cielo e terra per chiedergli un appuntamento, e lui stava continuando a blaterare accuse insensate nei suoi confronti come se si trovasse davvero nella posizione di poterlo fare? Aveva proprio ragione, era un caso perso, e nessuna pozione avrebbe mai potuto ripararlo. «Non codardia, gentilezza. Non ho mai pensato che fossi un codardo.» si sentì in dovere di dire, sebbene ormai non facesse certo la differenza. Ormai stava piangendo, non poteva farci più niente.
    «Non sono io quello a volersi vedere diverso»
    Era vero. Era maledettamente vero. Avrebbe voluto vedersi diverso, avrebbe voluto non essere tanto stupido, tanto incapace, tanto imperfetto. Avrebbe voluto saper rimediare, dire la cosa giusta per far capire ad Aaron ciò che realmente pensava, perché smettesse di crederlo tanto stronzo. Codardo, impacciato, una frana spesso e volentieri, ma stronzo non lo sarebbe stato mai.
    Eppure doveva proprio sembrarlo, adesso riusciva a rendersene conto, e per questo si odiava ancora di più.
    «Tu non sai com'è essere me» disse alla fine, senza più una traccia di rabbia nella voce, solo di disperazione. «non sai com'è sentirsi una nullità, provare a fare qualcosa e sapere già in partenza di non poterci riuscire.» no, non l'avrebbe fatto passare. «Innamorarsi di qualcuno e pensare di non essere abbastanza, non credere di poter mai essere ricambiato davvero.» probabilmente la scelta di parole era stata un tantino eccessiva, ma ormai gli era uscita così. «Non ho creduto in te, mi dispiace.» si avvicinò a lui di qualche passo, poggiandogli una mano sull'avambraccio per fermarlo, ancora. «Ma non ho mai, mai, voluto tradirti o ferirti.» aumentò la stretta fino a sentire le dita pulsare contro il tessuto, noncurante delle lacrime probabilmente ancora evidenti sul suo viso. «E se ho voluto essere migliore, ho voluto esserlo per te.»
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    «Non mi interessa, levati di mezzo.»

    Gentilezza, codardia, qualsiasi cosa avesse pensato Mabel non gli importava.
    Semplicemente era stato ingenuo a credere di aver ottenuto la sua fiducia, di essere riuscito a dimostrargli qualcosa che non fosse il suo solito essere corrucciato. Si era aperto con lui, aveva mostrato una fragilità che si era imposto di non lasciar scorgere più a nessuno; non gli importava nulla che fosse stata una pozione a rendere palese quanto l’altro avesse bisogno di crescere, di maturare ancora molto. Non c’era niente di peggio che sentirsi dire “volevo essere degno di te”. Degno? Di lui? Non era nulla di speciale. Cosa c’era da dover eguagliare? Era stato bocciato più di una volta, aveva partecipato a risse, era stato per la maggior parte della sua breve vita un coglione, al pari di quello che aveva davanti, se non peggio. E allora? Che idea si era fatto di lui il Withpotatoes? Che fosse una specie di figura mistica super intelligente, in grado di reggere qualsiasi stronzata? Per lui l’avrebbe fatto e l’aveva, effettivamente, dimostrato.
    Non voleva di certo un applauso per quella pozione o per aver mantenuto la parola data. Non voleva inni alla sua persona, acclamazioni di giubilo o cazzate simili; voleva solo vedere Mabel felice. Niente di più, niente di meno. Non c’era nemmeno un tornaconto personale, né scommesse, né ridicoli accordi, solo il piacere genuino di saperlo più sereno, almeno in parte. Che poi si fosse preso più di una sbandata, quello era venuto in seguito.

    Si sente afferrare dall’avambraccio. La presa ferrea del Tassorosso a bruciargli la pelle sopra i vestiti.
    Ora era il turno di Mabel d’esprimere la frustrazione di non essere abbastanza. Parlare di amore, a quel punto, poteva anche avere senso, d'altronde anche lui aveva iniziato a provare per il ragazzo qualcosa di simile all'amore; non avrebbe mai perso tempo ad arrovellarsi il cervello con stupide idee per un appuntamento se non avesse provato del sentimento e dell'interesse verso la mente del Tassorosso.
    Ma… non ci riusciva. Non riusciva a provare soddisfazione o contentezza nel sapere che Mabel lo desiderasse. Non c’era quell’allegria, quell’euforia che pensava avrebbero condiviso in giro per le strade di Hogsmeade.

    Con uno strattone libera il braccio dalla presa di Mabel. Non voleva essere toccato da lui, non in quel momento.
    «Ci sarei stato io ad aiutarti. Sono mesi che provo a fartelo capire, ma cosa posso fare se ti crogioli sempre nella convinzione della tua incapacità?» la pozione gli era sembrata la soluzione più valida, ma invece era riuscita solo ad allontanarli.
    Quella volta non sembrava bastare la sola presenza del minore per placare quel sentimento di totale, amara delusione che si era insidiata nel suo cuore come una malattia.
    E dire che, nonostante tutto, volesse ancora baciarlo.

    «Tu sei stato sempre più di quanto meritassi, non avevi bisogno di cambiare» mormora, con lo sguardo basso, per la prima volta incapace di tenere testa a quelle iridi azzurre, in cui non avrebbe scorto altro che pentimento «ho pensato che fossi diverso» cazzo, la sua voce lo stava tradendo, tremula come se non riuscisse nemmeno a parlare, roca per via dello sfogo di poco prima, scemato in un mormorio «ho pensato—di aver trovato qualcuno per cui valesse la pena abbassare le difese.» prende un respiro profondo, scuotendo il capo «voglio andare via» biascica, ferito, perché anche la sola consapevolezza che fosse lì, gli dava il tormento.
    Con quell’intruglio ancora in circolo gli sembrava di star parlando con un’altra persona. Non Mabel, il ragazzo dalle mille sfaccettature, ma con quello ancora beffardo, ancora troppo poco sé stesso.
    Avrebbe voluto dirgli che lo capiva. Che sentirsi un fallimento era qualcosa di così profondamente radicato nella sua anima da non poter essere nemmeno immaginabile; avrebbe voluto dirgli che nessuno aveva mai creduto in lui e che fosse stato il primo ad averlo fatto sentire felice come un ragazzino.

    Ma non aveva più parole, le aveva finite tutte nella tempesta che aveva scagliato contro il Withpotatoes.

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    Maverick aveva rinunciato a lottare contro l'incompatibilità tra il proprio carattere e quello di suo fratello e si era aggrappato anima e corpo ad Orion, trovando in lui un po' di quella tanto agognata felicità. Eppure, come aveva ripetuto più volte nella sua lettera, il rimpianto di non aver mai provato a ricostruire un rapporto con Eugéne lo aveva perseguitato fino alla fine.
    Mabel non voleva essere Maverick.
    Aveva tutte le caratteristiche adatte per ripetere i suoi errori, per rinunciare a sua volta a ciò che voleva davvero e seppellire l'ascia di guerra, accontentarsi di qualcos'altro che gli portasse quanto meno la serenità necessaria ad andare avanti. Eppure, pensandoci, non poteva fare a meno di credere che, così facendo, sarebbe finito anche lui a scrivere una lettera piena di rammarico per una vita mal vissuta prima di darsi l'estrema unzione. Per essere chiari, non si sarebbe mica tolto la vita solo per quella discussione, ma sospettava di non avere spalle abbastanza larghe per reggere il peso di tante e tante delusioni come quella, sapeva che un giorno avrebbe ceduto all'affanno di tanta sofferenza se avesse continuato a sopravvivere in quel modo. Voleva... dire, no, fare qualcosa, una qualsiasi finché ne aveva ancora la forza, finché le ultime gocce della pozione di Aaron erano ancora in circolo nel suo corpo a dargli la concentrazione necessaria a trovare le parole giuste, la calma per spiegarsi come avrebbe dovuto.
    «Devi avermi sopravvalutato» cominciò, asciugandosi il viso con una manica, conscio di dover ormai avere l'aspetto di un ragazzino spettinato. «forse ci siamo sopravvalutati entrambi.» ammise, scrollando le spalle con rassegnazione.
    Non era una cosa che faceva spesso quella d'idealizzare chiunque gli promettesse protezione. Anche sua sorella Idem l'aveva sempre fatto eppure, per quanto bene le volesse, non l'aveva mai messa su un piedistallo come aveva fatto con Aaron. La ragione di tanta ammirazione era lui, soltanto lui, perché aveva qualcosa che Mabel non avrebbe saputo indicare con precisione ma che l'aveva reso completamente asservito al maggiore, tanto che questi avrebbe potuto facilmente manipolarlo a suo piacimento se avesse voluto. Era spaventoso, ed al contempo inevitabile. Non aveva scelto lui che avvenisse così, anzi, se ne fosse stato conscio avrebbe sicuramente cercato di darsi un contegno, ma a trascinarlo verso l'Icesprite era un'invisibile forza d'attrazione che pareva volerlo solo veder bruciare. Chissà poi se si era già scottato, quella mattina al dormitorio Serpeverde ad un passo dalle sue labbra, o se invece era un tipo di bruciatura più simile a quella che provava in quell'istante nel timore di vedersi voltare le spalle per sempre.
    «Ma se c'è una cosa che so di me è che non sono uno a cui piace tradire la fiducia degli altri.» cioè, era un Tassorosso, aveva almeno un 80% di probabilità in più di essere un tipo leale, no? «E se l'ho fatto... ecco, mi dispiace.» si circondò la nuca con una mano, evitando ancora una volta di guardarlo. «Voglio che torni a fidarti di me, quindi se vuoi andare via adesso va bene» si scansò, lasciandolo libero di oltrepassarlo qualora lo desiderasse «però poi torna. Almeno, bho, pensaci.» e sperava con tutto se stesso che lo facesse davvero, che non avesse già deciso di mollare.
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