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mabel x aaron

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    Mabel Orion Withpotatoes // go down
    A svegliarlo doveva essere stato quel tremendo mal di testa, o magari la luce accecante che inondava la stanza fino a raggiungere il letto a cui nessuno si era premurato di tirare le tende, o ancora l'intrinseca consapevolezza di essere nel posto sbagliato, decisamente sbagliato. Cercò di non badare a nessuna delle tre cose comunque, almeno fino a che ignorarle non cominciò a farsi dolorosamente difficile. Si decise ad aprire gli occhi, lentamente, sbattendo le palpebre per abituarsi alla luce ed evitare che il dolore alle tempie gli desse la nausea più di quanto non stesse già facendo. Era una fortuna, pensò, che non dovesse seguire alcuna lezione, perché non era certo di potersi trascinare fuori dal letto in tempi brevi. Allungò una mano verso il comodino cercando alla cieca la propria bacchetta, cercando di richiamare alla mente un incantesimo efficace per il mal di testa che non gli facesse esplodere i neuroni, ma non riuscì ad intercettarla. Al contrario, quello che gli fece corrugare la fronte fu qualcosa che non sapeva di avere mai avuto lì sopra: un libro? Alzò la testa leggermente per dargli un'occhiata, ma nel farlo si accorse di un altro dettaglio fuori posto: uno stendardo Serpeverde affisso alla parete. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto appendere il simbolo delle serpi in una stanza del dormitorio Tassorosso? Ci rifletté un attimo, prima di giungere alla verità con improvviso orrore. Richiuse —gli occhi in fretta, stringendo le palpebre nella speranza che, rialzandole, lo scenario gli si sarebbe presentato diversamente. Niente: lo stendardo verde-argento era ancora lì e, ancor peggio, ora aveva persino l'impressione che qualcuno stesse respirando al suo fianco. Vicino, troppo vicino. Per un po' decise che non si sarebbe voltato, quasi che restare immobile fosse la soluzione al problema. Magari poteva inscenare la propria morte fino a morire davvero. Magari. «Ma perché sono un deficiente?» mormorò alla fine, affondando il viso nel cuscino e cercando di richiamare alla mente quanto potesse essere accaduto la sera prima. Era andato a quella maledetta festa di Halloween, e fino a lì era tutto piuttosto chiaro, così come ricordava di aver parlato con Maple e ballato con Erin... A un certo punto doveva essere arrivato Aaron, ma già quel ricordo era decisamente più sfocato, così come tutto ciò che veniva dopo. Doveva essere crollato per via di qualcosa che aveva bevuto o mangiato, e probabilmente il Serpeverde aveva pensato bene di trascinarselo in camera per impedirgli di fare chissà cosa. Sì, era plausibile. Meno nervoso, si decise finalmente a voltarsi verso Aaron, che sapeva avrebbe trovato al suo fianco. Il problema non fu trovarselo lì, inerme, con un'espressione beata che difficilmente gli aveva mai visto in viso — è che, guardandolo, una vocina nella sua testa prese a recitargli «Sei il mio trottolino amoroso!» con la voce dell'Icesprite, ed aveva l'impressione che non si trattasse affatto di una bizzarra fantasia, ma di un ricordo reale. «Voglio morire.» ma, in effetti, restare lì sarebbe potuto rivelarsi anche peggio. Si scostò le lenzuola di dosso dunque, cercando di fare meno rumore possibile, e si levò a sedere con l'intenzione di andar via prima che l'altro si svegliasse.
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    Aaron Felix Icesprite // Happiness is waking up without a hangover.
    Il motivo per cui non partecipava più alle feste da anni era proprio lo stesso che l’aveva portato a svegliarsi con un’emicrania lancinante. Poteva giurare di sentire le tempie tamburellare freneticamente e la sensazione della bile a risalirgli lungo l’esofago; odiava bere, ma ancora di più aprire gli occhi e non ricordare affatto come fosse finito nel dormitorio Serpeverde, con la guancia premuta contro il cuscino e i capelli scompigliati come un povero imbecille. Persino la luce che filtrava dalle tende smeraldine gli dava tremendamente fastidio, senza contare il totale disinteresse con cui la notte precedente aveva lanciato i suoi vestiti chissà dove, presupponeva sul pavimento legnoso; se fosse stato lucido non avrebbe nemmeno considerato l’idea di essere così disordinato, né di coricarsi senza il pigiama. Spesso dava l’impressione d’essere un ragazzo sicuro di sé, pieno di amor proprio, tanto da rasentare l’egocentrismo; in realtà, era tutto fuorché egocentrico, anzi. Meno si esponeva, meglio era, perché non era affatto fiero del suo corpo, né delle cicatrici a solcarlo come un promemoria.

    Il frusciare delle lenzuola, comunque, era riuscito a convincerlo ad aprire gli occhi, tenuti chiusi sia per evitare di far girare la testa, sia per non avere assolutamente contatti con i raggi del sole. La consapevolezza di non essere solo, in ogni caso, era sicuramente un ottimo motivo per venire a capo di una situazione tanto spiacevole. Ecco, lo sapeva, si era portato qualcuno nel dormitorio ed aveva finito col farci--

    Il problema di essere nuovamente sobri era essenzialmente uno: ricordare.
    Avrebbe fatto a meno di far sfarfallare le ciglia, scoprendo un Mabel intento a raccattare velocemente i suoi abiti, quasi interamente nudo; gli dava le spalle, probabilmente ignaro di essere osservato.
    Si sentiva pietrificato. Aveva il sentore che il minimo fiato avrebbe causato un danno biblico, così grave da non poter essere più riparato. Stava lì, immobile, a fissare le lentiggini sulle scapole di Mabel che risaltavano sulla pelle appena abbronzata con un’indecenza che lo faceva sentire colpevole; c’erano anche tutti i segni dovuti, probabilmente, alle spalline della tuta da Quidditch e delle piccole mezzelune a scavare, non troppo, la carne. Sperava che non fossero segni di unghia e che non fossero le sue.
    C’erano macchie rosse sui fianchi, sulle cosce e qualche graffietto nella zona del bacino.

    Per un minuto buono, stringe i pugni sotto al cuscino, facendo riaffiorare senza nessuna capacità di impedirlo, i ricordi della sera precedente. Gli veniva da urlare, letteralmente.
    Ricordava chiaramente di essere arrivato alla festa, di aver cercato il Withpotatoes ed averlo trovato in compagnia di Erin, ma di aver capito immediatamente che fosse alquanto alticcio o, meglio, fatto di erba allegra. Dopo di che, la consapevolezza di aver bevuto il drink offertogli da Mabel, i sorsi disgustati e—e poi, il delirio. Vedeva tutto così chiaramente da far paura. La perdita di controllo, il bacio sulle labbra, le parole che gli erano uscite vergognosamente senza che potesse fermarsi. Le mani del ragazzo a stringergli il colletto e portarlo giù per ricongiungersi nuovamente, in più l’euforia artefatta che, ormai ne era completamente sicuro, era stata provocata dall’Amortentia.

    Il fatto era che non provava disgusto per Mabel, ma per l’idea che avesse agito contro la propria volontà. Era orribile ciò che avevano combinato a quella festa; lui era stato fortunato, nella sfortuna, avendo trovato comunque una persona amica, nonostante l’incapacità dovute all’erba. Nessuno pensava alle conseguenze di un tale scherzo, se così potevano definirlo? L’Amortentia era classificata come illegale per un motivo, non di certo per puro sfizio. Far innamorare qualcuno, anche per poche ore, poteva essere—terrificante, poiché la vittima di quel sortilegio ricordava tutto, persino le parole dette, le azioni compiute, quelle desiderate e quelle forzate.

    Non l’aveva sfiorato nemmeno per sbaglio l’idea che Mabel avesse fatto una cosa del genere di proposito. Quel ragazzo era troppo—intelligente e di buon cuore per architettare qualcosa di simile e, oltretutto, la velocità con cui stava infilando i calzini era sicuramente sintomo di disagio, non certo di fierezza. Oppure, aveva paura che svegliandosi gli avrebbe rifilato un pugno.

    Non aveva senso, comunque, fare finta che non fosse successo niente. Per colpa dell’alcol che, a quanto sembrava, aveva deciso di ingurgitare durante la serata, ricordava pochissimo, se non qualche bacio dato alla festa e niente di più; il fatto che fossero nel suo letto la diceva lunga sulla situazione.

    «Non è necessario che scappi» Dio, la sua voce era così roca di prima mattina.

    Si schiarisce quindi la gola, mettendosi seduto, non senza dover sbattere più volte le palpebre per impedire alla stanza di vorticare. Poi, una volta ripresosi, con la mano si strofina gli occhi, infischiandosene del resto; ormai non aveva più senso nascondersi sotto le coperte o fare gli stupidi. Era un Serpeverde, certo, ma il coraggio non gli mancava.

    «Mi dispiace per quello che ho detto sta notte» mormora, mordendosi il labbro superiore con evidente disagio, sospirando piano dal naso. “Trottolino amoroso”, davvero? Cosa diamine aveva nel cervello? Niente, a giudicare dalle sue parole.
    Erano davvero poche le cose che lo mettevano in una condizione di imbarazzo o, semplicemente, in difficoltà; quella era una delle poche. Avrebbe mentito a sé stesso se non avesse ammesso di trovare il Withpotatoes di una bellezza incantevole e quegli occhi azzurri magnetici; glielo aveva detto alla festa, senza freni e con assoluta sincerità, ed era assurdo pensare che fosse stata una pozione a fargli sputare una cosa tanto—privata. Dannazione, non avrebbe dovuto bere.

    Non che ci fosse poi molto da dire, in ogni caso. Non gli sembrava giusto nemmeno guardarlo in viso, era come se avesse visto qualcosa di troppo senza permesso. Come se si fosse perso i baci, le carezze, qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro quella notte senza alcun diritto.

    Nuovamente, sospira, poggiando il gomito sul ginocchio alzato e massaggiandosi con l’indice e il medio le tempie, chiudendo gli occhi per ragionare meglio. E ora, cosa ne sarebbe stato della loro amicizia o qualsiasi cosa si stesse instaurando tra loro? Avrebbe cambiato tutto, facendo permeare tra di loro quell’alone di imbarazzo? Come doveva comportarsi?

    «Sarebbe bello poter bere un caffè» accenna appena una risata che scema nel silenzio.
    Era proprio un imbecille.

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    Mabel Orion Withpotatoes // go down
    Prima ancora della sua voce sentì il suo sguardo, conficcato da qualche parte lì tra le costole della propria pelle nuda. Un leggero brivido gli percorse la schiena, perché la consapevolezza di esser guardato era qualcosa che lo faceva inevitabilmente sentire ancora più vulnerabile di quanto già non temesse di essere, e perché in effetti non sapeva cosa l'altro avrebbe potuto trovare impresso su quella sua tela bianca cosparsa appena di lentiggini. Gli capitava di graffiarsi nel sonno, talvolta persino da sveglio, quasi potesse strapparsi via l'angoscia di dosso per ritrovarla poi, inerme, sotto le unghia. Non si era mai premurato delle cicatrici, mai fino a quel momento: non voleva che qualcuno le vedesse; non voleva che Aaron le vedesse, perché di certo si sarebbe fatto un'idea sbagliata, perché non avrebbe capito. Neanche Mabel riusciva a capirsi fino in fondo. «No, è che non volevo svegliarti.» rispose dunque senza voltarsi, circondandosi le spalle con un braccio come a volersi solo scaldare. Vagò con lo sguardo per il pavimento, cercando di individuare i propri vestiti che, per qualche assurdo motivo, doveva aver deciso di non tenersi addosso la sera prima. Fu a quel punto che si accorse dei segni sulle cosce, segni che non poteva certo essersi procurato da solo, e dovette abbassare le palpebre per qualche istante nel tentativo disperato di rimettere insieme i pezzi. Che diavolo era successo? Odiava il fatto di non ricordare ed odiava ancor di più il non sapere quanto l'altro ricordasse. Non voleva chiederglielo, sia perché temeva la risposta, sia perché non voleva certo ferire i suoi sentimenti qualora Aaron fosse stato invece lucido nel fare qualunque cosa avessero fatto. Il problema non era in effetti fino a che punto si fossero spinti, quanto più il modo in cui era avvenuto. Adesso, ne era certo, ogni cosa si sarebbe complicata fra loro, perché non erano pronti -o almeno, lui non lo era affatto- e perché non credeva plausibile uno scenario in cui il loro rapporto si potesse evolvere in qualcosa che andasse oltre l'amicizia. Aveva sempre considerato Aaron come tutto ciò che lui non sarebbe mai stato in grado di essere e, partendo dal presupposto che il Serpeverde potesse certamente aspirare a qualcosa di meglio, non aveva mai provato neppure ad immaginarsi al suo fianco. Ciò non significava certo che non lo desiderasse, al contrario, ma era qualcosa che vedeva più come una bella utopia su cui era meglio non illudersi troppo. Può dunque risultare comprensibile che le parole dell'Icesprite, cariche di un sincero dispiacere, risuonassero per Mabel come la dimostrazione di un pentimento per i fatti di quella notte. «Non importa, dispiace più a me.» si strinse nelle spalle, allungandosi verso il proprio costume sul pavimento ed appallottolandoselo tra le braccia. «Sì, anzi, adesso tolgo il disturbo così puoi fare con calma» avrebbe tanto voluto voltarsi, guardarlo, riprendersi almeno la visione di tutte le cose che si era perso della sera precedente e di quella mattina, in cui il timore di dover affrontare la realtà dei fatti non gli aveva concesso di indugiare almeno un po' sul suo corpo, abbastanza per potersi ritenere soddisfatto nel futuro. «Avrei solo bisogno di qualcosa di più—consono per uscire da qui» e spostò le braccia leggermente a destra per mostrargli il costume che stringeva fra le mani. «Non vorrei causarti altri problemi facendomi beccare.»
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    Se avesse saputo che la pelle di Mabel fosse graffiata non per colpa sua, ma per qualcosa che turbava il giovane, si sarebbe ben tenuto dal fissare quella schiena con innumerevoli interrogativi, ma non sapeva nulla di tutto quello, né che soffrisse per via di qualcosa che non poteva nemmeno immaginare, né capire.
    Ciò che più era evidente, a parte l’imbarazzo ad aleggiare nella stanza come un Dissennatore pronto per dare il bacio fatale, era il pressante disagio che il Withpotatoes sembrava dimostrare. Era palese che non avesse assolutamente idea di cosa fosse successo la notte precedente, dell’Amortentia, dell’erba allegra e di qualsiasi altra cosa vi fosse stata alla festa.
    Il fatto che non volesse svegliarlo gli sembrava una scusa un po’ misera.

    Per questo, si limita a rimanere in silenzio, notando chiaramente come l’altro non si fosse assolutamente voltato nella sua direzione, quasi ne fosse—non sapeva. Disgustato? Pentito? Infastidito?
    Non poteva biasimarlo, perché d’altronde non c’era niente di così eccitante nel non ricordare nulla, di non avere consapevolezza di cosa si fosse fatto tra quelle lenzuola; una cosa era certa, però, non pensava avessero fatto sesso, forse qualche bacio per poi crollare nell’incoscienza.
    Il sentimento, in ogni caso, era pienamente condiviso e se avesse potuto (e se fosse stato lucido) non avrebbe di certo portato Mabel nel suo letto; al massimo, si sarebbe fatto strada tra la folla per metterlo al sicuro nel dormitorio Tassorosso. Non aveva nessun diritto sul ragazzo, questo era scontato, ma essendo suo amico (amico? Anche ora lo era?) non avrebbe permesso che approfittassero del suo stato di delirio per fare qualcosa di spiacevole e di cui poi si sarebbe pentito. Ah, ironia. Alla fine era stato proprio lui a fare quello che disprezzava di più. Si sentiva un verme? Sì, anche se la colpa non era sua ma dell’Amortentia.
    E dire che si credeva responsabile, che ormai le cazzate fossero state messe da parte per diventare un uomo di un certo tipo—wow, era proprio un grande.

    «Non importa, dispiace più a me.»
    Sospira, dunque, avvertendo la ritrosia in quelle poche parole, dovuta probabilmente alle scuse che gli erano uscite dalle labbra con sincero pentimento. Ora, non era un genio nelle interazioni sociali, ma sapeva riconoscere un fraintendimento. Mabel pensava che si fosse dispiaciuto di essere lì con lui? Perché era lui?
    Avrebbe voluto davvero dirgli che non c’entrasse niente. Che chiunque, al posto suo, sarebbe stato più che felice di risvegliarsi avendo la consapevolezza di essergli vicino. Ma rimane, ancora una volta in silenzio, voltando il capo verso di lui, fissandolo per un lungo istante. Non fa scorrere lo sguardo sul corpo, no: lo guarda in viso, gli lancia una stoccata che sperava sentisse dentro il cervello. Non era nemmeno necessario parlare, non era nemmeno bravo in quello. «tolgo il disturbo così puoi fare con calma»?
    Cosa doveva fare con calma? In effetti, aveva in programma grandi cose, quella mattina, come pensare che se fosse rimasto a letto con Nox sarebbe stato meglio.

    «Smettila» sbotta con voce profonda, ad un certo punto, seccato. Scosta le lenzuola con rabbia, mettendosi in piedi per andare verso il proprio baule. Le sopracciglia corrucciate, segno che ne avesse abbastanza.
    No, non erano pronti per quello, non c’aveva nemmeno mai pensato a dire la verità. Il suo lato artistico aveva trovato Mabel piacevole da disegnare, le sue mani affusolate, le fossette sulle guance caratteristiche della sua immagine, ma mai si era permesso di farsi strani pensieri, mai avrebbe forzato il più giovane a compiere qualcosa di spiacevole. Mai. Era una testa di cazzo, aggressivo e scorbutico, ma non di certo uno stronzo senza cuore.

    Gli lancia i vestiti, una maglia nera e dei jeans scuri, prima di raccattare egli stesso un paio di pantaloni della tuta. Era—davvero, nervoso oltre ogni misura. Lo sapeva che non avrebbe mai superato del tutto i suoi scatti di ira, nonostante sapesse che quello non fosse il metodo migliore per sistemare le cose. Ma Mabel lo faceva incazzare, con quei discorsi stupidi, come se lo stesse disturbando, come se—fosse sordo.

    «Sai cosa?» dice, ad un certo punto, affilando lo sguardo, glaciale «No, dispiace più a me.» chiude il baule con un tonfo secco, incurante del rumore «mi dispiace di essere venuto a quella fottutissima festa, mi sarei risparmiato l’Amortentia e questo assurdo teatrino» scuote il capo, cercando con nervosismo la maglia da indossare «Scusa, tolgo il disturbo, bla bla bla. Ma, smettila, porca troia. Già che ti sei fatto un’idea tutta tua del sottoscritto, e magari ti faccio anche orrore, hai ben pensato che fossi così vile da approfittare di te, dato che eri fatto come una scimmia? Non sapevi nemmeno dell’Amortentia.» e di questo ne era praticamente certo «Non ti avrei toccato nemmeno con un dito prima di bere quel punch di merda e non perché non sei bello, Mabel, ma perché non ti ho mai visto in tal senso, non c’è stata occasione. Il problema non si pone, rimani un coglione madornale, peggio di me. Quindi sì, levati dal cazzo per favore, prima che decida che darti un pugno sia la soluzione migliore» per scaricare la frustrazione, avrebbe aggiunto, ma dopodiché tace, con le labbra strette in una linea dritta.

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    Mabel Orion Withpotatoes // go down
    «Aaron» cominciò, passandosi una mano fra i capelli come ogni volta in cui era particolarmente nervoso. Gli occhi del Serpeverde si erano fatti glaciali come non li aveva mai visti, ed il fatto che gli avesse rinfacciato d'averlo trascinato a quella dannatissima festa riuscì a scuoterlo, dandogli sui nervi come poche altre volte nella vita. Avrebbe dovuto aspettarsi una reazione del genere? Probabilmente sì. Si stava comportando nella maniera meno matura possibile, cercando di evitare il problema e nascondendosi dietro un assurdo vittimismo che persino a lui stava iniziando a dare sui nervi. Possibile che non fosse in grado di affrontare i problemi senza ricorrere alla fuga? Quasi qualcosa fosse effettivamente rotto dentro di lui, si ostinava a voltare le spalle alle cose che lo spaventavano allo stesso modo in cui continuava a fuggire lo sguardo di Aaron. Ma non era certo perché fosse spaventato dal Serpeverde, né tanto meno perché gli facesse orrore volendo citare le sue parole, ma perché non voleva dire o fare qualcosa di ancora più stupido del non fare assolutamente niente. Non si fidava di sé stesso e non si fidava del suo modo di gestire le cose -non gestirle-, e non voleva complicare le cose più di quanto non fosse già stato fatto. Eppure, incredibile, c'era riuscito comunque. Col suo modo infantile, evitante ed irresponsabile aveva finito per fare incazzare Aaron, ed onestamente non aveva idea di cosa dire per rimediare. Aveva l'impressione che qualunque cosa sarebbe risultata sbagliata, ma al contempo non voleva dar retta a quella voce che gli implorava di allontanarsi senza guardarsi indietro. Sapeva che, se avesse lasciato quella stanza, poi sarebbe stato anche più difficile rimettere insieme i pezzi. «Ma tu pensi davvero che io sia così il tono lievemente alterato, perché lo irritava pensare che l'altro potesse crederlo di simili pensieri. Mabel preferiva vedere il buono nelle cose e di certo si sarebbe sempre guardato bene dal considerare in maniera errata qualcuno a cui teneva. Che Aaron si fosse pentito di essere stato con lui era probabile, ma che si fosse approfittato della situazione non era neppure concepibile. Non ci avrebbe creduto nemmeno se gliel'avesse ammesso. «Non mi sono fatto nessuna stramaledettissima idea, stai scherzando?» si alzò in piedi per abbottonarsi i jeans sulla vita e, finalmente, si voltò verso l'Icesprite. Vederlo gli fece ritrovare un po' di calma, perché era sempre lui, lo stesso che aveva promesso di aiutarlo, lo stesso con cui aveva preso ad allenarsi a Quidditch da ormai settimane e su cui non aveva mai avuto niente da ridire. E non l'avrebbe certo perso per la sua totale inettitudine. «Non l'ho pensato neanche per un istante che tu potessi essersi approfittato di me, ti conosco» almeno un po'? Abbastanza da poterlo affermare, quanto meno. «è solo molto imbarazzante per me, perché non voglio che questa cosa rovini tutto il resto.» riprese con tono affranto, incrociando il suo sguardo e sforzandosi di mantenerlo. «E non voglio che tu ti senta in obbligo di fare o dire niente. Mi spiace che si andata così, non era quello che volevo.» ammise, abbassando poi gli occhi verso il pavimento. «Non... Non è che non volessi o che mi dispiaccia...» perché doveva imbarcarsi sempre in discussioni complicate? «Non doveva succedere così, semplicemente. E penso che non dovrei andarmene adesso o sarà solo più complicato dopo. Però se vuoi darmi un pugno puoi farlo, mi fa piacere che tu me l'abbia comunicato prima.» ed accennò un sorriso, ricordando una loro vecchia conversazione.
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    Aaron Felix Icesprite // Happiness is waking up without a hangover.
    Finalmente.
    Finalmente una fottutissima reazione da parte del Tassorosso. Per fargli sputare quattro parole aveva dovuto farsi saltare i nervi, mandandolo velatamente a fanculo, ma almeno aveva scatenato qualcosa, una risposta.
    Per un attimo aveva pensato che l’altro avrebbe soltanto raccattato le proprie cose, che si sarebbe vestito e che gli avrebbe voltato le spalle, fuggendo da quel dormitorio a gambe levate; invece, con sua somma sorpresa, aveva deciso di rimanere e fronteggiarlo.
    Per Salazar, Mabel gli aveva fatto perdere le staffe.
    Non l’aveva degnato di uno sguardo e non poteva accettare di non avere niente più che totale mutismo.
    Forse era stato troppo duro, magari si era espresso male, ma era come se qualcuno gli avesse messo un velo rosso sugli occhi, come con i tori imbizzarriti. Non sopportava dover fuggire dalle discussioni, specie con qualcuno che si era riscoperto apprezzare più di quanto avesse mai potuto immaginare; se fosse stata un’altra persona, avrebbe sicuramente lasciato correre con indifferenza. Ma Mabel non era uguale agli altri e se aveva perso la pazienza era dovuto anche alla frustrazione del non capirlo.

    Aveva interpretato il silenzio del Withpotatoes come sinonimo di disagio e sfiducia nei suoi confronti. Dopo settimane passate insieme ad allenarsi e studiare, più i pomeriggi a chiacchierare, si era reso conto di apprezzare Mabel e ritenerlo, se non amico, qualcuno per cui valesse la pena fare uno sforzo e pensava, davvero, che per lui fosse lo stesso. Non poteva sapere di certo cosa passasse in quella testa, né che non lo considerasse un mentecatto. Andiamo, in una situazione del genere chiunque si sarebbe fatto delle domande.
    Trovarsi mezzi nudi a letto, non ricordando assolutamente niente—beh, a parti invertite, si sarebbe sentito un tantino sottopressione.

    Lo lascia parlare, con le braccia incrociate al petto e le iridi puntate senza alcuna pietà su quelle dell’altro. Le rassicurazioni riescono a placare, in parte, quel sentimento di angoscia e frustrazione nel petto, ma nuovamente la parola “obbligo” gli fa storcere le labbra in una smorfia seccata. Quante volte doveva dire a quella testaccia dura che non si sentiva obbligato a fare niente? Era andato alla festa per sua volontà. Avrebbe potuto ignorare quel biglietto, mentendo e dicendo di essersi addormentato, ma poiché le bugie non facevano parte della sua persona, aveva deciso di farsi coraggio ed affrontare quel marasma di gente solo per potergli tenere compagnia. Sì, si era pentito di aver bevuto e di aver perso il controllo delle proprie azioni, ma non di certo di aver accontentato Mabel.

    Per la millesima volta, si ritrova a sospirare, portandosi una mano in fronte per combattere il mal di testa, chiudendo le palpebre qualche secondo. Doveva darsi una regolata.
    Il minore stava cercando di sistemare la situazione, era rimasto per dargli una prova del fatto che fossero ancora in tempo. Avrebbe dovuto mettere la rabbia e tutte le sue insicurezze da parte per concedere all’altro un minimo di fiducia.

    «Se mi parli ancora di obblighi, ti faccio volare dalla Torre di Astronomia» scosta la mano dal viso, contento in parte di notare gli occhi azzurri di Mabel guardarlo. Erano sempre così sfuggevoli, incapaci forse di fronteggiare cose che riteneva più grandi di lui.

    «Non posso sapere cosa pensi di me, Mabel. Mi sono messo nei tuoi panni, la cosa più logica da credere era quella» si umetta le labbra, secche per via del freddo «non avrei dovuto perdere la pazienza, scusami.»

    Avrebbe dovuto capire l’imbarazzo del Withpotatoes, ma non aveva visto più nulla, si era sentito un idiota e per sfuggire alla sensazione d’essere uno stronzo, aveva agito proprio come tale.
    Annuisce, infine, facendo qualche passo in avanti, ma non troppo vicino per poter mettere in allarme il ragazzo. Ci mancava soltanto quello.

    «No, non doveva succedere così» concorda. I balbettii di Mabel erano—beh, carini. Da un certo punto di vista, era confortante sapere che non gli dispiacesse il pensiero di baciarlo e che questo lo rendesse nervoso. Dal suo punto di vista, era certo che il Withpotatoes sottovalutasse davvero troppo sé stesso. Glielo aveva fatto presente al Campo, poi al lago, e glielo avrebbe fatto presente persino in quel momento, ma non gli sembrava il caso.
    Se solo avesse voluto, Mabel avrebbe potuto fargli girare la testa come un perfetto idiota. Quasi come quando Nox decideva di fare il carino e miagolare in cerca di attenzioni e lui si trasformava dall’essere il Grumpy Cat al gatto che suonava la pianola su Youtube. Forse la testa la stava perdendo sul serio, dopotutto «avrei voluto essere cosciente quando ti ho baciato, in realtà. Non si direbbe, ma do un certo peso ai gesti. È andata così, sarà per la prossima volta» scherza sull'ultimo punto (scherzava? Chissà), prima di abbassarsi dunque a raccogliere quella che presupponeva fosse la bacchetta del ragazzo, accennando un sorriso alla battuta e porgendogliela «era per darti il tempo di scappare.» chiaramente, per cos’altro?

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    Mabel Orion Withpotatoes // go down
    Era... Piuttosto fiero di sé, sì. Avrebbe senz'altro potuto fare di meglio, ma quanto meno era riuscito a dissipare la tensione che era venuta a crearsi fra loro e ad imporsi di restare. Poteva sembrare banale per chiunque altro, ma non per Mabel, non per uno abituato a scappare. Forse doveva ringraziare il Serpeverde, per avergli in qualche modo instillato quel minimo di fiducia in sé stesso necessaria ad affrontare situazioni come quelle, o forse doveva semplicemente farsi un esame di coscienza e chiedersi perché riuscisse a tirar fuori un tale coraggio solo in presenza dell'Icesprite. In ogni caso, era qualcosa a cui avrebbe pensato in seguito: per il momento si sarebbe goduto la sensazione di sollievo dell'essersi, almeno in parte, tirato fuori dall'imbarazzo. Sorrise dunque alle parole di Aaron, rendendosi effettivamente conto di come, per l'ennesima volta, avesse sottovalutato la sua sicurezza. «In realtà dubito che fossimo entrambi nelle condizioni di azzardare un assalto» ne era sempre più certo, via via che riacquistava la lucidità. Gli sarebbe piaciuto capire con certezza quali fossero state le dinamiche che li avevano portati fino al dormitorio Serpeverde, ma probabilmente non avevano fatto niente di eccessivamente irreparabile. Almeno, lo sperava, e non perché non l'allettasse l'idea ma perché avrebbe voluta ricordarla una cosa del genere. «Mh-mh, per la prossima volta» ripeté, mettendosi a lisciare con estrema cura i jeans che si era appena infilato, chiedendosi quando e se in effetti ci sarebbe stata una prossima volta. Era stato serio nel pronunciare quelle parole? O avrebbe fatto meglio a non dargli troppo peso? Meh, in fondo aveva detto che gli sarebbe piaciuto essere cosciente nel baciarlo, il che poteva significare tutto o niente. Si era pentito di aver fatto qualcosa contro la propria volontà, o si era pentito di averlo baciato? Ecco cosa lo irritava dei contatti umani, il fatto di non sapere mai effettivamente come decifrare le manifestazioni altrui.
    «Ah, è ancora intera.» si allungò appena per afferrare la bacchetta che l'altro aveva raccolto, mettendosi poi a sedere sul bordo del letto, la testa ancora dolorosamente pesante. Con un cenno del capo invitò l'altro a sedersi al suo fianco, ormai certo di voler approfondire la questione perché questa non tornasse a tormentarli in seguito. Sì, c'era anche da dire che non avesse un granché voglia di uscire da quella stanza ed affrontare il resto del mondo con ancora addosso tanto dopo sbornia, e neanche desiderava interrompere quella specie d'intimità -se così poteva definirsi- che era venuta a crearsi fra loro. «Senti, tu ricordi cosa è successo esattamente? Non è che io voglia necessariamente parlarne, è che mi piacerebbe saperlo se ho detto o fatto qualcosa di cui dovrei vergognarmi.» che poi, se anche l'avesse fatto e nessuno dei due riuscisse a riportarlo alla mente, tanto meglio; ma se Aaron ricordava qualcosa, allora era meglio saperlo subito. «Per quanto mi riguarda, a me è rimasta solo l'immagine di te che dici qualcosa tipo 'trottolino amoroso'» scherzò, mordendosi un labbro per impedirsi di ridere eccessivamente e mettere l'altro in imbarazzo «ma fingerò che non sia mai accaduto, tranquillo. Però se vuoi continuare a riempirmi di complimenti e tutto il resto non sarò certo io a fermarti.»
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    Aaron Felix Icesprite // Happiness is waking up without a hangover.
    Era serio? Non lo era? Beh, a conti fatti non lo sapeva nemmeno lui.
    Sin dal primo momento (beh, non proprio dal primissimo. Il suo naso ancora ricordava perfettamente la botta) era stato ammaliato da quelle iridi azzurre, era una cosa che non riusciva proprio ad evitare. All’inizio aveva provato fastidio, poi si era solo abituato all’idea che gli facessero quell’effetto. Era sicuramente la parte di Mabel che più lo intrigava e, come aveva detto una volta un noto pittore babbano, Modigliani, “gli occhi sono lo specchio dell’anima”, e lui aveva chiaramente scorto qualcosa, in quelle pozze cristalline. Quando il minore gli chiedeva qualcosa o quando, come in quel momento, lo stava fronteggiando, sembrava come se non riuscisse nella maniera più assoluta a non accontentarlo; era una forza assurdamente prepotente, un qualcosa con cui non avrebbe mai creduto di poter convivere, eppure eccolo lì. La rabbia scemata, il disagio dissolto come una nuvola di fumo e la consapevolezza disarmante che fosse bastato che Mabel restasse lì per fargli ritornare la ragione.

    In un certo senso aveva un’influenza positiva sulla sua indole iraconda. Era un bene? Non lo era? Non lo sapeva ma non voleva lamentarsene. Fintantoché la cosa tra di loro funzionava, voleva godersela.
    Per questo motivo, gli sorride più tranquillo, notando come quelle spalle, prima tese, si fossero gradualmente rilassate; era un buon segno, no? L’aria era tornata nuovamente più respirabile in quelle quattro mura.

    «Dovrebbe essere ancora intera, sì.» risponde, seguendo con lo sguardo il ragazzo, fino a vederlo sedersi sul letto. Era confortante sapere che non avesse intenzione di lasciare quella stanza, non solo perché era giusto che risolvessero i loro casini, ma anche perché non gli dispiaceva l’idea di quella sorta di intimità, di sicurezza nello stare l’uno vicino all’altro. Il fatto che si fidassero era assurdo, ma allo stesso tempo confortante; non aveva dubitato nemmeno per un attimo che Mabel avesse corretto il suo drink, né il Withpotatoes l’aveva creduto tanto vile da approfittarsi di lui. Gli faceva piacere, era qualcosa che riusciva a riscaldargli il cuore, quel pezzo di ghiaccio rinsecchito dal tempo.

    Il cenno altrui lo porta ad avvicinarsi ed a sederglisi accanto, ascoltando quanto avesse da chiedergli.
    Per un attimo, si strofina il mento, pensieroso, sforzandosi di ricordare quanto fosse successo la notte precedente «No, è giusto parlarne. È meglio toglierci tutti i dubbi adesso, piuttosto che ricacciarli fuori in altri momenti» poi gli stringe la mano, rassicurante «non hai fatto nulla di cui ti debba vergognare» lo conforta, per poi sgranare per un attimo le palpebre e arrossire furiosamente. Oh.
    Aveva cercato di rimuovere quel ricordo, nonostante fosse certo di aver pronunciato un sacco di sciocchezze.
    Stringe per un attimo le labbra, distogliendo lo sguardo e alzandolo al cielo, per poi ritornare a fronteggiare il Tassorosso, con ancora il naso rosso dall’imbarazzo «Eh» eh. Eh. Rimane vago, schiarendosi la gola per far finta di niente.
    Okay, quindi Mabel voleva delle risposte? Meglio concentrarsi su quello che pensare a quanto, effettivamente, fosse bravo nell’elargirgli complimenti.

    «Ricordo che, quando sono arrivato, stavi ballando con Erin, ma eri chiaramente fatto. Non so cos’hai mangiato, cosa ti hanno dato a fumare, ma non eri in te—quello era chiaro. Quando mi hai visto mi hai abbracciato, farfugliando qualcosa sull’amicizia, su Erin e non ricordo cosa» tamburella le dita sulle cosce, pensieroso «poi mi hai trascinato via e mi hai chiesto se fossi arrabbiato con te. Ti ho detto no, mi hai dato un drink—trottolini amorosi a parte, ti ho dato un bacio. Sei rimasto scioccato per due secondi, poi mi hai afferrato per il colletto e hai ricambiato» e fino a quel momento non c’era nulla che risultasse sfocato. Anzi, era tutto abbastanza chiaro «quello che viene dopo è confuso, ma credo di aver bevuto—poi ti sei aggrappato alle mie spalle a cavalluccio e—boh.» conclude, perplesso «non ricordo altro. Ma non ti preoccupare» si affretta ad aggiungere, conscio che fosse quello il problema più grande da affrontare «non penso fossimo in grado di intendere o volere, quindi dubito che siamo arrivati a fare cose diverse dal baciarci» uno dei due avrebbe avuto qualche dolore sparso, non gli sembrava che fosse quello il caso.

    Rimane in silenzio per qualche istante, dando modo al Withpotatoes di elaborare.

    «E quindi» Mabel poteva metterlo in imbarazzo e lui no? «vuoi che ti faccia più complimenti?» domanda, tentando di mantenere la serietà «perché potrei effettivamente iniziare a farlo se lo gradisci. Potrei elencarti cosa trovo affascinante in te, Min elskede.». Sì, sapeva qualcosa in norvegese, ma solo perché era stato tentato (più di una volta) di cambiare scuola per andare a Durmstrang. Lo ispirava di più, che poteva farci?
    Era palese che, una volta ripresosi, stesse rispondendo allo scherzo dell’altro con lo stesso trattamento. Anche lui poteva diventare un burlone, con le persone giuste.

    E comunque non sarebbe stato poi così complicato fare quella lista, ahem.

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    Edited by Miss Badwrong - 18/11/2018, 01:56
     
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    Se da una parte Mabel pareva avere un effetto positivo sull'irascibilità dell'Icesprite, d'altra parte il Serpeverde pareva l'unico in grado di tirar fuori qualcosa dalla perenne apatia del Withpotatoes. Da troppo tempo, forse da sempre, viveva in un limbo permeato di completa indifferenza verso ogni cosa. Poco gli importava delle voci su sua sorella o sulla sua famiglia, del fatto che gli altri lo ritenessero un po' asociale o in generale di qualsiasi cosa lo circondasse. Gli dispiaceva non essere all'altezza delle aspettative, questo un po' sì, ma neanche abbastanza da fargli venir voglia da rimediare. Certo, gli importava di Maple, e di Erin, ma l'affetto che provava per loro restava sempre un passo indietro alla linea sottile che l'avrebbe portato ad osare, a mettersi in gioco nonostante la paura di non farcela. Con Aaron era diverso: con lui, riusciva quasi a dimenticare quell'opprimente sensazione di vuoto e di non essere abbastanza. Sebbene non potesse fare a meno di far paragoni fra sé stesso ed il Serpeverde, non si sentiva schiacciato da quella competizione bensì spronato, e non ad essere migliore dell'altro ma ad essere quanto meno degno di poter restare al suo fianco.
    Si guardò bene dal non trasalire al contatto con la mano altrui, il cui calore gli portò alla mente le sensazioni della sera prima che, per quanto sfocate, dovevano avergli lasciato impresso qualcosa sulla pelle. Se si concentrava, poteva quasi sentirle ancora le mani di Aaron sulla sua pelle, le labbra contro le sue labbra, ed era certo che da quel momento in poi avrebbe avuto un motivo in più per cadere nella distrazione.
    Cristo, era irrecuperabile.
    «E' già qualcosa.» annuì sollevato, sollevando appena l'indice per incastrarlo tra le dita dell'altro come fosse una cosa assolutamente normale. Il rossore che aveva preso a infiammargli il viso lo fece sorridere appena, perché non era abituato a vederlo in imbarazzo e non poté fare a meno di trovarlo carino. Gli piaceva l'Aaron che conosceva, sicuro di sé e piuttosto schietto, ma quella sua parte vulnerabile gli ricordava che era umano, che anche lui poteva essere sfiorato da quella sensazione di disagio a cui Mabel era ben che familiare.
    «Sì, mi ricordo di Erin, purtroppo. Devo averla terrorizzata.» specie raccontandogli l'episodio con Dipré. Not his finest moment, actually. «Dev'essere stato il brownie di Maple. Anzi, ricordami di fargliela pagare.» scosse la testa, meditando vendetta al prossimo allenamento di Quidditch con la Walsh. «Sì, mi ricordo anche quello.» si passò ancora una volta le mani fra i capelli al ricordo del bacio che ricordava perfettamente di aver strappato all'Icesprite. Forse non era neanche così tanto andato a quel punto, ma meglio non farlo presente. L'erba era riuscito a renderlo semplicemente disinibito, ma cosciente; era stato l'alcol bevuto in seguito a fargli perdere completamente la testa. «No, lo penso anch'io.» confermò, specie perché — non è che avesse chissà quali grandi esperienze in merito, ma era abbastanza sicuro che si sarebbe accorto d'aver fatto sesso se l'avesse fatto davvero.
    «Se ti fa piacere.» rispose dopo un attimo d'esitazione, guardandolo sottecchi con finto fare spavaldo. A tradire i suoi reali pensieri solo il movimento ritmato del ginocchio, che prendeva ad agitare ogni qual volta si sentiva particolarmente irrequieto. Era palese il tentativo dell'Icesprite di metterlo in imbarazzo -e dire che se l'era cercata-, ma saperlo non rendeva certo i suoi punzecchiamenti meno efficaci.
    «Capisco di essere particolarmente irresistibile—altro che Amortentia.» si strinse nelle spalle, sollevando appena le sopracciglia. «Se volevi dichiararti bastava dirlo, trottolino amoroso occhio per occhio, dente per dente.
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    Edited by ‚abso-maybe - 18/11/2018, 20:54
     
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    Aaron Felix Icesprite // Happiness is waking up without a hangover.
    La spontaneità con cui Mabel aveva intrecciato l’indice alle sue dita era qualcosa di nuovo, ma non per questo meno piacevole. Non si era nemmeno accorto di aver posato la mano su quella dell’altro, né del tepore che questa riusciva ad infondergli. Era normale, come se lo avessero fatto da sempre, in un modo tanto malinconico da lasciargli l’amaro in bocca. C’era qualcosa, nel Withpotatoes, che non sapeva spiegare, ma che gli lasciava un sapore strano sulla lingua, somigliante alla nostalgia. Non aveva davvero modo di descriverlo, ma sentiva che uno dei sentimenti che lo legava a quel ragazzo fosse una sorta di strana dolcezza, nascosta ad entrambi, ma esternata proprio in quell’istante. Era così intimo, quel tocco, da superare qualsiasi bacio, carezza, respiro. E non riusciva davvero a distaccarsene.

    Con serenità, mascherata da un divertimento distratto, accarezza con il pollice il dorso di quella mano affusolata, studiando le vene, le pieghe e la delicatezza della pelle. Non c’era mai stato modo o voglia di toccarsi, non fino a quel momento, ma le sensazioni della notte precedente, nonostante fossero sfocate, sembravano ricordargli quanto piacevole fosse stato esplorare quel corpo. Avrebbe davvero voluto ricordare quanto successo e non per mera fisicità, quanto più per poter disegnare Mabel così come lo percepiva sotto i polpastrelli. Adorava dipingere le cose belle e lui era una di queste. Si rammaricava di non aver colto l’occasione, quella mattina, di poterlo osservare con più attenzione, ma non gli era sembrato giusto invadere così prepotentemente una privacy già di per sé ormai scoperta.

    La battuta passa in secondo piano e, con estrema cura, continua ad osservare le falangi, discreto. Lo ascolta parlare, rispondere al suo racconto e non può fare proprio a meno di arcuare il labbro verso l’altro, soffiando una risata più rilassata. Maple era sicuramente un tipo esuberante, forse anche troppo, e i suoi dolcetti avevano fatto sì che Mabel diventasse euforico. Forse avrebbe dovuto ringraziare indirettamente la ragazza per averli fatti avvicinare in quel modo, perché dubitava che senza una spinta del genere avrebbero mai preso l’iniziativa. Mabel gli sembrava troppo insicuro per poter fare un passo verso un interesse che andasse oltre l’amicizia, mentre lui—beh, non era mai stato il tipo da sentimentalismi inutili.

    All’ennesimo scherzo da parte del Withpotatoes, assottiglia per un attimo le palpebre. Lo stava sfidando? Perché avrebbe vinto, nonostante l’imbarazzo dovuto a quelle due semplici paroline. Probabilmente l’avrebbero perseguitato persino nei sogni.
    Solleva dunque un sopracciglio, chiaramente pensieroso, ma non potendo fare a meno di annuire.

    «Vero» ammette, schioccando la lingua tra le labbra «trovo effettivamente irresistibili i tuoi occhi» non si scompone più di tanto, rispondendo al “se ti fa piacere” di Mabel con sincerità «l’ho pensato la prima volta che ti ho visto e ora che li vedo da vicino sono anche più belli.»

    Dopodiché, con nonchalance, torna a fissare le mani intrecciate «senti, trottolino amoroso» scherza, alla fine, decidendo di stare al gioco «sto bene con te, sul serio. Mi piace la tua compagnia» confessa, sospirando. Aveva paura che tutta quella situazione potesse complicare le cose. Era palese che sentisse un’attrazione mentale nei confronti del Withpotatoes e, conseguentemente, fisica. Il loro legame, quello che si stava venendo a creare, era quanto di più sano avesse mai avuto e voleva preservarlo «mi fai sentire come se valessi qualcosa.»

    Non era facile ammettere qualcosa di così autentico, così profondo come quelle poche parole. Si era sempre sentito inadeguato, diverso, lasciato al proprio rancore. Non c’era stato nessuno, prima di Mabel, che avesse sciolto, anche solo per un secondo, quel muro di indifferenza creato per evitare di rimanere ferito. Non sapeva, nemmeno in quel momento, se poteva fidarsi del Tassorosso come stava facendo, esponendosi, lasciandosi guardare per la prima volta dopo tanti anni, ma—si era imposto di tentare, no? E Mabel gli sembrava la persona più adatta. In un certo senso, si miglioravano a vicenda.

    «Ah, perdonami. Non avrei dovuto dirlo» scuote il capo, sospirando «sarà colpa della sbornia.» che ancora, in effetti, si faceva sentire grazie al mal di testa.

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    Mabel Orion Withpotatoes // go down
    Aveva ricevuto una lettera una volta. Il mittente era un certo Maverick Baudelaire-Hansen e diceva di essere una sua versione futura. Parlava di una famiglia a pezzi, di un amore perduto e della voglia di mettere fine ai dolori di una vita intera con un ultima, definitiva fuga. Più simile al lascito di un suicida che alla storia della sua rinascita, Mabel aveva scelto di dar poco peso alla missiva, considerandola l'ennesima trovata dei Testimoni di Geova eppur non avendo il coraggio di gettarla come carta straccia. Sebbene non vi avesse mai più pensato da quando l'aveva ricevuta, per tutto il tempo era rimasta nel fondo del suo baule come in attesa di tempi migliori.
    Ecco, non aveva idea del perché gli fosse tornata in mente proprio in quella circostanza, beato nella sensazione delle dita dell'Icesprite intente a scivolare sul dorso della sua mano, ma la calligrafia stretta del presunto Baudelaire-Hansen gli era balzata davanti agli occhi in maniera estremamente chiara. Aveva un modo di scrivere molto simile al suo in effetti, ma le lettere erano più spigolose, il ritmo delle frasi più concitate rispetto al suo abituale stile. La sola cosa che l'aveva colpito allora di quella lettera era stato un nome, Orion, tanto che aveva scelto di accostarlo al proprio in via ufficiale per dare un senso a quell'appellativo che aveva preso a perseguitarlo persino in sogno. Orion significava luce, e pronunciarlo ad alta voce gli metteva addosso un piacevole calore. Maverick parlava di lui con estremo rimpianto e, se quella storia fosse stata reale, Mabel avrebbe scommesso ogni cosa sull'importanza di quell'Orion nella vita del suo misterioso mittente. Eppure c'era qualcun altro che doveva esser stato ancora più saliente per il Baudelaire-Hansen: suo fratello, Eugéne.
    Doveva essere quella la ragione per cui la lettera era tornata alla mente di Mabel proprio in quell'istante; Aaron gli ricordava l'Eugéne della storia in maniera spaventosa. Anche per lui Aaron era un punto di riferimento, anche lui provava la stessa profonda ammirazione di Maverick, e neanche lui riusciva ad accettare l'idea di poterlo prima o poi perdere. Ma quello di Mabel non era l'affetto di un fratello, né quello di un amico, e a pensarci bene neppure quello di un amante: era qualcosa di più intenso, che prescindeva le comuni etichette relazionali che chiunque altro avrebbe potuto assegnare. Non aveva idea di cosa provasse per l'Icesprite, ma era sicuro che fosse qualcosa di estremamente forte.
    «Ti odio.» si ritrovò tuttavia a borbottare, abbassando il viso e scuotendo la testa con fare imbarazzato dinanzi all'ennesimo complimento del Serpeverde. E dire che se l'era proprio chiamata. Gli sarebbe tuttavia piaciuto dire che nessuno gli aveva mai detto una cosa simile, e che lui stesso non aveva mai prestato un granché attenzione ai propri occhi, ma che invece aveva notato più e più volte quelli dell'altro e che sentirne il peso sulla propria pelle gli metteva i brividi ogni volta. Invece non disse niente, limitandosi a stringere un po' di più le dita attorno alla mano altrui.
    Se fino a quel momento le parole di Aaron gli erano sembrate solo il tentativo di continuare quel gioco dell'imbarazzo, ecco che improvvisamente non gli sembrarono più tanto superficiali. Rialzò il capo nella sua direzione, incontrando il suo sguardo e provando l'irrefrenabile desiderio di — fare qualcosa, qualsiasi cosa, perché non si era mai sentito tanto felice in vita sua. Non credeva nemmeno possibile di poter avere un tale affetto su qualcuno, figurarsi sentirselo affermare con tanta convinzione. Gli sorrise, cercando le parole giuste per rispondere ad una cosa così, per rendere giustizia a quello che provava, ma le parole dell'altro lo fermarono dall'aprir bocca per ancora qualche istante.
    «No, va bene.» scosse appena la testa, come a volerlo rassicurare per quanto aveva appena ammesso. Non voleva che l'altro si frenasse dal dirgli cose di quel tipo solo per il timore di metterlo a disagio, e non voleva che si pentisse di averlo fatto. «Non sai quanto—» cominciò, ma si rese conto che qualunque cosa stesse per dire sarebbe risultata piuttosto stupida. «Non è che non mi piacciano le persone» riprovò dunque, badando bene di usare la mano libera per togliersi via un paio di ricci dalla fronte. «è che non mi sento mai... così. Come sto con te.» era ben consapevole di aver spiegato tutto e niente, ma non trovava effettivamente parole adatte a descrivere il caos di sensazioni che provava in quel momento. Non era bravo come Aaron, perché 'mi fai sentire come se valessi qualcosa' gli sembrava un buon modo di descrivere quello che anche lui sentiva, ma c'erano anche un sacco di altre cose che non avrebbe saputo come spiegare, tipo la voglia di averlo intorno anche quando avrebbe forse preferito starsene per conto proprio, o quella di continuare a giocherellare con la sua mano fino a sentirla addormentare. Non erano cose facili da tirare fuori. «Bene, per farla semplice.»
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    Aaron Felix Icesprite // Happiness is waking up without a hangover.
    A differenza di Mabel, nessuna lettera gli era stata recapitata.
    Non aveva idea del suo futuro Io intento a condurre una vita isolata, chino sui libri in attesa di trovare una cura per una malattia mortale; non sapeva nemmeno dei continui sensi di colpa per un sentimento tanto angosciante quanto completamente autentico. Non sapeva che l’odore dell’Amortentia, che lui non riusciva a capire (non ancora), per Eugéne fosse importante, ma allo stesso tempo doloroso.

    C’era sempre stata, dentro di lui, la convinzione che quell’odore gli provocasse una sorta di malinconia, di tristezza inconsolabile. Quella sera, alla festa, non si era soffermato su una cosa del genere, ma la prima volta nei Sotterranei, nell’aula di Pozioni, non aveva potuto fare a meno di chiedersi cosa avesse voluto dire la stretta al petto che non l’aveva abbandonato per un istante e per i giorni successivi. Somigliava, in maniera quasi surreale, a quella che aveva provato nello stringere la mano di Mabel nella sua. Una connessione, un sentimento così assurdamente intenso da fargli domandare che cosa diamine non andasse nella sua testa.
    Si era fottuto il cervello con quel Tassorosso e la cosa buffa era che l’altro non si era nemmeno dovuto sforzare così tanto per ridurlo in quello stato. Gli era bastato rompergli il naso, in effetti.

    Alla fine, comunque, non voleva pensarci troppo.
    Un pomeriggio, al lago, aveva detto a Mabel di prendere senza esitazione ciò che voleva, senza chiedere. Senza nemmeno pensarci. Era stato un po’ avventato, forse, nel dare quel consiglio, perché non aveva considerato quanto, in effetti, fosse estremamente difficile comportarsi con assoluta disinvoltura in certe situazioni. Per lui era stato sempre semplice agire d'istinto, eppure...

    Le parole del Withpotatoes gli avevano fatto desiderare, per un attimo, di sparire sotto le assi di legno. Di mimetizzarsi o far finta di essere morto. E non perché non gli facesse piacere sentirsi dire certe cose—adiamo, era stata la cosa più bella che qualcuno gli avesse mai detto, non si era nemmeno mai sognato qualcosa del genere in vent’anni di vita. Ma—non poteva, non poteva, aver voglia di prendere quel viso tra le mani e baciarlo, questa volta sul serio, senza stupidi drink in mezzo, corretti con l'Amortentia.

    Per questo motivo sbuffa dal naso con un certo vigore, poggiando il gomito sul ginocchio e la mano sul viso, curvo come se stesse lottando contro sé stesso. Oh, si odiava, ma odiava di più Mabel per essere così assurdamente—Mabel. Il tatuaggio del corvo sul suo avambraccio sembrava guardarlo con sdegno, come a dirgli “sei un emerito coglione, Aaron Icespirte” e non che avesse tutti i torti, in effetti.
    Perché rispondergli? Perché dargli quella botta al cuore? Pensava che le sue parole sarebbero rimaste lì, ad aleggiare nella stanza senza un effettivo seguito, ma no. Ma quando mai.
    Mabel riusciva a sorprenderlo sempre; era sicuro che il minore avrebbe provato disagio o, comunque, imbarazzo. Era riuscito a dirgli “ti odio” per una sciocchezzuola come un complimento diretto ai suoi occhi, ma non aveva battuto ciglio per quella confessione tanto personale, intima. Era strano, ma strano forte e non si capacitava affatto di come potesse aver pensato, solo per un istante, di cacciarlo via da quella stanza preso dalla rabbia. Non sarebbero arrivati a quello se il Tassorosso non avesse deciso di restare.

    Non aveva idea se quello fosse un bene o un male, ma era sicuramente un sacco da sopportare. Non era abituato alle emozioni forti, aveva una certa età—era troppo vecchio per quelle cose.

    «Lo sapevo, non avrei dovuto dire nulla» nonostante le parole, stringe la presa sulle dita del ragazzo, come a fargli intendere che non volesse allontanarlo «dovresti andare» mormora, alzando appena lo sguardo, con gli occhi azzurri appena più scuri «perché ho voglia di baciarti e non so come fare» ammette, alla fine, per non far travisare al moro le proprie parole. Mabel aveva detto che preferiva essere avvisato, no? Ecco, quella gli era sembrata esattamente la situazione adatta per accontentarlo.

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    Mabel Orion Withpotatoes // go down
    Panico, Errore 404, Codice Rosso.
    Forse Mabel avrebbe preferito che l'altro non dicesse niente, che lo baciasse e basta, invece di lasciargli addosso il peso della responsabilità di rispondere a un'affermazione del genere, ma d'altra parte così lo aveva protetto da un infarto assicurato. In ogni caso, comunque, le parole di Aaron lo lasciarono attonito, come pietrificato. In un primo momento, quando l'aveva visto nascondere il volto sulla mano libera come in preda ad un profondo dilemma, si era convinto di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. Credeva di essersi spinto troppo oltre, di aver dato per scontato che all'altro facesse piacere sentirsi dire quelle cose e di essersi illuso di poter essere qualcosa di più per l'Icesprite. A pensarci bene, nessuno aveva mai detto che al Serpeverde potessero piacere i ragazzi: in fondo, se si era comportato come si era comportato quella notte, era solo a causa dell'Amortentia. E poi era stato stupido pensare di potergli piacere solo perché l'altro gli aveva offerto il proprio supporto, decisamente infantile. Ecco, era già pronto ad alzarsi in piedi e andarsene, correre verso la prima parete libera e prenderla a testate fino ritrovare il senno, se solo il contatto con la mano di Aaron non lo avesse trattenuto lì, incapace di liberarsene. Dio, perché doveva essere così? Non faceva che rendere sempre le cose difficili ed incasinarsi la vita da solo, si odiava per questo. «dovresti andare» esatto? Voleva farlo, davvero, aveva già spostato lo sguardo sulla porta e stava solo cercando di mettere insieme il coraggio per lasciare la stanza, ma la stretta del Serpeverde si era fatta più salda e lui non... capiva? Cosa avrebbe dovuto fare? Lui non ne capiva niente di quelle cose, ecco perché alle ragazze non ci aveva mai neppure provato ad interessarsi, perché già i ragazzi erano di per sé un bel fardello. Ecco, sarebbe stato facile sciogliersi, come un ghiacciolo al sole, passare dalla fessura sotto alla porta e scivolare via senza dover dire o fare niente. Ma «perché ho voglia di baciarti e non so come fare» e nient'altro, vuoto, completamente andato. Altro che brownies, altro che alcol, quello era dieci volte più forte di qualsiasi liquore. Restare di sasso non era certo la reazione giusta, avrebbe potuto dare un'idea del tutto sbagliata di come quelle parole l'avevano fatto sentire, ma non riusciva letteralmente a muovere un solo muscolo, persino la sua mano si era irrigidita. Probabilmente aveva solo bisogno di uno schiaffo. O di un bacio. Non-lo-fottutamente-sapeva. E dire che era stato così facile la sera prima prenderlo per la maglietta ed attrarlo a sé, /così/ facile. Dov'era Maple a somministrargli altro thc endovena?
    Ma vaffanculo.
    Chissà poi se l'aveva solo pensato o pronunciato ad alta voce prima che le sue labbra s'avvicinassero a quelle dell'altro, a sfiorarle, incapaci di superare quel sottilissimo ultimo velo invisibile rimasto a separarle. Socchiuse le palpebre, poggiando la fronte a quella di Aaron, come esausto dopo una partita di Quidditch durata giorni. «Preferirei che lo facessi e basta.» gli aveva detto una volta, giù al Lago Nero.
    «Ti prego, fallo e basta.» mormorò stavolta, con tono quasi implorante.
    prelevi? // and then I will follow you down into the dark
    I think I better go,
    before I try something
    I might regret,
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    Aaron Felix Icesprite // Happiness is waking up without a hangover.
    Lo sapeva, maledizione, se lo sentiva.
    Non avrebbe mai dovuto aprire bocca per esternare ciò che provava nei confronti di Mabel, né confessargli così apertamente di avere quel folle desiderio di baciarlo. Era come se avesse perso la lucidità, come se non avesse mai avuto controllo delle proprie azioni; certo, era schietto ai limiti del consentito, alle volte era persino difficile apprezzare quel tratto della sua persona, ma quella volta aveva esagerato.
    Il Withpotatoes sarebbe scappato a gambe levate una volta ripresosi da quella evidente rigidità che l’aveva colpito. Sembrava una statua di sale, con quell’espressione del tutto neutra se non per gli occhi leggermente sgranati. Persino la mano che teneva nella sua, prima rilassata, sembrava fatta di legno; cosa aveva fatto? Perché era un completo imbecille?

    Forse Mabel non percepiva lo stesso legame. Forse—era l’unico che aveva sentito le farfalle nello stomaco alle parole dell’altro, così cariche di fiducia, così gentili come nessuno gliele aveva mai rivolte. Avrebbe dovuto ingoiare a forza uno di quegli insetticidi babbani, in modo da eliminare il problema alla radice, perché il fatto che non avesse mai avvertito tanto desiderio, tanto fremito per qualcuno, la diceva lunga su quanto si sentisse spiazzato dalle sue stesse parole. Sì, più fissava quelle iridi cristalline cariche di sgomento, più la voglia di baciarlo diventava prepotente, ma non si era nemmeno azzardato a muovere un muscolo. In primo luogo, perché la reazione del Withpotatoes era stata più che chiara. L’aveva spaventato a morte, ne era abbastanza convinto. In secondo luogo, perché non—gli sembrava giusto baciarsi così, in quel dormitorio, dopo aver passato la notte a compiere stupidaggini e per questo gli aveva chiesto di andare via.
    Era un animo romantico, un ragazzo che dava abbastanza peso ai baci, alle carezze, alle sensazioni. Persino accarezzare la mano di Mabel era, per lui, un qualcosa di importante, che non si sbilanciava a fare con nessun’altro se non con chi riteneva prezioso.

    Forse, nella sua vita, era stata solo una ragazza a renderlo tanto incauto, ma era finita male per tanti motivi a cui non voleva nemmeno pensare. Era giovane, ai tempi, chiaramente meno esperto di come poteva esserlo in quel momento. Non aveva mai più legato sentimentalmente con nessuno, chiudendosi a riccio nella sua totale diffidenza; aveva fatto sesso con alcuni, niente di troppo impegnativo. Ma i baci… li reputava più intimi di qualsiasi rapporto e se aveva osato tanto con Mabel era perché—perché? Lo faceva sentire come se non ci fossero problemi, come se bastasse la sua presenza per annullare tutto il resto. Con lui nei paraggi non avvertiva nel petto quella schiacciante, spiacevole sensazione d’essere totalmente inutile, un fallimento.

    Stava quasi per chiedergli scusa, probabilmente si sarebbe persino prostrato ai suoi piedi se questo fosse servito per recuperare in extremis. Aveva persino pensato di buttare tutto sullo scherzo riuscito male, ma non era così, non era un fottutissimo scherzo, né avrebbe mai avuto cuore di fingere che lo fosse.

    Ma poi qualcosa cambia e, prima che possa anche elaborare quanto stesse succedendo, si ritrova le labbra di Mabel a sfiorare le proprie, lasciandolo con il cuore in gola e il fiato spezzato. Dio, quando mai il suo respiro era stato così tremolante? Era come se non riuscisse nemmeno a prendere aria per riempire i polmoni, solo boccheggiare inerme.
    Le cose che più di tutto riescono a catturare la sua attenzione, comunque, sono le palpebre socchiuse del minore, le ciglia lunghe, le iridi liquide per via delle sensazioni provate; le piccole lentiggini sul naso, accentuate dal pallore della pelle.
    Era così bello da far male.

    Cazzo, era fottuto. Fottuto in tutti i sensi.

    Le parole dell’altro, mormorate appena, gli causano un brivido lungo la schiena e si trattiene dal sospirare e chiudere gli occhi.
    Non abbandona la mano altrui, tracciando dei cerchi con l’indice su quel dorso liscio, caldo per via del contatto prolungato; l’altra mano, invece, si posa prima sul viso di Mabel, accarezzandogli una guancia e facendo scorrere, con assoluta devozione, il pollice sul labbro inferiore del ragazzo, meditabondo. Avrebbe davvero voluto porre fine a quella distanza insignificante, ma si limita ad accennare un sorriso, scuotendo il capo lentamente.

    «Non posso» mormora, non riuscendo a smettere di toccarlo, di sentire sotto i polpastrelli quel calore asfissiante e, impressi nella mente, quei riccioli a ricadergli sulla fronte, coprendogli appena le palpebre socchiuse «non così» si corregge, osservandolo, ma senza nessun desiderio di allontanarsi. No, non l’avrebbe fatto in quel momento; Mabel si meritava di più di un bacio dato nel dormitorio dei Serpeverde, con il dopo sbornia ancora addosso «se lo facessi ora, sarebbe come bruciare le tappe. Tu sei molto più di questo» e lui voleva davvero godersi il Withpotatoes con calma e senza alcuna fretta.

    Era così maledettamente vecchio stampo, mh.
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    Mabel Orion Withpotatoes // go down
    Avrebbe voluto dirsi che era meglio così, che era giusto prendersi del tempo per fare le cose con più calma, perché non voleva che quel bacio fosse dettato solo dalla passione di un dopo sbornia e niente di più... Ma, meh. La verità era che ormai ogni più piccolo atomo del suo corpo bramava il contatto con Aaron, il sentimento -qualunque esso fosse- trasformato in bisogno fisico di avere di più. E in fondo, cos'altro ci si poteva aspettare da un neo diciottenne che ancora non aveva avuto che un assaggio dell'appagamento di quel desiderio? La fretta senz'altro, l'urgenza di tenere a bada quella forza puramente istintuale che gli rizzava la carne al solo pensiero. Mabel non era Aaron, non aveva la sua maturità ed il suo controllo, ed in un primo momento si sentì ferito dalla ritrosia del Serpeverde, incapace di comprendere le ragioni di quell'attesa. Non aveva forse dato il meglio di sé, spingendosi ben oltre i propri limiti? Non gli aveva forse comunicato abbastanza quello che voleva? Ma ecco, fu proprio quel pensiero ad accendergli la lampadina: non si trattava di chiedere e ricevere, né tanto meno di mero appagamento carnale. Era vero, sarebbe stato riduttivo lasciare che ogni cosa si risolvesse con un bacio dato quasi per caso, lì, in quella precisa circostanza, quasi che non ci fosse nient'altro che attrazione fisica tra loro. Eppure non riusciva a non rammaricarsene. Non riusciva ad essere pienamente soddisfatto delle parole dell'Icesprite, sebbene queste non facessero altro che sottolineare l'importanza di quel bacio mancato.
    Rimase a fissarlo per qualche istante, cercando di imprimersi quell'immagine nella mente prima di rinunciarvi, staccandosi dal viso dell'altro con estrema delicatezza. «E' giusto così.» mormorò, annuendo appena quasi a volersi convincere delle sue stesse parole. E dire che era ancora così vicino, che avrebbe ancora potuto... «Però smettila di guardarmi, non sono così responsabile.» parò una mano fra sé e il volto dell'altro, sforzandosi di guardare altrove per porre fine a quella dannatissima smania. Eppure, con le dita ancora intrecciate a quelle altrui, non riusciva proprio a pensare ad altro che... «Va bene, io andrei a farmi una doccia.» eh, faceva caldo in quel dormitorio, e dire che erano ormai a Novembre. Suo malgrado, slacciò la mano dalla stretta di Aaron e si alzò in piedi, schiarendosi appena la voce e scompigliandosi i capelli già arruffati dal sonno. Si voltò a guardarlo, ed un'altra volta si pentì di averlo fatto. «No.» ordinò a sé stesso, puntando un dito dinanzi a sé ed usandolo poi per voltare la testa del Serpeverde dall'altra parte premendo sulla sua guancia. «Mi ucciderai, io lo so.» sospirò, scuotendo il capo con aria sconfitta.
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